sabato 23 dicembre 2017

La Christmas Run a Verona! (17 dicembre)


Verona colorata di rosso. Ecco come si è presentata la città scaligera domenica 17 dicembre in una giornata decisamente fredda ma piena di sole, tutto merito dell'edizione numero otto della Christmas Run che, con i tantissimi iscritti "dell'ultima ora" affollatesi intorno al gazebo allestito in piazza Bra, hanno fatto impennare il numero dei babbi natale presenti che stime ufficiali portano a quota 7500 partecipanti. Un modo originale per scambiarsi gli auguri e nello stesso tempo dare una mano alla solidarietà, infatti anche quest'anno il ricavato andrà a "Progetto Scuole".
Non di meno è stato il nostro gruppo pronto a cimentarsi sulle due distanze dei cinque e dieci chilometri, procedendo in maniera sparsa e variopinta tra sfreccianti abeti natalizi, gli amici a quattro zampe rigorosamente in mantellina rossa, persino un'intera slitta con tanto di babbo natale e renne il tutto ovviamente in linea con l'atmosfera giocosa di questi giorni. Verona, riflessa sul placido Adige, ha mostrato la sua profonda anima storica e l'ottima vena gastronomica risultante di una bellissima giornata di festa. Prendendo in prestito le parole di una nostra marmotta, con "tanto entusiasmo".

martedì 5 dicembre 2017

Dentro Caravaggio, a Milano la mostra con 20 opere dell'artista per la prima volta tutte insieme! (Domenica 3 dicembre)

Milano torna ad omaggiare il genio Caravaggio, all'anagrafe Michelangelo Merisi, con venti capolavori del grande artista lombardo riuniti per la prima volta tutti insieme. Una mostra annunciata come memorabile e successiva a quella del lontano 1951 allestita dal grande storico dell'arte Roberto Longhi che riportò genio e sregolatezza di un grande artista alla sua giusta fama dopo un lungo periodo di oblio. Memorabile perchè presenta opere celeberrime provenienti dai maggiori musei italiani e stranieri supportate da apparati multimediali che, attraverso l'utilizzo della riflettografia infrarossa, portano a conoscenza i diversi sviluppi o ripensamenti che il Caravaggio pose alle sue opere sino alla realizzazione finale. Infatti dietro ad ogni sua tela c'è uno schermo che racconta le diverse indagini sulla sua esecuzione a cui si aggiunge il prezioso ausilio dell'audioguida, in un linguaggio didatticamente semplice, che conduce lo spettatore lungo il percorso espositivo. Centellinato sapientemente il flusso dei visitatori nelle belle sale di Palazzo Reale ogni quadro è una visione per gli occhi e per il cuore, l'allestimento sobrio e una giusta luce si accompagnano ad una serie di panchette discrete e comode per "colloquiare" visivamente con il capolavoro, insomma una mostra per cui vale la pena mettersi in coda. Autore di un profondo rinnovamento della tecnica pittorica caratterizzata dal naturalismo altamente drammatico dei suoi soggetti, Caravaggio rappresenta l'allontanamento definitivo dalle iconografie rinascimentali verso una rappresentazione più "umana" anche nelle rappresentazioni sacre. 
"Il cambiamento cruciale nella sua tecnica avviene nel 1600 quando Caravaggio viene chiamato a dipingere la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi: primo incarico pubblico e su tele di grandi dimensioni. Gli viene dato un solo anno di tempo per completare l’opera e un compenso all’epoca straordinario: 400 scudi. Abituato a dipingere “tre teste” al giorno per appena un grosso l’una, come ci dicono le fonti documentarie, si può comprendere come questa commessa rappresenti una svolta fondamentale per la carriera e la vita dell’artista. Nelle tele la preparazione è scura, sempre in doppio strato, composta da terre di diverso tipo, pigmenti e olio. In sostanza, Caravaggio parte dalla preparazione scura e aggiunge soltanto i chiari e i mezzi toni, dipingendo solo le parti in luce. Di fatto non dipinge le figure nella loro interezza, ma solo una parte. In tutto il resto del quadro non c'è nulla: il fondo scuro e le parti in ombra sono resi solo con la preparazione, non c'è pittura." ( Rossella Vodret) 
Una vita movimentata come poche quella del Caravaggio nato a Milano il 29 settembre 1571, vissuta intensamente e senza sosta. Ottenne gloria ed onori, si guadagnò l'affetto e la protezione dei potenti e dovunque andasse la fama lo precedeva. Ma affondò spesso per il suo carattere irascibile e rissoso. Conobbe la fuga, la paura, il disonore, il disprezzo. cercò la rissa, la violenza e lo scontro. E la morte lo raggiunse a soli 39 anni, solo e delirante sulla spiaggia di Porto Ercole, in fuga da una condanna a morte, il 19 luglio 1610.

lunedì 20 novembre 2017

Cena e premiazione concorso fotografico "La montagna tra Sacro e Profano": bellissima serata! (sabato 18 novembre)

Sacro e profano, spirito e materia. Il tema è nato con l'uomo e gli artisti sin dall'antichità non hanno mai smesso di raffigurarlo attraverso la rappresentazione pittorica e scultorea, ma oggi con la fotografia ci si trova a fare i conti con la contemporaneità che porta a diversi linguaggi espressivi, spesso in chiave dissacrante, dove tutte le interpretazioni sono possibili. E non sempre tutte accettate. Provocatoria quanto le due tematiche vanno ad interagire con l'ambiente circostante, in questo caso la montagna, dove profonde sono le tracce spirituali ma dove la sacralità sa assumere contorni profani elevando montagne e boschi a luoghi dal carattere fortemente simbolico. Su questi presupposti non era affatto semplice interpretare fotograficamente due concetti diametralmente opposti, magari col rischio di cadere nella retorica limitandosi alla più semplicistica rivisitazione delle mille chiese che da sempre sottolineano la profonda spiritualità del paesaggio montano. Un tema complesso dunque ma che è stato efficacemente interpretato, chi con la tecnica, chi con senso visionario, chi affidandosi al proprio gusto estetico, dalle belle opere presentate al concorso "La montagna tra Sacro e Profano" che ha avuto il suo culmine sabato 18 novembre, ospiti del ristorante "La margherita" a Montichiari. La foto vincitrice è risultata "Passa all'ala" a firma Tamara Balestri, opera volutamente provocatoria già nel titolo, alla seconda posizione una sacralità metaforica quella di Lidia Bianco con "Sguardi sacri dal cielo" e un bel terzo posto per Rosalba Gargiulo e il suo "Paradiso", poi via via tutte le altre realizzazioni fotografiche...Complimenti a tutte!

martedì 7 novembre 2017

Marmotte nuovamente a Roma (3-5 novembre)

"Che strano e irreale mondo diventa Roma nei suoi rioni di medioevo, quando quel ciclo di favole, sciogliendosi in una continua pioggia, sembra trasfondersi nelle vecchie mura e animarle del suo più intenso potenziale di sogno!...E' sotto l'impulso di quei cieli opachi e vibranti come alte maree di suono, che Roma m'ha rivelato nel sonno delle pietre l'anima sua più segreta. Sentii che quel cielo viveva, vibrava come una grande conchiglia, tutto venato di musiche. Una città di suoni era riflessa nella nuvola, un'altra Roma era capovolta nell'aria come castelli  e foreste in fondo ad uno specchio di lago...A veder bene, queste rovine rosse non sono altro che banchi di corallo in fondo al mare cilestro dell'atmosfera, alle ondate schiumanti delle nuvole. Atolli, isolotti nell'oceano del tempo".
Così il poeta romano Giorgio Vigolo in "La città dell'anima" descriveva quasi cento anni fa una Roma uggiosa, le nostre stesse sensazioni nello scendere dal treno. Sotto leggerissime mantelline, che hanno fatto la fortuna di un venditore dalle parti di Castel Sant'Angelo, girovaghiamo per le storiche vie capitoline incuranti della pioggerella. E' un approccio breve a monumenti celeberrimi quando confuse tra artisti di strada e variopinti ombrelli ci affacciamo su Piazza Navona, simbolo della Roma barocca, e al cospetto della  fontana dei Quattro Fiumi (il Danubio, il Gange, il Nilo e il Rio della Plata ovvero i quattro angoli della Terra) opera sublime di Gian Lorenzo Bernini. Le viuzze di sanpietrino rese lucide dalla pioggia inghiottono i nostri passi mentre raggiungiamo il Pantheon e successivamente la Chiesa di Santa Maria Maddalena, uno dei più bei esempi di rococò a Roma. Un quadro d'insieme quasi surreale tra le mille botteghe di Via delle Coppelle, dove incrociamo anche Renato Zero, poi in rapida successione il Montecitorio e Palazzo Chigi, poli di burrascosa politica ma incorniciati dalla bellissima piazza Colonna dove svetta possente la Colonna di Marco Aurelio mentre sull'altro lato nel bel liberty di Galleria Alberto Sordi, intitolata al grande attore, siamo in attesa di un caffè prima di immergerci nel bagno di folla della meravigliosa Fontana di Trevi. Roma è incredibile. Si incontrano dappertutto tracce di una magnificenza e insieme di uno sfacelo che rendono unica questa città millenaria...
Nel frattempo ha smesso di piovigginare, seguiamo Via del Tritone e poi per via dei Due Macelli dove c'è lo storico Salone Margherita, cafè chantant d'altri tempi e regno per tanti anni della compagnia del Bagaglino, poi uno sguardo alla stupenda Basilica di Sant'Andrea delle Fratte a cui mise mano il Borromini, per raggiungere infine Piazza di Spagna e la sua famosissima scalinata a Trinità dei Monti. E ora su Roma scende la sera e le sue mille luci si riflettono in residui di pioggia tra auree di immota magnificenza. Ma è anche tempo di apprezzare i sapori romani e oltrepassata la colonna dell'Immacolata in piazza Mignanelli, via di corsa sul Lungotevere, un breve saluto alla Basilica di San Pietro mentre sprintiamo verso "Il ciociaro" trattoria di quelle buone dove si tira serata tra un bucatino e una cacio e pepe! Il giorno dopo è dedicato ai Musei Vaticani. Ci vorrebbe un capitolo a parte per descrivere le meraviglie che i musei del papa racchiudono nei loro sette chilometri di percorso espositivo, tra storia e bellezza, opulenza e grandiosità, uno scrigno di tesori dove pittura e scultura si elevano ad eccellenza e in un arco temporale che dall'antico Egitto fila verso l'arte contemporanea. E poi la Cappella Sistina, affrescata da Michelangelo e sulla cui volta troneggia la celeberrima Creazione di Adamo, tra le opere d'arte più celebrate del mondo. Nel silenzio quasi assoluto nonostante la cappella sia piena all'inverosimile, la visione si perde tra plastiche figure e profonda spiritualità.
Le ore scorrono veloci e dopo un breve spuntino, saltiamo sulla metropolitana dirette al Colosseo dove tra carrozze a cavalli, finti gladiatori e venditori di collanine, ammiriamo l'Arco di Costantino e i Fori Imperiali, già avvolti da ombre notturne, raggiungendo il Campidoglio, uno dei sette colli su cui venne fondata Roma. La statua equestre di Marco Aurelio trionfa in tutta la sua bellezza nel centro della piazza, anche se è solo una copia (l'originale è all'interno dei Musei Capitolini), alle sue spalle il Palazzo Senatorio con l'ampia vasca sormontata da un gruppo scultoreo con Minerva al centro e le colossali statue raffiguranti il fiume Nilo a sinistra dell'osservatore e il fiume Tevere a destra. Da qui scendiamo la scalea (o cordonata) che collega il Campidoglio con la sottostante piazza Aracoeli, resa leggendaria dall'episodio delle oche capitoline (390 a.C.) che nonostante fossero chiuse nel recinto sacro del tempio di Giunone con il loro starnazzare sventarono il tentativo di assalto notturno dei Galli.
In ricordo venne eretto il tempio di Giunone Moneta sui cui resti, in epoca medievale, fu costruita la Basilica di Santa Maria in Aracoeli a cui si accede da una ripidissima scalinata. Ripreso un pò  di fiato proseguiamo per l'Altare della Patria e poi in direzione del Vaticano dove abbiamo appuntamento con la cucina di "Da Checco 65" a detta degli stessi romani fra le dieci migliori trattorie della città. E in effetti è un'esaltazione di odori e sapori. Il nostro terzo e ultimo giorno di Roma si perde tra chiacchiere e ultimissimi giri prima di risalire sul treno. Ciao Roma!

lunedì 30 ottobre 2017

Le trincee del Monte Nagià-Grom (29 ottobre)

La visita al campo trincerato del Monte Nagia'-Grom ci porta in Val di Gresta, per antonomasia l'orto biologico del Trentino, l'occasione per apprezzare la dolcezza di questa vallata su cui si ergono solitari i ruderi del castello di Gresta. Nel settembre 1914 lo stato maggiore austro-ungarico incarico' il generale Franz Rohr di costruire una linea di difesa, la Tiroler Widerstandslinie, lungo l'intero confine del Tirolo meridionale contro eventuali conflitti con il Regno d'Italia. Per accorciare la linea del fronte e risparmiare truppe e armamenti in quel settore, l'esercito austro-ungarico abbandonò la linea tra lo Zugna e il Baldo e si ritirò sino alla fascia di territorio compresa tra la Val di Gresta e Rovereto. Sul Nagià-Grom venne scavata una trincea perimetrale che garantiva la difesa a 360 gradi. Furono realizzate postazioni d'artiglieria in caverna e in barbetta, cioè all'aperto, osservatori e una piazzola per un riflettore. L'area fu dotata di caverne per il ricovero dei soldati, baracche, magazzini, una cisterna per l'acqua e una cucina da campo. Le diverse postazioni erano collegate da camminamenti che garantivano lo spostamento dei soldati al riparo dal tiro nemico. La linea difensiva rimase operativa sino al 1916 quando venne spostata la linea del fronte.
Come per altre fortificazioni militari, anche queste trincee vennero abbandonate all'incuria del tempo e solo l'attento lavoro di recupero e pulizia da parte del gruppo alpini di Mori ha permesso il ripristino di questo sito storico. Il giro delle trincee ha come base di partenza Manzano ma noi preferiamo partire da un po' più in alto, da Pannone così da apprezzare il cammino tra boschi rosseggianti e letti di foglie restituite alla terra. Dalle fitte fronde boschive si esce alla fine sul sottostante Marzano, tra orti curatissimi e brevi terrazzamenti, e tramite una comoda forestale raggiungiamo la chiesetta dove troviamo le indicazioni per le trincee. Il breve sentiero ci conduce a località Busa delle anime dove si incontrano i primi manufatti militari. Tra avamposti di vedetta e brevi camminamenti il luogo sembra sussurrare le voci rabbiose delle artiglierie con cui si tenevano sotto controllo le linee italiane sulle pendici del Monte Baldo, le stesse piazzole che oggi ci permettono di vedere le cime del Baldo, i  Lessini, il Pasubio, le Piccole Dolomiti che corrono sino al lago di Garda. Saliamo dolcemente verso la cima del Nagià-Grom. Oltre alla presenza di diversi crateri da bombardamento, una croce di ferro domina il paese di Marzano a ricordo dei caduti dei due eserciti. Completato il percorso dell'intero caposaldo si ritorna verso la base di partenza attraverso la vecchia strada che collegava Manzano a Valle San Felice. Un paio di birre, un the caldo e un giro storicamente interessante. (fonte www.trentinograndeguerra.it)



PARTENZA: Pannone (mt 771)
SEGNAVIA: trincee
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 200
LUNGHEZZA: km 5



sabato 28 ottobre 2017

Due marmotte per l'Appennino tosco-emiliano (21-22 ottobre)

Il Castello di Formigine
Le sommità dolci e arrotondate dell'Appennino, là dove l'Emilia va ad abbracciare il suolo toscano, rappresentano il tratto poetico del nostro viaggio, appassionano la vista e mettono in moto il pensiero. E se le temperature di sabato 21 ottobre sono un azzardo ai nostri progetti la situazione non ci spaventa, ci completa un percorso di spunti e occasioni, magari di quelli nascosti tra piccole contrade, asserragliati in boschi lontani, trattenuti da rocce possenti ma meravigliosamente carichi di storia. Goito (MN) si veste di giallo con la sua Fiera del grana padano e tra sapori e odori della più autentica mantovanità riprendiamo il cammino mentre il sole ritorna a farsi bello. L'assetto territoriale della pianura emiliana è di fatto una netta concatenazione di fiumi, strade e canali che si alternano a borgate storiche, imponenti fortificazioni e luoghi di preghiera in un susseguirsi di paesaggi rurali, elementi cardine dell'agricoltura che caratterizza anche oggi il territorio emiliano con il grande Po a nord e l'Appennino a sud. Dilatiamo il tempo mentre il panorama circostante si svela nella sua bellezza arrivando sul suolo modenese e laddove nel decimo secolo preesisteva una piccola pieve ora trionfa il Castello di Formigine. Fortificato a difesa dei confini con i vicini reggiani, nel '400 con l'arrivo della casata dei Pio, signori di Carpi, la fortezza assunse l'impianto attuale trasformandosi in residenza signorile. Attraversato il ponte entriamo nel grande parco interno dove il bel palazzo marchionale e le antiche torri fanno da scenografico fondale.
E infatti ci ritroviamo nel bel mezzo di un matrimonio. Poca è la strada prima di alzarci al Santuario della Beata Vergine a Fiorano Modenese, straordinario esempio di architettura barocca e meta di pellegrinaggio. Castel Spezzano ci appare poco dopo arrampicandoci su una bella scalinata che taglia il piccolo bosco. Con il suo mastio, le torri e la cinta muraria la bella rocca svolse sino al XV secolo il suo compito difensivo sotto la casata dei Pio poi, dopo alterne vicende storiche, il castello venne ristrutturato nell'Ottocento dai marchesi Coccapani ed è oggi sede del Museo della Ceramica nelle cui ampie sale sono raccolti reperti originali, ricostruzioni di fornaci e manufatti ceramici che dal Neolitico raccontano l'evoluzione di questo malleabile materiale.
La Sala delle Vedute
Una guida ci accompagna lungo le ali del maniero che ha fra le meraviglie la Sala delle Vedute, la più grande del castello, così chiamata per gli importanti affreschi eseguiti da Cesare Baglione tra il 1595 e il 1596 che rappresentavano appunto i paesaggi delle località dei dintorni. Una delle prigioni poste nella torre pentagonale è stata invece adibita ad acetaia comunale per la produzione dell'Aceto Balsamico Tradizionale, uno dei prodotti d'eccellenza di questa regione. Si è fatto tardi quando ci arrampichiamo ai 1200 metri di Lizzano in Belvedere (BO) tra paesaggi ormai inghiottiti dalla sera per raggiungere il Piccolo Hotel della signora Rita per il nostro pernottamento. La domenica del 22 ottobre ha tratti grigi e piovosi in marcia verso la Toscana e mentre sotto una pioggia battente stiamo attraversando Poggiolino delle Piastre, minuscolo paese pistoiese a 800 metri di altezza sull'antica via Ximenes, una curiosa fontana ci "obbliga" a fermarci. Erano gli anni Trenta e la ditta Campari decise di farsi pubblicità scolpendo il suo marchio su pietra sponsorizzando delle fontane. Linea massiccia in travertino, le grandi teste sulla specchiatura in cemento e colonnine romane ai lati, furono scolpite nel numero di dodici esemplari dall'artista fiorentino Giuseppe Gronchi e questa è una delle due rimaste (l'altra si trova a Chiusi della Verna).
Il Ponte del Diavolo
Scendiamo dai versanti appenninici e sulla piana si apre Pistoia, vasta e luminosa, e poi via verso la meravigliosa Garfagnana. All'altezza di Borgo a Mozzano (Lucca) un cartello accende la nostra curiosità: davanti a noi appare in tutta la sua bellezza il Ponte del Diavolo! Una costruzione affascinante e misteriosa al tempo stesso data dalla sua struttura asimmetrica a "schiena d'asino". Questa incredibile opera ingegneristica medievale è formata da 3 arcate di diverse dimensioni di cui la più alta e appuntita non si trova al centro ma in ultima posizione. Il punto più alto è a venti metri dalla superficie dell'acqua e per arrivarci la salita è ripidissima e sembra quasi impossibile che sia riuscita a resistere sino ad oggi alle piene del fiume Serchio. La storia tramanda che sia stata la potente Matilde di Canossa ad ordinarne la costruzione intorno all'anno Mille in modo da consentire il passaggio a viandanti e pellegrini diretti alla via Franchigena. Come molte altre imprese che in quei tempi remoti apparivano impossibili, la leggenda popolare ne attribuisce la costruzione ovviamente al diavolo...Ora stiamo entrando nel cuore della Garfagnana. Non ci si arriva per caso, non è sbagliando strada che si approda a questa terra verdissima, attraversata dal fiume Serchio e racchiusa come in uno scrigno tra l'Appennino a nord est e le Alpi Apuane ad ovest. Così come non è un caso andare a scoprire l'antico borgo di Isola Santa. Si tratta di un piccolo paese a 550 metri s.l.m. di cui si hanno notizie documentate soltanto nel Tredicesimo secolo quando, attraverso il suo Hospitale di San Jacopo, vi passava la via Clodia secunda che univa la Garfagnana alla costa tirrenica.
Isola Santa
Il borgo si affaccia su un laghetto artificiale costituito dalle acque del torrente Turrite Secca fermato da una diga alla fine degli anni Quaranta il cui innalzamento delle acque ha comportato via via l'abbandono dei suoi abitanti. E in effetti quando si arriva la sensazione è surreale, complice un cielo bigio che va a coprire le poche case, la chiesa cinquecentesca di San Jacopo ora sconsacrata e l'attiguo campanile costruito nel 1899, regalando all'insieme una aurea di mistero. Si scende da un viottolo nel più assoluto silenzio, poi improvvise delle voci rompono quest'aria sospesa nel tempo. Ci sono ospiti a pranzo nella Casa del Pescatore, un ristorantino che si affaccia sulle acque smeraldine del lago circondato da un bellissimo bosco di castagni che segue il limitare dello specchio d'acqua, offrendo anche delle belle postazioni per gli amanti della pesca qui ampiamente praticata. Nel frattempo pioggia e sole si alternano tra splendidi paesaggi, selve rosseggianti, brevi tornanti e mentre risaliamo l'appennino in direzione del Passo delle Radici che ci riporterà in Emilia, appare in tutta la sua bellezza la Rocca di Castiglione Garfagnana. Questo paese fortificato e austero sin dal 1371 è rimasto legato a Lucca senza mai sottomettersi ai potenti Estensi.
La Chiesa di san Michele
Sono del XV secolo le mura con i maestosi torrioni che circondano il centro abitato, noi camminiamo fra le raccolte viuzze ammirando la splendida chiesa quattrocentesca di San Michele (purtroppo chiusa) per poi salire sul Baluardo della Torricella dove Alpi e Appennini si rincorrono meravigliosamente. Riprendendo la strada si rimane colpite da un minuscolo paese arroccato sull'opposto versante a cui ci troviamo. E' l'incantevole borgo di Sassorosso che deve il suo nome al luogo in cui sorge. Il paese si eleva su uno sperone roccioso di marmo rosso che trasmette al borgo questa caratteristica tonalità e persino le poche case che lo compongono sono state realizzate con lo stesso materiale. Ancora una decina di chilometri e raggiungiamo il Passo delle Radici a quota 1529 metri che segna il passaggio dalla provincia di Lucca a quella modenese. Il viaggio di ritorno adesso è un contraddittorio di appunti, di pensieri e di sensazioni a cui dare un seguito emozionale...

martedì 17 ottobre 2017

Dalla Sacra di San Michele al Castello di Rivoli (29-30 settembre-1° ottobre)

Un breve viaggio in terra piemontese là dove la pianura lascia il passo alla vallata alpina, offre lo spunto per andare a visitare alcune perle di questo splendido angolo di Piemonte. Definito come base un piccolo ma storico bed&breakfast a Giaveno (TO), l'ottocentesco Palazzo Colombino, e costantemente minacciate da un cielo plumbeo, oggi - venerdì 29 settembre - appuntamento con la splendida Sacra di San Michele, arroccata sul monte Pirchiriano a 962 metri e all'imbocco con la val Susa. L'antico sentiero 502 parte dal piazzale antistante la settecentesca chiesa di San Giovanni Vincenzo di Sant'Ambrogio di Torino e, attraverso il bosco, raggiunge in ripida salita l'entrata del meraviglioso complesso architettonico. Notizie del suo insediamento sono presenti già in epoca romana, il castrum, che fu successivamente utilizzato dai Longobardi a difesa dalle invasioni dei vicini Franchi ma l'inizio della costruzione vera e propria è ascrivibile intorno al 983-987 e collegata alla scelta di vita eremitica di San Giovanni Vincenzo, arcivescovo di Ravenna e ad una visione l'Arcangelo Michele, principe degli angeli fedeli a Dio, gli ordinava di erigere un santuario. Dopo l'anno Mille fondamentale fu l'intervento del conte francese Hugon di Montboissier a fronte di un'indulgenza richiesta a Papa Silvestro II, dando così impulso alla costruzione della Sacra di San Michele, un culto quello micaelico fortemente sentito nell'Alto Medioevo, poi successivamente affidata ai monaci benedettini. Da allora l'abbazia ha attraversato mille anni di storia tra splendori e decadenze fino al suo inesorabile abbandono. Solo nel 1836 Carlo Alberto di Savoia, desideroso di far risorgere il prestigio della Chiesa piemontese, offre ad Antonio Rosmini l'amministrazione del monastero riproponendolo come centro della spiritualità.
Sul lato settentrionale, isolata dal resto del complesso, svetta diroccata la Torre della bell'Alda su cui circola una leggenda. Si dice che una fanciulla volendo sfuggire alla cattura di alcuni soldati di ventura si ritrovò sulla sommità della torre. Disperata preferì saltare nel precipizio sottostante piuttosto che farsi prendere. Le vennero in soccorso gli angeli e miracolosamente rimase illesa. Però l'invase la superbia e per dimostrare ai suoi compaesani quanto fosse successo, tentò nuovamente il volo dalla torre ma rimanendo questa volta sfracellata sulle rocce. Le scale, le terrazze, gli androni sono suggestivi e ben si comprende il fascino esercitato anche sullo scrittore Umberto Eco che si inspirò a questo luogo per le ambientazioni del suo famosissimo libro "Il nome della Rosa" e le stesse suggestioni che portarono nel 1985 alla realizzazione in loco dell'omonimo film con Sean Connery, idea poi scartata per gli alti costi produttivi. Ogni angolo della Sacra è una sorpresa architettonica come lo Scalone dei Morti, intagliato nella roccia e che sale ripido fino al portale dell'abbazia. A questa è collegata anche la cosiddetta linea magica di San Michele, ovvero una linea energetica che unisce i tre importanti complessi dedicati all'arcangelo: il Mont-Saint-Michel in Normandia e Monte Sant'Angelo in Puglia. Secondo gli esperti di magia bianca il punto energetico sarebbe situato su una piccola piastrella del pavimento in sasso che è di colore più chiaro, alla sinistra dell'entrata. Uscendo sulla terrazza solo la nebbia ci impedisce di vedere lo splendido panorama delle montagne circostanti. Lasciamo il monastero e direzione Sant'Ambrogio puntiamo al birrificio San Michele, regno della birra artigianale abbinata a sapori forti e sapienti al tempo stesso.
Il giorno successivo - sabato 30 settembre - ci spostiamo verso la Val Chisone,  con la visita guidata al Forte di Fenestrelle ma già che siamo in anticipo aggiungiamo qualche chilometro, direzione Sestriere, fermandoci ad Usseaux. Minuscolo centro piemontese, meno di duecento anime, importanti radici montane, Usseaux è un bellissimo borgo pittoresco di questa vallata. Intorno le Alpi Cozie delimitano splendidamente con le loro cime possenti i cinque villaggi che fanno capo a questo centro e dove si parla ancora il patois antica lingua occitana provenzale simile alla lingua d'Oc usata in passato nella Francia meridionale. L'insieme è un tipico esempio di comunità contadina di alta montagna: case di legno e pietra, strette l'une accanto alle altre, alternate a vecchi mulini, antichi forni, silenziosi lavatoi risalenti al '700 dove il tempo sembra essersi fermato. Camminiamo tra viottoli silenziosi e ogni muro è un incontro con meravigliosi murales: scene di vita quotidiana, paesaggi, animali selvatici, tratteggi pittorici che regalano allegria e solarità anche in una giornata dai toni nebbiosi da cui emerge il bel campanile della chiesa dedicata a San Pietro. Intorno un reticolo infinito di sentieri escursionistici.
Ritorniamo preparandoci alla scoperta del Forte di Fenestrelle, in realtà un insieme ininterrotto di strutture fortificate che si sviluppa per oltre 3 chilometri su un dislivello di ben 635 metri e che a buona ragione viene definito la grande muraglia piemontese. L'impatto è qualcosa di fortemente emozionale. Progettato nel diciottesimo secolo con funzioni difensive, ci vollero ben 122 anni prima di essere completato con la sua rete di forti, ridotte e scale, funzioni difensive si è detto ma a parte una breve scaramuccia durante il secondo conflitto mondiale il forte non fu mai coinvolto in azioni di guerra ma viceversa utilizzato come prigione militare. Oltrepassando la Porta Reale entriamo all'interno del Forte San Carlo, ovvero il complesso più importante e meglio conservato dell'intera fortificazione, dove si aprono il Palazzo del Governatore, il Padiglione degli Ufficiali in cui è anche allestita una interessante mostra di cimeli d'epoca del III reggimento degli alpini, e la sconsacrata Chiesa dalla bella facciata barocca, oggi diventata sede di mostre ed eventi culturali. La storia di questa fortezza ebbe inizio nel 1690 quando Luigi XIV di Francia, il Re Sole, a protezione dei suoi confini dal ducato di Savoia, allora su fronti opposti nella guerra di successione spagnola, ordinò al proprio generale Nicolas de Catinat la costruzione nel fondovalle di un grande forte (il sottostante Fort Mutin). Dopo un assedio di 15 giorni il baluardo difensivo cadde in mani sabaude e Vittorio Amedeo II diede incarico all'ingegner Ignazio Bertola di costruire intorno al forte preesistente un'insieme di fortificazioni.
Il collegamento tra le varie componenti del complesso, oltre che dalla strada salendo da Fenestrelle raggiunge Forte delle Valli, la Strada dei Cannoni, era garantito dalla Scala Coperta, quasi quattromila scalini (esattamente 3996) che risale tutto il fianco sinistro della valle per circa due chilometri di lunghezza ed è una vera "spaccagambe" perchè i gradini scavati nella roccia erano stati progettati per il passaggio dei muli ed hanno alzate che tolgono davvero il fiato! La nostra visita è affidata a Claudio, uno dei tanti volontari, ed è grazie a loro se è stato possibile il recupero di questo importante manufatto storico. Preparatissimo e mai prolisso, tra mille scalini e arrampicate sui sentieri, ha duettato con la Storia accompagnandoci sino alla Garitta del Diavolo, dal nome inquietante dovuta alle tante leggende che circondano questo luogo, una torretta tozza e bassa che dalla sua posizione sull'impervio roccione a monte del Forte Tre Denti  fungeva da efficace osservatorio sul paesaggio sottostante, ahimè oggi totalmente occultato dalla nebbia. Intanto cala la sera e per rendere onore alle buone tradizioni piemontesi affiniamo il nostro palato con i piatti tipici dell'antica osteria "I tre scalin" a Castel Del Bosco.
Domenica 1 ottobresulla via del ritorno ci fermiamo al Castello di Rivoli sulle cui fondamenta, risalenti al IX secolo, il duca Emanuele Filiberto I di Savoia dopo il trattato di Cateau-Cambrésis del 1559 che sanciva la fine della guerra tra la Francia e la Spagna, ha iniziato la costruzione del castello per obblighi dinastici. Il progetto terminò intorno al 1644 anche con la realizzazione della cosiddetta Manica Lunga, un edificio più basso e distaccato dal castello, connesso da un passaggio pedonale molto stretto e lungo ben 120 metri e abilitato a luogo di rappresentanza, con le scuderie e gli alloggi per la servitù. Dopo varie vicissitudini storiche il castello venne lasciato in uno stato di completo abbandono e solo nel 1984, dopo un importante recupero, viene trasformato nel Museo d'Arte Contemporanea con la prima mostra Ouverture dando così nuovo impulso a questa residenza storica. Purtroppo non sono più presenti gli arredi del tempo, oggetto di saccheggio e distruzione, e nelle grandi sale stazionano le opere contemporanee in felice connubio con bellissimi affreschi. L'arte contemporanea non è di così facile comprensione, lo sappiamo benissimo, e anche la nostra marmotta Michela non è stata di meno: l'opera di Giovanni Anselmo, Respiro, è parsa più che altro una trave poggiata per terra...su cui inciampare con grave disappunto delle addette alla sorveglianza presenti! Un "incidente" di questa portata strappa più di una risata mentre salutiamo il Piemonte...

martedì 26 settembre 2017

La Forra del Lupo (domenica 24 settembre)

La Forra del Lupo (in tedesco Wolfsschlucht) è uno straordinario percorso costituito da una lunga linea di trincea austro-ungarica, costruito nel 1915 per bloccare l'avanzata italiana verso l'altopiano di Folgaria ed è un esempio illuminante di ingegneria militare nell'avvicendamento di gallerie, grotte, appostamenti, scale scavate nella roccia e passaggi a strapiombo sulla Valle del Terragnolo. Rimase operativa sino al 1916 ovvero quando il fronte si spostò verso il Pasubio e il passo della Borcola per poi essere lasciata in totale abbandono sino al suo appassionato recupero nel 2015 e inserito all'interno del "Parco della memoria del Trentino".
Già disperavamo di poterlo percorrere dopo il temporale notturno e l'incertissimo meteo ma visto che il sole sembra volerci onorare della sua presenza, andiamo a raggiungere Serrada, frazione di Folgaria, meta turistica ma anche famosa per aver ospitato il pittore futurista Fortunato Depero e numerose tracce della sua poetica artistica sono disseminate tra le antiche corti. Il percorso Sat 137 parte dal grande parcheggio del ristorante Cogola e dopo una breve rampa sull'asfalto s'inerpica sul pianoro tra continui sali e scendi, attraversa un bel bosco di faggi dai profumi intensi dopo il piovasco notturno e da qui si va a percorrere la trincea vera e propria che si butta sulla sottostante vallata. Lungo il tracciato si incontrano pannelli con le foto di Ludwig Fasser, ufficiale austriaco di Innsbruck e testimone diretto della linea di difesa, fotografie che sono preziose testimonianze di come questi stessi luoghi apparissero cent'anni fa. Raggiungiamo l'inizio della forra del lupo tra alte pareti di roccia, in una piccola grotta troviamo anche il "diario di vetta" dove lasciamo scritte le nostre emozioni. Poi il bosco avvolto dal muschio si riprende i nostri passi tra gradini scolpiti nella roccia e sentore di funghi, e in questo clima quasi magico raggiungiamo località Caserme a 1490 metri dove sorgevano gli edifici che ospitavano la guarnigione del forte e ora ridotte alle sole fondamenta. Lasciamo queste mura solitarie rientrando brevemente nella selva sino a raggiungere località Teze. Qui il sentiero prosegue verso Terragnolo (Sat 138) mentre di fronte a noi il tracciato porta su a Forte Dosso delle Somme (in tedesco Werk Serrada).
Saliamo seccamente poi la rada foresta lascia il posto ad ampie dorsali, intorno nuvole e sole creano un paesaggio surreale avvolto dal silenzio. D'improvviso un camoscio ci osserva da lontano. E' un incontro emozionante, rimaniamo a guardarlo finchè lui esce dalla nostra vista mentre noi riprendiamo la salita. Raggiungiamo i ruderi delle casematte e dopo un centinaio di metri a quota 1670 metri si apre la visione del forte, imponente nonostante sia andato in rovina successivamente al conflitto mondiale. Disposto su tre piani era munito di due obici da 10 cm in cupola corazzata e la difesa affidata a 18 postazioni di mitragliatrice. Era la fortezza più grande e moderna degli altopiani di Folgaria e Lavarone, e come testimoniano i numerosi crateri visibili nei pressi del forte, durante la guerra fu bombordato dalle artiglierie italiane. Vorremmo restare più a lungo e visitarlo ma il pomeriggio sta terminando e bisogna ritornare. Dal forte seguiamo a circolo il sentiero di Sat 136 che porta vero il rifugio Baita Tonda (purtroppo chiuso) e poi seguendo la pista da sci della Martinella iniziamo a scendere verso Serrada, scollinando in direzione della partenza della seggiovia. Anzi è proprio l'occasione migliore, mentre ritorniamo verso il parcheggio, per osservare proprio alcune opere ispirate a Depero...


PARTENZA: Serrada (mt 1250)
SEGNAVIA: Sat 137-136
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 420
ALTITUDINE: Forte Dosso delle Somme (mt 1670)
LUNGHEZZA: km 8

domenica 10 settembre 2017

Il Festivaletteratura di Mantova (sabato 9 e domenica 10 settembre)

La ventunesima edizione del Festivaletteratura di Mantova ha chiuso i battenti e numeri alla mano, pur con meno spettatori rispetto all'edizione del ventennale, il bilancio è sicuramente positivo. Fatto sta che dopo due giorni festivalieri contrassegnati dalla presenza di fior di autori come la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie icona della lotta al sessismo e al razzismo oppure Elizabeth Strout di "Tutto è possibile", dalla penna del Washington Post e due volte premio Pulitzer Joby Warrick a Francisco Lopez Sacha esponente della drammaturgia cubana, anche noi vogliamo lasciare un segno prendendo parte a questo lungo respiro culturale il cui sentore lo avverti da subito, complice l'allegra corsa all'evento, la curiosità degli argomenti della tenda Sordello, l'ascolto sincero di bellissime pagine di lettura, i suoni di improvvisati jazzman lungo le vie cittadine, perchè in questi giorni Mantova è questo e più di questo. Nel cinquecentesco Palazzo San Sebastiano è di scena la montagna anzi Le otto montagne del fresco vincitore del premio Strega Paolo Cognetti, il racconto di un mondo, quello montano, dove i torrenti, i sentieri, le linee dei pendii hanno percezioni sensoriali che vanno oltre i luoghi geografici. Ti sposti in piazza Sordello e nel giardino interno di Palazzo Castiglioni è di scena l'incredibile coppia formata da Syusy Blady e Patrizio Roversi, che dopo tanti chilometri percorsi per "Turisti per caso" proseguono i loro racconti sulla falsariga dei grandi itinerari. E proprio Syusy ha voluto specificare quanto la parola caso sia distante dal suo reale significato perchè "ogni passo dei nostri cammini non è dettato dalla casualità ma dal Fato". I divertenti e divertiti schiamazzi a cui la coppia si è prestata hanno sottolineato il modo sui generis in cui i loro viaggi intorno al mondo sono stati organizzati e vissuti.
Per la ex tap model era anche l'occasione per presentare l'ultima sua fatica letteraria I miei viaggi che raccontano tutta un'altra storia in cui la sua viscerale curiosità storica e antropologica l'ha portata a ridiscutere la Storia così come la conosciamo. Sopra di noi persiste un cielo grigio ma piazza Sordello è sempre bellissima e quindi ce la gustiamo sorseggiando un aperitivo. Dall'altra parte di Mantova intanto, e più precisamente nelle aule dell'Università, la scrittrice tedesca Helena Janeczek messa da parte la sua fantasia narratrice, tra documenti, fotografie ed indizi ha riportato alla luce la figura della fotografa tedesca Gerda Taro che inventò con Andrè Fiedmann il mito di Robert Capa. Il suo romanzo La ragazza con la Leica restituisce alla cronaca una delle prime fotoreporter di guerra morta giovanissima sul fronte del conflitto civile spagnolo. Intanto a Palazzo Ducale, Carlo Lucarelli si confronta appassionatamente con la famosa giallista Elizabeth George. Un pò deludente l'evento "Settanta mi dà tanto" dove la scrittrice Francesca Capossele, in dialogo con Andrea Vitali, ha presentato la sua opera prima 1972 ma senza alcuna emozione narrativa. E mentre il sabato volge al termine noi andiamo ad un'apericena al Cubo dove diritti e integrazione si miscelano all'unisono con la musica.
Della mattinata domenicale possiamo citare che la temperatura è scesa bruscamente, le splendide piazze mantovane si sono svuotate e solo un vento freddo ci fa compagnia. Ma non per molto. Oggi si ritorna a Palazzo Ducale per l'evento Eni Viaggio in Africa e con ospiti d'eccezione quali Jacopo Fo, la scrittrice Ingy Mubiayi, il politico congolese Jean Leonard Touadi e il responsabile medico di Lampedusa Pietro Bartolo e a far da simpaticissimo moderatore l'onnipresente Neri Marcorè. Si parla del rapporto conflittuale dell'Occidente con il continente nero alla luce degli attuali e drammatici flussi migratori, tra mille pagine scure e qualche aneddoto divertente e pieno di speranza. Si chiude, almeno per noi, il Festivaletteratura con "Vent'anni di libri e chiacchiere insieme" tra il cantautore Francesco Guccini (in teleconferenza purtroppo) e lo scrittore Loriano Macchiavelli. Dopo  i "prodigiosi" tagli alla cultura e le allarmanti voci sul futuro del Festivaletteratura ci sembra giusto concludere riportando le parole dello scrittore torinese Davide Longo "Ma il motivo per cui siamo qui - e vorremmo esserci anche l'anno prossimo - è che possiamo essere tutti esattamente quello che siamo: schivi, istrionici, ironici, di successo, sconosciuti, seriosi, viziati, spartani, bisognosi di bagni di folla o eremiti in breve vacanza. Il Festival ti chiede e ti permette di essere quello che sei. Noi chiediamo al Festival di continuare a essere quello che è. Le persone che vengono agli incontri, che li affollano, forse non lo sanno, ma lo sentono. Lo amano e noi con loro".

mercoledì 6 settembre 2017

La bellezza della Lessinia, da Camposilvano alla Valle delle Sfingi (domenica 3 settembre)

Chiusa a nord dal maestoso gruppo del Carega e a sud delimitata dal solco fluviale dell'Adige, la Lessinia è una straordinaria terra per la dolcezza delle sue cime, teatro antico sospeso tra cielo e terra, lontanissima dagli echi del turismo chiassoso e apprezzata da chi vive la montagna nella sua autentica genuinità, nell'andar per malghe, nella ricerca dei sapori più sinceri. Oggi si sale sui Monti Lessini, nella sua parte più orientale, un'escursione che si sviluppa oltre i mille metri da Camposilvano (mt 1166), frazione di Velo Veronese e antico comune cimbro, e più precisamente dal Museo geopaleontologico  al cui interno sono custoditi  i reperti fossili e archeologici ritrovati in Lessinia. La mattinata risente dei temporali dei giorni precedenti, spira davvero un vento freddo freddo...Manteniamo l'asfalto per circa un centinaio di metri sino ad impegnare l'antica via pastorale, segnalata dalla bella Croce di contrada Kuneck, e superare in successione le contrade Tecchie, Battisteri e Pozze circondate da tranquilli bovini al pascolo che ci osservano con noncurante curiosità.
L'aria ora è mitigata da tiepidi raggi solari, rimettiamo le felpe negli zaini e attraversiamo un cancello, uno dei tanti lungo il percorso, lasciando alla nostra destra il tracciato che porta al Rifugio Lausen non senza aver apprezzato la particolarità dei tetti a doppia spiovenza che caratterizzano molte stalle di questa zona.
Il silenzio è rotto solo dalle nostre voci mentre superiamo la dorsale del Sergio Rosso mantenendo Monte Bellocca alla nostra sinistra, per poi raggiungere il Rifugio Vecchio Parparo (mt 1406) dove sostiamo per una pausa caffè. Poco più in alto, in località Parparo di Sopra, passa il sentiero E5 ovvero il sentiero europeo che dalla costa dell'Atlantico in Bretagna (Francia) attraversa le Alpi e dopo 3200 chilometri dovrebbe raggiungere Venezia, dovrebbe in effetti visto che il sentiero al momento si conclude all'Arena di Verona. Per i nostri panini preferiamo scendere nella sottostante Conca dei Parpari dove ci sono le piste del fondo, in un'area ben attrezzata. Nel frattempo il sole è scomparso di nuovo e soffia un vento gelido mentre riprendiamo la striscia d'asfalto per ritornare a Camposilvano, ma non per molto perchè scolliniamo di traverso scendendo verso contrada Ba mentre in lontananza si apre lo splendido panorama sul Garda color turchino e il sole ritorna trionfante in mezzo al cielo.
La contrada Ba è davvero suggestiva: ristrutturata in tempi recenti ha mantenuto le caratteristiche delle vecchie malghe. Seguendo il tracciato entriamo in un faggeto e all'ennesimo cancello ci ritroviamo sulla provinciale che scende verso la Valpantena. Non ci rimane che seguire la strada per cinquecento metri poi un blocco monolitico dalla curiosa forma a fungo, dall'alto di una collinetta, ci indica che siamo vicine alla Valle delle Sfingi. Si tratta di una valletta dove sono presenti numerosi monoliti di roccia le cui strane forme ricordano appunto le sfingi egizie e sono il risultato di migliaia di anni di erosione degli agenti atmosferici. Il paesaggio è davvero surreale mentre la nostra Mariaelena dall'alto di un blocco roccioso regala alla brezza le note gioiose della sua armonica. Lasciamo alle nostre spalle la ripida dorsale della valle per entrare in un bosco verdeggiante di muschi e licheni da cui si esce vicinissime al covolo di Camposilvano, una voragine carsica della profondità di 70 metri. Ancora pochi passi e ci ritroviamo di fronte al museo, punto di partenza dell'escursione.



PARTENZA: Camposilvano (mt 1166)
SEGNAVIA: 253
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 240
ALTITUDINE: mt 1406
LUNGHEZZA: km 12,2

                     

martedì 29 agosto 2017

Brentei-Alimonte-Tuckett: i rifugi delle Dolomiti di Brenta (21-22 agosto)

Un cambio turno inaspettato mi consente di aver due giorni interi tutti per me, decido così di spenderli facendo ciò che più amo: la montagna.
Da un po’ desidero percorrere i rifugi del Brenta e trascorrere la notte all’Alimonta il più alto fra questi, e le gambe...quest’anno le gambe vanno a mille!
Per il sacco a pelo mi rivolgo ai miei nipoti, hanno tutto: invernale ed estivo,  singolo e matrimoniale, alta e bassa stagione, a castello, ad acqua, sacco a pelo panoramico e chi più ne ha più ne metta. Non ricordo quanti secondi di campeggio abbiano fatto nella loro vita, ma me lo cedono con entusiasmo.
Parto dal parcheggio della Vallesinella a Madonna di Campiglio e in due ore raggiungo il rifugio Brentei e visto che sono in anticipo sui tempi decido di proseguire direttamente per l’Alimonta.
Il sentiero sale con una notevole pendenza in mezzo alle rocce, dopo qualche minuto mi oltrepassa un allegro escursionista che sale cantando e dall’alto mi urla suggerimenti sul menù del rifugio, sembra che la specialità principale dello chef sia l’omelette cucinata in modi diversi, assicurandomi inoltre che in cima lo spettacolo è garantito.
Proseguo attorniata da pareti enormi e ad un certo punto mi accorgo di essere uscita dalla traccia del sentiero per cui mi ritrovo costretta ad arrampicare con gambe e braccia nel canalone in mezzo a stretti passaggi fra le rocce portando con me una coppia di milanesi, con i quali poi mi ritroverò a cena, e tre tedeschi costringendoli a salire come stambecchi…ma penso che in fondo un po’ di spirito d’avventura renda tutto più entusiasmante.
Terminata l’arrampicata mi ritrovo in un anfiteatro di pareti verticali che danno le vertigini e in un silenzio assoluto affascinante e straordinario dove il Brenta sembra accoglierti nel suo grembo dopo averti attesa per molto tempo.
Sono sempre stata convinta che la montagna “chiama”.
Dopo venti minuti di cammino raggiungo il rifugio posizionato sopra un enorme pianoro di roccia attorniato dalle splendide guglie degli Sfulmini, dalla Torre di Brenta, dalla cima d’Armi e dalla parte terminale della cima Tosa e dal Crozzon di Brenta che dal rifugio Brentei s’innalzano poderose sbucando proprio all’Alimonte…uno spettacolo incredibile.
Purtroppo il ghiacciaio che scende dalla Bocca d’Armi è solo l’ombra di se stesso come sta accadendo ovunque. Accanto ad esso un ghiaione scivoloso mette a dura prova chi torna dal sentiero delle Bocchette. Dall’Alimonta infatti partono i sentieri più belli di tutte le Dolomiti: le Bocchette Alte e le Bocchette Centrali mentre dalla parte opposta s'incunea il sentiero attrezzato Sosat che porta al rifugio del Tuckett.
Trascorro il pomeriggio in esplorazione avvicinandomi alle cime e osservando chi scende e sale dal ghiaione o chi tenta il ghiacciaio. Nel frattempo arriva l’elicottero del Soccorso Alpino. Hanno recuperato un alpinista che si è fratturato un braccio durante l’ascesa al Campanile Alto,  al rifugio gli viene steccato il braccio e via di corsa verso l’ospedale. Veramente tanti complimenti a questi soccorritori che in breve tempo effettuano numerosi salvataggi…troppi forse.
Verso sera il rifugio si riempie di persone in arrivo da vari sentieri e a cena mi ritrovo con la coppia milanese che mi aveva seguito sul sentiero sbagliato e due simpatici mantovani giunti dal Sosat e diretti verso il rifugio Tosa Pedrotti attraverso le Bocchette Centrali.
E’ una serata veramente gradevole tra scambi reciproci d’informazioni su percorsi, tempi, condizioni dei sentieri e tanto altro. L’amico milanese è molto interessato al lago di Aviolo in Valcamonica dove sono tornata recentemente e dove qualche mese fa una cantina della Franciacorta ha avuto l’idea di immergere per almeno un anno, ad una profondità di undici metri, ben  2.200 bottiglie di vino e 30 bottiglie di spumante Magnum ricavo della vendemmia 2016. Non si sa se con dei buoni e importanti risultati o solo per una trovata pubblicitaria…si vedrà!
Io nel frattempo spero tanto in una notte stellata, ma mentre si fa buio il cielo si riempie di nuvole per cui mi rassegno e rimando l’appuntamento con le stelle ad un’altra occasione.
L’amico mantovano mi suggerisce di caricare la sveglia alle tre di notte assicurandomi che il cielo sarebbe stato sereno e mi sarei potuta godere la mia notte stellata…personalmente l’avrei anche fatto ma divido la camera con due giovani tedeschi molto stanchi, uno moro molto gioviale e uno biondo che inizia a russare dal primo momento in cui chiude gli occhi fino a quando si sveglia il mattino seguente salutandomi con un allegro”Good morning”.
A tratti riesco a schiacciare dei brevi pisolini avvolta nel sacco a pelo e due belle coperte, una delle quali gentilmente donatami dal tedesco moro prima di coricarsi…La temperatura all’esterno è fredda e dopo aver fatto un doccia gelata ci voleva un po’ di tepore.
Spesso mi sono chiesta come avrei dormito accanto a quelle cime giganti e devo dire che è stato molto bello, mi sentivo avvolta e protetta e cercavo d’immaginare questo posto in inverno con la neve nel silenzio totale rotto soltanto dal rumore del vento e da qualche rapace in volo.
Il risveglio è alquanto movimentato già dalle prime ore,tutti si preparano ad affrontare la giornata nelle varie direzioni.
La cima Tosa e il Crozzon di Brenta sono illuminate splendidamente dal sole ed emergono dalla nebbia che avvolge le quote più basse mentre il rifugio è ancora nell’ombra e fa parecchio freddo.
Saluto i miei compagni di camera e dopo colazione esco a godermi lo spettacolo vagando qua e là sul pianoro guardando emozionata il risveglio della montagna e i vari giochi di luce che si alternano alla nebbia che scende e sale non arrivando mai però a coprire il rifugio che rimane rischiarato da un bellissimo cielo blu.
Rimango affascinata ad osservare chi con entusiasmo si prepara ad affrontare le Bochette con casco e imbragatura: è un’immagine bellissima vederli tutti allontanarsi in gruppo o in coppia verso il ghiaione e risalirlo lentamente, fra di loro ci sono anche i due amici mantovani, padre e figlio, e mi trasmette tenerezza il loro percorrere insieme le montagne…mi soffermo ad osservarli mentre, dopo esserci salutati, si allontanano lentamente ma con passo sicuro. Io invece mi preparo a ridiscendere al Brentei e prendo la direzione opposta alla loro, mi giro pensando che la prossima volta prenderò anch’io la direzione del ghiaione decisa ad affrontare la paura e le vertigini. 
E’ proprio vero quando si dice che i limiti esistono per essere abbattuti…gradualmente…ma abbattuti e per la prossima stagione sono più che mai decisa a farlo…la montagna mi chiama…
Affronto la discesa nella nebbia, per fortuna non così fitta da impedirmi di vedere le preziose tracce bianco-rosse facendo bene attenzione a non distrarmi e perderle come il giorno precedente.
Oltrepasso le inconfondibili ante verdi e bianche delle finestrelle del Brentei e mi dirigo verso il Tuckett attraverso un percorso mai affrontato, oltrepasso una bellissima pineta di mughi poi il sentiero si addentra tra le rocce in un sorprendente labirinto dove le tracce vogliono giocare a nascondino facendomi sbucare dopo una cinquantina di minuti dietro al rifugio.
Per ritornare al parcheggio scendo dal sentiero opposto rispetto a quello dal quale sono salita fermandomi per alcuni minuti al Rifugio Casinei per far riposare le spalle dal peso dello zaino. Qui ritrovo i due escursionisti incontrati all’Alimonta e una coppia ligure di anziani settantenni conosciuta al Tuckett e tutti insieme ci sediamo a fare uno spuntino. La montagna non è solo cammino, cime, vento, albe o tramonti ma è  incrociare anche solo per pochi istanti la propria vita con quella di altre persone che probabilmente non rivedremo più ma con cui si sono condivise le stesse emozioni...
L’umanità ha bisogno di nutrirsi di bellezza e di condividerla con i propri simili e in questo la montagna e la natura sono le principali protagoniste.
L’emozione principale di questi giorni?
Gioia, nient’altro che gioia e un altro piccolo limite abbattuto ma quale sia questo limite me lo tengo nel cuore.
Mentre termino di scrivere questo testo ho già effettuato un’altra bellissima escursione con una splendida compagnia al Rifugio Larcher nel Parco Nazionale dello Stelvio, sotto il ghiacciaio dell’Ortles Cevedale visitando durante il percorso quattro meravigliosi laghi (domenica 27 agosto)…...Sveglia alle ore 4.30 ma come al solito ne è valsa la pena...

(foto e testo di Annalisa Rizzini)

lunedì 21 agosto 2017

...dal Bosco degli Gnomi alle piramidi di terra di Zone - Lago d'Iseo (domenica 20 agosto)

Zone è un minuscolo paese arrampicato a 684 metri sulle prealpi bresciane. Dalla sua terrazza si domina la parte orientale del lago d'Iseo mentre alle sue spalle irrompe la sagoma del monte Guglielmo o Golem come viene chiamato da queste parti. Dopo aver percorso la statale Sebina fino a Marone ci si inerpica seccamente per alcuni chilometri sino all'entrata del bosco che non è solo uno straordinario palcoscenico naturale, no no questo è un posto davvero fantastico e popolato da magiche creature, questo è il Bosco degli Gnomi...Nato dalla fantasia di Luigi Zatti detto il Rosso, dal colore della sua capigliatura, l'artista ha iniziato quasi venti anni fa a scolpire tronchi di alberi tagliati con le radici ancora ancorate nel terreno, e non si è più fermato. Nel frattempo noi siamo giunte in località Goi de la Tromba-Polset dove le prime sentinelle immaginifiche sono lì a darci il benvenuto. Il sentiero Cai 227 si inoltra ripido nelle frange boschive tra folletti, elfi, orsi, lupi, chiocciole, volpi e gatti e non mancano neppure i personaggi collodiani, Pinocchio in testa. Ogni metro di salita è una nuova invenzione, praticamente facciamo il percorso a singhiozzo tante sono le sorprese scultoree! Una breve deviazione in una grotta morenica e poi di nuovo sulla mulattiera dove il bosco profuma ancora di pioggia e un tiepido sole gioca a nascondino tra le fronde dei rami. 
Poi il sentiero biforca proseguendo a destra verso Baita Palmarusso a quota 1596 metri e la vetta del Guglielmo (mt 1957) mentre a sinistra si esce dal bosco su una comoda forestale per riportarci al punto di partenza. La visuale si apre sui panorami del Sebino sui cui si riflettono le verdissime montagne bergamasche, ovviamente sempre accompagnate da nuove sculture antropoforme e dalla presenza di un enorme coccodrillo di legno sulla sommità di una piccola radura. Il Bosco degli Gnomi è un percorso favolistico che sa stupire e divertire e anche se il dislivello si sente un pochino, alla fine è una piacevole passeggiata. Ora che siamo a Zone non si può non andare a vedere le celeberrime piramidi di terra, denominate anche camini delle fate, nel parco regionale in frazione Cislano. Questo fenomeno naturale non è altro che un incredibile processo erosivo di colonne di tufo, roccia o materiale vulcanico, alte fino a 30 metri e sormontate da grossi massi che fungono da ombrello protettivo dall'opera di erosione dell'acqua. 
Dall'area verde attrezzata della piccola località si giunge alla terrazza panoramica in meno di mezz'ora lungo un ripido sentiero di sabbia e sassi e lo spettacolo delle piramidi con il lago d'Iseo sullo sfondo è impagabile, come impagabile è stata la locale sagra con birra, pane e salamina...
PARTENZA: Zone (mt 684)
SEGNAVIA: 227
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 250
LUNGHEZZA: km 8