martedì 12 novembre 2019

Il Castello di Sabbionara d'Avio (TN) - domenica 10 novembre

Sullo sperone roccioso del Monte Vignola a dominare la bassa Vallagarina, maestoso si erge il Castello di Sabbionara d'Avio. Le prime fonti storiche, il Castellum Ava, sono datate 1053 e la sua posizione sovrasta le lunghe arterie moderne che non fanno che ripercorrere il medesimo tracciato dell'antica via Claudia Augusta che attraversava la valle dal 15 d.C. Nel dodicesimo secolo i signori del castello appartenevano alla famiglia dei Castelbarcovassalli del vescovo di Trento, i quali nel 1411 lo cedettero ai veneziani che lo ampliarono con una cappella in onore di San Michele. Nel 1509 il maniero passò in mano alle truppe imperiali di Massimiliano I che, dopo aver fatto dipingere le proprie insegne araldiche, lo ipotecò ai Conti d'Arco finché, nel diciassettesimo secolo, il castello ritornò ai Castelbarco fino al 1977 quando Emanuela di Castelbarco Pindemonte Rezzonico lo donò al FAI. Raggiungiamo la torre d'ingresso in una frizzante giornata di sole lungo un sentiero acciottolato che si snoda tra vigneti e slanciati cipressi. Il castello è costituito da tre cinte murarie che circondano a guisa di corona l'insieme del sistema difensivo e può vantare cinque torri tra cui quella detta picadora utilizzata fino al XVIII secolo dove venivano eseguite le condanne capitali ben visibili in lontananza a monito dei sudditi.
Si narra che vi sia stata rinchiusa anche Maria Bertolotti Toldini accusata di stregoneria nel 1716. Il suo perimetro irregolare eppure armonioso segue il dislivello della roccia. Dentro le mura le vie sono delimitate da muri, terrazzamenti, passaggi coperti e torri aperte più funzionali agli scopi difensivi. La strada di accesso costeggia un lungo tratto della cinta muraria dove, a mezza altezza, si scorgono le tracce di un antico primo ordine di merli. Attorno al potente mastio, risalente all'anno Mille, si trovano numerosi edifici tra cui la Sala delle Guardie, decorata con splendidi affreschi realizzati tra il 1350 e il 1360, spettacolare testimonianza delle strategie militari dell'epoca, la Cappella, nella parte più antica del castello il Palazzo Baronale fatto scoperchiare nel 1812 da Carlo Ercole Castelbarco per evitare che venisse tassato, e la Camera dell'Amore all'ultimo piano del mastio. Il mastio, dalle pareti spesse quasi due metri, è di pianta trapezoidale con due lati retti e paralleli che si uniscono ad altri tre lati disuguali e curvilinei, una struttura particolarmente rara in edifici simili. Suddiviso in quattro piani, raggiungibili tramite una scala in legno costruita negli anni '50, alla sua sommità è presente la celebre Camera dell'Amore con affreschi trecenteschi che celebrano l'amor cortese. Da una delle sue finestre il colpo d'occhio sulla vallata è eccezionale. A conclusione dell'interessante visita guidata ci aspettano le castagne e il vin brulè offerte dal FAI.

martedì 15 ottobre 2019

Il Sentiero dei Grandi Alberi: semplicemente emozionante (domenica 13 ottobre)

L'autunno è la stagione in cui gli alberi danno spettacolo con la colorazione delle foglie che dal giallo si accende nel rosso e nell'arancio, si perde nelle fantastiche sfumature di prugna e viola per poi imbrunire verso il marrone, mescolandosi alle decise tinte delle conifere sempreverdi e trasformando il panorama in una tavolozza di stupefacenti colori. L'alta valle di Agno, su cui si affacciano le Piccole Dolomiti, ne accresce la bellezza mentre giungiamo a Recoaro Mille in una splendida giornata di sole. Da qui parte il Sentiero dei Grandi Alberi (Cai 120) uno dei più emozionali percorsi escursionistici dell'alto vicentino che si estende per quasi 18 chilometri dal piccolo pianoro delle Montagnole, ai piedi del gruppo delle Tre Croci (mt 1006), sino al Rifugio Battisti a quota 1265 metri. Si procede dal grande parcheggio sottostante il Ristorante Castiglieri, un breve tratto stradale e poi la decisa svolta a sinistra dentro un tracciato boschivo dal forte odore piovigginoso, che sale dolcemente sino a raggiungere il primo dei patriarchi vegetali: un tiglio centenario acciaccato ma fiero.
Accanto uno dei venti interessanti pannelli didattici che incontreremo sul lungo cammino. Si continua in altezza sino ad uscire sulla bella conca di Pizzegoro a 1019 metri che si apre su ampi pascoli e malghe intervallati da frange boschive. In un continuo sali scendi raggiungiamo malga Anghebe a 1060 metri, un pianoro panoramico rosseggiante e intorno la splendida cornice delle Piccole Dolomiti: a semicerchio possiamo ammirare l'intera catena delle Tre Croci, da cima Marana a monte Falcone mentre in alto fa capolino la cima principale del gruppo del Carega. Semplicemente emozionante. Qualche breve sosta mentre superiamo a metri 1080 malga Podeme, poco oltre sulla destra c'è il laghetto Sea del Risso. Si attraversano in piacevole sequenza malga Raute, malga Pace e malga Rove Alta a metri 1180, nel frattempo il meteo è mutato, il sole scomparso lasciando spazio alla nebbia quando arriviamo dopo breve salitella al bivio col sentiero 121 che sale a Passo Ristele e al sentiero di arroccamento costruito in epoca pre bellica per rafforzare le linee difensive italiane. Continuiamo nel bosco seguendo la carrareccia che si riduce ad un sentiero interrotto in due punti da una frana di ghiaia e sassi staccatesi a monte di un vajo lo scorso agosto 2018, attraversandolo con cautela. Si riprende un'ampia mulattiera militare, tra le trincee di guerra e i grandi vaj che scendono dal monte Zevola, sino ad incrociare visivamente la livrea rosa dell'affollato Rifugio Cesare Battisti (mt 1265) che emerge letteralmente dalla nebbia. E' d'obbligo una fermata: polenta, formaggi e dolci della casa sono un piacevole intermezzo mentre fuori l'orchestra della città di Valdagno si esibisce in temi musicali nonostante la bruma riduca di parecchio la visibilità. Da qui il  tranquillo ritorno sullo stesso percorso.

PARTENZA: Recoaro Mille (mt 1006)
SEGNAVIA: Cai 120
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 260
ALTITUDINE: mt 1265
LUNGHEZZA: km 18 (a/r)

mercoledì 9 ottobre 2019

La Strada del Prosecco a Valdobbiadene (5-6 ottobre)

E dove non è vino non è amore; né alcun altro diletto hanno i mortali (Euripide)
Preziosa è l'uva con i suoi acini, turgidi e zuccherini, frutto dorato di una terra dolce e sinuosa che rosseggia ai clamori dell'autunno, nettare dolcissimo di questa zona proclamata a giusta ragione Patrimonio Mondiale dell'Umanità Unesco. Valdobbiadene è caratterizzata da una particolare conformazione geomorfologica costituita da una serie di rilievi irti e scoscesi intervallati da piccole valli parallele tra loroNei secoli l'uomo ha modellato le ripide pendenze creando in questo modo un paesaggio "a mosaico" sia nelle forme che nella composizione rimasto sostanzialmente lo stesso nonostante l'evoluzione tecnica e agraria. In questa terra meravigliosa "nasce" il proseccovino a denominazione di origine controllata e garantita (DOCG) prodotto unicamente sulle colline dell'alta provincia di Treviso tra i 150 ed i 350 metri di altezza mentre la lingua di terra compresa tra San Pietro di Barbozza, Santo Stefano, Follo e Saccol è la zona d'oro del Cartizze, il cui perlage delicato e armonioso al palato lo rende perfetto in ogni occasione. Occasione che diventa anche nostra in questa due giorni che riesce ad abbinare sapientemente cultura estetica e gastronomica.
E miglior sede non poteva essere scelta: l'Hotel Vecchio Municipio (Borgo Berti, 6) dalle storiche origini visto che fu inaugurato nel 1815 come sede comunale di San Pietro di Barbozza e, dopo alterne vicende, trasformato in un delizioso albergo che spazia visivamente sui sottostanti vitigni. Sabato 5 ottobre il nostro viaggio inizia a Cison di Valmarino e con la funicolare dal borgo saliamo allo splendido Castelbrando per cinque secoli assoluto dominio della famiglia Brandolini e oggi riqualificato in lussuoso albergo. La brava guida Angela accompagna i nostri passi tra le molteplici sale del castello attraverso le diverse aree museali, le mostre iconografiche e le esposizioni tematiche. Riprendiamo la Strada del Prosecco non prima della sosta pranzo al Biorka Bar, riportandoci verso Follina e la sua meravigliosa Abbazia di Santa Maria abbracciata da un cielo perfettamente azzurro. I primi documenti risalgono al 1127 ma è con l'ordine cistercense e una serie di ricche donazioni che raggiunge l'apice dello splendore nei tre secoli successivi. Nella navata di destra si erge il pregevole Crocifisso ligneo seicentesco, mentre nella navata opposta l'affresco di Francesco da Milano "Madonna con bambino e due santi". Da una porticina sulla navata destra usciamo nel bellissimo chiostro del Duecento con al centro la tradizionale fontana monolitica. Manteniamo a vista la superba visione collinare mentre ci muoviamo verso Villa Brandolini, elegante residenza settecentesca nel cuore di Solighetto. Bellissimo l'ampio loggiato, la scalinata che fa da ponte alla provinciale e il grande parco con fontana regno incontrastato di una miriade gatti, sembra siano della custode. Da qui si punta in direzione del castello di Collalto, o meglio dei suoi ruderi. Nel 1312 il conte Rambaldo VIII ottiene piena giurisdizione sulle contee di Collalto e San Salvatore legittimando così il casato dei Collalto all'autorità imperiale.
Abbazia di Santa Maria a Follina
Nel 1806 Napoleone Bonaparte abolisce l'organizzazione feudale e per il feudo inizia un declino inesorabile. Collalto durante la Grande Guerra si trova sotto il tiro incrociato delle artiglierie e del maniero rimane ben poco, i resti della torre principale, parti delle mura e la bella porta principale il tutto avvolto in un rispettoso silenzio. Anche la vicina chiesa di San Giovanni è chiusa quindi ci riportiamo sulla provinciale in direzione Villa Maria (Via San Francesco, 15) antica casa di caccia padronale e oggi importante cantina. La famiglia Panigai affonda le radici nel lontano 1080 e viene elevata al rango di Conti con i feudi nella bassa friulana nel 1250. Un ramo della famiglia nobiliare si insedia a Farra di Soligo dove si srotolano filari di viti e fruttifera il futuro prosecco, attività di vignaioli portata avanti dai suoi discendenti.
 E ora fidati del tuo palato: coccolalo il più delle volte, educalo con pazienza e perseveranza e non dimenticarti di dargli, qualche volta, anche delle botte vicine al disgusto. Diventerà la tua guida più influente, l’unica della quale potrai sempre fidarti tra mille meravigliose bollicine che spezzano armoniosamente il nettare dorato racchiuso in quel fragile cristallo tra dita accarezzanti...E mentre l'orizzonte vela di rosso la terra trevigiana la giornata si consuma nelle sale della Trattoria Alla Cima (Via Cima, 13) di San Pietro di Barbozza. Una cucina che propone una rivisitazione moderna delle ricette tipiche, ma sempre con una scelta accurata dei prodotti di eccellenza del territorio. 
Castello di Collalto
Domenica 6 ottobre , dopo il sabato "turistico" la domenica è concentrata sull'escursione dalla lunghezza di nove chilometri che da San Pietro di Barbozza porta a Santo Stefano per poi scendere a San Giovanni risalendo località Saccol attraverso vigneti, spogli sì delle uve ma nell'infinito abbraccio dei tralci. Della bella camminata sono da menzionare il passaggio dal Convento dell'Immacolata di Lourdes, la successiva irta salita boschiva all'Eremo di Sant'Alberto, antico luogo di culto e meta di pellegrinaggi e la secca discesa lungo una traccia sassosa (sentiero 1014) sino alla sottostante provinciale a due passi da Santo Stefano. Da qui attraverso le vigne della tenuta Val d'Oca e un breve asfalto si raggiunge Cà Salina (Via Santo Stefano, 2), dove abbiamo prenotato la visita enologica. Gregorio Bortolin con la sua famiglia porta avanti tra esperienza innovativa e spirito più genuino, la cultura sapiente della vite e del suo territorio.
In escursione...
E dopo la spiegazione tecnica arriva l'attesa degustazione. Intorno tanti rotondi sorrisi. Non sappiamo come ma riusciamo a continuare la camminata tra infiniti vitigni, una breve sosta alla famosa Osteria senza Oste 
di Santo Stefano, scollinando spesso mentre il cielo si trova avvolto da feroci nuvoloni. Infine si risale seccamente  Via Piander, presenti in loco tracce della Grande Guerra, sino a San Pietro di Barbozza dove ci concediamo un ultimo prosecco alla Osteria alla Terrazza soffermandoci ancora una volta sull'impareggiabile bellezza secolare di queste colline di Valdobbiadene.

lunedì 19 agosto 2019

Le cascate del Bucamante, appennino modenese (domenica 18 agosto)

Cascate del Bucamante
Verdissime in estate, rosse e arancioni in autunno, le colline modenesi riempiono la vista in tutte le stagioni. Ospitano i vigneti da cui nasce il Lambrusco Grasparossa, nascondono borghi storici e, quando meno te lo aspetti, svelano paesaggi ancora più particolari che nulla hanno da invidiare alle vicine cime toscane. Le cascate del Bucamante, che rappresentano uno degli itinerari più belli e suggestivi di queste colline, sono formate dal più importante affluente del torrente Tiepido, il Rio Bucamante, che nasce nell'impervia gola fra il monte di Monfestino ad occidente e il monte di Cornazzano ad oriente. Il territorio boschivo, calcareo per la concrezione di carbonato di calcio che col tempo si va a trasformare in travertino, rappresenta un ecosistema molto particolare contraddistinto da una rigogliosa vegetazione tipica di un ambiente umido e ricco di acqua, composta da peonie, felci, edera e vitalba le cui liane rendono ancor più impenetrabile - e affascinante - la boscaglia. Le origini della cascata derivano dalla leggenda di Odina e Titiro. Odina era la figlia dei signori di Monfestino mentre Titiro un semplice pastore di pecore. Un giorno, nei pressi del torrente, i due giovani si incontrarono e innamorarono. Ben presto però i genitori di Odina scoprirono la loro relazione e rinchiusero la ragazza nella torre del castello. Riuscita a fuggire, Odina ritrovò Titiro nei pressi della cascata ma sentendosi braccati dai soldati, decisero di lanciarsi in un ultimo eterno abbraccio nelle acque del ruscello.
Castello di Monfestino
Da quel momento si formò una buca proprio sotto alla cascata che prese appunto il nome di Buca degli Amanti, Busamante in dialetto emiliano.
Per arrivare alle cascate del Bucamante raggiungiamo la piccola frazione di Granarolo (Serramazzoni) a 457 metri di altezza, il cui nome risale probabilmente a un antico granaio. Zaini in spalla e via lungo il comodo sentiero CAI 480 che raggiunge un bivio chiuso da una sbarra, il sentiero Odina, che scende sino a raggiungere il rio Bucamante. Ora il sentiero segue in leggera salita il placido letto del torrente tra caratteristiche cascatelle mentre la gola diventa progressivamente sempre più stretta e il bosco rigoglioso. Poco dopo si raggiunge un ponticello che conduce verso la cascata Muschiosa  e le cascatelle le Travertine con le caratteristiche vaschette naturali.  Dopo aver osservato le due cascate si scende al salto principale che ha un'altezza di 18 metri ed è a forma di anfiteatro, appunto denominato "Buca degli Amanti". Visto che il borgo medievale di Monfestino con il suo bel castello non è lontano - purtroppo non visitabile perché privato - seguiamo le tracce bianche-azzurre in ripida salita sfociando su un grande prato dove scopriamo una splendida balconata naturale affacciata sui dolci rilievi appenninici, base di lancio di parapendio, e la presenza di molti appassionati di questa disciplina. La sosta panino è la miglior scusante per osservare da vicino la minuziosa preparazione della vela, l'attesa del vento, lo spiccare nel vuoto sottostante, quasi noi stesse partecipi del volo. Il sole caldo e la piacevole brezza sono complici del nostro bivacco ma bisogna rompere gli indugi, ora ci aspetta il castello di Monfestino le cui origini sono molto antiche, forse riportabili al XI secolo. Il paese costruito sopra uno sperone, per la sua posizione strategica, dominava tutta la vallata del fiume Tiepido. Durante il Medioevo il castello divenne la dimora di importanti famiglie feudatarie, i Balugola, poi i Savignano sino ai primi del Quattrocento, i Contrari e in ultimo i Boncompagni prima del dominio napoleonico, per perdere nel tempo la sua posizione strategica rispetto al neonato borgo di Serramazzoni. A inizio '900 il castello viene recuperato dalla famiglia Corni che ancora oggi ne detiene la proprietà. Oltre ad ammirare le possenti mura e le rotonde torri del castello, è possibile anche visitare la piccola chiesetta risalente al XIV secolo dedicata ai santi Faustino e Giovita.
Il ritorno a Granarolo lo si percorre a circolo sull'ampia e ripida mulattiera del sentiero Titiro che ci riporta al punto di partenza.
PARTENZA: Granarolo mt 457
SEGNAVIA: Cai 478
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 360
ALTITUDINE: mt 820
LUNGHEZZA: km 7,3

martedì 23 luglio 2019

Il lago di Tovel e il Sentiero delle Glare (domenica 21 luglio)

lago di Tovel
Affacciata sulla Val di Non e circondata dall'imponente circo roccioso delle Dolomiti di Brenta, la Val di Tovel rappresenta l’estremità nord-orientale del Parco Naturale dell’Adamello Brenta. A 1178 metri di altezza si trova il Lago di Tovel, il più grande lago naturale del Trentino, meta della nostra escursione. Ma per gustare appieno il percorso lacustre, meglio lasciar perdere la navetta che parte dal parcheggio dell'Albergo Capriolo a quota mt 800, oggi brulicante di persone, decidendo di affrontare in salita il Sentiero delle Glare che permette di godere di paesaggi e scorci che altrimenti sfuggirebbero veloci. Imbocchiamo il comodo sentiero che si immerge subito nelle fitte abetaie lasciando alle spalle voci ormai lontane. Percorso il primo chilometro si apre lo spettacolo dei laghetti effimeri, piccoli specchi d'acqua che si formano dopo le piogge estive che andranno a prosciugarsi via via che si va verso l'inverno. Un breve tratto piano - alla nostra destra c'è un campo di tamburello - e poco oltre si entra nella vera zona delle Glare. Il paesaggio muta radicalmente e il sentiero, ora più tortuoso, si insinua tra le rocce frutto di un'antica imponente frana dando al paesaggio un aspetto quasi lunare. E' incredibile notare gli sforzi della vegetazione che nonostante la gigantesca petraia, riescono a districarsi e a crescere rigogliosa tra le rocce.
i laghetti effimeri
Il sentiero sale seccamente sino ai mille metri, poi rientra in piano nella silenziosa selva sino alla congiunzione con l'asfalto della provinciale 14, in località Croce di Massimiliano, che attraversiamo recuperando immediatamente il percorso boschivo, percorso ovviamente ben segnalato e in costante salita tra secche graditane e bellissimi ponticelli di legno che oltrepassano il torrente Tresenica. Lasciando alla nostra destra il sentiero verso malga Tuena, procediamo in ripida salita l'ultimo tratto caratterizzato da tornanti e dai rimbrotti di un temporale in arrivo. Ancora un piccolo sforzo e ci troviamo nel parcheggio dello Chalet Tovel, accanto un pannello informativo della vallata. Una decina di metri oltre la stanga che delimita l'inizio del periplo del lago ed ecco una piccola insenatura che scende verso la riva, splendida nonostante il cielo sembra incaponirsi a rimanere minaccioso. La sosta panino è allegra e per qualcuna diventa l'occasione per immergersi nelle fresche acque del lago. Il lago di Tovel è famoso come lago rosso
 per il caratteristico arrossamento che avveniva nelle sue acque in seguito alla fioritura di un'alga conosciuta col nome di Tovellia sanguinea, fenomeno che si verificava nei caldi mesi estivi. L'ultimo arrossamento del lago si verificò nell'estate del 1964, anche se qualche cenno del fenomeno si ripresentò negli anni successivi.
il Sentiero delle Glare
Si è data la colpa principalmente al cambiamento climatico di questi ultimi decenni ma r
ecenti studi condotti a partire dal 2001 nell'ambito del progetto SALTO, Studio sul mancato arrossamento del Lago di Tovel, finanziato dalla provincia autonoma di Trento, hanno stabilito che la sparizione del fenomeno dell'arrossamento sia dovuta alla mancanza del carico organico (azoto e fosforo) proveniente dalla transumanza delle mandrie di bovini che pascolavano nei pressi del lago. Queste sostanze, confluendo nel lago, contribuivano in maniera determinante alla fioritura di questa alga. Dagli anni Sessanta il cambiamento della gestione degli animali in malga e la quasi totale scomparsa delle greggi che soggiornavano nei pascoli alti spiegano la diminuzione dell'apporto di questo carico organico e quindi la cessazione del fenomeno dell'arrossamento. Finalmente torna il sole e una parte del gruppo decide il percorso circolare del lago lungo un bel sentiero, inizialmente comodo e ampio, sulle acque smeraldine del lago, acque ricche di diverse specie di pesci, come il salmerino alpino e l'alborella cisalpina ma anche di alcuni esemplari di biscia del collare, un serpente non velenoso. A metà del lago il sentiero diventa stretto e impervio, è la parte di riva più rocciosa del lago, e si affronta con ponticelli e scalini e in alcuni tratti anche con l'aiuto di un cordino metallico, per poi tornare pianeggiante a compimento del periplo lacustre. Una birra insieme conclude la bella escursione.                          


PARTENZA: Albergo Capriolo (mt 800)
SEGNAVIA: Sentiero delle Glare
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 420
ALTITUDINE: mt 1178
LUNGHEZZA: km 6 (+ 3,5 km giro lago)        

lunedì 1 luglio 2019

Tre marmotte sulla Via degli Dei (23-29 giugno)

Sul crinale tra Setta e Savena gli Etruschi percorsero per almeno quattro secoli (VII-IV sec. a.C.) un antico percorso che congiungeva Fiesole con Felsina. Poi i Romani costruirono nel 187 a.C. una strada denominata Flaminia Militare tra Bononia (Bologna) ed Arretium (Arezzo), la cui esistenza ci è unicamente tramandata da Tito LivioL'antica pastorizia muoveva persone e animali da un versante all'altro, da qui transitavano merci e mercanti prima che la ferrovia e l' autostrada li rendessero vicoli ciechi. Questa è la Via degli Dei, un meraviglioso viaggio alla ricerca di un mondo perduto e di luoghi dimenticati.
Programmato nella testa e nel cuore già da qualche mese, alla resa dei conti ci ritroviamo solo in tre, io (Daniela), Maria Pia e Fiorella appassionatamente intente alla preparazione dei nostri zaini (per portarsi tutto l'indispensabile un 50 litri è più che sufficiente). Sono tanti i motivi per cui si può decidere di fare la Via degli Dei. Tanti e tutti rispettabili. Ma i presupposti reali per cui affrontiamo questa esperienza li scopriremo solo durante il cammino. Per ora non dimentichiamo di portare con noi la gioia della scoperta e la capacità della meraviglia, lasciando a casa l’ansia del controllo e la paura di perderci. La partenza (domenica 23 giugno) è dalle morbide campagne di Sasso Marconi. Da qui si entra nella riserva naturale del Contrafforte Pliocenico risalendone il boscoso versante settentrionale, una paretona rocciosa che con le sue solide falesie fa la gioia di molti appassionati di arrampicata. Superato l’abitato di Badolo, il sentiero si sposta sul crinale del Contrafforte regalando dei magnifici panorami sulla valle del Reno e sulla parete di roccia. La vista più bella e coinvolgente si ha sulla cima del Monte Adone (mt 654), punta più alta della riserva, con i suoi pinnacoli di arenaria, i crepacci e le pareti verticali che dominano il paesaggio. I panorami si manifestano in tutta la loro bellezza accompagnati dal frinire delle cicale durante le calde giornate e la presenza delle lucciole nella notte. Dopo aver attraversato le prime campagne a monte di Monzuno, il sentiero si addentra in un piccolo bosco di carpini e, successivamente, in un bel castagneto dove è possibile ammirare qualche bella pianta secolare.
Una volta raggiunto il crinale, con la gigantesca torre di telecomunicazioni, il percorso continua su una forestale fino a Madonna dei Fornelli (mt 798) che regala ampie vedute sulle vallate adiacenti, e il passaggio sotto le pale eoliche di Monte Galletto. Adesso si sale di quota e si assiste ad un cambiamento del paesaggio circostante che diventa decisamente appenninico ma il nostro passo, al riparo nel fresco boscoso, ci permette di raggiungere tranquillamente il Passo della Futa a 903 metri. Oltre al piacere che solo una camminata nel verde di una foresta riesce a dare, abbiamo trovato diversi tratti di antiche pietre del selciato, alcune perfettamente conservate, della millenaria Flaminia Militare. Dal Passo della Futa andiamo a seguire il sentiero di crinale (lo “00”) in direzione del Passo dell’Osteria Bruciata. L’ambiente circostante è quello tipico a queste altezze, con ampi faggeti e qualche radura di conifere. Lungo il percorso il panorama si apre più volte, sia sul versante emiliano che su quello toscano, con il Mugello e il lago del Bilancino sullo sfondo. Arrivati al Passo dell’Osteria Bruciata non si trova alcun resto dell’antica locanda ma solamente una grande lastra di arenaria, conficcata nel terreno, che riporta il toponimo del luogo e la sua macabra leggenda a cui è legato.
Ora l’itinerario prosegue in forte discesa e, dopo sei o sette chilometri di bosco, si sbuca nella campagna di Sant’Agata. Le indicazioni escursionistiche della Via degli Dei invitano a proseguire lungo una strada bianca in direzione di San Piero a Sieve. Appena due chilometri dopo, la strada diviene asfaltata e si trasforma in una grande sofferenza per i nostri piedi. Procedendo lungo l'asfalto si osserva il bel paesaggio agricolo e, in lontananza, riconosciamo il massiccio del Monte Falterona, nelle Foreste Casentinesi, dove nasce il fiume Arno. Raggiunta San Piero ci rendiamo conto che le nostre forze si sono esaurite a causa del caldo eccessivo e quindi di comune accordo si decide di rinunciare alla tappa finale di Firenze rientrando alla base stanchissime ma felici di questo incredibile cammino (sabato 29 giugno)Mi piace concludere con una frase di Paolo Coelho "Quando le tue gambe sono stanche, cammina con il cuore"
(Daniela)

lunedì 24 giugno 2019

La gola del Rastenbach, lago di Caldaro (BZ) - domenica 23 giugno

L'Alto Adige mostra il suo aspetto più ridente nel pittoresco paesaggio che si apre tra il Monte di Mezzo e la Mendola. Al centro di questa zona straordinaria, circondata da ampi boschi di conifere e faggeti, ecco la conca di Caldaro con l'omonimo lago, un territorio dove sono infinite le varietà di colori: dall'azzurro del lago alle grandi distese verdi di frutteti e vigneti, incredibili scenari naturali. E' sulle colline che sovrastano il lago, dove natura e storia si intersecano magnificamente, che si sviluppa l'itinerario della Rastenbachklamm, una meta escursionistica lungo il pendio del lago di Caldaro, con inizio dal Parkplatz Mullereck di Castelvecchio (Altenburg) dove parte il sentiero 11 in mezzo al bosco. Il sentiero in sé è un normale percorso di montagna per quanto riguarda la prima parte, poi si giunge all'inizio della gola dove ripide scalinate e strette passerelle quasi sospese sulle scoscese pareti dell'orrido, regalano un'esperienza davvero unica. La gola del Rastenbach, area gelosamente protetta, è nascosta dalle pieghe del terreno e dai boschi ed è caratterizzata da piccole cascate e da ombreggiati pendii, da alberi che profumano di edera e muschi e da suggestivi ruscelli.
Oltrepassato il Rastenbachklamm, sul sentiero 12, si arriva alle rovine della chiesa di San Pietro (St. Peter in Alterburg) a 589 metri d’altitudine, la cui cappella protocristiana, risalente al VI secolo d.C , vanta le più antiche vestigia del Tirolo. A ridosso della chiesa, scavate nella roccia, ci sono dieci "bacinelle" vecchie di circa 5000 anni che servivano per l'illuminazione ad olio. Procedendo verso nord, l'Alta Via di Caldaro, ci fermiamo al bellissimo belvedere che si affaccia sulla cittadina, sul lago, sulla Val d'Adige e sulla Val di Fiemme, successivamente il sentiero biforca e mentre una parte del gruppo scende su un tratto ripido in direzione del lago, l'altro prosegue in salita sino al parcheggio per poi raggiungere il resto della comitiva al Biergarten di Caldaro. Il lago di Caldaro (Kalterer See) non è solo il più grande lago naturale dell'Alto Adige ma anche la più antica zona DOC del vino Schiava e dell'ottimo Lagrein. A lungo dimenticati (soprattutto lo Schiava) e destinati a uso locale, oggi sono conosciuti e apprezzati anche dai non addetti ai lavori. Le origini del Lagrein affondano le proprie radici nella colonia greca di Lagara, mentre lo Schiava nasce nel lembo di terra stretto tra i fiumi Sava e Drava, in Croazia. In Trentino Alto-Adige hanno trovato il territorio perfetto e le Dolomiti proteggono fiere i vitigni delle proprie vallate dai freddi venti settentrionali, i laghi addolciscono il clima e la pioggia abbondante nutre la terra sabbiosa e poco profonda.
Il vitigno Lagrein cresce vigoroso e forte nel suolo ghiaioso della conca di Bolzano, dove il sole accarezza a lungo il terreno. La maturazione è tardiva e la vendemmia accurata avviene soltanto all'inizio dell'autunno e in cantina la pigiatura soffice lascia il posto a una doppia fermentazione che dura circa 15 mesi, periodo nel quale il Lagrein riposa nelle barriques di legno. Lo Schiava cresce sano, vigoroso e abbondante nel Sudtirolo.
Questo vitigno a bacca rossa, documentato già a partire dal 1490, dà vita a vini piacevoli, dal basso tenore alcolico e assai versatili nell’abbinamento. Lasciamo quanto mai interessate la Strada del Vino di Caldaro con il sapore e la ricchezza delle sue tradizioni.

PARTENZA: Castelvecchio (BZ) 
SEGNAVIA: 11-12-13
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 250
LUNGHEZZA: km 7,5

martedì 18 giugno 2019

Il Castello di Neuschwanstein e il sogno romantico di un Re (14-16 giugno)

Castello di Neuschwanstein
Il Tirolo austriaco meta ideale per gli appassionati di escursioni e natura, si snoda lungo paesaggi mozzafiato, costellati di alpeggi e rifugi, pennellati da laghi cristallini, boschi silenziosi e ghiacciai maestosi. E poi c'è la Baviera, appena oltre il confine, tra dolci colline alpine e vette ancora increspate di neve dove c'è un castello tanto fiabesco da affascinare Walt Disney che lo prese come modello per il suo celebre film di animazione "La bella addormentata nel bosco" (1959): il Castello di Neuschwanstein. Il fiume Lech che attraversa  il Tirolo e la Baviera meridionale per poi gettarsi nel Danubio, prima della frontiera austro-tedesco riceve le acque del Vils formando in area germanica la Lechfall, imperiosa cascata di dodici metri. Da qui passa anche l'antica Via Claudia Augusta risalente alla prima metà del I secolo d.C che metteva in contatto il porto adriatico di Altinun (Quarto d'Altino nel veneziano) con Augusta Vindelicum, l'attuale Augsburg, allora capitale della provincia romana della Rezia. Oggi è un importante percorso ciclabile in mezzo alla natura e ci accorgiamo che la bicicletta più che una passione sportiva è per i tedeschi uno stile di vita. Venerdì 14 giugnoEcco Fussen una graziosa cittadina della Baviera nota per la vicinanza al celeberrimo castello di Ludwig. Una storia millenaria alle spalle e un incantevole centro storico, già nel III secolo la posizione privilegiata di Füssen indusse i Romani ad edificare il loro accampamento militare “Foetibus” proprio sull’altura ora dominata dal castello, lHohes Schloss (Castello alto), la prima residenza estiva dei principi-vescovi di Augsburg e uno dei più antichi e meglio conservati complessi dell'età tardo gotica della Svevia con la sua corte pittoresca e gli splendidi affreschi trompe-l’oeil sulle facciate. Sotto il castello si trova il
Fussen
complesso 
barocco dell'ex monastero benedettino di San Magno (Sankt Mang) la cui storia risale al nono secolo. 
Nel 1562 i liutai di Füssen diedero alla loro corporazione un regolamento ufficiale, il più antico d’Europa, e fecero così della loro città la culla europea della costruzione di violini e liuti. Ora il monastero è diventato il Museum der Stadt Füssen e una significativa raccolta di strumenti musicali è esposta nelle sue sale. Passeggiare lontane dal rumore del traffico immergendoci nell’atmosfera della Reichenstraße, scoprire i pittoreschi vicoli e gustare le specialità gastronomiche nei ristoranti e nei biergärten, le tipiche birrerie all’aperto. Mentre la sera accende le luci della città posiamo un ultimo sguardo dal ponte di Lech verso lo splendido monastero seicentesco dedicato a Santo Stefano. Sabato 15 giugno. Di buon mattino dal Gutshof dove siamo alloggiate immerso nella campagna austriaca di Pinswang, si prende la strada che porta al castello di Neuschwanstein, nella tedesca Schwangau solo una decina di chilomtri a dire il vero. Dal basso il castello svetta in tutta la sua magnificenza, intorno una marea brulicante di...cinesi, nonchè una coda incredibile alle casse che noi evitiamo grazie alla prenotazione online. Saliamo a piedi sino ai 965 metri del favoloso castello fortemente voluto da Ludwig II di Baviera seguendo l'ideale romantico del paladino e ispirato alle saghe della tradizione germanica rivisitata dal genio musicale di Richard Wagner. Nel medioevo tre erano i castelli presenti su queste alture e uno di questi era il castello di Schwanstein.
Castello di Hohenschwangau
Nel 1832, il padre di Ludwig, Massimilian II di Baviera, comprò le rovine del maniero e vi fece costruire il neogotico
 Castello di Hohenschwangau con il suo colore ambrato che spicca tra l'Alpsee e le montagne circostanti. Quando il giovane Ludwig ascese al trono nel 1864 diede inizio alla costruzione del castello di Neuschwanstein sulle rovine degli altri due. Il re amava rimanere isolato dal mondo e questo luogo era diventato per lui un rifugio personale e tale doveva rimanere, ma dopo la sua morte fu aperto al pubblico desideroso di visitare quello che veniva considerato come un progetto fantasioso. Nel corso della visita al castello, dove è vietatissimo fare fotografie, alcuni ambienti si accendono di meraviglia come la Sala del Trono progettata da Julius Hofmann. I gradini di marmo di Carrara portano all'abside che doveva sovrastare un trono d'oro e d'avorio mai realizzato perché dopo la morte del re tutti i lavori previsti e non ancora realizzati non vennero portati a termine. I dipinti, opera di Wilhelm Hauschild, raffigurano fra l'altro i dodici Apostoli, sei re canonizzati ed episodi della loro vita. Al centro dell'abside si vede Cristo con Maria e con l'apostolo prediletto Giovanni mentre all'estremità della sala "La lotta di San Giorgio con il drago". In questo quadro, a sinistra sopra la roccia, si può vedere il quarto castello progettato dal re, la rocca di Falkenstein, la cui edificazione doveva iniziare nel 1886 ma nello stesso anno Ludwig morì e non se ne fece più nulla. Nel grande candelabro a forma di corona bizantina in ottone dorato sono inserite 96 candele. Per sostituirle e per pulire l'enorme candelabro era stato creato un apposito argano. Ludwig aveva una predilezione per le camere da letto sfarzose e quella realizzata a Neuschwanstein in stile tardo gotico è impreziosita da intagli in legno di quercia che si possono ammirare sul baldacchino del letto, sul lavabo, sulla colonna centrale e sulla sedia di lettura. Le tende, le tappezzerie e le coperte in blu bavarese, il colore preferito del re, sono ornate da ricami rappresentanti lo stemma della Baviera, il cigno ed il leone dei Wittelsbach. 
Ponte Marienbrucke
La finestra del balcone della camera da letto offre una magnifica vista sulla gola di Pöllath con la sua cascata di 45 metri, dietro la gola il massiccio del Säuling (2045 metri). Una delle stanze del castello riproduce, in maniera davvero realistica, una grotta con tanto di stalattiti e stalagmiti, da qui passando davanti al piccolo giardino d'inverno, si accede al Salotto reale costituito da un ampio salone principale e da una saletta, separata da colonne, soprannominata "angolo dei cigni". Il tema delle pareti murali è tratto dalla leggenda del Lohengrin. Ludwig abitò di rado in questa residenza e diverse parti del castello mostrano elementi architettonici incompiuti, poi nella notte del 12 giugno venne dichiarato pazzo dal Consiglio di Stato, arrestato e imprigionato nel castello di Berg e il giorno dopo, 13 giugno 1886, annegò nel lago di Starnberg a soli 41 anni in circostanze mai del tutto chiarite. Uscite dal castello in una ventina di minuti raggiungiamo il ponte Marienbrücke con la sottostante gola di Pöllat da dove si gode una vista spettacolare del complesso castellano. Domenica 16 giugnoSul ritorno in terra austriaca ci fermiamo allo straordinario complesso dei Castelli Ehrenberg (Burgenwelt Ehrenberg) che si innalza ad est della città di Reutte, formato da quattro edifici diversi: la fortezza Klause, le rovine della rocca Ehrenberg, la fortezza Schlosskopf e Fort Claudia e appartengono al più vecchio ed importante bastione storico del Tirolo settentrionale, punto strategico per il commercio tra nord e sud. Questa importantissima fortificazione, costruita nel 1296, custodisce tra mura silenziose ben 700 anni di storia, ruderi che bisbigliano di battaglie, di armi e cavalieri, emersi dall'oblio e dalla foresta per mostrarsi in tutta la sua bellezza eppure la maggior parte dei visitatori viene qui per percorrere l'Highline179 con i suoi 114 metri di altezza e 406 metri di lunghezza sino a dicembre 2014 nel libro dei Guinness come il più lungo ponte tibetano percorribile a piedi.
Highline179
Oggi non lo è più, sorpassato dall'Europe Bridge (494 metri) che si trova nello svizzero Cantone Vallese. Si può obiettare sull'azione impattante che quest'opera di ingegneria moderna può sollevare in un contesto ambientale ma la "passeggiata" sul ponte offre una visione a 360 gradi dello splendido scenario che si apre sulle Alpi tirolesi. Dopotutto l'Highline179, che prende il nome dalla statale che corre a fondovalle, collega semplicemente due parti del complesso storico, le rovine del castello di Ehrenberg con quelle di Fort Claudia quest'ultime raggiungibili con una breve camminata nel bosco. Fatti i primi passi sul ponte svanisce di colpo tutta la visione romantica del luogo impegnate come siamo a camminare diritte su una grata sospesa nel vuoto, che traballa di brutto ed è battuta da raffiche di 
vento! Per chi non ha mai provato a stare "per aria" la passeggiata potrebbe non essere così piacevole e il contesto scenografico lo guarderete con attenzione solo all'arrivo e quando avrete i piedi ben piantati per terra. 

lunedì 3 giugno 2019

Il Sentiero dei Granatieri sul Monte Cengio (VI) - domenica 2 giugno

Il Monte Cengio ha una importantissima valenza naturalistica e storica per comprendere meglio  il territorio in cui viviamo, e in modo particolare il sentiero dei Granatieri ci conduce alla visita di uno dei luoghi più spettacolari e significativi della Prima Guerra Mondiale, lbattaglia degli Altipiani vicentini combattuta tra il 15 maggio e il 27 giugno 1916, tra l'esercito austroungarico e il Regio esercito italiano. La strada che conduce alla partenza del sentiero è una rotabile militare costruita durante la Grande Guerra per consentire alle truppe e agli armamenti l'accesso alla zona sommitale del Monte Cengio partendo dalla Val Canaglia, dove era collocata una stazione della ferrovia che anticamente consentiva l'accesso all'Altopiano. A testimoniare questa origine lungo la strada è già possibile notare resti di baraccamenti e gallerie. Si arriva a piazzale Principe del Piemonte a quota mt 1286 dall'Autostrada Valdastico (uscita Piovene-Rocchette) direzione Cogollo del Cengio, giusto il tempo di infilare gli scarponcini e siamo già sullo sterrato che entra nel bosco dove incrociamo uno dei tanti pannelli informativi installati nell'ambito del progetto "Ecomuseo della Grande Guerra". Il Sentiero dei Granatieri si sviluppa per circa sei chilometri lungo il lato sud-ovest del massiccio montuoso con una serie di trincee, gallerie, postazioni di artiglieria, oltre al famosissimo salto dei granatieri, ed è scavato per lunghi tratti nella roccia viva quindi è consigliabile essere muniti di una torcia elettrica visti i numerosi passaggi all'interno di gallerie. 
La funzione di questa mulattiera di arroccamento, detta granatiera, era quella di consentire l'accesso alla zona sommitale attraverso una via protetta dai tiri dell'artiglieria austriaca (situata a nord). Dopo qualche minuto di cammino vediamo una prima galleria: la galleria Cannoniera lunga 74 metri con quattro uscite laterali per la postazione di quattro cannoni, isolata rispetto al resto delle altre gallerie che salgono sopra al monte Cengio. Arriviamo fino in fondo al tunnel, prestando attenzione al fondo scivoloso, poi appena uscite dalla galleria si riprende il percorso, protetto da cavi metallici, da dove inizia la parte a strapiombo sulla Val d'Astico con un paesaggio che toglie il fiato. Rimane l'ultimo tratto da fare, quello che sale in cima al Monte CengioQuesto è il pezzo più bello di tutta l'escursione: una galleria a forma elicoleidale con finestre per l'osservazione si snoda nel ventre della montagna per poi uscire su un sentiero con tratti a strapiombo che si arrampica fino a piazzale Pennella, dal nome del generale che da qui diresse le operazioni militari. Ancora in altezza e in pochi minuti raggiungiamola cima del Monte Cengio, a 1347 metri
Breve pausa panino poi si continua sulla strada militare che da piazzale Pennella ci porta fino alla chiesetta intitolata ai Granatieri di Sardegna, la brigata che era posta a difesa del monte nel giugno 1916 e che qui si immolò quando l'esercito Imperiale sferrò un imponente attacco nell'ambito della Strafexpedition. Due note storiche sono doverose: il 15 maggio 1916, l'esercito austro-ungarico lanciò un offensiva sugli altipiani vicentini meglio conosciuta come Strafexpedition, al fine di invadere la pianura padana e prendere alle spalle l'esercito italiano schierato sul Carso. Il 28 maggio 1916, dopo aver superato in ripetuti assalti le linee difensive italiane, i fanti imperiali entrarono ad Asiago e si prepararono ad affrontare l'ultimo baluardo montano a guardia della pianura vicentina: il pianoro del Monte Cengio. La Brigata Granatieri di Sardegna, comandata dal Generale Pennella, occupò alcuni rilievi a nord del Cengio, Monte Barco, Monte Belmonte, quota 1152 di Cesuna oltre allo stesso sistema montuoso del Cengio. Su queste posizioni i soldati combatterono per giorni senza cannoni, con poche munizioni e con scarse riserve di viveri ed acqua ma il 3 giugno 1916, dopo aver respinto per giorni i furiosi assalti degli austro-ungarici, i granatieri si trovarono circondati nelle trincee del Monte Cengio e cedettero la montagna. Lasciato il monumento alle nostre spalle percorriamo l'ultimo tratto dell'itinerario su strada asfaltata che ci riporta velocemente a piazzale Principe di Piemonte.



PARTENZA: piazzale Principe di Piemonte
(Cogollo del Cengio-VI)
SEGNAVIA: 651
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 200
ALTITUDINE: mt 1347
LUNGHEZZA: km 6

lunedì 27 maggio 2019

La Val Trebbia e il Castello di Rivalta (PC) - domenica 26 maggio

Castello di Rivalta
La Val Trebbia è una delle vallate più suggestive del piacentino definita da Ernest Hemingway “la più bella valle del mondo”. Il fiume Trebbia che nasce dalle pendici del monte Prelà in Liguria,si incunea dentro profonde gole conferendo al paesaggio un aspetto selvaggio e incantevole al tempo stessoLa Rocca di Rivalta, insieme ai castelli di Lisignano, Rezzanello, Momeliano, Torre di Momeliano, Castel Roveto, Monticelli e Monte Bissago, tutti nel territorio comunale di Gazzola, costituivano una vera e propria catena organica di fortificazione nella vallata. E' tempo di andare a visitare il Castello di Rivalta, o “Ripa Alta” all’imbocco della Val TrebbiaQuesto maniero vanta origine lontane e fu scenario di una delle pagine più sanguinose della seconda guerra punica nel III sec a.c. : qui l’esercito romano si scontrò con quello cartaginese comandato da Annibale. Dopo il crollo dell’impero romano e l’invasione barbarica della penisola italiana, Rivalta divenne territorio prima dei Longobardi e successivamente dei Franchi. Nel 1048 l’imperatore Enrico II ne donò una parte al monastero benedettino di San Savino di Piacenza. Nel XII secolo passa sotto il controllo dei Malaspina, mentre nel secolo successivo furono papato e impero a contendersi il feudo tanto che nel 1255 il marchese Oberto Pallavicino, nemico agguerrito dei guelfi, ordinò la distruzione dei complessi fortificati legati alla Chiesa. 
Nel 1412 Filippo Maria Visconti, duca di Milano succeduto al fratello Giovanni Maria, confermò a Manfredo Landi l’investitura del feudo di Rivalta. La difficile convivenza nel Ducato di Parma e Piacenza, costituito da Paolo III nel 1543 e il conseguente accentramento del potere nelle mani dei Farnese, significò per molte influenti famiglie la confisca delle loro ricchezze. Con la presunta congiura del 1612 Ranuccio I incamerò diversi castelli del contado e nel 1682 i Landi dovettero cedere a Ranuccio II i feudi di Bardi e Compiano e poco dopo (1687) rinunciare anche al controllo sulle acque del Trebbia ottenendo in cambio il meno redditizio marchesato di Gambaro in Val Nure. Nel Settecento il castello fu anche saccheggiato, dai tedeschi nel 1746 e dai francesi nel 1799. Con la morte nel 1808 del marchese Giuseppe Landi, si estinse il ramo dei Landi di Rivalta. Il castello passò di mano ai Landi delle Caselle, marchesi di Chiavenna. Verso la fine dell’Ottocento il castello e il borgo vennero acquistati dalla famiglia dal Conte Carlo Zanardi Landi di Veano, i cui discendenti ne sono tutt’ora proprietari. Entriamo nel suggestivo borgo medievale dove oggi sono presenti un albergo, un bistrot e due ristoranti. Graziosa l’antica chiesa di San Martino, menzionata in un documento datato 1037 e forse già esistente in epoca longobarda, poco oltre il grande cancello si apre su un bellissimo parco di impianto settecentesco, costituito da alberi secolari e da un giardino all’italiana, che ha spodestato l’antico fossato medievaleLa planimetria del complesso è quadrangolare. Da uno degli angoli spicca l’elegante Torre cilindrica, quattrocentesca.
Q
uesta torre a guglia fu costruita dall’architetto Guiniforte  Solari, torre che rese moderna per l’epoca e all’avanguardia sia sotto il profilo difensivo  sia sotto quello offensivo, con le postazioni d’artiglieria poste a riparo al suo interno. Nella torre, a cui si accede lungo una tortuosa scala a chiocciola, è ben visibile anche il famigerato pozzo del taglio, profondo sessanta metri, dove venivano gettati i prigionieri. Varcando l’ingresso ci si ritrova in un elegante cortile quattrocentesco, costruito per volere del conte Manfredo Landi e scandito dall’intervallo irregolare delle colonne del loggiatoNel cortile sono presenti fregi in cotto, capitelli, cornici e medaglioni che ne accrescono la funzione rappresentativaLe ulteriori modifiche intraprese nel 1780 dal marchese Giuseppe Landi rivestono all’edificio l’eleganza di una villa residenziale. Allo stesso periodo risale lo scalone che porta al piano superiore dove si aprono le numerose stanze arredate con mobili coevi e dove è possibile ammirare splendide collezioni di argenterie, strumenti musicali, armature e armi e tavole apparecchiate con cristalli di Boemia, porcellane inglesi e Richard Ginori . Nella splendida Sala delle Armi vi sono di particolare interesse storico tre bandiere con gli stemmi della casata Landi che sventolarono nel corso della battaglia di Lepanto (1571).
Castello di Rezzanello
Non di meno i magnifici locali delle cucine con le casseruole in rame e i vecchi ferri a carbonella, così come la Camera Verde e la Camera del Falcone e la Sala da biliardo. 
Addentrandosi nei sotterranei si giunge alla cantina che fino al Quattrocento era utilizzato come scuderia. Grazie al fatto che temperatura e umidità rimangono costanti, in questa immensa stanza sotterranea il vino Gutturnio invecchia attualmente all’interno di botti di rovere. Rimanendo nei sotterranei si trovano anche le prigioni, cinque anguste celle. Dopo un fantastico assaggio di Gutturnio nell'antico borgo, ci muoviamo verso il castello di Rezzanello (mt 374) non prima di fermarci brevemente all'ottocentesca Chiesa di San Savino, dalla lunga scalinata di pietra che porta al sagrato e la facciata in stile neogotico con paramento murario in pietra a fasce bianche e nere alternate. Il Castello di Rezzanello si trova sulle ultime pendici delle colline della val Luretta, castello che però troviamo chiuso. Arrampicandoci sulla Strada delle Rose possiamo vedere dall'alto la ben conservata struttura a pianta trapezoidale con slanciate torrette circolari agli angoliLa stretta strada sale sino ai 540 metri del Castello di MonticelloSituato sul crinale tra le valli del Luretta e del Trebbia, il castello rappresentava un particolare punto strategico. Nel 1372, quando fu occupato dalle truppe papali nella sommossa contro i Visconti, fu difeso dagli Arcelli, successivamente cofeudatari. Nel corso dei secoli, l'edificio passò a diverse casate, ed è noto per essere stato coinvolto nel 1945 in una battaglia tra partigiani e fascisti. La planimetria del castello rispecchia il tradizionale schema quadrato piacentino, con torri angolari: una a base quadrata e tre circolari rastremate verso l'alto, come nel vicino castello di Rezzanello.
Torrione di Bobbiano
Una quinta torre, collocata sul prospetto orientale, ospitava l'ingresso con ponte levatoio, di cui resta testimonianza nelle tracce delle sedi dei bolzoni. 
Il castello è in vendita e attualmente vige in uno stato di semi abbandono. Ora la strada si addentra nell'amena valle di Bobbiano dove andiamo ad ammirare la Chiesa romanica di San Michele e il poderoso Torrione, nel quale la banda del brigante Bertoletto ai primi del '500 aveva il covo. Fortilizio di impianto medioevale, secondo un documento del 1037, venne acquistato insieme alla Chiesa di S.Michele. Nel 1164 passò sotto al feudo dei Malaspina. Nel 1255 subì un attacco e venne in parte distrutto dal marchese Oberto Pallavicino e successivamente passò agli Anguissola. Nel 1311 il forte venne conquistato da Rolando II Scotti che dovette cederlo, a causa dell'intervento di Riccardino Langosco, podestà di Piacenza, agli Anguissola. Nel 1546 con investitura feudale venne assegnato dai Farnese insieme a Caverzago ed altre terre di Travo, a Ettore Maria Anguissola che prestò giuramento di fedeltà. Del primitivo castello rimane solamente la poderosa torre isolata a pianta quadrata, in cui i muri di base sono notevolmente scarpati. Il Torrione e la chiesa versano da anni in situazione di degrado. Alle loro spalle "svettano" la Pietra Perduca (mt 659) e la Madre Pietra Parcellara a metri 836 che emergono dal paesaggio collinare come proiettate dal centro della Terra da un'immane forza centrifuga e che rappresentano gli affioramenti ofiolitici posti più a settentrione dell'intero Appennino.