La Riserva Naturale Torbiere del Sebino è un area naturale ubicata sulla sponda meridionale del lago d'Iseo che costituisce la zona umida più significativa per estensione ed importanza ecologica della provincia di Brescia. Si tratta di una piccola area di 360 ettari composti prevalentemente da canneti e specchi d’acqua circondati da campi, strade e abitazioni, e comprende le Lame (una distesa di canali e vasche di acqua profilati da argini nella parte meridionale del lago d'Iseo, caratterizzata dalla presenza di fitti canneti e vegetazione molto varia risultato dell’escavazione di un giacimento torboso), le Lamette (una sorta di acquitrino che si trova proprio a diretto contatto con il lago d'Iseo tra i paesi di Iseo e Clusane), alcune vasche, risultato degli scavi di depositi argillosi profonde fino a 10-15 metri e dall’aspetto più limpido, in alcune delle quali è tuttora permesso pescare, alcuni prati e coltivi adiacenti. A seguito della comparsa del lago d'Iseo, avvenuta sul finire dell'ultima era geologica, il Quaternario, compresa fra settantamila e diecimila anni fa e del progressivo ritiro delle acque a sud del Sebino rimase una depressione paludosa intermorenica caratterizzata da distese acquitrinose.Nei successivi millenni l'abbondante vegetazione cresciuta permise la crescita di uno spesso strato di torba il quale andò via via sostituendosi all'acqua trasformando la zona in un'estensione di prati umidi. Verso la fine del Settecento, scoperto che la torba, una volta essiccata, aveva una resa calorica superiore alla legna si incominciò l'estrazione massiccia da utilizzarsi come combustibile. La torba divenne col passare degli anni un materiale prezioso per l'economia della zona dato che era in grado di sostituire quasi completamente l'utilizzo del carbone. Prima dell'avvento del petrolio e dell'energia elettrica veniva infatti utilizzata per molteplici scopi, nelle filande, nelle fornaci, ad uso domestico e in alcuni casi anche per alimentare i treni della linea ferroviaria Brescia-Iseo-Edolo questo fino alla prima guerra mondiale. La riduzione dell'interesse verso questo combustibile e la completa trasformazione di flora e fauna della zona portarono intorno al 1950 all'abbandono delle attività estrattive della torba e negli anni Settanta si istituiscono i primi vincoli di salvaguardia ambientale che oggi ci permette di ammirare un paradiso di inestimabile valore faunistico. Le specie che lo popolano sono diverse decine, dalle residenti alle migratorie che ogni anno fanno della riserva il loro punto di appoggio. Il cigno reale, che con le sue movenze eleganti e gentili fa sempre un bell’effetto e poi gli aironi, i cormorani, il germano reale...Durante la passeggiata non è stato difficile avvistarli.
Completato il percorso naturalistico andiamo a visitare il Monastero di San Pietro in Lamosa, un gioiello medievale nel cuore della Franciacorta. Fondato su un rialzo roccioso che domina le Torbiere e legato anche nel nome (Lamosa) alla natura paludosa dei luoghi, il monastero è il più antico delle fondazioni cluniacensi del Sebino. Nel 1083 Ambrogio e Oprando de Tocingo donano ai monaci dell'ordine di Cluny la chiesa romanica del casato. Il 1535 è un anno cruciale per la storia del monastero visto che vengono poste le basi per il cambio di gestione dell’intero complesso che passa dalla dipendenza dell’abbazia di Cluny alla congregazione dei Canonici regolari di S. Salvatore di Brescia. Verso la fine del Settecento, dopo alterne vicende storiche, il cenobio passa di proprietà alla famiglia Bergomi. Il complesso religioso è oggi quasi interamente in possesso della comunità provagliese. Il monastero è costituito dalla
navata centrale (ampliata all’incirca
a metà del sedicesimo secolo), da quella
laterale a nord con quattro cappelle e dall’imponente campanile. A
sud della chiesa si trova l’elegante
chiostro bianco. La navata maggiore termina con un coro ad abside
fiancheggiato da due altari barocchi
insediati in due absidiole. In parte,
sono stati recuperati nel tempo gli
affreschi che ornano la chiesa, alcuni dei quali rivelano le influenze
del Gambara, del Foppa e del Romanino. Pregevole il ciclo di affreschi dell’Historia salutis (XV-XVI secolo) nell’attiguo oratorio di Santa Maria Maddalena. L’abbazia ci appare come un luogo
di quiete capace di effondere una
singolare pace interiore. Uscendo
dalla chiesetta, solleviamo lo sguardo e rimaniamo sovrastate dalla Balöta del Coren (mt 611), un pinnacolo roccioso sul quale sorge una panoramicissima croce bianca che si staglia nel cielo
blu e, poco più in basso, dalla cinquecentesca chiesa della Madonna del Corno che sorge su una parete a strapiombo.
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