martedì 23 dicembre 2014

Mirò a Mantova (21 dicembre)

La mostra "Joan Mirò: l'impulso creativo" alle Fruttiere di Palazzo Te, al di là dell'omaggio al grande artista catalano, è diventata l'occasione per una reunion di fine anno delle marmotte. Ritrovo di partenza il ristorante le "Scuderie" di Porto Mantovano dove apprezziamo le specialità gastronomiche locali perdendoci simpaticamente in chiacchiere, proposizioni e risate. Poi tutte insieme verso la mostra di Mirò.
Cinquantatre le opere esposte. Oli, arazzi, disegni, terrecotte, le ricostruzioni degli atelier Sert e Son Boter di Maiorca dove Mirò creò i suoi capolavori, lungo un percorso leggibile attraverso le parole della marmotta Mariella che accompagnava noi umili spettatrici nella comprensione delle diverse chiavi di lettura del movimento artistico e storico dell'artista catalano, arte dimentica delle antiche correnti pittoriche e in continua sperimentazione materica, formale e simbolica (l'occhio, la luna, le stelle...). Certo non appare di facile identificazione il concetto "estetico" di Mirò se non si dispongono di strumenti atti a comprenderlo, ma non si rimane insensibili alla forza del tratto e dell'uso dei colori.
Completato l'iter museale e sfidando il freddo dicembrino, ci si ritrova immerse nell'atmosfera natalizia che palpita il cuore antico di Mantova...

martedì 9 dicembre 2014

Vittorio Corcos a Padova (domenica 7 dicembre)

Nelle belle sale di Palazzo Zabarella, appuntamento con l'universo creativo di Vittorio Corcos fra i maggiori protagonisti della pittura tra Otto e Novecento. Oltre cento i dipinti che ripercorrono cronologicamente le vicende artistiche del pittore livornese, ritrattista eccezionale che ripropose volti e mode della Belle Epoque. Del resto la fama di Corcos era già notevole alla fine dell'Ottocento, rappresentante del cosidetto gruppo degli Italiens de Paris con De Nittis e Boldini. Riportando le parole di Ugo Ojetti, scrittore e critico d'arte "Chi non conosce la pittura di Vittorio Corcos? Attenta, levigata, meticolosa, ottimistica: donne e uomini come desiderano d'essere, non come sono". In effetti è questa sua visione pittorica che colpisce immediatamente: pennellate morbide ed insieme attente nell'esaltazione dei dettagli. C'è coda all'ingresso. Nella prima sala l'unico autoritratto di Corcos, proveniente dagli Uffizi, e della bella moglie Emma che ben lo introdusse negli ambienti letterari e culturali che contavano e, a far da contralto, le grandi personalità a tutto tondo del poeta Giosuè Carducci e il volto dell'eroe antico Giuseppe Garibaldi. E poi in successione itinerante le delicate vedute dell'amata Castiglioncello ma anche gli scorci di Parigi, i suoi capolavori en plein air. Le morbidezze dei toni autunnali del bellissimo "Le istitutrici ai Campi Elisi" (1892) nella terza tappa della mostra, ferma gesti di quotidiana realtà descritti con stupefacente realismo.
Il grande dipinto "Sogni" (1896) l'opera più celebre di Vittorio Corcos che domina centralmente la quarta sala della mostra, è un colpo d'occhio eccezionale per la sua bellezza. La giovane, Elena Vecchi figlia minore di Jack La Bolina importante editore legato al pittore da amicizia e anche da rapporti di lavoro (alcune prime edizioni dei suoi libri furono illustrati da Corcos), il mento appoggiato su una mano e lo sguardo diretto verso lo spettatore, rappresenta l'atteggiamento disinvolto di una donna fin du siecle emancipata e nel contempo consapevole della propria femminilità, riflesso di un periodo storico ricco di evoluzioni ma nello stesso tempo proiettato con una certa inquietudine verso il nuovo secolo portatore di tragici eventi. Anche il ritratto del compositore Pietro Mascagni (1891), reduce dal successo con l'opera Cavalleria Rusticana, accavallato posteriormente alla sedia esce dai canoni estetici della ritrattistica ufficiale. Ogni quadro proietta nuove emozioni visive anche a chi nel gruppo è venuto solo per curiosità. Nella penultima sala quattro splendide tele a figura intera di altrettante dame dell'epoca. Imperiosa quella della celeberrima soprano Lina Cavalieri, "la Venere in terra"
come la definì Gabriele D'Annunzio.
Lo sguardo lontano quasi distaccato, il corpo sinuoso avvolto da un elegante vestito tratteggiato magnificamente, cattura l'attenzione dei presenti. "Una pittura chiara, dolce,liscia,ben finita: la seta, seta, la paglia, paglia, il legno, legno, e le scarpine lucide di copale, lucide come le so fare soltanto io" affermava Vittorio Corcos.
Poi la luce, le trasparenze e i caldi bagliori nell'affettuoso quadro "La Coccolì", protagonista curiosa la nipotina del pittore ritratta sulle sponde marine della Toscana dove l'artista fa ritorno negli anni della maturità, conclude l'esposizione. Che dire? Pura emozione visiva...  

domenica 30 novembre 2014

Grandi Donne: GERDA TARO, una fotografa rivoluzionaria

Davanti agli occhi fermi immagine di vita e morte, attimi divenuti icone immaginifiche. La bella mostra cremonese "La nascita di Magnum" celebra una delle più famose agenzie fotografiche, la Magnum Photos, figlia di una straordinaria combinazione di grandi fotografi, Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour e George Rodger, ma è anche l'occasione per togliere la polvere del tempo sulla figura di Gerda Taro, impavida reporter misconosciuta al grande pubblico ma che in quegli anni creò i presupposti per la futura nascita della creatura di Capa, condividendone gli ideali giovanili e la vorace coscienza politica. Fotoreporter coraggiosa è entrata di diritto nella storia della fotografia per i suoi spericolati reportage durante la guerra civile di Spagna dove morì giovanissima. Gerda, il cui vero nome era Gerta Pohorylle, nasce a Stoccarda nel 1910 da una famiglia di ebrei polacchi. Nonostante le origini borghesi, entra a far parte dei movimenti dei lavoratori socialisti mentre in Germania il nazismo sta salendo al potere. Finisce in carcere per le sue idee politiche e così decide di rifugiarsi in Francia. Qui conosce Endre Friedmann un rampante fotografo ungherese, poi mettici la magia di Parigi, l'amore, un pizzico di incoscienza e il loro reciproco entusiasmo e insieme vanno ad inventarsi il personaggio Robert Capa, un fantomatico ma celebre fotografo americano giunto a Parigi per lavorare in Europa. Di colpo questo espediente fa decollare la loro carriera moltiplicando le commesse professionali. 
Nel luglio del '36 decidono di documentare sul campo gli sviluppi della guerra civile spagnola, conflitto che inciderà profondamente sulle loro vite. In terra iberica realizzano numerosi servizi fotografici pubblicati da periodici importanti. Gerda è rispettata fra le milizie antifranchiste per il suo coraggio e la sua bellezza, rischiando sempre in prima linea. Mentre Capa si trova a Parigi, Gerda Taro realizza un eccezionale reportage durante la battaglia di Brunete. L'articolo pubblicato dalla rivista Regards restituisce grande risonanza alla reporter tedesca. Al ritorno dal fronte di Brunete, la terribile fine. Gerda viaggia aggrappata al predellino esterno della vettura del generale polacco Walter Swierckinsky, comandante delle Brigate Internazionali. Ad un certo punto aeroplani nazisti volano a bassa quota sul convoglio pieno di feriti mitragliandolo, seminando il panico e provocando il caos. Un carro armato repubblicano urta, nel trambusto generale, l'auto alla quale è aggrappata Gerda che cade sotto i cingoli del tank rimanendo schiacciata. 
Le cronache raccontano che la giovane reporter non perse mai conoscenza e durante il trasferimento all'ospedale inglese di Madrid si tenne le viscere con la pressione delle proprie mani. L'infermiera che la vegliava le fece somministrare tutta la morfina disponibile per non farla soffrire, poi Gerda si spegne all'alba del 26 luglio 1937. Aveva 26 anni. Il suo corpo fu condotto a Parigi con tutti gli onori e tumulato al Pere-Lachaise. La lapide funebre, realizzata dallo grande scultore Andrea Giacometti, riportava l'epitaffio "morì sul fronte spagnolo nell'esercizio della sua professione". Robert Capa piegato dalla sua morte, continuerà a viaggiare fotografando tutti i grandi conflitti del Novecento e trovando la morte nel 1954 durante la guerra di Indocina. Alcuni dei loro scatti sono riuniti nel volume "Death in the Making", pubblicato da Capa nel 1938. La tomba della famosa reporter fu profanata dalla mano nazi-fascista durante l'occupazione in Francia nel '42,  poi per Gerda iniziò un lungo oblio, involontariamente oscurata dalla fama mondiale di Robert Capa. Spesso le fotografie della fotografa tedesca furono attribuite al più famoso compagno di lavoro e di vita, ma la recente riscoperta della figura di Gerda Taro ha permesso di restituirci un profilo di donna e di artista unico, al di sopra delle convenzioni e dei ruoli grossolanamente definiti dalla società dell'epoca rendendo giustizia a lei e in qualche modo a tutte le fotogiornaliste di guerra che ne hanno seguito le orme.



Un ottimo libro di Irme Schaber "Gerda Taro. Una fotografa rivoluzionaria nella guerra civile spagnola" (editore: DeriveApprodi, 2007) rende finalmente merito a questa grandissima fotografa. 

martedì 18 novembre 2014

La festa del torrone a Cremona (domenica 16 novembre)

C'è il sole! Quasi stenti a credere che sia reale indicandoti il Torrazzo svettante nell'azzurro già a chilometri di distanza. Oggi siamo a Cremona! Caffè e torroncino sono d'obbligo poi via lungo corso Matteotti. Curiosamente ci blocca il capannello di persone davanti all'austera facciata di palazzo Fodri, ma oltrepassando il portone ne scopriamo il motivo. Lo splendido cortile interno è inondato di luce e lo sguardo stupito si perde fra meravigliosi fregi in cotto e un ciclo di affreschi magnificamente conservato. Peccato non si possa visitare anche l'interno del palazzo ancora in fase di restauro. Nel frattempo il vociare esterno aumenta, mentre si affollano i bianchi tavoli traboccanti di Sua Maestà il torrone! Non sono tantissimi i banchi, rispetto alle precedenti edizioni ma la golosa magia è la stessa. Dopo esserci perse fra assaggi e assaggini, tra torroni della più antica tradizione cremonese e le nuove varietà regionali, sbuchiamo in piazza del Comune. Sul grande palco un coro della Valcamonica sta esibendosi nei tradizionali costumi, mentre gruppi di turisti si affrettano ad entrare nella splendida cattedrale di Santa Maria Assunta, tripudio di capolavori pittorici e scultorei con l'imponente affresco della Crocifissione  del Pordenone, considerato il massimo pittore friulano del Cinquecento, che domina la controfacciata del duomo.
Dalla piazza giungono echi di suoni e canti. E poi illusionisti, artisti di strada, mimi, jazz band negli angoli più suggestivi del cuore antico di Cremona. In contemporanea è stata allestita al museo del Violino la mostra "La nascita di Magnum" un importante itinerario fotografico che celebra la Magnum Photos Inc, l'agenzia creata da quattro mostri sacri dell'immagine, ovvero Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, George Rodger e David Seymour, nata nel 1947 negli States per garantire la tutela professionale dei fotografi e i diritti di sfruttamento dell'immagine di fronte alle ingerenze delle grandi testate giornalistiche. Davanti a noi istantanee innalzate allo status di icone, immagini che sottolineano il coraggio e l'intraprendenza di questo mestiere negli angoli più "caldi" della Terra. Poi di nuovo tra i gazebo, le strade ora sono davvero piene. Una piacevole sosta gastronomica a La salsamenteria, a due passi dalla piazza: affettati freschi e un Gutturnio frizzantino, poi di nuovo tra i dolci banchi, le strade ora sono davvero piene. All'improvviso si aprono due ali fra la folla e tra rulli di tamburi e agili sbandieratori arriva il corteo medievale di Bianca Maria Visconti, promessa sposa di Francesco Sforza, che tradizionalmente chiude la sfilata. C'è un Palio da vincere ed è tutto nelle abili frecce degli arcieri in rappresentanza di quattro città lombarde: Cremona, Lodi, Pavia e Lecco. Ed ancora fuochi e balli e canzoni mentre la festa volge allegramente verso la sera...

lunedì 3 novembre 2014

Sull'Altissimo! (domenica 2 novembre)

Dovevo iniziare con queste parole e scrivendo seriamente dovevo iniziare così: domenica 2 novembre 2014 salita cima dell'Altissimo nel Parco Naturale del Baldo. Quota metri 2069, sentiero n° 633 partendo dall'Albergo Graziani. Bellissima domenica ma che dico wuuuuanderfuuuuul!! Percorso fazil easy facile! Arrivate in cima, tappa obbligatoria al rifugio Damiano Chiesa, obbligo assaggiare la crostata di mirtilli (oddio che bona) obbligo assaggiare i scaldafora, andare a prendersi il bicchierino e poi a voi (ussignur del cielo). Vi chiederete che cos'è lo scaldafora, bè..andate al rifugio e poi capirete. Grazie a Barbara e Alessandra. Ah dimenticavo il tutto condito dalla compagnia delle mitiche Marmotte, o yesssssssssssssssss!
(Jei Giovi)

Giornata davvero incredibile, un sole che abbraccia l'intero versante dell'Altissimo e giù, sempre più in basso sino a riflettersi sul blu del Garda. Eccoci zaino in spalla! Ovviamente in tanti hanno avuto lo stesso pensiero perchè al nostro arrivo il via vai di escursionisti è incessante. Poi tutte in salita lungo la strada militare della Grande Guerra che zigzagando si alza sulla cresta montuosa. L'Altissimo si presenta così: panorami emozionali e giochi di cime all'orizzonte! Ci allontaniamo dal brulicare del rifugio fermandoci sul pianoro che si "getta" scenograficamente sul Benaco settentrionale. La visione è grandiosa e nemmeno una leggera foschia riesce a cancellare il susseguirsi incantevole delle vette. Intorno tracce importanti di trincee e caverne austriache con la nostra Jei che, incurante dei pericoli, saltella come un camoscio perlustrandole tutte! Obbligatoria una capatina dentro al rifugio Damiano Chiesa, pieno come un uovo ma non abbastanza da farci desistere dalle bontà di certe grappe artigianali (fantastica quella all'assenzio!). L'aria diventa più fredda, ci saranno una decina di gradi, mentre il cielo sopra di noi inizia a fiammeggiare. E' ora di tornare sui propri passi...

lunedì 27 ottobre 2014

Nei boschi di Felina (Reggio Emilia) domenica 26 ottobre

L'aria frizzante del mattino arrossa le guance ma il tiepido sole promette una piacevole giornata. Si viaggia lungo la Brennero per raggiungere le marmotte emiliane. Oggi scopriamo i boschi intorno al piccolo centro di Felina, poco più di una trentina di chilometri da Reggio Emilia, in un inerpicarsi morbido sulle colline dell'Appennino. La scia di auto scala l'asfalto, si sale sino a 600 metri, in lontananza la Pietra di Bismantova un altipiano che "svetta" sull'orizzonte dalla forma morfologicamente curiosa, montagna citata anche da Dante Alighieri nel quarto canto del Purgatorio della Divina Commedia. Oltrepassata Felina si aprono ampie radure boschive. Guanti e sacchetti in pole position e via dentro la foresta, determinatissime nella caccia alle castagne!
Le costanti piogge di quest'anno hanno pregiudicato a dire il vero la qualità di questi buonissimi frutti inoltre il bosco testimonia il massiccio passaggio di altri cercatori, ma la costanza premia e castagne di discrete dimensioni ne troviamo pure noi. Intorno la natura svela la propria anima più intima e gioca disegnando texture sulle cortecce e sui tronchi muschiati, trame di foglie e rami ravvivati dai filtri solari e dispersi sulle dolci pendenze e soprattutto la bellezza dei colori autunnali. La raccolta è soddisfacente, la sgambata leggera, la compagnia fantastica.

mercoledì 22 ottobre 2014

Grandi Donne: ALEXANDRA DAVID-NEEL, una donna a Lhasa

Una vita lunga e intrepida. Alexandra David-Nèel non è solo la grande viaggiatrice, antropologa, orientalista e fotografa, piuttosto una grande esploratrice di lande e cuori lontani. Nata in Francia a Saint-Mandè il 24 ottobre 1868 da una famiglia benestante, Alexandra mostra subito i segnali di un caratteristico anticonformismo. Lo sguardo penetrante, il carattere forte e deciso, è una ragazza ribelle in cerca di una prospettiva di vita diversa, lontana dai dettami salottieri dell'epoca. La voglia di libertà caratterizzano Alexandra sin da piccola e appena diciottenne abbandona la casa dei suoi genitori per viaggiare in sella ad una bicicletta con la quale si dirige in Spagna, tocca la Francia e successivamente arriva in Inghilterra. Dopo aver fatto ritorno a Parigi nel 1892 si iscrive alla Società Teofisica dove conosce la fondatrice Helena Blavatsky e approfondisce gli studi sul buddismo tibetano entrando nel circuito di esoteristi dell'epoca e nei movimenti femministi. Il passo per abbandonare le comodità dei salotti europei di fine Ottocento e trasferirsi in Oriente è breve. Grazie ad una eredità familiare visita tutta l'India, esperienza che la segna profondamente nell'animo. Nel 1899 scrive un saggio libertario con lo pseudonimo di Alexandra Myrial intitolato  Pour la vie. Tuttavia l'opera non trova nessun editore tanto coraggioso da pubblicarla e solo Jean Haustont, suo convivente, la fa stampare a proprie spese. Lo scritto si diffonde rapidamente negli ambienti anarchici e viene tradotto in cinque lingue, compreso il russo, pur rimanendo al di fuori della grande distribuzione.
Ma la saggistica e lo studio orientalista non sono sufficienti per vivere e Alexandra mette a frutto un'altra sua dote eccellente: il canto. E cosi comincia a girare il mondo come cantante lirica divenendo prima donna all'Opera di Hanoi. Nel 1902 accetta la proposta del teatro di Tunisi che le offre la direzione artistica e si trasferisce in Africa settentrionale dove conosce l'ingegnere ferroviario Philippe Néel che sposa nel 1904. Ma la vita matrimoniale non sopisce i tumulti di una personalità eclettica e lo spirito vagabondo di Alexandra, e nel 1911 è di nuovo in esplorazione: Cina, Giappone, India e Nepal sono le sue mete. Tra il 1914 e il 1916 vive in eremitaggio in una caverna del Sikkim praticando esercizi spirituali con il giovanissimo monaco tibetano Aphur Yongden che diventerà suo figlio adottivo. Nel frattempo, appoggiandosi alla Società Teosofica, studia il sapere misterico orientale, apprendendo la lingua sancrita e approfondendo gli studi di filosofia massonica. E' il 1924 e tra le vallate desolate del Tibet si aggira una donna. Gli abiti sporchi e trasandati la fanno assomigliare ad una semplice pellegrina. In realtà pochi o forse nessuno sa che quella viandante dai capelli scuri è una famosa esploratrice e che è diretta a Lhasa, la città proibita agli stranieri, prima donna occidentale a giungervi dopo otto lunghi mesi di marcia attraverso la Mongolia e tutto il Tibet. Questa avventura, che la renderà famosa nel mondo viene raccontata nel suo libro "My Journey to Lhasa".
Scoperta dalla polizia, Alexandra è costretta a tornare in Francia nel 1925. Dopo essersi separata dal marito va a vivere in Provenza, a Digne, e lì costruisce la sua "fortezza di meditazione" dove scrive alcuni dei suoi trenta libri, "Nel paese dei briganti gentiluomini""Mistici e maghi del Tibet". Nel 1937, desiderosa di studiare le ramificazioni del buddismo in regioni marginali come la Siberia e la Mongolia riparte con il fedele Yongden. Attraversano la Transiberiana in treno, ma arrivati in Cina rimangono bloccati a causa della guerra cino-giapponese, soffrendo fame e disagi. Dopo essere stati anche in India, ritornano trionfalmente in Francia nel 1946 e si stabiliscono nuovamente a Digne, nella casa-monastero di Samten-Dzong. I libri trovano un pubblico sempre più entusiasta e vengono tradotti in molte lingue. Poi anche l'amato figlio adottivo scompare nel 1955 lasciandole un vuoto incolmabile. Negli anni successivi Alexandra lavora senza sosta alle sue pubblicazioni senza mai arrendersi agli acciacchi dell'età, scrive e tramanda ai suoi seguaci gli insegnamenti di un sapere che faccia da ponte tra il pensiero d'Occidente e quello d'Oriente. All'età di 100 anni rinnova il passaporto pensando di ripartire ancora. Viene intanto onorata della medaglia d'oro della Società Geografica di Parigi e nominata cavaliere della Legion d'Onore. La scrittrice-esploratrice più nota del Novecento scompare l'8 settembre 1969 e, memore delle sue ultime volontà,  le sue ceneri vengono portate a Benares e da lì lasciate scorrere lungo le acque del Gange.

martedì 14 ottobre 2014

Le meravigliose cascate del Saent (domenica 12 ottobre)

Non sembra vero ma la nostra domenica ottobrina si apre con un timido sole! Per nulla condizionate dagli umori di un meteo quanto mai improbabile, si decide di andare a scoprire le cascate del Saent in uno degli angoli più suggestivi del Trentino, nel cuore stesso del Parco Nazionale dello Stelvio. Da Trento si inforca la statale 42 della Val di Sole e Val di Non, il regno delle mele tanto per intenderci. All'altezza di Malè seguiamo l'indicazione per la bellissima Val di Rabbi e raggiungendo successivamente il parcheggio in località Coler (mt 1380). Lo zaino è pronto, infiliamo gli scarponcini e attacchiamo il largo sentiero sterrato che costeggia il torrente Rabbies. L'impetuoso corso d'acqua porta i segni dei continui rovesci temporaleschi trascinando con sé radici informe e fusti di alberi sradicati dalla furia dell'acqua. Ora il terreno sale seccamente. Poi il respiro del bosco, il silenzio quasi magico rotto dai nostri passi e in lontananza il sentore della cascata. Percorriamo un sentiero curatissimo, ripidi scalini tagliano il fiato e il Rabbies diventa una massa vorticosa d'acqua. Lungo il tracciato s'incontrano piccole balconate intese come punti di osservazione dove ammirare la spettacolare cascata bassa del Saent. Zampilli d'acqua librano in aria per poi infrangersi sulle nude rocce. Dai che si sale. Più in alto il grande salto superiore della cascata, centinaia di metri cubi d'acqua che precipitano davanti a noi, poi il percorso scosceso raggiunge il Doss dela Cros quasi a quota 1800 metri. Una pausa mentre intorno il bosco esplode dei colori dell'autunno. Oltre la selva dei rossi, dei gialli, degli arancioni si apre la suggestiva Prà del Saent, regno delle marmotte, dominata dalla Scalinata dei Larici monumentali, una vera scalinata di ben 700 gradini al cospetto di ventitré giganti verdi ultracentenari e tutti con un nome che li identifica e ne traccia la storia. In fondo le Cascate Alte del Saent. La baita ai piedi della scalinata è aperta, inebriante l'odore del legno, addirittura un locale si accende automaticamente al nostro passaggio grazie a una serie di piccoli pannelli fotovoltaici. Vorremmo continuare verso il rifugio Dorigoni ma le ore luce cominciano a ridursi, recuperiamo il sentiero 106 mentre il cielo s'incupisce regalandoci qualche goccia d'acqua. Si raggiunge la Malga Stablasolo e più in basso il parcheggio...

martedì 30 settembre 2014

Il castello di Avio (domenica 28 settembre)

Trentino terra di grandi uve, immense montagne e magnifici castelli. Prendi una domenica di sole, ti butti sulla Brennero e avvicinandoti ad Avio scorgi il bel castello a guardia degli antichi guadi dell'Adige. Le prime notizie del castello risalgono all'epoca longobarda sulle tracce del passaggio di re Autari e della regina Teodolinda. Il maniero è uno splendido esempio di fortificazione medievale che nei secoli successivi si è rafforzato con l'aggiunta di spesse cinte murarie e l'innalzamento di torrioni, trasformandosi in piccola corte feudale come testimonia il Palazzo Baronale con lo splendido ciclo di affreschi trecenteschi riconducibili al signore del luogo, Azzone dei Castelbarco. Tra alterne vicende il castello passò al doge di Venezia, poi sotto il controllo austriaco per ritornare in mani italiane dopo la prima guerra mondiale e successivamente fatto dono al Fai, ente no-profit che da quasi 40 anni agisce per la salvaguardia del patrimonio artistico nazionale, che ha provveduto al suo restauro. Fin qui la storia. Nel frattempo ecco le marmotte percorrere la stradina collinare in ardua salita, le voci concitate e gli scatti fotografici a fermare lo slancio delle mura e delle possenti torri. Oltrepassata la Torre Aperta entriamo nella Casa delle Guardie, una piccola costruzione sulla nostra sinistra decorata da meravigliosi affreschi che nella seconda sala, ci riportano ad antiche battaglie, duelli di spada, scene di cavalieri in armi. A questo punto il gruppo si "disperde"...
Trovi marmotte sulle scalinate che portano alle scuderie, altre le vedi arrampicarsi sui ripidi scalini dell'imponente Mastio, fino al quarto piano dove c'è la Stanza dell'Amore, tratteggi perimetrali di affreschi in cui si inneggia all'amor cortese, poi si continua a salire e la panoramica sulla Vallagarina è impareggiabile. Il gioco delle scale, dei rimandi alla vita castellana, di rumore di zoccoli sul selciato emergono dal nostro immaginario mentre ci divertiamo a girovagare per l'antico maniero. Ora il sole è allo zenit e allora tutte sotto il bel pergolato di uve! Se la pigrizia acchiappa alcune marmotte, un gruppetto preferisce optare per una breve camminata lungo il sentiero 686 che porta verso Bocca d'Ardole. Ovviamente data l'ora pomeridiana meglio non salire molto, il tracciato è sconnesso, entriamo in un aggrovigliato tratto boschivo non particolarmente interessante ma che permette di godere dall'alto della superba visione del castello.

mercoledì 24 settembre 2014

Il forte Wohlgemuth (domenica 21 settembre)

Una calda domenica settembrina ci porta sui percorsi e i luoghi della Grande Guerra. Questa volta ci troviamo a Rivoli Veronese dove sull'altura di Monte Castello domina il forte Wohlgemuth, edificato tra il 1850 e il 1851 al fine di difendere lo sbocco della valle dell'Adige. In seguito all'annessione del Veneto al Regno d'Italia, nel 1866, cambiò il nome in Forte Rivoli e subì una serie di modifiche che ne potenziarono la struttura. La fortezza poco distante dall'allora confine italo-austriaco non fu direttamente coinvolta nel conflitto. All’interno è stato allestito il Museo della Grande Guerra con interessanti reperti bellici, armi, munizioni, elmetti, documenti, cronache giornalistiche e oggetti trovati non solo sui campi di battaglia ma negli angoli più impervi delle montagne trentine e venete, e raccolti con infinita pazienza da Giuseppe Rama, il vero motore di questo museo storico, passione che aveva trasmesso al figlio Walter, scomparso prematuramente in un incidente paracadutistico una decina di anni fa, a cui è dedicato il museo. Il signor Giuseppe si accalora notando il nostro interesse e con entusiasmo ci racconta di quella volta che esplorando la Val Genova, videro affiorare dal terreno due spuntoni di ferro e scavandoci un po' intorno, scoprirono essere una ruota teleferica usata dall'esercito austriaco, riuscendo poi a smobilitare l'intero paese di Strembo, con in testa lo stesso parroco, per riportarla alla luce. Pezzi di artiglieria vivono lungo il tracciato che porta all'entrata del museo, ti affacci sulla vallata che placidamente si arrotonda sulle belle anse del fiume, scorgendo in lontananza i ruderi di forte San Marco. Cito testualmente: "senza memoria storica si rischia di smarrire il significato e il senso profondo della propria identità culturale e civile".
Lasciamo il forte mentre il sole declina sulle colline moreniche....

martedì 16 settembre 2014

Le cascate della Val Genova (14 settembre)

La Val Genova, nel cuore del Parco Adamello Brenta, è uno splendido scenario naturale dove si alternano rocce ardite e foreste
rigogliose di abeti, larici, faggi, prati inondati di fiori e tumultuosi torrenti, a buon titolo denominata la Valle delle cascate per la ricchezza delle acque sul suo territorio. Stavolta ce la facciamo. Escursione più volte rinviata per le bizze di un meteo impazzito, questo stralcio d'estate ci regala finalmente una splendida giornata di sole. L'appuntamento per tutte le marmotte è a Tione di Trento, per poi proseguire verso Carisolo lungo la statale 239. Una secca svolta a sinistra e subito la strada si restringe lasciando il passo a scenari incantevoli, mentre la valle si incunea fra strette pareti e ripidi versanti coperti da fitti boschi di conifere. Raggiungiamo Ponte Verde dove barattiamo l'auto per zaini e scarponcini, pochi passi e andiamo a raccogliere le emozioni della cascata del Nardis, un brivido d'energia di oltre centro metri d'altezza, alimentato dal ghiacciaio della Presanella, che si ammira senza parole e col naso all'insù. Seguiamo il sentiero delle cascate. Il tracciato è una intricatissima ragnatela di radici che affiorano sotto i nostri piedi, il bosco profuma di muschio. Il paesaggio sembra quasi rubato a certe scene del profondo Nord in totale sintonia col torrente Sarca che scalpita impetuoso sino a fondovalle. Lungo il cammino s'incontrano tracce importanti di trincee e fortificazioni, la linea degli Honved. Facevano parte del fronte austro-ungarico e qui vi erano dislocati i soldati ungheresi che controllavano le montagne circostanti, mute testimoni delle vicende belliche della Guerra Bianca. Superiamo ponticelli umidi saltando torrentelli borbottanti, poi di colpo il bosco si ferma aprendosi su un'ampia radura che porta ad un successivo strappo in quota verso le cascate di Làres, la prima più bassa, e trenta metri più in alto, quella maggiore, un'immensa montagna d'acqua che si abbatte fragorosa sulle grandi rocce. Le foto si sprecano. Sarebbe bello andare avanti sino al rifugio Bedole a mt 1584, ma il tempo fugge velocemente! Una marmotta chiede il perché del nome Val Genova. Mi informo e leggo che non è del tutto chiara l'origine della denominazione. Il toponimo "Zènua" compare già in documenti datati intorno al 1200 per indicare una regione particolarmente ricca di acque. Ritorniamo sui nostri passi stanche ma emozionate. Doverosa una sosta per un caffè, davanti al rimbombo scintillante del Nardis mentre il pomeriggio volge al termine...

sabato 13 settembre 2014

Una "due giorni" in Germania (10-11 settembre)

Acqua, orzo, luppolo e lievito alias birra, è una delle più antiche bevande prodotta dall'uomo e parte integrante della cultura tedesca. Sì, perché ci troviamo a Freising, nel cuore della Baviera a una trentina di chilometri da Monaco. Stavolta siamo solo noi , le capo marmotte, in una due giorni in terra germanica con un occhio professionale all'universo birraio. Andiamo a visitare a Weihenstephan il birrificio più antico del mondo da quando, intorno all'anno 1040, i monaci benedettini iniziarono a fabbricare il biondo nettare nel loro convento. Freising è una città ordinata e pulita. In tutti gli angoli del centro abitato capeggiano le più disparate statue di orso, così come l'orso sellato è il simbolo della città stessa. Secondo la leggenda  il vescovo Arbeo, vissuto intorno all'Ottavo secolo, ordinò ad un orso di portare il suo bagaglio sulle Alpi dopo che il plantigrado gli aveva ucciso il cavallo. Sopraggiunge la sera e la città bavarese si riempie di luci, colori e soprattutto sotto l'enorme tendone, si celebra il rito della birra. Ragazze dagli immensi bicipiti portano spumeggianti boccali da un litro a grappoli di otto, e poi patate e pollo a volontà ed enormi bretzel, il tipico pane tedesco. Intorno è gran festa, gli abitanti abbigliati nei tipici costumi occupano i lunghi tavoloni, l'orchestra sul palco intona canti teutonici per poi passare a ritmi decisamente più moderni, i rapporti diventano amichevoli superando le barriere linguistiche, e poi birra...tanta...bionda...scura...doppio malto...mentre la notte si prende le nostre risate....Al mattino successivo ti aspetti il mal di testa che per fortuna non c'è. Viceversa nella saletta dell'albergo ci troviamo un gran bel buffet dove il caffè - terribile! - yogurt e spremute d'arancio si alternano ad ottimi formaggi da spalmare sul pane di segale. Ci aspetta un'incursione a Monaco. E' bellissima! Rispecchia il gusto tipicamente germanico. L'imponente edificio neogotico del Municipio in Marienplatz è, a giusta ragione, l'orgoglio dell'intera città. Famoso in tutto il mondo è il suo carillon, posto nella sporgenza della torre, che tre volte al giorno si anima meccanicamente. Rimaniamo nel centro di Monaco, tra le sue vetrine alla moda e i suoi angoli caratteristici che richiamano antichi splendori, gustando dolci favolosi, ma ahimè il tempo è tiranno e si deve tornare a casa...

mercoledì 10 settembre 2014

Il Buco del Piombo sul lago di Como (7 settembre)

Domenica 7 settembre, vista la giornata solare, optiamo per un percorso in Alta Brianza. Arrivate ad Albavilla, comune della comunità montana del Triangolo Lariano, porzione di territorio racchiuso fra i due rami del lago di Como, ci inoltriamo lungo un tranquillo percorso nel silenzio del bosco, dirigendoci verso il Buco del Piombo, una delle poche grotte presenti sulle montagne lombarde, in cui la pioggia millenaria ha trovato facile via sulla superficie rocciosa scavando un sistema di grotte ancora oggi non completamente esplorata. E' una giornata di caldo settembre e questo passeggiare in ombra ci rende allegre. Il silenzio è rotto solo dalle nostre risate e dai canti. In breve tempo arriviamo ad una ripida scalinata che in men che non si dica ci proietta in questa grande bocca, è impressionante, sembra una cattedrale scavata nella roccia. Ci incamminiamo in questa grotta enorme, molto umida in cui scorre un ruscello. Le voci si amplificano. La caverna è carsica e il tempo e l'acqua hanno creato uno spettacolo di stalattiti, stalagmiti ed altre incredibili concrezioni. Dopo un breve tratto non osiamo andare oltre, è da speleologi esperti non da marmotte domenicali come noi. Sulla via del ritorno "doverosa" una sosta in un rifugio dove gustare piatti tipici da marmotte domenicali con le gambe sotto il tavolo.

(Santina)

Sabato al Festivaletteratura di Mantova (6 settembre)

Mantova è un gioiellino architettonico e a settembre dimentica la solitudine dei suoi laghi riflettendosi sul riverbero giocoso dei palazzi storici, sulle acciottolate strade del centro, nelle penombre dei maestosi monumenti, in un'atmosfera che trasuda storia. Sabato 6 settembre è la penultima giornata del Festivaletteratura, insolita passerella che unisce autori e lettori, lontana dai salotti buoni ma dall'ampio respiro internazionale. Le proposte editoriali sono molteplici, in continuo interscambio tra argomenti di attualità e orme di antichi eventi come i Cento anni della Grande Guerra a cui la città virgiliana ha dato ampio risalto aprendo al pubblico gli archivi storici e ricavando postazioni sonore dando così voce ai tragici protagonisti di quell'inutile carneficina che insanguinò  il primo Novecento. Spazio rilevante anche alle firme femminili, come Adriana Lisboa, nuova star della letteratura brasiliana, introdotta da Lella Costa, in questa edizione sottile e ironica interlocutrice di molti appuntamenti. Noi la ritroviamo nel tendone installato a Palazzo Ducale alla presentazione de In punta di penna, volumetto patrocinato dall'Eni, che ripropone pagine di memoria de Il gatto selvatico rivista uscita nel 1955, nata per ripercorrere le vicende sportive ed eroiche dell'Italia del dopoguerra. Ospiti un simpaticissimo Adriano Panatta e il giornalista sportivo Federico Buffa a discernere con leggerezza tra letteratura e sport. Inaspettato, a fine evento, un ottimo buffet. Le vie di Mantova si riempiono di voci e passi veloci, tesi a raggiungere non solo gli eventi prenotati ma anche le numerose tende, ad ingresso libero, dove si susseguono a ritmo continuo incontri con ospiti illustri. In piazza Sordello, l'onnipresente Lella Costa e Cecilia Strada, figlia di Gino, raccontano i Vent'anni di Emergency e del loro impegno umanitario nelle guerre dimenticate del mondo, per poi passare alle discussioni sulle cosiddette bufale, capaci di alimentare le nostre più inconsce paure, al microfono la giornalista scientifica Silvia Bencivelli, oppure il dibattito sulle mafie del nuovo secolo con il magistrato Giuseppe Ayala, per anni nel pool antimafia con Falcone e Borsellino. Grande attenzione in questa diciottesima edizione del festival all'alimentazione e al cibo. 
Noi andiamo a sentire Michael Pollan, autore de La cucina dei quattro alimenti. Davvero interessante. Nel tardo pomeriggio lo storico della lingua Giuseppe Antonelli incontrava Anna Marchesini, componente del famoso Trio comico e ora intensa autrice della narrativa italiana. La presentazione della sua ultima fatica, una raccolta di racconti Moscerine, era già sold out ancor prima dell'inizio del festival! Allora ti fermi ad ascoltare "La compagnia della lettura" che ti intrattiene con letture di autori del Novecento. Tra il brulicare di gente e i musicisti che inondano le strade a ritmo di swing, la nostra attenzione si muove verso piazza Broletto apparecchiata di tutto punto, dove ci gustiamo una buona pizza mentre le ombre della sera si appropriano lentamente della città. L'ultimo appuntamento ci riporta a piazza Castello dove la banda Osiris, accompagnata da Federico Taddia e dal filosofo Telmo Pievani "danno vita ad un incontro/scontro/spettacolo tra il sex e il sax", citando testualmente il programma. E' quasi mezzanotte ma nessuno sembra aver voglia di staccarsi dalla magia di questa giornata. In un mondo che appare sempre più standardizzato, la vivacità delle proposte letterarie presentate al Festivaletteratura conferma un approccio vitale e sempre più partecipe delle persone alla cultura. 

martedì 2 settembre 2014

domenica 31 agosto al santuario Madonna della Corona (VR): quanti scalini!

Piove! Uuff anche questa domenica rovinata dalla pioggia. No, non ci sta bene!! Si decide ugualmente di tentare, sperando in una schiarita, con il gruppo delle marmotte irriducibili. Partenza da Brentino (mt. 187), lungo il "sentiero del pellegrino" e arrivo al santuario Madonna della Corona (mt. 773). Il cielo si è aperto e spunta un timido sole, durante il tragitto possiamo godere della vista del lago di Garda. A Brentino, parcheggiate le vetture, guardiamo le magnifiche montagne che ci circondano, giganti che sembra si tengano per mano!! La forza della natura per sollevarle e spostarle!! Ci incamminiamo per il sentiero in mezzo al bosco, composto da gradini scavati nella montagna: sono ben 1400! Si sale sul tracciato piano piano in un silenzio irreale, cullate dalla musica di un torrente che ci accompagna e dal profumo dei ciclamini, ve ne sono ovunque. Il percorso è di circa km. 2,5 ma la salita taglia davvero il fiato! Cominciamo a sentire la fatica, si suda, fortunatamente siamo in ombra e passo dopo passo scorgiamo la basilica incastonata nella roccia, rimanendo stupide nel vedere la nostra meta finalmente così vicina. Dopo una sosta al santuario ci prepariamo alla discesa, soddisfatte di essere riuscite a non stramazzare al suolo dopo tutti quei scalini e di aver trascorso una bella domenica.
(Anna)

venerdì 29 agosto 2014

Noemi in Val Rendena (27 agosto)

Penultimo appuntamento con I suoni delle Dolomiti e il talento e la simpatia di Noemi, in Val Rendena a 2082 metri sopra Madonna di Campiglio. Nonostante le fosche previsioni meteo dei giorni precedenti gli organizzatori rischiano il "sì" per lo svolgimento del concerto. Noi ci portiamo con la cabinovia dal centro campigliese al Monte Spinale e trotterelliamo lungo il tranquillo sentiero che porta sull'erba verde di Camp Centener, meravigliosa conca naturale circondata dalle dolomiti del Brenta e dai ghiacciai dell'Adamello e della Presanella. E il sole non delude le attese e regala una giornata fantastica agli oltre tremila spettatori che sono saliti ad ascoltare la grintosa cantante romana. Gran voce, forte e graffiante tanto da paragonarla alla popstar Anastacia, Noemi non sì è risparmiata portando una carica incontenibile nelle esecuzioni tratte dal suo ultimo lavoro "Made in London", scherzando con gli spettatori disseminati a macchia d'olio sui prati della vallata, riproponendo i successi di inizio carriera e..ad un certo punto, togliendosi le scarpe "per meglio sentire il contatto con la terra" parole di Noemi. Il pubblico non ha lesinato applausi, cori, ritmi sempre in crescendo sino al tutti in piedi nel bis di "Vuoto a perdere". In continua progressione emotiva il concerto ha riconfermato le grandi doti artistiche e umane dell'interprete lanciata da X-Factor, non sottraendosi al bagno di folla finale e concedendo sorrisi, autografi e foto a tutti i suoi fans. Ad un certo punto una rappresentante dell'organizzazione le ha detto che di questo passo avrebbe fatto sera. E Noemi con un ampio sorriso "Si sono fatti un'ora di cammino per venirmi ad ascoltare, è il minimo che possa fare". Grande Noemi! Nel tornare in paese scopriamo una vera chicca, una minuscola ma interessantissima mostra che celebra i cento anni delle guide alpine di Madonna di Campiglio, con reperti, foto, testimonianze d'epoca sul percorso storico delle guide di questo comprensorio.

martedì 26 agosto 2014

Valle delle Cartiere e le Camerate (24 agosto)

Una veloce sgambata quella di domenica 24 agosto nella Valle delle Cartiere, antico polo cartario di Toscolano Maderno e più in generale della sponda bresciana del Garda le cui radici si perdono nel Quattrocento. Il paesaggio è incantevole e non sembra proprio di trovarsi a pochissimi chilometri dall'affollata gardesana che costeggia il lago. Intorno il silenzio è rotto solo dal mormorio sommesso delle acque che scavano nella roccia percorsi suggestivi. Sulla nostra sinistra la Cartiera, immobile nel tempo, narra vicende di prosperità e grandezza ora disperse nei secoli...Ci spostiamo oltrepassando Gaino, dirette verso il sentiero 20, quello delle Camerate, una tranquilla mulattiera che si inoltra fra boschi ancora impregnati di pioggia e verdissime radure. Lungo la salita ruderi di antiche abitazioni mute testimoni di vite lontane, ricche sorgenti, isolate baite e in lontananza s'innalza Monte Castello di Gaino. Camminiamo ascoltando i pensieri mentre la montagna ci respira addosso, sentendoci parte di essa...Come scrisse Jean Jacques Rosseau "un paese di pianura per quanto sia bello, non lo fu mai ai miei occhi. Ho bisogno di torrenti, di rocce, di pini selvatici, di boschi neri, di montagne, di cammini dirupati ardui da salire e da discendere, di precipizi d'intorno che mi infondano molta paura"...

venerdì 22 agosto 2014

Grandi Donne: GERTRUDE BELL, la regina del deserto

Scrittrice, spia, viaggiatrice, archeologa...Gertrude Bell, "la donna che inventò l'Iraq", personalità indiscussa dell'impero britannico in Medio Oriente, la prima donna a fare un viaggio attraverso il deserto per ben 1500 miglia a dorso di cammello, la prima a scalare tutte le cime della catena Engelhorner nelle Alpi svizzere e tutto questo un centinaio di anni fa. Gertrude nasce il 14 luglio 1868 a Washington Hall, nella contea di Durham, in Inghilterra da un ricca famiglia di industriali, dimostrando subito una vivacità intellettuale che le permettono, fatto inusuale per le donne dell'epoca, di potersi laureare ad Oxford. Appena ventiquattrenne si reca in visita in Persia da suo zio sir Frank Lascelles, ambasciatore a Teheran e qui esplode la sua insaziabile sete di viaggi. Nel decennio che segue la troviamo esploratrice instancabile per il mondo, alpinista in Svizzera, archeologa in Oriente. Impara velocemente l'arabo, il persiano, il francese e il tedesco, l'italiano, il turco. Nel 1899 visita la Palestina e la Siria, l'anno successivo è sulla strada che da Gerusalemme conduce a Damasco dove conosce i Drusi, seguaci di una antichissima religione, che vivono a Jabal al-drusi. Tra il 1899 e il 1904, provetta scalatrice, conquista una serie di montagne tra cui il Monte Bianco. Un picco alpino nell'Oberland Bernese, il Gertrudspitze (mt 2632) è stato chiamato così in suo onore dopo averlo attraversato con le guide Ulrich e Heinrich Fuhrer nel 1901. L'anno successivo nel tentativo fallito di scalare il Finsteraarhorn rischia davvero la vita rimanendo aggrappata alla roccia in condizioni climatiche terrificanti. Molte le opere che ripercorrono i suoi viaggi. Nel 1907 pubblica "Siria: il deserto e il seminato" mappando minuziosamente l'area mesopotamica, da Antiochia a Beirut.  Ed è in queste terre che con l'archeologo William M. Ramsey scopre un campo di antiche rovine sulla riva orientale dell'Eufrate. Visitando  le rovine di Ukhaidir, Babilonia e la città ittita di Carchemis, conosce Thomas Edward Lawrence, il celeberrimo Lawrence d'Arabia.
Scoppia la prima guerra mondiale con la Bell volontaria nella Croce Rossa in Francia. In pieno conflitto Gertrude viene convocata al Cairo e vista la profonda conoscenza della complessa realtà araba, diviene la prima donna a lavorare per l'Intelligence presso il Bureau a Baghdad. Terminata la guerra insieme a Lawrence viene delegata da Winston Churchill a partecipare alla conferenza del Cairo per stabilire i confini del mandato britannico in Medio Oriente in un complicato e delicatissimo gioco delle parti fra i leader arabi e i diplomatici di Sua Maestà che porteranno fra l'altro alla creazione dell'Iraq, dopo la rivolta vittoriosa di re Faisal sull'impero Ottomano. Descritta dai persiani come "al-Khatun" (Signora della Corte che tiene occhi e orecchie aperte a beneficio dello Stato) aiutò alla composizione di uno stato unitario supportando il re sino alla sua incoronazione avvenuta il 23 agosto 1921. Il Museo Archeologico di Baghdad fu il suo capolavoro. L'archeologia era sempre stato il primo amore e il suo obiettivo era di preservare la storia delle civiltà mesopotamiche tenendole nel paese d'origine. L'immenso lavoro unito ad una brutta bronchite (era una grande fumatrice) minarono poco per volta la sua salute. Tornata in Gran Bretagna nel 1925 trovò la famiglia in grave dissesto economico a causa della guerra e della depressione economica, sino al suo tragico epilogo. Gertrude Bell fu trovata morta il 12 luglio 1926 apparentemente per un'overdose di sonniferi. Si è molto dibattuto sulla sua morte, se fosse stata accidentale oppure un suicidio intenzionale. "Vengono verso di me un gruppo di cammellieri. Erano chiaramente tutti arabi tranne uno che sembrava essere una donna. Era Gertrude Bell. Non riuscivo a credere ai miei occhi quando ho visto una donna inglese ben vestita e in ordine nonostante le settimane di viaggio nel deserto!" scrive nel 1914 sir William Willcocks, l'ingegnere costruttore della diga di Assuan in Egitto.

martedì 19 agosto 2014

I giorni di ferragosto delle marmotte: 13 agosto PAOLA TURCI E MARINA REI ...

Le bizzarrie stagionali del meteo anche qui in Trentino, hanno scompigliato in toto il programma de I giorni di ferragosto delle marmotte a cominciare dall'atteso concerto di Paola Turci e Marina Rei previsto sui prati del Bondone e giocoforza spostato in serata all'auditorium di Vezzano, ma non ha certo smorzato l'entusiasmo degli spettatori, diligentemente in coda davanti alla biglietteria pur di accaparrarsi i posti disponibili del piccolo teatro della Valle dei Laghi. Scenografia spoglia ed essenziale, un pizzico di attesa e poi le due artiste romane appaiono sul palco accompagnate dal basso di Pierpaolo Ranieri, ruolo che in passato aveva visto esibirsi Max Gazzè. La Turci voce cantautorale e chitarra e la Rei grintosa tra batteria, voce e piano, applauditissime alla loro entrata in scena, sfoderano i pezzi più importanti del loro repertorio alternandosi tra viaggi interiori e calde atmosfere acustiche, in assoli che si trasformano a due voci in perfetta simbiosi. Un percorso musicale che sa tessere arrangiamenti rockeggianti declinando poi con leggerezza su toni più intimi, che sa far coinvolgere il pubblico presente sempre pronto ad accompagnarle nei ritornelli e sa anche far ridere quando verso la fine del concerto, Paola e Marina si sono lasciate andare ad uno scambio veloce di battute che ha divertito il pubblico in sala. Da "Volo così" in acustica alla dirompente "Donna che parla in fretta " in cui la Rei ha stupito per l'eccellenza di percussionista, è un viaggio musicale il loro, dolce e intenso insieme sino allo standing ovation finale. Richiamate a gran voce sul palco Marina Rei ha proposto la bellissima "I miei complimenti" seguita dalla Turci con quella canzone senza tempo che è "Bambini" ma non finisce qui perché il pubblico ha fame di musica, musica che è soprattutto magia, e le due ritornano proponendo la canzone di Battiato "Cuccurucucù" cantata praticamente in unisono con tutto il pubblico. Grande serata! Il mormorio allegro della serata si perde nelle chiacchiere che portano verso Monte Bondone...e già spunta il nuovo giorno... (continua)

I giorni di ferragosto delle marmotte: 14 agosto LA VALLE DEI LAGHI

lago di Toblino
lago di Cavedine
castello di Drena
Metti il naso fuori dalla finestra, qualche lampo di sole sembra illuminare il cielo. Tentare l'escursione sul Monte Cornetto, perché no. Ma è un'idea che naufraga miseramente, giusto il tempo di allacciare gli scarponcini e caricare lo zaino sulle spalle e immensi goccioloni freddissimi precipitano dal cielo. Nulla da fare, si cambia programmazione. Ritorniamo verso la piana, sempre inseguite dalla pioggia, imboccando la SP85 del Bondone, superiamo prati, radure e boschi gettando lo sguardo in alto verso Castel Medruzzo stupendo sulla roccia (purtroppo solo residenza privata) e poi sempre più giù, dimenticandoci i tornanti. Dopo la grande curva arroccato in cima al colle che domina la vallata, sorge il Castello di Drena splendida roccaforte del XII secolo caratterizzata dalla torre quadrata alta 25 metri che ci regala una spettacolare visione della valle del Sarca. Un certo languorino incombe, il chiosco è a due passi dal maniero, la pioggerella ci regala un attimo di tregua ma in fondo ogni scusa è buona quando si è tra marmotte. Caffè, due risate e si prosegue! Costeggiata da immensi vigneti, la strada piega verso il lago di Cavedine, un  suggestivo specchio d'acqua turisticamente poco sfruttato. Regna un silenzio quasi sospeso nel tempo, regalando sensazioni di serenità. Il cielo è cupo ma ci fermiamo lo stesso in una piccola area verde non lontano dal fluttuare leggero di piccole imbarcazioni. In lontananza c'è chi fa del windsurf....Poi di nuovo pioggia, fine e fastidiosa. Riprendiamo il cammino segmentando la Gardesana  per alcuni chilometri ed ecco l'incontro col meraviglioso lago di Toblino, che morfologicamente chiude la Valle dei Laghi, circondato da rigogliosi canneti e sul cui isolotto si erge l'omonimo castello, anch'esso del XII secolo ma portato al massimo splendore nel Cinquecento ed oggi utilizzato come ristorante. Gustarsi un gelato e negli occhi tanta superba bellezza, persino la grande sfera solare si decide a decantarla specchiandosi nelle argentee acque....E poi si risale a Vason e ai suoi piatti trentini....(continua)
Castel Toblino - le mura

I giorni di ferragosto delle marmotte: 15 agosto IL CASTELLO THUN

...E' arrivato ferragosto, non ce ne siamo accorte perchè ovviamente...piove! Cavoli, sembra autunno. Ci saranno dodici gradi, ventine e pile sono d'obbligo in questi giorni così uggiosi! Nel frattempo altre marmotte si sono unite al gruppo ma sembrano aver adocchiato il centro benessere a due passi dall'albergo Vason, base operativa delle marmotte, ma noi che siam più intrepide, pioggia o non pioggia andiamo alla scoperta del famoso castello Thun in Val di Non. Presa la Brennero e uscite a San Michele, ci troviamo circondate da immensi meleti carichi di frutti e all'altezza di Ton avvistiamo il poderoso castello, uno dei più belli del Trentino, della potente casata dei Thun. Edificato sopra una collina a oltre 600 metri d'altezza il maniero, costituito da torri, mura e bastioni, domina l'intera vallata. Fortificazione imponente che rispecchia il carattere insieme austero ed elegante della nobile famiglia trentina, riflesso storico del plurisecolare dominio dei Thun su questa ricca vallata. Attraversiamo una breve radura e arriviamo al castello oltrepassando la cinquecentesca Porta Spagnola che da sull'ampio porticato. Ci sono molti visitatori nonostante l'inclemenza del meteo. Superiamo le mura e ci ritroviamo nella Storia. Al piano terra ci sono le sale pubbliche, al piano superiore le stanze dei signori, tutte riccamente arredate con mobili dell'epoca. E poi le grandi cucine. Una luce calda spezza il grigiore del cielo, guardi oltre la grande finestra e appare il sole, allora infili la scalonata e scendi nei giardini umidi di pioggia che circondano il castello. Ad ovest la possente torre della biblioteca, occasionalmente allestita per una minuscola  ma interessante mostra sul neoclassicismo pittorico di Giuseppe Craffonara. Disegni, matrici di stampa e bozzetti dell' artista trentino in voga a metà Ottocento, trovano la giusta dimensione in questa sede. Ritorniamo inseguite dal tepore del sole sino al suo declinare dietro al Bondone....(continua)