sabato 8 dicembre 2012

RENOIR: la "joie de vivre" !

 Siamo alle battute finali de "Renoir, la vie en peinture" proposta tra le mura del Castello Visconteo di Pavia. L'iter espositivo presenta una quarantina di opere tra dipinti, pastelli e disegni alcuni dei quali per la prima volta in Italia. La mostra sul grande maestro francese, uno dei padri dell'Impressionismo che tanto rivoluzionò il concetto pittorico dell'epoca gettando le basi per le nuove sperimentazioni che a questo movimento seguirono, è obbligatoriamente una selezione rispetto all'effettivo volume di tele create da Renoir nella sua lunghissima carriera ma ha il merito di saggiare oculatamente la lunga fase costruttiva sfociata nella creazione del gruppo nella seconda metà dell'800. "Una mattina, siccome uno di noi era senza nero, si servì del blu:era nato l'impressionismo" citazione celeberrima affidata alla Storia a voce di Renoir!
Definito universalmente tra i più raffinati esponenti del movimento artistico, l'esposizione ripercorre la sua evoluzione artistica dai primi passi, giovanissimo assistente di bottega, all'incontro risolutivo con i vari Sisley, Monet, Bazille seguaci appassionati di quella "joie de vivre" che caratterizza tutta la proposizione pittorica.  A differenza degli altri impressionisti, Renoir incentrò la propria attenzione sulla figura umana non come parte incidentale dell'opera, con l'uso sapiente e gioioso dei colori, sintesi concettuale a cui rimase comunque fedele nella sua lunga evoluzione strutturale e "Les baigneuses" del 1918 ne è esempio notevole e suo testamento artistico.

lunedì 12 novembre 2012

Il Pasubio e poi su su sino al rifugio Vincenzo Lancia

Il Pasubio, massiccio dalla possente struttura quadrata, è l'anello di congiunzione tra le Piccole Dolomiti e la regione degli altipiani. Ma è una montagna "ferita", ferita dall'uomo che ne sconvolto la struttura morfologica  lasciando dietro di sè solchi che penetrano nel cuore più profondo della montagna  in un alienante labirinto di crateri di granate, di trincee, di gallerie. Lo scenario è quello della Prima Guerra Mondiale, drammatico apogeo della follia umana. Il Pasubio divenne un caposaldo difensivo di grande rilievo strategico e per questo motivo fu lungamente conteso dalle opposte forze combattenti in uno stillicidio crudele anche per le terribili condizioni climatiche a cui furono sottoposti i soldati e con la spettrale Morte Bianca che riuscì a decimare le truppe ancor più delle bombe. Uno fra questi uomini fu il grande poeta Eugenio Montale, soldato in Vallarsa, che dedicò al massiccio la poesia "Valmorbia". In questa parte d'Italia è più che mai viva la memoria storica della Grande Guerra. L'imponente serie di sentieri presenti sul territorio ricalcono le antiche mulattiere militari e le numerose tracce di roccheforti sui versanti del rilievo pasubiano ne sono la diretta testimonianza. Ma se i luoghi ci riportano ad una antica memoria, il sole invita a più piacevoli ricordi e oggi il Pasubio ci consiglia una bella sgambata sino al rifugio Vincenzo Lancia a quota 1825 metri!
Si parte da Rovereto e subito si inizia a salire proseguendo per l'abitato di Trambileno e successivamente per la sua frazione Giazzera a metri 1092. Stiamo risalendo la Valle dell'Orco, già postazione militare austriaca e principale via d'accesso alla regione del Pasubio, e il respiro della montagna è già con noi. Ora si può abbandonare l'auto e zaino in spalla si punta al rifugio seguendo la segnavia 101. Dopo un breve tratto di tranquilla camminata si risale un prato che ci porta successivamente ad un bosco di grande suggestione per sbucare infine su una strada forestale. Con passo continuo si arriva alla piana Cheserle a 1360 metri dove c'è l'omonima malga. Ora la strada s'impenna maggiormente e con qualche scorciatoia quasi "caprina" in un'ora e mezza ecco all'orizzonte il rifugio che domina i prati dell'Alpe di Pozze. Lancia fa da riferimento ad una estesa rete di segnavie perfettamente segnalate che permettono di esplorare tutto il gruppo montuoso e passare da un versante all'altro del Pasubio. A dire il vero all'interno della baita avvistiamo dell'ottima torta di pere e cioccolato e dimentiche per un momento delle bellezze della zona ci pregustiamo questa semplice ma gustosa plelibatezza!
Il rifugio Vincenzo Lancia è situato nel cuore del Pasubio e costruito sopra i resti di una preesistente costruzione austroungarica.
L'opera voluta dal grande alpinista Amedeo Costa in memoria dell'amico Lancia , pioniere dell'automobilismo italiano, vide la posa della prima pietra nel luglio 1938 e, con il prezioso apporto della stessa popolazione di Trambileno, un anno dopo era  già completata per essere successivamente donata al CAI come promesso dallo stesso Costa. Più elevata rispetto al rifugio c'è la chiesetta alpina dedicata a San Giovanni Gualbero, patrono dei forestali, costruita negli anni Sessanta. Nel nostro procedere incrociamo testimonianze dell'antica guerra solidificate dal Tempo  e quasi sospese in equilibrio armonico con la stessa natura. L'aria sa di buono, i sentieri si elevano per poi ridiscendere improvvisi e solo la visione in lontananza di alcuni nuvoloni che hanno tanta voglia di farci paura, consigliano i nostri scarponi a riportarci allegramente alla base di partenza! La molteplicità delle escursioni rendono il Pasubio unico! 

sabato 13 ottobre 2012

"Raffaello verso Picasso" a Vicenza (sabato 13 ottobre)

La mostra "Raffaello verso Picasso - storia di sguardi, volti e figure" ha aperto i battenti lo scorso 6 ottobre nella restaurata Basilica Palladiana di Vicenza. Quasi un centinaio le opere provenienti dai più importanti musei del mondo suddivisi in quattro sezioni "a soggetto", strumenti di lettura del segno pittorico nell'empirico umano, in un viaggio immaginario attraverso cinque secoli di impronte artistiche. L'input itinerante non necessariamente cronologico, diventa pretesto per i continui rimandi, filiazioni, stilemi della figura intesa come indagine dell'anima posta in correlazione al mondo circostante. La rassegna si presta ad un'analisi attenta sulla forma, attraverso il volto o l'interezza del corpo, per raccontarne i diversi raffronti, dalla perfezione delle configurazioni umane quattrocentesche sino alla rottura visiva del Novecento cubista. Allora il tema del ritratto umano interagisce con la sua intimità quotidiana attraverso le tele di Rubens e Van Dyck, si racconta nella profonda introspezione dei volti dei grandi ritrattisti del Cinquecento, diventa simbiotica nel passaggio fra sacro e profano del Caravaggio ed in una fantastica cavalcata nei cinque secoli di arte porta alle reminiscenze degli impressionisti per concludersi con la profonda evoluzione del segno grafico di un Modigliani, di un Matisse o di un Pablo Picasso.
L'emozione di trovarci di fronte ad autentici capolavori è assoluta, dove occhi, espressioni, rughe, capelli...tutto è davanti ai nostri occhi e buca come solo i grandi pittori sanno fare. Quello che sembra non piacere è piuttosto il solito allestimento della mostra, decisamente troppo tradizionale. Le pareti bianche, i quadri appesi e a fianco nome ed autore. Forse bisognerebbe fare uno sforzo in più per entrare in un canale comunicativo diverso, in modo da arrivare non solo a quello colto ed informato che da solo è in grado di capire ciò che ha di fronte. Lo spettatore avrebbe bisogno di essere maggiormente guidato in atmosfere ed emozioni, attraverso secoli e luoghi, utilizzando le moderne tecnologie, magari aggiungendo filmati, documentari, scene tratte da pièces teatrali per far calare ogni singolo quadro o autore nel suo mondo e nel suo tempo. Andando oltre queste considerazioni le nostre indagini visuali hanno saputo cogliere i richiami di antichi splendori rimasti indenni, nella loro bellezza, al mutare dei secoli.

lunedì 17 settembre 2012

Grandi Donne: NIVES MEROI


Parlare di Nives Meroi è metterla in correlazione con la Montagna. Un amore autentico  fatto di passione e rispetto e condiviso con Romano Benet, da oltre vent'anni compagno di vita e di cordata. Donna, prima che alpinista, l'identica donna che in un'intervista del 2009 ha annunciato la propria uscita dalla corsa agli Ottomila hymalaiani, in quella che a suo dire ha perso ogni connotazione di confronto con se stessi trasformandosi nel tempo in una gara solo spettacolarizzante.

sull'Everest  (archivio personale Nives Meroi)


Nives e Romano arrampicano da più di un ventennio e il loro palmares comprende alcune delle vie più difficili delle Alpi ( la parete nord del Piccolo Mangart, fra le più complesse delle Alpi Giulie tanto per fare un esempio), arrampicate di ghiaccio, pareti impervie e soprattutto, l'alta quota. L'amore per la montagna ha spinto la coppia verso orizzonti sempre più lontani e difficili ma rimanendo ancorati alle origini più genuine dell'alpinismo: la scalata senza l'ausilio di ossigeno supplementare, portatori d'alta quota, campi fissi o utilizzo di mezzi aerei. Un percorso costellato di innumerevoli successi come la salita in soli venti giorni nel 2003 di tre dei 14 Ottomila della Terra ( il Gasherbrum II,il Gasherbrum I e il Broad Peak) con Nives unica donna al mondo ad aver realizzato una simile impresa! E ultimo degli undici Ottomila conquistati dalla coppia Meroi-Benet, il Manaslu, raggiunto in vetta nel 2008. Poi la prova più difficile per lei: la malattia del marito che ha solo "rinviato" per ambedue il raggiungimento di nuove cime.
Erri De Luca, scrittore e anch'egli appassionato alpinista, segue da tempo le imprese di Nives Meroi e in un piccolo volumetto Sulla traccia di Nives (Mondadori, 2006)  ha dato voce a pensieri e sensazioni della grande alpinista.
Nives sul K2
 

"Aspettare, fino a dimenticarti di stare in attesa. Si passano giorni chiusi e fermi mentre il cielo si abbassa e viene a prendersi la montagna...Non mi oppongo allo scorrere dell'inerzia. Alcuni di noi la patiscono, invece a me piace far andare il tempo, le ore pigre di una carovana ferma. Si aspetta che torni il pulito, il cielo se ne salga il più in alto possibile e ci lasci il permesso" (Nives Meroi)

Il lago di Braies

Uno smeraldo incastonato tra le Dolomiti, darling questo è il lago di Braies!
Ai piedi dell'imponente roccia della Croda del Becco, che svetta con i suoi 2810 metri, e collocato nello splendido parco naturale di Fanes-Sennes e Braies, in Alta Pusteria, a 97 km da Bolzano, lo specchio d'acqua riempe i nostri occhi in tutta la gamma cromatica dei verdi!
L'origine del lago è legato ad una frana che staccatasi in tempi remoti dal Sasso del Signore (mt. 2447) ha bloccato il rio Braies creando appunto il lago omonimo. E allora percorriamolo questo suggestivo itinerario! Lo zaino è pronto!
Partendo dalla sponda orientale del lago  il sentiero si arrampica immediatamente fra ripidi sentieri e scalinate che lambiscono la parete verticale di roccia sino a giungere ai piedi della Croda del Becco e da cui poi si dipanano altri sentieri fra cui la Alta Via  n°1 delle Dolomiti chiamata "la classica" che arriva fino a Belluno ai piedi del Gruppo dello Schiara. Ma oggi non facciamo le turiste on the road,  la testa e le gambe optano per una tranquilla passeggiata e proseguiamo lungo il percorso lacustre che degrada dolcemente verso la spiaggetta.
E qui lo zaino incredibilmente si svuota! Il periplo del lago, incorniciato dalle massicce cime dolomitiche, ci riporta "pigramente" al Pragser Wildsee  storica struttura alberghiera legata alla figura di Emma Hellenstainer, pioniera del turismo alpestre ottocentesco, che ha dato smalto a questa parte di Tirolo proiettandolo in chiave europeista e decisamente "moderna". E a proposito di curiosità: nell'estate 2010, sulle sponde del lago di Braies, è stata girata la serie televisiva Un passo dal cielo incentrata sulle avventure del comandante Pietro del Corpo Forestale, interpretato da Terence Hill, serie trasmessa con grande successo da Rai 1. Ovviamente la programmazione televisiva non ha fatto che amplificare la notorietà di questo incantevole lago!

DIFFICOLTA': T
DISLIVELLO: mt. 93
ALTITUDINE: mt. 1496
LUNGHEZZA: km. 3,05

venerdì 7 settembre 2012

Grandi Donne: GIUNI RUSSO

Edizione 2009 del Festivaletteratura di Mantova. Incuriosite dalla presentazione  ufficiale del libro di Bianca Pitzorno "Giuni Russo. Da un'Estate al mare al Carmelo" e dalla presenza autorevole di Franco Battiato, ci ritroviamo all'appuntamento letterario in un Teatro Sociale stracolmo di persone. Ma sì, Giuni Russo quella dell'estate al mare...E' il 13 settembre. E' particolare la concomitanza con la data della sua dolorosa scomparsa avvenuta pochi anni prima. Di norma la presentazione di un'opera biografica procede con la solita prefazione dell'autore pronto a prenderti per mano e allora ecco Giuni Russo, nata a Palermo il 7 settembre 1951........ma questa volta no. Si abbassano le luci,si accende un'immagine e "appare" la sua Voce, potente,vibrante, immensamente emozionale, il flusso sanguigno rallenta bruscamente per catturare energia allo stato puro!

Una strada stranamente in salita quella di Giuni che dopo uno scoppientante esordio appena sedicenne, vittoria al Festival di Castrocaro, si appresterà ad affrontare una lunga gavetta di studi, di sperimentazioni e curiosità musicali ma  costellata di incomprensioni di ogni sorta.
Nel 1969 in un locale milanese l'incontro fondamentale con Maria Antonietta Sisini con cui condividerà un sodalizio artistico e profondamente umano durato tutta una vita. Nel 1975, con un nome d'arte diverso da quello degli esordi, Junie Russo, si affida ad un album interamente in inglese Love is a woman con contributi di grande spessore tra i quali il jazzman Enrico Rava. Verso la fine del decennio Junie diventa Giuni a tutti gli effetti.
Siamo al punto di svolta! Arriva l'incontro determinante con Franco Battiato, artefice Alberto Radius poliedrico musicista e paroliere (ex Formula Tre e grandi interazioni con Mogol e Battisti). Collaborazione artistica sì, ma soprattutto profonda amicizia destinata a resistere nel tempo. E' il 1981, vede la luce il 33 "Energie", un lp straordinario dove le estensioni vocali di Giuni Russo si liberano da ogni schema lasciandole vibrare a picchi vocali incredibili (la sua voce le permetteva di coprire quasi cinque ottave!) . La CGD la nota e la mette sotto contratto. E l'anno successivo arriva Un'estate al mare.

E' un successo clamoroso! La Russo viene proiettata sulla ribalta nazionale vincendo, fra i tanti riconoscimenti, il disco d'oro e rimanendo per quasi un anno ai vertici delle classifiche italiane. Per lei  dovrebbe trattarsi di una parentesi musicale "leggera" sentendosi cantante e autrice in continua sperimentazione viceversa si trova imprigionata nel clichè delle hit "balneari" tanto in voga negli anni '80. Inizia il pugno di ferro con Caterina Caselli, mente della casa discografica. L'album "Vox" (1983), testi scritti da Giuni si avvale delle firme oltre che della Sisini, di Battiato, Francesco Messina e Giusto Pio. L'album viene pubblicato nonostante l'atteggiamento di chiaro dissenso della Caselli che vorrebbe sfruttare commercialmente la grande popolarità ottenuta. Successivamente è la volta di "Mediterranea" che mette in luce un'artista in costante evoluzione, desiderosa di confrontarsi con altre atmosfere musicali. Ma il rapporto con la CGD ormai è compromesso e una Giuni profondamente delusa chiede la liberatoria ad un contratto a dir poco "capestro".
La ottiene ma si rende ben presto conto che le case discografiche che contano le hanno voltato le spalle! Nonostante tutto esce "Alghero" (1986) con un'etichetta discografica minore, ed è un nuovo successo. Poi nell'88 un repentino cambio di rotta. "A casa di Ida Rubinstein" taglia i ponti con il passato avvicinandosi ad un genere che sa fondere elegantemente lirica, pop e jazz divenendo precorritrice di un genere che diverrà importante nel decennio successivo. Gli anni Novanta empirici e profondamente spirituali, anche come scelta di vita, ampliano ancor di più i suoi interessi (si sente tanto Petrolini nello scanzonato Se fossi più simpatica sarei meno antipatica) e avvicinano Giuni agli antichi testi sacri, soprattutto le opere di Santa Teresa d'Avila e di San Giovanni della Croce da cui scaturirà la toccante La mia figura (1994).

Giuni Russo si ripropone in diverse manifestazioni televisive o in spettacoli itineranti, promuovendo il suo percorso artistico sempre più lontano dalle "canzonette". Nel 1997 il connubio fra poesia e musica, sui versi di Jorge Luis Borges, trovano un duetto d'eccezione in Giuni e nel grande Giorgio Albertazzi nello spettacolo Verba tango. Nel 1998 Giuni Russo festeggia i 30 anni di carriera pubblicando il suo primo "live" dal titolo quanto mai significativo "Voce prigioniera". Il 2002 è l'anno del suo secondo live "Signorina Romeo Live" album che si avvale fra gli altri della firma di Juri Camisasca e che sottolinea la profonda maturità raggiunta dalla cantante. Ma la grave malattia, sempre tenuta dignitosamente in sordina, si manifesta pubblicamente nella kermesse festivaliera del 2003 con l'esibizione della splendida  Morirò d'amore, quasi un testamento musicale di Giuni. Nell' autunno dello stesso anno il Teatro Zancanaro di Sacile organizza una serata d'autore con l'anteprima del film restaurato Napoli che canta girato nel lontano 1926 da Roberto Leone Roberti, padre del regista Sergio Leone, sul tema dell'emigrazione dei nostri connazionali negli Stati Uniti, film malvisto dall'allora regime fascista.
Giuni dal vivo dimostra una volta di più il grande estro vocale e la versione live, con inediti extra, di questa performance verranno alla luce in un bellissimo cofanetto l'anno successivo: fra le tante classiche canzoni napoletane proposte compare A cchiù bella, una poesia di Totò musicata da Giuni e dalla Sisini. Poi nella notte fra il 13 e il 14 settembre giunge la fine. Dopo la prematura scomparsa della "grande voce", Maria Antonietta Sisini ha voluto continuare a tutelare tutta la produzione artistica della cantante attraverso la Giuni Russo Arte.

E a Mantova quel pomeriggio di settembre la sua Voce non era più prigioniera....

lunedì 27 agosto 2012

Mariella Nava il 29 agosto a Padova

Una delle cantautrici più brave, profonde e sensibili ma ingiustamente sottovalutata del nostro panorama musicale si presenta mercoledi 29 agosto sul palco del Padova Pride Village. "Tempo mosso" è il titolo del suo nuovo lavoro che rompe il silenzio dopo cinque anni dal toccante "Dentro una rosa". E' una tappa importante per Mariella in cui emerge ancora una volta il grande talento musicale di un'artista attenta osservatrice della realtà nelle sue diverse componenti. I primi passi della Nava ci riportano al 1986 con il suo primo testo  fortemente voluto da Gianni Morandi Questi figli per il suo album "Uno su mille". E' anche l'inizio dell'ininterrotto sodalizio con Antonio Coggio, suo supervisore artistico. Si propone per due anni consecutivi alla kermesse sanremese come giovane promessa e a ridosso del festival,  targato 1988, esce il suo primo 33 giri "Per paura o per amore" che conquisterà la Targa Tenco come migliore opera prima. L'anno successivo si attira gli strali della censura con Dentro di me testo considerato scabroso per i contenuti sessuali espliciti ma trova in Maurizio Costanzo un appoggio incondizionato nella diatriba tanto da volerla spesso ospite nella sua trasmissione televisiva. Il 1991 è l'anno del toccante Spalle al muro e dell'incontro con Renato Zero, interprete ispirato del testo che lo porta a sfiorare la vittoria al Festival di Sanremo. Mariella Nava è ricercata dai suoi colleghi a cui offre testi e musiche mai banali mai scontati, Mietta, Loredana Bertè, Mango tanto per citarne alcuni. Nel '92 è ancora a Sanremo con Mendicante, di forte impegno politico, a cui segue l'omonimo album sulla cui copertina appare una vignetta satirica di Giorgio Forattini.
Poi un periodo di riflessione in cui si limita alle sole collaborazioni artistiche ma che le permette anche di creare la splendida Per amore: scritta inizialmente per la giovane proposta Flavia Astolfi ebbe in seguito eco mondiale nella versione affidata alla voce di Andrea Bocelli che la inserì nell'album "Romanza". Nel 1999 si ripresenta a Sanremo con Così è la vita giungendo al terzo posto e vincendo il premio per la miglior melodia. Nello stesso album una toccante Piano inclinato sui malati di Aids. Riconoscimenti e collaborazioni si susseguono anche negli anni successivi. Nel 2004 arriva la Gondola d'oro alla carriera e il doppio cd "Condivisioni" presenti i brani di cui è stata autrice e cantata con i loro interpreti. Una sola traccia è inedita It's Forever in duetto con la grande Dionne Warwick e divenuta inno ufficiale dei campionati mondiali di sci di Bormio.L'anno dopo, a sorpresa, partecipa al reality Music Farm programma a dire il vero controverso. Nell'estate del 2006 al Lido di Venezia ritira il premio Venice Music Awards importante riconoscimento quale miglior cantautrice, mentre in contemporanea è impegnata nelle vesti di  "cantante d'appoggio" al tour di Renato Zero in tutti gli stadi della Penisola. Nello stesso anno esce il cd con due soli inediti "L'assaggio"  che contiene Guarda giù e La strada quest'ultimo dedicato a Giovanni Paolo II,  seguito l'anno successivo da "Dentro una rosa" ultima fatica musicale della Nava prima della seconda pausa artistica. Il 21 giugno 2009 è una delle Amiche per l'Abruzzo concerto evento allo stadio San Siro di Milano.
Osservatrice attenta delle realtà circostanti da anni è portavoce della ANMIL l'organizzazione che si batte per la cultura della sicurezza sul lavoro,  proponendosi con concerti acustici nei maggiori teatri italiani tra cui Ancona, La Spezia, Tortona (c'eravamo pure noi!), Modena e Siena.Mariella Nava ora si ripresenta con 14 brani inediti, un viaggio anche crudo di amori e storie al femminile, e temi scottanti come la violenza domestica sulle donne  In nome di ogni donna si alternano a politiche sociali come La mia specialità  dedicato all'atleta paraolimpico Oscar Pistorius e agli altri che come lui hanno voluto superare l'handicap fisico e vincere. In tutto il disco emerge il grande talento di un'artista notevole capace di trovare prospettive musicali eleganti e insieme incisive per raccontare il tempo mosso dei nostri giorni ! Grande Mariella!

lunedì 20 agosto 2012

Il lago di Tovel

Il lago di Tovel è un piccolo gioiello delle Dolomiti del Brenta, celeberrimo come "il lago rosso" per via di un curioso fenomeno naturale sembra causato dall''azione di un'alga, la tovella sanguinea,che tingeva di rosso lo specchio d'acqua. Tutto questo sino a metà degli anni '60 poi il fenomeno non si è più verificato. Ovviamente alla spiegazione ufficiale sull'antico rosseggiare del lago c'è il tramandare della storia popolare:quella della regina Tresenga. Racconta la leggenda che l'ultima figlia del re di Ragoli,  sapendo che il suo matrimonio avrebbe messo il piccolo regno in mani straniere, rifiutò tutti i pretendenti al trono compreso l'arrogante e potente Lavinto,  re di Tuenno che sdegnato dal rifiuto mosse il suo esercito contro le genti della giovane regina. Nè lei nè il suo popolo vollero sottomettersi al potente vicino! Grande battaglia si svolse sulle rive del lago, coraggio e rumor di spade echeggiavano tra le cime dolomitiche immobili testimoni!
Ma il coraggio non bastò e i ragolesi, inferiori di numero, nulla poterono contro un avversario più forte preferendo fare quadrato attorno alla loro intrepida regina sino alla morte e arrossando del loro sangue le acque del lago. Si narra che ancor oggi  la bella Tresenga emerga dalle acque del lago con la sua corazza d'oro e con animo mesto la si senta piangere per la triste sorte del suo popolo. Andando oltre la bellissima leggenda, il lago di Tovel è stato generato da una gigantesca frana che nel '300 precipitò dal Monte Corno sbarrando così il percorso del torrente Tresenga e il risultato lo vivono i nostri sensi! Nel periplo lacustre un morbido percorso appena accennato da salti di roccia accompagna il nostro cammino. I boschi già profumano, il sole filtra tra le foglie, le risate rendono piacevole e leggera la passeggiata. Piccoli sentieri discendono verso le acque limpide del lago, la sosta è d'obbligo, le imponenti vette del Brenta fanno da splendida cornice!! Dagli zaini spuntano pane, salumi e formaggi trentini...

venerdì 10 agosto 2012

I suoni delle dolomiti: Al Di Meola e Peo Alfonsi a Monte Bondone (venerdì 10 agosto)

Quando le chitarre si fondono armonicamente con lo scenario delle meraviglie dolomitiche... Questo il filo conduttore della splendida esibizione alla piana delle Viote di Monte Bondone del mitico Al Di Meola, eclettico jazzman italo-americano e di Peo Alfonsi, chitarrista delle terre dei nuraghi, nell'ambito de "I suoni delle dolomiti". Popolarissimo tra i cultori della fusion music Al Di Meola è tra le stelle più luminose del firmamento chitarristico contemporaneo distinguendosi per la sua maestria tecnica. Cresciuto artisticamente con Chick Corea, si è ritagliato un posto di assoluto protagonista della sei corde e nella sua trentennale attività ha affinato la propria curiosità musicale giostrandosi in collaborazioni prestigiose, come il supertrio di chitarre con John McLaughlin e Paco De Lucia, passando dal tango di Astor Piazzolla al pop contemporaneo di Phil Collins, dal jazz più autentico alle sonorità latine di Carlos Santana, nella continua ricerca di sonorità da affidare alla sua magica chitarra. Tra i suoi contributi rimane significativo quello con Andrea Parodi,voce dei Tazenda, per il quale ha curato gli arrangiamenti di ArmentosPeo Alfonsi, diplomato col massimo dei voti al Conservatorio di Cagliari, sin dagli esordi cerca di conciliare la tecnica della cosiddetta "musica colta" con l'improvvisazione tipica del jazz che lo portano a risultati stilistici di rilievo. Nel 2006 nasce la collaborazione con Al Di Meola con cui incide il live Midsummer night in Sardinia entrando immediatamente a far parte del suo quartetto "New world sinfonia"  protagonisti prestigiosi delle più importanti rassegne jazz internazionale.

lunedì 30 luglio 2012

Alice in concerto! (domenica 29 luglio)

Alice si presenta al pubblico di Padova con il concerto "L'armonia dei canti". L’assetto strumentale essenziale (tastiera, pianoforte e chitarra) mette in risalto le doti canore di Alice che sfodera una voce potente ed espressiva, di straordinaria pulizia e precisione, sfruttando appieno la sua estensione molto ampia con predilezione per i caratteristici toni bassi e più caldi.
L’apertura è affidata a 1943, brano di Mino Di Martino che segna l’atmosfera di gran parte del concerto: meditativa, intensa e coinvolgente. Dello stesso autore le melodie che fanno rivivere due poesie di Pier Paolo Pasolini: Al Principe è un manifesto estetico mentre Recessione è un brano profetico, involontario specchio dei giorni nostri che Alice canta recitando, dilatando i versi laddove emergono nostalgia e speranza. Sempre di Mino Di Martino è l’inedito Morire d’amore, anticipazione del nuovo lavoro, un pezzo storico-mistico sulla figura di Giovanna D’Arco, che ricorda Il Carmelo di Echt di Juri Camisasca. È poesia in musica anche Anìn a grîs, su testo della poetessa Maria Grazia Di Gleria, che lega Alice alla sua terra di adozione, il Friuli.
Sono molti i frammenti del repertorio di Alice che ancora sanno rivolgersi al presente. A distanza di più di vent’anni Il sole nella pioggia, album del 1989, è ancora il vertice della carriera dell’artista nonché uno dei dischi italiani più intensi di sempre. Nella scaletta del concerto trovano spazio tre estratti: L’era del mito, Le baccanti e Tempo senza tempo, che proiettano Alice in una dimensione spirituale e mistica, sostenuta dall’andamento ipnotico dei brani. Restando a Juri Camiscasca, autore dei pezzi appena citati, è d’obbligo l’esecuzione di Nomadi, minimalista, raccolta e perfetta. 
Tre cover omaggiano altrettanti artisti legati direttamente o idealmente ad Alice: una versione rarefatta de Il cielo tributo a Lucio Dalla che vede nuovamente Alice nei panni di valorizzatrice dei tasselli meno noti del repertorio altrui, Giuni Russo, artista per molti versi speculare ad Alice, è ricordata con le note di ‘A cchiù bella e siamo ancora nel territorio della poesia in musica (il testo è tratto da versi di Totò) e infine La cura ricuce la distanza tra Alice e Franco Battiato, suo primo mentore e autore per lei di una serie di brani in bilico tra il popolare e il sofisticato. Sono di provenienza battiatiana i pezzi che maggiormente fanno presa sul pubblico: Prospettiva Nevski, Il vento caldo dell'estate e I treni di Tozeur si reggono su strutture musicali complesse e testi profondi che l’esecuzione dal vivo sfrondata dagli arrangiamenti mette ulteriormente in rilievo. Arriva Chanson egocentrique e Alice recupera il lato giocoso della sua anima pop che si sfoga definitvamente nei bis dell’immancabile Per Elisa (che pare una canzonetta ma è in realtà un vero e proprio tour de force vocale) ed infine con Messaggio, brano d’addio, in buona parte affidato al pubblico, mantiene intatta la propria carica anche privato della base ritmica.
A concerto concluso, tra applausi e ovazioni, resta la sensazione di aver colto un momento particolarmente felice della carriera dell’artista. Alice è un’interprete di primo piano, ispirata e solida, capace di una gamma espressiva molto ampia. Sa consegnare al pubblico i momenti più alti del suo repertorio creando una continuità tra il passato e il presente, tra popolarità e sperimentazione. “L’armonia dei canti” contiene e condensa le diverse anime di Alice e prelude a nuove evoluzioni.

lunedì 23 luglio 2012

La leggendaria "Charly Gaul" sul Bondone di Trento (domenica 22 luglio)


Grande scalatore lussemburghese degli anni d'oro del ciclismo, Charly Gaul è divenuto leggenda dopo la vittoria del Giro d'Italia 1956 nella celebre tappa dell'8 giugno che da Merano portava su su fino al Monte Bondone di Trento sotto una tremenda tormenta di neve, nonostante si fosse quasi a ridosso dell'estate, giungendo al traguardo in solitario con ben otto minuti di vantaggio sul secondo arrivato, Alessandro Fantini, e più di dodici su Fiorenzo Magni leader sino a quel momento del Giro. In questo modo Gaul riuscì a risalire dal 24° posto alla maglia Rosa, primato che conservò sino al traguardo finale di Milano. Nella memoria collettiva la tappa dell'angelo della montagna, soprannome di Gaul, è ricordata come la vittoria della caparbietà dell'uomo sullo scatenarsi degli elementi naturali. 
La Charly Gaul è nata di fatto nel 2005 quando il grande ciclista lussemburghese arrivò a Monte Bondone per l'intitolazione a suo nome della famosa salita di Vason. Fu tanto l'eco di questo avvenimento che un giornalista propose di rievocare quella storica impresa con un raduno internazionale di cicloamatori. Detto fatto, e l'anno successivo fu istituita La leggendaria Charly Gaul. La corsa ciclistica che ogni anno richiama più di duemila persone, professionisti ed amatori, prende il via dalla splendida piazza Duomo di Trento snodandosi lungo la Valle dei Laghi, luoghi cari ai Moser, sino ad arrivare con i suoi mille tornanti ai 1650 metri del Bondone. Al traguardo ecco arrivare un terzetto d'eccezione, Moreno Moser, Maurizio Fondriest e Gilberto Simoni, che ha percorso parte della gara con quattro atleti reduci da trapianto, portatori di un bel messaggio di tenacia e spirito sportivo. Presenti al via nella mezzofondo anche grandi campioni dello sport italiano, dal ginnasta Jury Chechi al canoista Antonio Rossi, passando dall'oro della maratona di Atene 2004 Stefano Baldini arrivati al traguardo affaticati ma soddisfatti del tracciato e della giornata in sella. Intanto RaiSport2 segue in diretta i protagonisti della Granfondo che da Candriai iniziano ad attaccare gli ultimi faticosissimi chilometri. Giunge a braccia alzate il livornese Matteo Cappè che supera di un soffio il compagno di fuga Alfonso Falzarano.
Al femminile Ilaria Rinaldi aggiunge un'altra perla al suo palmares di vittorie, e fa impallidire persino i colleghi maschi arrivando appena 30 minuti dopo Cappè e battendo la forte belga Edith Van Den Brande, a 16 secondi dalla vincitrice. Non sono mancate le curiosità in questa settima edizione della Charly Gaul. Il funambolico Simone Temperato, appassionato di bike trial, è arrivato 77° sul percorso corto ma dopo aver scalato il Bondone su una sola ruota! E poi anche la partecipazione di Andrea Satta, leader dei Tetes de Bois, la band che ha animato la vigilia della gara con uno speciale concerto, infatti il sistema audio, le luci e persino gli strumenti della band sono stati alimentati dall'energia verde degli spettatori che hanno pedalato su biciclette collegate al palco. Insomma una grande festa di sport.

venerdì 13 luglio 2012

Lo scaffale: IL SETTIMO SENSO

Kurt Diemberger si racconta.
Lui è uno dei grandi dell'Alpinismo, l'unico ancora vivente ad aver scalato due Ottomila in prima assoluta, nel 1957 il Broad Peak  con il compagno Hermann Buhl, fortissimo arrampicatore a cui si deve la cosidetta tecnica di salita in stile alpino, e nel 1960 il Dhaulagiri senza respiratori d'alta quota e senza l'ausilio degli sherpa. Uomo instancabile e curioso tratteggia con passione le emozioni che hanno guidato le sue imprese al limite dell'impossibile, con le sue grandi vittorie ma anche le immancabili tragedie.Dopo aver aver perso l'amico di sempre Buhl nella famigerata discesa dal Chogolisa del 1957, trent'anni più tardi in una spedizione sul K2 vide morire Julie Tullis compagna di vette, autrice con Kurt di alcuni dei più famosi documentari sui pilastri della Terra, il cosidetto filmteam più alto del mondo sino a quel tragico agosto 1986.
Dopo una vita vissuta tra le rocce, le dune dei più remoti deserti, nei solchi nascosti delle giungle del mondo,nel libro Diemberger rivolge a se stesso, e un pò anche a noi, la domanda al quesito di sempre, l'imput che porta a scelta di vita fra ragione e irrazionalità (appunto il settimo senso).


Kurt Diemberger
IL SETTIMO SENSO
Editore: Alpine Studio, 2012
Pagine: 340


venerdì 6 luglio 2012

Ecco le marmotte...

"Non cercate nel monte un'impalcatura per arrampicare, cercate la sua anima" (Julius Kugy)

Primo Maggio 2010, il percorso breve è solo pretesto per nuovi orizzonti siglati da un invisibile filo conduttore che ci prende per mano accompagnandoci in spazi vitali immemori, fra pieghe di roccia accarezzate da spruzzi nevosi ancora docilmente sottomessi in attesa della prossima esplosione floreale e silenzi che chiedono rispetto nonostante le nostre risate.
Quella che si apre ai nostri occhi è la visione di una mappa in continuo mutamento che non conosce calcoli né coordinate, solo corpo e mente riescono a divincolarsi dai rigidi legacci della vita quotidiana.
Quando emergi da un sentiero ti trovi proiettata oltre il personale rapporto con la fatica, protesa nella ricerca di un equilibrio sensoriale dove l'energia si fonde pienamente con l'armonia nella manifestazione di ogni forma di bellezza.

Montagna e arte
Montagna e cultura
Montagna e buona tavola
Montagna e musica

Dall'emozione scaturisce l'immaginazione e da essa si libera la fantasia: queste sono e saranno le pagine dei nostri prossimi viaggi.