martedì 19 dicembre 2023

La suggestiva passeggiata Lazise-Bardolino-Garda - domenica 17 dicembre

In una domenica di dicembre insolitamente calda e poco affollata, si torna a percorrere il bellissimo
 lungolago che collega Lazise a Garda, un itinerario che passa attraverso paesini,  splendidi scorci e monumenti storici costeggiando il basso lago. Il comune di Lazise è un piccolo borgo che si affaccia sulla sponda sud-est del lago stretto tra antichi palazzi e racchiusi nella possente cinta muraria del Castello Scaligero. La costruzione delle prime mura castellane iniziano poco prima dell'anno Mille a seguito dell’autonomia concessa al borgo, ma l’attuale struttura fortificata è opera degli Scaligeri che la completarono nel 1381. Del complesso originario sono rimaste le tredici torri e le tre porte di accesso alla città: porta San Zeno, porta Nuova e porta Lion, così chiamata per lo stemma della Serenissima, che raggiungiamo per la partenza della passeggiata. Ma il borgo è anche il primo comune libero d’Italia perché nel 983 la comunità di Lazise chiese all'Imperatore Ottone II di Sassonia la possibilità di difendere il borgo fortificando il castrum e il 7 maggio dello stesso anno l'imperatore dei Romani rispose con un diploma nel quale concedeva l'esazione di alcuni tributi, i diritti di transito e di pesca e rilasciava la possibilità di fortificare il borgo con mura turrite. Si trattava di una situazione piuttosto particolare e la concessione di queste antiche autonomie fa sì che Lazise venga considerata il primo libero comune d'Italia. Basta passeggiare per qualche viuzza per arrivare in Piazza Vittorio Emanuele lastricata a scacchiera. Intorno, i porticati degli antichi edifici ospitano i tanti tavolini di bar e ristoranti oltre alla sede comunale.
Davanti alla piazza si apre uno degli angoli più belli del paese, il Porto Vecchio. 
Alcuni documenti confermano che questo porto esistesse già nel X secolo ma anche in questo caso furono gli Scaligeri a completarlo, nel 1387. Alle estremità del porto, che inizialmente era di dimensioni minori rispetto all'attuale, vi era la torre del Cadenon da cui partiva la cinta muraria che andava a collegarsi al resto della fortificazione medievale. Oggi questo tranquillo e riparato specchio d’acqua ospita le piccole barche colorate dei pescatori. Da un lato del porto si susseguono le vecchie case mentre dal lato opposto si notano l’antica Pieve romanica di San Nicolò e la Dogana Veneta. Di fondamentale importanza, sia durante la Signoria degli Scaligeri che sotto la Serenissima fu l’edificio che ospitava la Dogana Veneta delle merci. Nel corso degli anni ebbe diverse funzioni, tra cui la fabbricazione del salnitro (per produrre polvere da sparo) e la custodia della potente flotta navale veneziana. Con il suo alto campanile bianco, la chiesetta romanica di San Nicolò, risalente alla fine del XII secolo, insieme alla Dogana Veneta, incorniciano il Porto vecchio del borgo lacustre. Procedendo sul lungolago Marconi, in direzione Garda, incontriamo la bella sirenetta del lago, statua in bronzo realizzata dal famoso architetto Cecchini in collaborazione con lo scultore Matteo Cavaioni. Superata Lazise eccoci arrivare a Cisano. La recente riqualificazione della passeggiata, con l'istallazione di lampioncini ha dato un notevole impulso alla presenza ciclopedonale in tutto l'arco dell'anno.
E poi ci sono i canneti: favoriti dall'acqua bassa e dalla assenza di pareti strapiombanti di roccia, sono 
un elemento fondamentale per l’ecosistema del Lago di Garda e habitat importante per anatre, germani reali, folaghe, gabbiani, cigni ed aironi. Ci fermiamo solo per un buon risotto alla pilota in un chiosco proiettato magicamente sul bacino, prima di riprendere senza indugio il cammino raggiungendo Bardolino. Il piccolo luogo dei longobardi si trova adagiato ai piedi delle colline moreniche ricoperte di ulivi e vigneti, importante produttore dell'omonimo vino rosso e dell’olio extravergine d’oliva Garda DOP. Qui troviamo la suggestiva botte di legno a forma di cuore e la ruota panoramica alta trenta metri posta sul lungolago. Arrivati a Punta Cornicello, si svolta verso destra e si abbandona per un attimo il Garda riprendendo poco più avanti la passeggiata circondata da spazi erbosi con belle vedute verso Punta San Vigilio, la Rocca di Manerba, Moniga del Garda, Desenzano e la penisola di Sirmione. In lontananza riusciamo ad intravedere anche l'Isola di Garda. Da questo punto in poi è tutto un dritto fino a Garda passando proprio vicino alla sua Rocca. Nel centro, ora vivacissimo di bancarelle e persone, facciamo una breve sosta in uno dei tanti locali situati sul lungolago Adelaide per poi rientrare a Lazise in tempo per l'ora del tramonto. Immerse in un'incantevole atmosfera creata dai giochi di luce sull'acqua e dal sole che infuoca l’orizzonte, è sicuramente il momento più emozionante e introspettivo della giornata. In conclusione, una ventina di chilometri di mera bellezza.

domenica 3 dicembre 2023

 


martedì 28 novembre 2023

Il Castello di Torrechiara, tra storia e leggenda - domenica 26 novembre

Una perla di raro valore artistico e un’apparizione di incredibile suggestione per chi arriva a Langhirano risalendo l’antica “valle del Prosciutto di Parma”, tra i dolci colli ricamati a vigneti di Malvasia e Sauvignon (D.O.C.). Perfetta coniugazione di elementi medievali e rinascimentali il castello è stato costruito dal nobile Pier Maria Rossi tra il 1448 e il 1460 per l’amante Bianca Pellegrini d’Arluno, su un’altura che domina la vallata del torrente Parma: questa posizione, ora suggestivamente panoramica, era un tempo strategica per garantire il controllo sul territorio.
Pier Maria Rossi, conte di Berceto, marchese di San Secondo, è certamente uno dei personaggi più interessanti del Quattrocento, spesso paragonato a Lorenzo il Magnifico. Alle doti del valente condottiero militare unisce quelle di fine umanista e colto intellettuale, ama la musica e la poesia, conosce le scienze astrologiche, matematiche ed architettoniche. E' lui stesso il probabile artefice del complesso progetto del maniero di Torrechiara e pare che i bastioni e le cortine murarie del castello rivelino relazioni proporzionali rapportabili alle consonanze musicali, ispirate alla geometria pitagorico-platonica che influenzò l’arte del Rinascimento.
Nelle lunga frequentazione della corte milanese il Rossi raccoglie importanti successi militari come capitano al servizio prima dei Visconti e poi degli Sforza, ma non sfugge al dardo fatale di Cupido! Conosce qui infatti e si innamora della nobile Bianca Pellegrini, che abbandonerà il marito e la sua terra per seguirlo. Lui costruisce per lei l’alcova “Altiera ed felice” di Torrechiara, una rocca possente protetta da tre cinte murarie e quattro torri angolari, ma dal cuore "gentile", un'armoniosa fusione dei caratteri funzionali della fortezza con l'eleganza e le ricercatezze proprie di una residenza nobiliare: i beccatelli sottili e lunghissimi che ornano le torri angolari, snelle e leggere sulla base maschia della fortezza, dissimulano la loro utilità difensiva e si fanno ammirare per la loro astratta bellezza. L’interno offre al visitatore un tripudio di sale affrescate tra le quali la splendida Camera d’Oro considerata una delle più alte espressioni pittoriche del gotico internazionale in Italia. La stanza celebra il trionfo dell’amore di Pier Maria e Bianca, ma anche il prestigio della famiglia Rossi nel parmense, attraverso il viaggio immaginario di Bianca, “pellegrina” per amore, tra i vasti possedimenti e le terre del feudo. Questo mirabile capolavoro attribuito a Benedetto Bembo, documento iconografico prezioso per la precisa e minuziosa descrizione “al vero” dei castelli e del territorio, avvolge e coinvolge il visitatore in un susseguirsi dinamico quasi ‘cinematografico’ di scene, dove la protagonista avanza con soave leggiadria tra le balze appenniniche, sotto un sole che trapunta di fiammeggianti raggi dorati il cielo patinato di cobalto.
L’oro che ancora si coglie nel bagliore degli astri, nel fogliame e nei broccati degli abiti, rivestiva un tempo interamente le formelle di terracotta che ricamano la parte inferiore delle pareti, inondando di luce i visitatori della camera, che da questo ha tratto il suo nome. Il ricordo di quella magia è adesso solo evocato nelle sobrie e “nude” formelle rosse, dove spiccano i cuori dei due amanti avvinghiati in un abbraccio “digne et in eternum”. Di altissima qualità anche gli affreschi “a grottesche” degli altri ambienti di rappresentanza del maniero, realizzati da Cesare Baglione e collaboratori, Giovanni Antonio Paganino e Innocenzo Martini: il salone degli stemmi, la sala di Giove, del Pergolato, degli Angeli, dei Paesaggi, della Vittoria, del Velario, la sala di caccia e pesca e il magnifico salone degli Acrobati. Il complesso architettonico, che alterna queste preziose sale agli ambienti di servizio quali le cucine e le scuderie, è distribuito su due piani attorno al prestigioso Cortile d’Onore, oggi teatro di importanti spettacoli ed eventi estivi. Affacciata sul cortile anche la cappella di corte, detta di San Nicomede, che un tempo accoglieva l’importante polittico raffigurante la Madonna in trono con il Bambino e i Santi Antonio Abbate, Nicomede e Pietro martire del 1462, di Benedetto Bembo (oggi conservato al Museo del Castello Sforzesco di Milano). La struttura castellana è dotata di un ampio ed interessante sistema sotterraneo di segrete, aperte alle visite in alcune straordinarie occasioni. Gli ultimi restauri hanno inoltre reso nuovamente fruibili gli originari e panoramici camminamenti di ronda. Da non perdere, all’interno delle imponenti mura fortificate che circondano il castello, una passeggiata tra le case del delizioso borgo medievale, che conserva intatto l’impianto costruttivo originale dell’antico abitato annesso al castello.
Torrechiara compare nei primi documenti del XI secolo col nome di ‘Torclara’, che deriverebbe da Torcularia per la significativa presenza di ulivi nel territori fin dai tempi antichi e pertanto di torchi per la produzione di olio. La presenza di un edificio con finalità difensiva di proprietà degli Scorza in questa località è segnalata in un’ordinanza del 1259 del Podestà di Parma che ne stabilisce la demolizione. Il documento lo definisce “domum”, con ogni probabilità una semplice ‘casa forte’ per il presidio del territorio. Sulle rovine di quest’architettura (le cui vestigia sono oggi ancora visibili in una piccola breccia di una sala interna, detta del Pergolato) il conte Pier Maria Rossi dal 1448 al 1460 fa costruire il Castello di Torrechiara, con le caratteristiche e nelle sostanziali forme attuali. Il Magnifico, per anni fedele uomo d’arme alla corte Sforzesca di Milano, ottenuta l’investitura feudale del castello da parte di Galeazzo Maria Sforza nel 1480, paga la propria ribellione al successivo colpo di stato di Ludovico Sforza detto il Moro subendo reiterati attacchi armati da parte delle truppe lombarde che condurranno alla dispersione di tutti i possedimenti dei Rossi nel parmense.
Incapace di trattare la resa, stanco e malato Pier Maria si spegne nel 1482 e la resa finale dell’amata rocca di Torrechiara arriverà un anno dopo. Il maniero, che nelle volontà testamentarie del Rossi doveva andare in eredità al figlio naturale Ottaviano, avuto con Bianca Pellegrini, è oggetto di aspre dispute spartitorie e compravendite: dal 1499 si avvicendano diversi proprietari ad iniziare dal maresciallo del re di Francia Pietro di Rohan, che lo vende ai Pallavicino. A metà del ‘500 Luisa Pallavincino lo porta in dote al marito Sforza Sforza, conte di Santa Fiora. Ospiti d’onore della signorile dimora furono Alessandro Farnese e il figlio Ranuccio, che nella romantica Camera d’Oro trascorre la sua luna di miele con la tredicenne consorte Margherita Aldobrandini. In questo periodo vengono realizzati i grandi cicli affrescati cinquecenteschi ad opera del pittore Cersare Baglione e vengono aperte due panoramiche logge in corrispondenza delle due torri rivolte verso il torrente: torre della Camera d’Oro e torre di San Nicomede. In tempi recenti il castello passa agli Sforza-Cesarini e Pietro Cacciaguerra che lo cede nel 1912 allo Stato, dopo averlo spogliato dei preziosi arredi, sopravvissuti alle razzie dei proprietari precedenti.

(fonte: castelliemiliaromagna.it)

lunedì 20 novembre 2023

Le Torbiere del Sebino e il Monastero di San Pietro in Lamosa (Provaglio d'Iseo) - domenica 19 novembre

Visitiamo la Riserva Naturale Torbiere del Sebino in una assolata domenica di novembre,  avvolte da una vera esplosione di colori che caratterizzano l’autunno e i cui riflessi sugli specchi d’acqua quasi sembrano raddoppiarne la meraviglia. L'itinerario di circa cinque chilometri (ma si può anche fare l'anello completo di nove chilometri), 
prevede la partenza dal bellissimo monastero di San Pietro in Lamosa a Provaglio d’Iseo, che visiteremo a fine percorso. Scendendo per la strada sterrata che si trova ai piedi delle mura del monastero si attraversa un ponticello di legno in corrispondenza del ponte della ferrovia e si prosegue verso il Percorso Centrale, il più suggestivo in quanto si snoda direttamente nel cuore della riserva attraverso scenografiche passerelle in legno che collegano le diverse lingue di terra tra le vasche. Attraversati pontili e varie postazioni di birdwatching, al bivio si seguono le indicazioni per il Percorso Nord, superiamo il Centro accoglienza visitatori continuando lungo il percorso dove si snoda il sentiero che lambisce una zona a canneto sulla destra, mentre sulla sinistra si possono notare arbusti da frutto piantumati per favorire la biodiversità. Raggiungiamo brevemente il bivio che porta alla Torretta di avvistamento. Questa piccola deviazione consente, percorrendo un bel sentiero risalente al periodo dell’estrazione della torba, di ammirare buona parte delle vasche e godere del panorama immersi nel silenzio.
Questo sentiero termina alla Torretta, quindi bisogna ritornare sul percorso principale. Riprendendo il Percorso Nord che affianca la strada provinciale s
i costeggiano dapprima alcune vasche dove è consentita la pesca, poi una zona con prati stabili (utili per gli insetti impollinatori grazie alla grande quantità di fiori presenti), un’area boschiva ed infine un’altra zona con camminamenti di legno sospesi sull’acqua, l’ultimo tratto prima di attraversare la ferrovia e ritornare al monastero. 
La Riserva Naturale Torbiere del Sebino è un area naturale ubicata sulla sponda meridionale del lago d'Iseo che costituisce la zona umida più significativa per estensione ed importanza ecologica della provincia di Brescia. Si tratta di una piccola area di 360 ettari composti prevalentemente da canneti e specchi d’acqua circondati da campi, strade e abitazioni, e comprende le Lame (una distesa di canali e vasche di acqua profilati da argini nella parte meridionale del lago d'Iseo, caratterizzata dalla presenza di fitti canneti e vegetazione molto varia risultato dell’escavazione di un giacimento torboso), le Lamette (una sorta di acquitrino che si trova proprio a diretto contatto con il lago d'Iseo tra i paesi di Iseo e Clusane), alcune vasche, risultato degli scavi di depositi argillosi profonde fino a 10-15 metri e dall’aspetto più limpido, in alcune delle quali è tuttora permesso pescare, alcuni prati e coltivi adiacenti. A seguito della comparsa del lago d'Iseo, avvenuta sul finire dell'ultima era geologica, il Quaternario, compresa fra settantamila e diecimila anni fa e del progressivo ritiro delle acque a sud del Sebino rimase una depressione paludosa intermorenica caratterizzata da distese acquitrinose.
Nei successivi millenni l'abbondante vegetazione cresciuta permise la crescita di uno spesso strato di torba il quale andò via via sostituendosi all'acqua trasformando la zona in un'estensione di prati umidi. Verso la fine del Settecento, scoperto che la torba, una volta essiccata, aveva una resa calorica superiore alla legna si incominciò l'estrazione massiccia da utilizzarsi come combustibile. La torba divenne col passare degli anni un materiale prezioso per l'economia della zona dato che era in grado di sostituire quasi completamente l'utilizzo del carbone. Prima dell'avvento del petrolio e dell'energia elettrica veniva infatti utilizzata per molteplici scopi, nelle filande, nelle fornaci, ad uso domestico e in alcuni casi anche per alimentare i treni della linea ferroviaria Brescia-Iseo-Edolo questo fino alla prima guerra mondiale. La riduzione dell'interesse verso questo combustibile e la completa trasformazione di flora e fauna della zona portarono intorno al 1950 all'abbandono delle attività estrattive della torba e negli anni Settanta si istituiscono i primi vincoli di salvaguardia ambientale che oggi ci permette di ammirare un paradiso di inestimabile valore faunistico. Le specie che lo popolano sono diverse decine, dalle residenti alle migratorie che ogni anno fanno della riserva il loro punto di appoggio. Il cigno reale, che con le sue movenze eleganti e gentili fa sempre un bell’effetto e poi gli aironi, i cormorani, il germano reale...Durante la passeggiata non è stato difficile avvistarli. 
Completato il percorso naturalistico andiamo a visitare il Monastero di San Pietro in Lamosa, un gioiello medievale nel cuore della Franciacorta.
Fondato su un rialzo roccioso che domina le Torbiere e legato anche nel nome (Lamosa) alla natura paludosa dei luoghi, il monastero è il più antico delle fondazioni cluniacensi del Sebino. Nel 1083 Ambrogio e Oprando de Tocingo donano ai monaci dell'ordine di Cluny la chiesa romanica del casato
. Il 1535 è un anno cruciale per la storia del monastero visto che vengono poste le basi per il cambio di gestione dell’intero complesso che passa dalla dipendenza dell’abbazia di Cluny alla congregazione dei Canonici regolari di S. Salvatore di Brescia. Verso la fine del Settecento, dopo alterne vicende storiche, 
il cenobio passa di proprietà alla famiglia Bergomi. Il complesso religioso è oggi quasi interamente in possesso della comunità provagliese. Il monastero è costituito dalla navata centrale (ampliata all’incirca a metà del sedicesimo secolo), da quella laterale a nord con quattro cappelle e dall’imponente campanile. A sud della chiesa si trova l’elegante chiostro bianco. La navata maggiore termina con un coro ad abside fiancheggiato da due altari barocchi insediati in due absidiole. In parte, sono stati recuperati nel tempo gli affreschi che ornano la chiesa, alcuni dei quali rivelano le influenze del Gambara, del Foppa e del RomaninoPregevole il ciclo di affreschi dell’Historia salutis (XV-XVI secolo) nell’attiguo oratorio di Santa Maria Maddalena. L’abbazia ci appare come un luogo di quiete capace di effondere una singolare pace interiore. Uscendo dalla chiesetta, solleviamo lo sguardo e rimaniamo sovrastate dalla Balöta del Coren (mt 611), un pinnacolo roccioso sul quale sorge una panoramicissima croce bianca che si staglia nel cielo blu e, poco più in basso, dalla cinquecentesca chiesa della Madonna del Corno che sorge su una parete a strapiombo.

lunedì 13 novembre 2023

Il bellissimo borgo medievale di Soncino (CR) - domenica 12 novembre

E' di scena il bel borgo di Soncino (CR) le cui origini non sono ancora molto chiare. L'arrivo dei celti (V-III secolo a.C.coincide, probabilmente, con la nascita di una zona di confine con gli etruschi, che erano per lo più stanziati sulla sponda bresciana e mantovana del fiume Oglio. Raggiungiamo il
 centro storico, aperto al traffico automobilistico ma che non compromette la possibilità di girare il borgo con una certa tranquillità, attraversando Porta di San Giuseppe, una delle quattro antiche porte, ora ricordate da possenti pilastri bianchi elevati al loro posto, raccordate dalla possente cinta muraria costruita dalla Serenissima nel 1453 e ultimate un secolo dopo da Francesco Sforza. La storica porta si trovava in prossimità di una cappella dedicata a San Giuseppe lungo la strada esterna al borgo, abbattuta nel 1784 per questioni di viabilità. Si arriva brevemente al Portico Rosso il cui nome è legato alla pavimentazione rossa in mattoni in cui si svolgeva il mercato di pollame e ortaggi e di segiuto alla vicina Piazza Garibaldi. Qui affaccia il Palazzo Comunale che si presenta come una aggiunta di diversi corpi di fabbrica di epoche diverse. Il terremoto del 1802 causò gravi danni al Palazzo Vecchio, danneggiando anche una parte del Palazzo dei Consoli e alterando irrimediabilmente il prospetto della piazza, che venne demolito e ricostruito con la facciata visibile tuttora, dotata di torretta del 1506 con installati sopra gli automi, conosciuti come Matéi, legati alla dominazione della Serenissima. Oggi sulla torretta è presente un orologio zodiacale del 1977. Al suo interno il Palazzo ospita la bella Sala della Giunta impreziosita da un arredo ligneo, l'Archivio storico con documenti dal 1311 ai giorni nostri ed una quadreria. E la Torre civica che venne costruita nel 1128 a canna quadrata per poi nel 1575 rialzarla sino alla quota attuale di 41,80 metri. 
Proseguendo per via Tinelli raggiungiamo la Pieve di Santa Maria Assunta indicata come una delle chiese più antiche della diocesi cremonese. Le fonti storiche riportano che nel 605, dopo la conquista longobarda di Cremona, il vescovo Anselmo scappò dalla città e si ritirò nella pieve di Soncino. Il forzato esilio del vescovo rese la pieve sede vescovile poi elevata al rango di collegiata nell'anno 828. Nel 1580, la chiesa fu rimaneggiata con allungamento del coro verso est e la costruzione a sud delle cappelle laterali e decorata dai manieristi cremonesi Giulio Calvi, che affrescò la navata centrale, e Uriele Gatti, che si occupò della controfacciata in modo da adattarla alle disposizioni approvate durante il concilio di Trento. Alla fine dell'Ottocento l'architetto Carlo Maciachini dette alla chiesa l'attuale aspetto costruendo l'imponente cupola ottagonale e sulla cuspide della torre campanaria venne posta la statua in rame realizzata da Carlo Riva con la facciata riportata ad un aspetto medievale. L'interno si presenta in forme davvero solenni. La vistosa policromia delle volte venne realizzata nel 1897 in stile neobizantino. Tra le opere pittoriche presenti nella chiesa, di grande pregio è la tela seicentesca del pittore fiammingo Matthias Stom che raffigura un soggetto insolitamente non ecclesiastico La liberazione delle catene di Flavio Giuseppe ad opera dell'imperatore romano Vespasiano. Nell'altare neoclassico è inserita una tela del Cinquecento raffigurante la Trinità con Angeli e Santi di Uriele Gatti. Sopra l’antico fonte battesimale si trova un affresco degli inizi del sedicesimo secolo raffigurante la Santissima Trinità. La particolarità iconografica con le Tre Persone assolutamente identiche, secondo la più diffusa rappresentazione medioevale in luogo di quella del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, indussero l’autorità ecclesiastica nell'età della Controriforma a far coprire l’immagine, che venne ritrovata solo nel 1843 durante i lavori di rifacimento della cappella.
Poco lontana ecco l
a Chiesa di San Giacomo originariamente romanica, sull'area di un più antico ospizio per pellegrini che si recavano a Santiago di Compostela sulla tomba del santo e che presenta oggi vestigia cinquecentesche. Si deve ai Canonici Agostiniani (XIV secolo) la costruzione dello splendido campanile ettagonale, ovvero a sette lati, probabilmente unico in Italia mentre tra il 1456 ed il 1468, su progetto del domenicano Maffeo Caleppio, venne costruito il chiostro. In contrasto con la facciata poco appariscente, l'interno della chiesa è stupendamente affrescato in stile barocco e dominato dall'imponente gradinata completa di balaustre intarsiate del 1733. La presenza di una cripta sotto al presbiterio sopraelevato rende però evidente l'origine più antica della chiesa. Nella cappella a destra dove è collocato il cinquecentesco gruppo scultoreo Compianto su Cristo morto dello scultore cremasco Agostino de Fondulis, si trovano tracce di un affresco rappresentante L’Addolorata, uno dei pochissimi brani pittorici che testimonia la decorazione della chiesa precedente ai restauri realizzati tra Cinquecento e Seicento. D'obbligo una fermata all'Enoteca 5 Frati in uno splendido complesso del Quattrocento collegato alla Cappella dei Barbò, un luogo magico che fonde il calore rustico della cucina locale con la particolare attenzione alle etichette vinicole meno note. 
Praticamente adiacente all'ingresso della Rocca si trova un altro punto di particolare interesse, la ex filanda Meroni che per la sua valenza storica è stata riproposta come moderno percorso ricreativo e culturale ospitando, oltre all'ufficio turistico di Soncino, il museo della seta, trasformandosi nel baricentro architettonico tra la stessa e la rocca, vero simbolo della città. La costruzione della Rocca Sforzesca di Soncino avviene nel 1473 su volere di Gian Galeazzo Maria Sforza e ancora oggi rappresenta l’esempio di architettura militare meglio conservata di tutta la Lombardia. Nel 1536 l'imperatore Carlo V d'Asburgo elevò Soncino a marchesato e lo passò in feudo alla famiglia milanese degli Stampa che lo trasformarono nei secoli successivi sempre più in una dimora patrizia. Nel 1876 la Rocca passò al Comune con un atto testamentario dell'ultimo discendente della nobile famiglia milanese, ma già con i segni di un importante degrado strutturale. Nel 1883, il Regio Ministero della Pubblica Istruzione incaricò l'architetto Luca Beltrami di progettarne il ripristino. L'intervento del Beltrami rappresenta un esempio di ricostruzione condotto sulla base di una rigorosa documentazione storica che oggi ci restituisce la magnifica possanza di questa rocca. Il borgo di Soncino vede scorrere al suo fianco il fiume Oglio e nelle estreme vicinanze delle mura, è bagnato dal naviglio Pallavicino. Il naviglio ha una lunghezza di circa trenta chilometri e venne creato allo scopo di irrigare i terreni delle province di Bergamo e di Cremona. La sua costruzione risale ai primi anni del Cinquecento su iniziativa del marchese Galeazzo Pallavicino. Proprio la presenza del naviglio Pallavicino ha fatto sì che fiorissero i mulini lungo il suo corso.
Ci allunghiamo esternamente alle mura fino alla Chiesa di Santa Maria delle Grazie. La chiesa sorge alta sul terrazzo alluvionale della valle dell’Oglio, con vista verso la piana sottostante e la rocca sforzesca. Arrivate davanti alla chiesa ci troviamo davanti ad una facciata a capanna estremamente semplice in pietra. Questa risale agli inizi del XVI secolo quando i frati carmelitani iniziarono la costruzione con i fondi raccolti tra le famiglie nobili di Soncino. Gli interni, ad unica navata, vennero riccamente affrescati nel 1527. Di grande rilevanza è soprattutto la decorazione delle dieci cappelle all’interno della chiesa che si devono a Francesco Scanzi e Giulio Campi. Sulla controfacciata è presente il meraviglioso affresco del Giudizio Universale ad opera di Francesco e Bernardino Carminati. Siamo agli sgoccioli della visita a Soncino. Ritornando verso Porta San Giuseppe ammiriamo in successione l'esterno del quattrocentesco Palazzo Azzanelli, dalle belle finestre ad arco, e Palazzo Zardina-Cropello, un lungo edificio giallo con stemmi, balconcini dotati di ringhiere in ferro battutto risultato di una ristrutturazione settecentesca del vecchio Ospedale dei Pellegrini. Al termine dell’edificio si trova invece una vecchia torre dalla facciata in cotto che ospitava al suo interno l'arsenale privato della famiglia nobile Barbò.

lunedì 6 novembre 2023

Quanto è bella Mantova: il Palazzo Ducale e il suo Duomo - domenica 5 novembre

Arriviamo in una assolata Piazza Sordello dominata dall'imponente Palazzo Ducale, alla scoperta di questa magnificente "città-palazzo", residenza dei Gonzaga dal 1328 al 1707. Divenuto capitano del popolo nel 1299, Guido Bonacolsi trasforma quella che allora era un palazzo di proprietà della famiglia nel centro del potere della città. I Gonzaga che sconfissero i Bonacolsi nel 1328, durante i quasi quattrocento anni del loro dominio, ne modificarono la struttura aggiungendo nuovi corpi di fabbrica con logge, maestose scale, gallerie, cortili pensili collegandoli tutti fra loro sotto la direzione di geniali architetti come il Fancelli, Giulio Romano, Giovan Battista Bertani e il cremonese Viani. Il nucleo più antico del complesso è costituito dalla Magna Domus e dal Palazzo del Capitano. I
l castello di san Giorgio, sorto alla fine del Trecento per volontà di Francesco I Gonzaga, su progetto dell'architetto Bartolino da Novara, si eleva a guardia della reggia dalle rive dei laghi di Mezzo e Inferiore. Gli ambienti si raccolgono intorno a una corte centrale quadrata, rafforzata da robuste torri angolari. Quando Mantova, nel 1459, ospita la Dieta di Mantova convocata da Pio II Piccolomini, Ludovico Gonzaga decide di trasferirsi nel castello lasciando che il seguito del pontefice si insediasse nel Palazzo Ducale. L'architetto toscano Luca Fancelli viene incaricato allora di riqualificare gli interni del castello e al Mantegna, trasferitosi in città nell'estate del 1460 dopo lunghe trattative, viene affidata la decorazione della stanza delle udienze private del Gonzaga, la Camera degli Sposi, capolavoro assoluto dell'arte rinascimentale.
Perfetta sintesi tra naturalismo pittorico, illusionismo prospettico ed esigenze autocelebrative della casata impegna il Mantegna per dieci anni fino al 1474, come indica l'iscrizione nel tabellone dipinto sopra una delle porte, che reca anche la dedica a Ludovico III e alla moglie Barbara di Brandeburgo. La finzione pittorica e prospettica ideata dal Mantegna riveste senza soluzione di continuità le ingrate partiture di pareti irregolarmente scandite dalle porte, dalle finestre, dal camino, e scarsamente illuminate, regalando l'emozione di un illusionismo "totale" e di una continua, accattivante, ricercata ambiguità tra il piano della realtà e quello della rappresentazione. La Corte Vecchia riacquista nuovo prestigio quando nel 1519 Isabella d'Este lasciata la dimora nel Castello e si trasferisce al piano terreno di questo antico settore della reggia gonzaghesca. Per l'insaciabile desiderio di cose antique e per la straordinaria sensibilità a cogliere le tendenze più moderne dell'arte, la marchesa Isabella, figlia di Ercole I d'Este e giovanissima sposa, nel 1490, di Francesco Gonzaga, diventa la protagonista di uno dei più intelligenti e raffinati episodi di collezionismo e cultura figurativa del Rinascimento cortigiano. Donna mai paga di curiosità culturali, educata a Ferrara dall'umanista Battista Guarini, si circonda a Mantova di dotti quali l'Equicola e Paride da Cesarea, frequentando letterati come Baldassar Castiglione, Matteo Bandello, il Boiardo e l'Ariosto. La tradizione mecenatistica dei Gonzaga si rinnova a inizio Cinquecento con le iniziative culturali del figlio di Isabella, Federico II, che affidando a Giulio Romano la direzione delle fabbriche della città (su tutte Palazzo Te) fa di Mantova un autentico laboratorio della grande Maniera italiana.
Importanti i cicli di affreschi, 
rimasti incompiuti, del "Torneo-battaglia di Louvezerp" del Pisanello, riscoperto solo nel 1969 sotto due strati d’intonaco sovrapposti in epoche successive nelle pareti del nucleo più antico della Corte Vecchia, la Sala di Troia concepita da Giulio Romano e ispirata all’Iliade di Omero, sono del tutto consoni all'intento di Federico II e all'effettivo ruolo politico che rivestiva. Dietro a questi episodi mitologici carichi di eroica potenza si nasconde un preciso messaggio iconografico. In successione ecco le sale rinnovate negli apparati decorativi durante il secolo XVIII. La Galleria degli Specchi in origine una loggia aperta, poi chiusa e trasformata in una galleria d'esposizione e a quadreria. La parte alta delle pareti e il soffitto sono riccamente decorati: nella volta vi sono tre grandi riquadri raffiguranti gli Dei dell’Olimpo al centro e ai lati i Carri del Giorno e della Notte. Questa lunga e sontuosa galleria fu impreziosita negli ultimi decenni del '700 da decorazioni neoclassiche con stucchi dorati e specchiere ispirate al gusto francese. La Sala dei Fiumi trasformata verso la fine del Settecento dagli affreschi barocchi di Giorgio Anselmi in un illusorio gazebo che incornicia le allegoriche figurazioni dei fiumi che bagnano il territorio mantovano (il Po, l’Oglio, il Mella, il Chiese, il Mincio ed il Secchia). Il salone si affaccia sull'incantevole giardino pensile racchiuso da un colonnato cinquecentesco. Le Stanze degli Arazzi, serie di arazzi tessuti nelle Fiandre intorno al 1530 sui celebrati cartoni di Raffaello ed acquistati in seguito dal Cardinale Ercole Gonzaga. Le nove preziose pezze d'arazzo raffigurano episodi tratti dagli Atti degli Apostoli e si riferiscono alla vita dei Santi Pietro e Paolo.
Fu il duca Guglielmo ad incaricare il prefetto delle Fabbriche Giovan Battista Bertani perché collegasse i vari edifici in forma organica così da creare, a partire dal 1556, un unico grandioso complesso monumentale e architettonico, uno dei più vasti d'Europa, che si estendeva tra la riva del lago Inferiore e Piazza Sordello. Scomparso il Bertani nel 1576, l'opera viene proseguita da Bernardino Facciotto che completa l'integrazione di giardini, piazze, loggiati, gallerie, esedre e cortili, fissando definitivamente l'aspetto della residenza ducale. E' quasi impossibile elencare tutti i tesori custoditi nel Palazzo Ducale, non è solo una chimera architettonica. E' molto di più. Diventa depositario delle culture cresciute nei secoli a Mantova e delle loro relazioni con il resto del mondo ma soprattutto la porta d'accesso a grandi emozioni e quelle, non si possono misurare. Attraversata la piazza ancora illuminata dal sole, andiamo a scoprire il Duomo di Mantova, noto anche come Basilica di S. Pietro, che conserva le tracce di tutta la sua storia più che millenaria. Basta guardarlo dall'ingresso di piazza Pallone per rendersene conto: la facciata tardo-barocca progettata nel Settecento da Nicolò Baschiera, rimangono 
sul lato est invece le tracce della precedente struttura gotica, seguite dalla massiccia torre campanaria romanica originariamente isolata dal resto della costruzione. L'aspetto gotico della cattedrale, prima dell'intervento cinquecentesco, è documentato dal dipinto quattrocentesco di Domenico Morone "La caduta dei Bonacolsi" che si ammira a Palazzo Ducale e che ritrae la facciata dal gotico fiammeggiante. L'interno corrisponde al progetto cinquecentesco di Giulio Romano con la pianta a croce latina e cupola che si erge sull'intersezione dei due bracci, suddiviso in cinque navate che va a terminare in un'abside con volta a botte. Tra queste trovano spazio i finestroni che rendono luminoso l'interno della cattedrale. Il soffitto piano a cassettoni è opera settecentesca di Doricillo Moscatelli. Dalla navata a sinistra si accede tramite un passaggio al Sacello dell'Incoronata e all'esuberante volta della sagrestia opera della bottega del Mantegna. E non si può non concludere la giornata senza fare un salto alla storica panetteria di via San Giorgio "Pane al pane" dove trionfa la celeberrima torta sbrisolona vanto di questa città.

(fonti storiche:lombardiabeniculturali.it)

lunedì 23 ottobre 2023

Un grazie allo staff del Diamond Cafè per l'organizzazione della serata di sabato 21 ottobre, a Walter il fantastico cuoco e il suo ottimo spiedo, ai dj Ennio e Mascia per la musica proposta e l'apprezzatissimo karaoke e soprattutto un grazie di cuore alle tante marmotte presenti!

Nel cuore della pianura padana: dal borgo storico di San Colombano al Lambro al meraviglioso castello di Chignolo Po - domenica 22 ottobre

 
Io non conosco luogo che in positura sì poco elevata si vegga intorno a sé si vasto prospetto di nobilissime terre; sol che tu giri d’attorno l’occhio, ti si offrono innanzi Pavia, Piacenza, Cremona.  A tergo abbiamo le Alpi che dividono dalla Francia e che colle sue nevose cime cinte dalla nubi par che tocchino l cielo, dinanzi gli occhi mi sta l’Appennino e immenso numero di terre e di castelli Veggo infine sotto ai miei piedi il Po che con vasto giro serpeggia fra i pingui colti della sottoposta pianura“.
Con queste parole Francesco Petrarca nel 1353 descriveva la collina di San Colombano al Lambro e il suo "borgo insigne". Ci addentriamo tra le silenti viuzze della borgata sino ad affacciarsi su una assolata Piazza del Popolo, punteggiata di tavolini del vicino Bar Centrale, non trovando insolitamente né la chiesa parrocchiale né il municipio, posti in altre zone del borgo, ma con un lato occupato per intero dal monumento ai caduti, una pregevole statua bronzea della Vittoria realizzata nel 1929 dallo scultore pavese Alfonso Marabelli e il grande affresco allegorico sulle italiche "virtù guerriere" dagli stilemi tipici di quel periodo storico. La fondazione di San Colombano al Lambro è tradizionalmente ascritta all'omonimo monaco irlandese del V-VI secolo che qui introdusse la coltivazione della vite con il permesso della Regina Teodolinda. Collocato in posizione strategica vicino a importanti vie di comunicazione e poco discosto dalla via fluviale del Lambro, il borgo fu per secoli terra contesa tra monasteri e nobili e tra i signori di Milano e di Lodi che sul medesimo colle edificarono due distinte fortificazioni rivali: il milanese castello dei Landriani e la lodigiana rocca di Mombrione.
Il primo fu distrutto nel 1154 da Federico I detto il Barbarossa che nel 1164 decise di spianare le macerie erigendovi un nuovo borgo circondato da imponenti mura e dominato da un grande castello. Il complesso subì nel tempo numerose trasformazioni e rimaneggiamenti dai Visconti fino ad arrivare ai Belgioioso che fecero del castello la loro residenza signorile. Caratterizzata dall'imponente torre d’ingresso e dal quattrocentesco torrione occidentale, la struttura castellana è oggi divisa in due parti: il ricetto, ossia la zona in cui si svolgeva la vita civile, e la rocca posta in alto sul pendio collinare attualmente di proprietà privata, oltre alla suggestiva passeggiata nel parco che si snoda lungo le mura. Il Ricetto era il luogo destinato ad ospitare le casupole in legno e paglia della popolazione e si estendeva all'interno delle mura del castello. Nel ricetto si trovavano pozzi (uno di questi è ancora visibile nel parco), stalle, cascine con torchi e piccoli forni. La gran parte di queste strutture fu demolita a metà del diciannovesimo secolo dalla famiglia Belgioioso per realizzare la corte interna e il parco fiancheggiante tutta la parte ovest della rocca. Un'altra parte è stata distrutta a fine anni '50 per fare posto alla strada che collega l'entrata al ricetto con la villa all'interno della rocca. Poco discosta dal castello troviamo la chiesa parrocchiale dall'assetto neoclassico, dedicata a San Colombano fondata sul finire del Quattrocento e ampliata a metà Ottocento. Voluta direttamente da Papa Giulio II, la chiesa conserva al suo interno numerose opere d'arte tra le quali la pala della Crocifissione di Bernardino Campi, autore anche degli affreschi commissionati dai monaci certosini tra il 1576 e il 1581. 
Da non perdere è la rinascimentale Chiesa di San Francesco, edificata intorno al 1580 sulla sponda sinistra della Rugia Nuova. Una manciata di chilometri e raggiungiamo il vicino Castello di Chignolo Po, immerso nella campagna pavese, denominato "la Versailles della Lombardia". Lo scenografico cortile barocco, le grandi sale affrescate di scuola tiepolesca, la raffinatezza degli stucchi e delle decorazioni, la torre dominante con la sua maschia mole turrita, il tutto immerso in un dolce scenario agreste, fanno di questo monumento una delle più importanti dimore storiche italiane. Nel Settecento venne ampliato e trasformato da fortezza medioevale in una vera e propria dimora patrizia realizzata per volere del Cardinale Agostino Cusani Visconti, ambasciatore del Papa presso la Repubblica Veneziana ed alla Corte di Luigi XIV a Parigi, nonché Vescovo di Pavia. Una bravissima guida ci illustra la bella struttura castellana. Il corpo principale è a pianta quadrata con cortile e porticato interno, ha muratura in mattoni a vista e si sviluppa su quattro piani totali, dei quali uno è seminterrato. Sul fronte settentrionale si apre la porta d'accesso alla corte d'onore, mentre a meridione si apre su un ampio terrazzo che declina nel grande parco. Un viale conduce al "Teatro delle Uccelliere". L'edificio, destinato alla ricreazione nel parco, era preceduto da un piccolo lago artificiale, dalle forme ancora visibili ed oggi richiederebbe un intervento di ristrutturazione massiccia in quanto versa in pessime condizioni. A circondare il parco, oltre a ciò che resta dell'antico fossato difensivo, un muro di cinta modellato in  stile tipicamente settecentesco. La parte più antica del castello è comunque la grande Torre, dalla quale si controllava un lungo tratto del Po (Cuneulus super Padum).
Si ritiene che venne fatta costruire dal Re Liutprando intorno al 740 d.C. quando Pavia era capitale longobarda. 
Attraversiamo ora l'atrio passando alla corte d'onore con portici di ordine dorico. Al piano nobile settantotto tra sale e salotti sono coperte da volte riccamente affrescate da artisti veneziani di scuola tiepolesca il tutto arricchito da stucchi barocchi. Peccato non poter immortalare simili meraviglie (le foto degli interni sono vietatissime). Si prosegue di stanza in stanza anche in quelle utilizzate dall'attuale proprietario, l'avvocato Procaccini. I mobili sono per la maggior parte originali. La visita continua con il salone delle feste sul cui soffitto si ammira l'affresco più bello del castello "L’apoteosi delle Stagioni", reinventato dall'architetto Ruggeri. Passiamo poi alla visita dello studio di Napoleone Bonaparte che soggiornò dal 1795 al 1805. In questa stanza si trova anche una porticina segreta, (nascosta tra la tappezzeria) che conduce, tramite duecento scalini, ai camminamenti di ronda. Due scale d'onore portano al piano nobile dove si trova conservato l'appartamento del cardinale Agostino Cusani Visconti che poteva, attraverso una griglia pavimentaria, assistere alle celebrazioni liturgiche che si svolgevano nella Cappella situata al piano terra, ma di notevole interesse sono anche i sotterranei con gli ambienti rustici: la cucina, ancora arredata secondo le usanze dell’epoca, la cantina con l'antico torchio per il vino, i salumi e i formaggi, oggi in ristrutturazione (l'intento dei proprietari sembra quello di creare una piccola zona per la degustazione), una piccola armeria e i cunicoli segreti che conducono all'esterno, adibiti un tempo a prigioni. Davanti al fortilizio, verso settentrione, sorge il borgo (Ricetto) interamente riedificato nel Seicento. 
Oggi è sede del Museo Lombardo del Vino.

lunedì 16 ottobre 2023

Al cospetto del Catinaccio: Rifugio Roda di Vael - domenica 15 ottobre

Andiamo al cospetto del Catinaccio di Re Laurino, in Val d'Ega. Da passo Carezza raggiungiamo il Rifugio Paolina a 2126 metri con la seggiovia omonima, tra gli impianti di risalita più noti e amati della zona e parte del comprensorio sciistico Carezza Ski aperta anche in estate sino a metà ottobre, trovandoci immerse in una fitta nebbia ma siamo in tanti oggi quassù e tutti diretti verso il rifugio Roda di Vael. Si sale sul sentiero 539, su ampi gradoni, che dalla stazione a monte della seggiovia Paolina conduce piuttosto ripidamente tra i pascoli sotto la Punta del Masarè, mentre sulla destra lo sguardo tocca il gruppo del Latemar con la grande frana alle sue pendici. La salita diventa moderata su sentiero sassoso fino a ritrovarci ai piedi del Catinaccio dove è posta a quota 2279 metri una gigantesca aquila reale bronzea, che da lontano abbiamo davvero scambiato per un grande rapace appollaiato sulla roccia a strapiombo sulla sottostante vallata. Si tratta del monumento a Theodor Christomannos pioniere del turismo dolomitico di fine Ottocento. Appassionato alpinista comprese le potenzialità di queste vallate creando la Strada delle Dolomiti che andava a collegare Bolzano con tutta l'area dolomitica. Nel frattempo la nebbia si è via via diradata lasciando spazio a distese di sole e d'azzurro mentre il grosso del dislivello è ormai fatto! Si prosegue in ambiente aperto con una bella prospettiva sul fondovalle, fino a raggiungere il rifugio Roda di Vael, ai piedi della Croz di Santa Giuliana a 2283 metri, preceduto dalla Baita Pederiva, con un panorama mozzafiato che spazia dal Lagorai, alle Pale di San Martino, al gruppo del Sella con l’inconfondibile Piz Boè, il vicinissimo e incombente Larsech e non manca la Marmolada e il gruppo del San Pellegrino.
Noi ci fermiamo alla Baita
 Marino Pederiva situata sulla Sella del Ciampaz a quota 2275 metri - appena sotto il rifugio - ai piedi del magro fascio delle Torri Meridionali del Vaiolet, dove polenta, lucanica, funghi e formaggio d'alpe trionfano sui tavolacci di duro legno. Si potrebbe fare l'anello scendendo lungo il sentiero 548 sul limitare del bosco in direzione del passo di Costalunga ma preferiamo rimanere in quota prendendo all'altezza dell'aquila di Christomannos il sentiero 549 per poi recuperare uno sterrato che raggiunge la partenza della seggiovia Paolina.

PARTENZA: Seggiovia Paolina (mt 2126)
SEGNAVIA: Cai 539 - 549
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 157
ALTITUDINE: mt 2283
LUNGHEZZA: km 4

lunedì 9 ottobre 2023

Lo spettacolo delle Cascate del Serio e poi in alto verso il Rifugio Curò - domenica 8 ottobre

Raggiungiamo Valbondione, in Val Seriana, nell'ultima domenica di apertura delle famose Cascate del Serio, cascate formate dall'omonimo fiume nelle Alpi Orobie a circa 1750 m di altitudine (testa della cascata). Alte complessivamente 315 metri, misura che le classificano fra le cascate più alte d'Italia, sono formate da tre salti principali di 166, 74 e 75 metri. Già nel 1808 Giovanni Maironi da Ponte descriveva l'unicità delle cascate bergamasche e fino al 1931 erano visibili tutto l'anno in quanto scendevano naturalmente dal soprastante Piano del Barbellino, in cui confluivano le acque provenienti da monti come il Recastello e il Monte Gleno, mentre d'estate erano alimentate dal ghiacciaio del Trobio, a quel tempo ancora imponente. Dal 1931, anno di realizzazione della diga del Barbellino, non furono più visibili perché il bacino della diga tratteneva le acque che le alimentavano per produrre energia idroelettrica. Solo dal 1969 fu possibile ammirare nuovamente le cascate grazie a un accordo tra Enel, proprietaria della diga, e l'amministrazione di Valbondione. E' possibile assistere ai salti maestosi del Serio solo cinque volte l'anno e per una trentina di minuti, dalle 11 alle 11.30, ma queste cinque date radunano sui sentieri migliaia di spettatori. Ed infatti appena si arriva a Valbondione ci si rende conto del brulicare variopinto di escursionisti, curiosi e di intere famiglie che si arrampicano lungo i sentieri che, in circa due ore conducono allo strapiombo dei Grandi Macigni in località Maslana. 
Il 
trekking prosegue sino al Rifugio Curò considerando che, seppur non ci siano particolari difficoltà tecniche, la distanza da percorrere è abbastanza importante, poco più di 14 chilometri con un dislivello di mille metri che richiede una buona condizione fisica. Oltrepassata la piazzetta di Valbondione ci si arrampica lungo via Beltrame e dopo il primo tornante imbocchiamo alla nostra sinistra via Curò che poche centinaia di metri più avanti diventa una carrabile all'interno del bosco con pendenza regolare. Seguendo il fianco della valle prendiamo quota e, dopo aver attraversato alcuni valloni, raggiungiamo la stazione inferiore della teleferica che trasporta i viveri al rifugio. A questo punto inizia a suonare la sirena. Sono le 11. La diga viene aperta, tutti gli spettatori si bloccano mentre le acque del Serio precipitano tumultuose nel varco scavato tra le rocce. Ci spostiamo sul sentiero uscendo dal bosco continuando a salire. Ci fermiamo ancora una volta ad osservare il bellissimo arcobaleno prodotto dalla rifrazione della luce solare alla base del secondo salto. Riprendiamo a salire verso il rifugio Curò. Dopo aver piegato bruscamente verso sud e percorso diversi tornanti, incrociamo il sentiero Cai 305 percorrendo un tratto “aereo” scavato nella roccia del monte Verme e dopo aver ammirato la profondità della vallata sottostante, il tracciato pone una scelta, a destra si continua sullo stesso sentiero, meno secco e più lungo, a sinistra si inerpica il sentiero Cai 305A, la variante molto più ripida e faticosa, che dovrebbe farci guadagnare tempo e strada (gambe permettendo) prima di ricongiungerci con il sentiero più “dolce” all’arrivo in vetta della funicolare. Optiamo per la ripida salita.
Il sentiero è ricavato tra la roccia e nonostante sia abbastanza largo troviamo delle catene lungo la parete per renderlo ancor più sicuro visto che alla nostra sinistra abbiamo un bello strapiombo. Finalmente riagganciamo il sentiero 305, quasi in piano ma col fiato corto e poco dopo
 eccoci arrivate in vetta al Rifugio Curò a 1915 metri di quota, il secondo rifugio a essere inaugurato dal CAI di Bergamo nel 1886, dopo quello di Cà Brunona. Il nome omaggia l’Ing. Antonio Curò, allora presidente del CAI di Bergamo, dove apprezziamo le torte della casa. Dal rifugio si può andare verso la diga che crea il lago artificiale del Barbellino, situato ad un’altezza di 1862 metri, il più grande lago artificiale delle Orobie sempre più vuoto a causa delle ridotte piogge a causa dei cambiamenti climatici, ma circondato da montagne imponenti tra cui la più nota, il Pizzo Coca alto 3050 metri, e andare a scoprire la spada nella roccia. No, nulla a che vedere con Re Artù. A posizionarla nel 2016 è stato Matteo Rodari che ha coinvolto nel progetto il padre Modesto. ”Nessuna volontà di richiamare la leggenda dei cavalieri della Tavola Rotonda, ma semplicemente un’idea venuta dall'iniziativa “Sentieri creativi” promossa dal CAI - racconta Modesto Rodari - 
L'ho costruita nella mia fucina, utilizzando materiali di recupero e vari metalli. La lama è stata ricavata dalla penna di un piccone, il manico con il ferro di un'incudine e la pallina decorativa di una vecchia ringhiera e la guardia richiama in tutto e per tutto quelle delle armi quattrocentesche". Si potrebbe prolungare l’escursione, aggiungendo quasi un’ora di cammino, verso l’incantevole lago naturale di Barbellino a 1862 metri con il
corrispettivo rifugio che sorge alle pendici del Pizzo Strinato (mt 2836) e del Pizzo
 Torena (mt 2911), dove ha origine il fiume Serio, ma preferiamo desistere percorrendo a ritroso il sentiero dell’andata.

PARTENZA: Valbiondone (mt 900)
SEGNAVIA: Cai 305
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 1015
ALTITUDINE: mt 1915
LUNGHEZZA: km 15

lunedì 18 settembre 2023

Un grazie di cuore alle tantissime marmotte presenti alla mega grigliata sulle Torricelle di Verona (sabato 16 settembre). 

Bella compagnia, ottima musica con i dj Mascia ed Ennio e la spettacolare grigliata sotto la direzione della marmotta Donatella!!

lunedì 11 settembre 2023

I 4444 scalini di Calà del Sasso, l'Aquila di Vaia e Forte Lisser (9-10 settembre)

Sabato 9 settembre
- L’escursione a Calà del Sasso è una sorta di viaggio nel tempo. La lunga scalinata, realizzata nel XIV secolo sotto il dominio di Gian Galeazzo Visconti nel 1387, viene ampiamente sfruttata dai veneziani nei secoli successivi per rifornire di legname l'Arsenale della Repubblica di Venezia per la costruzione delle navi. Fino a quel momento la commercializzazione era vincolata alla carenza di vie di comunicazione che riducevano gli scambi alle contrade interne. La calata (da qui Calà) rappresentò la svolta, aggirando così le barriere daziarie imposte dal comune di Foza e distinguendosi per la sua particolare struttura per il trasporto dei tronchi sempre più richiesti dalla Serenissima per il potenziamento della propria flotta. La Calà perse la sua importanza come principale via di collegamento fra pianura e altipiano dalla metà dell’800 quando nascono le carrabili di collegamento in primis la ferrovia che 
rappresenta una novità dal forte impatto economico e sociale in una realtà periferica e arretrata. La linea più importante è sicuramente la "Rocchette-Asiago" inaugurata nel 1910 e dismessa nel 1958 anche se il tratto tra i comuni di Roana e Asiago è stato trasformato in un percorso ciclo-pedonale chiamato "La Strada del Vecchio Trenino" che interessa gli oltre dodici chilometri che vanno da località Campiello sino ad Asiago. Ma torniamo alla nostra escursione. Il percorso è un itinerario composto da 4444 gradini in pietra che unisce Valstagna, frazione del comune di Valbrenta, alla frazione di Sasso, nell’altopiano dei Sette Comuni. Questa è considerata tra le scalinate più lunghe al mondo e la sua pendenza che a tratti si avvicina al 40% si fa davvero sentire. Noi abbiamo percorso la scalinata in salita partendo da Foza (sopra Valstagna) fino a Sasso. La prima parte dell’itinerario è una pianeggiante strada sterrata che "taglia" la Val Venzela costeggiando il letto di un torrente e che, dopo quasi un chilometro, arriva alla base della scalinata. Si segue il sentiero 778 verso Calà del Sasso mentre il percorso di gradini è lungo circa 2,5 chilometri all’ombra del bosco, scalini disomogenei, non tutti della stessa altezza, e alcuni scivolosi a causa del muschio e dell’umidità che richiedono la massima attenzione. Il tracciato prosegue verso la Volta de Majo dove si trova una vasca di approvvigionamento idrico realizzata durante la Prima Guerra Mondiale. 
Andando avanti si incontra la Valle delle Fiorentine punto in cui il sentiero comincia a stringersi sempre più tra le pareti di roccia a cui segue un’altra ripida salita. Si continua sempre salendo fino ad arrivare ad una piccola cappella dedicata a San Antonio Abate (loc. Santantòni). Di tanto incrociamo delle sculture in legno. Dopo alcune curve si arriva al pianoro di Lobba in località Evina a Sasso di Asiago dove ci concediamo una pausa in uno dei gazebo in legno allestiti. Per scendere nuovamente a Valstagna preferiamo fare l'anello seguendo il sentiero 778b che si imbocca da Contrada Mori – Mörar (mt 965) e si snoda nel bosco in discesa. Non ci sono gradini in questo sentiero ma in alcuni tratti bisogna fare attenzione perché è molto ripido e le radici degli alberi possono trasformarsi in un ostacolo imprevedibile. Questo sentiero, lungo circa due chilometri, si ricongiunge più o meno a metà del percorso col sentiero 778 sino a raggiungere il punto di partenza.

Domenica 10 settembre -  L'Aquila di Vaia, opera maestosa creata per dimenticare la tremenda catastrofe che ha abbattuto interi boschi il 29 ottobre 2018 anche sulla piana di Marcesina, è l'ultima opera di Marco Martalar e si trova in località Barricata, nel comune di Grigno (Trento). L'artista ha impiegato 1800 viti, 100 metri di tavole e murali in larice coperti con 1500 pezzi di radici e altro materiale raccolto nel raggio di un chilometro. Raggiungiamo il rifugio omonimo, dove ci fermiamo a pranzo con i piatti tipici accompagnati dall'immancabile polenta, salendo dalla strada per Enego. Dal rifugio si arriva all'Aquila con una breve camminata lungo un comodo sentiero. Marco Martello in arte Martalar trae ispirazione dai boschi e dalla forte natura dell’Altopiano di Asiago dove vive e lavora. Pini, faggi e larici  scendono dal versante fin quasi dentro al suo laboratorio posto a Mezzaselva di Roana, mentre rami e radici riprendono vita nelle sue mani... Meta finale della giornata è il Monte Lisser (mt 1633), una delle ultime montagne collocate nella parte orientale dell'Altopiano dei Sette Comuni, sulla cui sommità tra il 1911 e il 1914, viene edificata una fortezza a protezione del vecchio confine di Stato.

Superato il tratto boschivo si giunge in prossimità dei grandi pascoli che cingono il monte: il percorso, dopo località Làmbara, permette di spaziare visivamente verso sud con vista sulla sottostante frazione di Stoner e sul Monte Grappa. Raggiunti i ruderi delle ex caserme che ospitavano la guarnigione del forte, ad ovest spicca il massiccio delle Melette. Continuando in notevole salita si raggiunge la vetta. Da quassù è possibile ammirare uno dei panorami più belli dell'intero Altopiano con la vista che si apre anche verso nord con la Piana di Marcesina e la catena montuosa Cima Dodici-Ortigara. D’obbligo visitare il Forte Lisser, recentemente restaurato. Denominato da Emilio Lusso il Leone dell'Altopiano, rappresenta una tra le più belle e meglio conservate fortezze delle montagne venete e trentine. La struttura faceva parte dello sbarramento Brenta-Cismon ed aveva il compito di chiudere l'accesso alla Valsugana orientale in caso di attacco nemico. Tuttavia, data la distanza dal fronte, come i dirimpettai Forte Cima Lan e Forte Cima Campo, all'inizio del conflitto fu in parte disarmato. Nel maggio 1916 durante l'offensiva di primavera, fu parzialmente riarmato con delle batterie posizionate all'esterno della fortezza che aprirono il fuoco contro le truppe imperiali (2 giugno 1916). I tiri troppo corti, come scrisse anche Emilio Lussu nel suo libro di memorie “Un anno sull'Altipiano”, colpirono però le linee italiane. La fortezza venne danneggiata pochi giorni dopo, l'8 giugno, quando venne centrata da alcuni colpi da 305 mm. Con la fine dell'offensiva e il ritiro delle truppe austroungariche su posizioni più arretrate il forte si trovò nuovamente distante dal fronte. Il 13 novembre 1917 durante la seconda battaglia delle Melette, scatenatasi in seguito ai fatti relativi allo sfondamento dell'Isonzo (disfatta di Caporetto)

Forte Lisser fu occupato dal III Battaglione dell'81º Reggimento fanteria austroungarico senza trovare alcuna resistenza in quanto gli italiani lo avevano abbandonato poche ore prima. Rimase in mano degli imperiali che lo utilizzarono come deposito munizioni e materiali fino alla fine della Prima Guerra Mondiale. 

La maestosità delle montagne e l’immensità dei cieli fanno da sfondo e cornice a mura silenti, venendone nel contempo snaturate e violate, dove l’erba e i boschi hanno riconquistato a fatica i loro spazi. Cominciata in nome di grandi emozioni e di grandi ideali, la guerra grande per antonomasia fu la prima guerra totale, l’incubazione dei fantasmi del Ventesimo secolo, che queste cattedrali della guerra di artiglierie sembrano a modo loro incarnare. E questi custodi, oggi muti, del silenzio sembrano evocare per contrasto i micidiali scoppi che diedero inizio al secolo e tornarono più volte a dilaniarlo (Antonio Gibelli)