lunedì 21 dicembre 2015

Christmas Run Verona (domenica 20 dicembre)

Arriviamo in una Verona ancora immersa nel silenzio. Il tempo di un caffè, una chiacchierata, poi la fase più delicata: l'attacco dei numeri di gara! Giusto, sto numero dove lo mettiamo? Sulla felpa, ovvio. No no, fa freddo quindi l'appuntiamo sul giubbotto, ma le microscopiche spille non entrano nemmeno a morire e dopo un tempo infinito ad armeggiare su tutte le alternative d'attacco, i numeri sono finalmente in posizione quindi di corsa verso Piazza Bra, mentre le vie storiche del centro scaligero si colorano di rosso. Dieci, cento, mille esseri vestiti da Babbo Natale affollano la piazza, si allenano (qualcuno) o si perdono nel chiacchiericcio (la maggior parte) immortalandosi in centinaia di selfie. Cappellino rosso in testa, eccoci presenti alla tradizionale Christmas Run di Verona, gara non competitiva di 5 e 10 chilometri a passo libero, Paluani a far da sponsor, bellissima manifestazione che vede nella solidarietà la sua arma vincente. Abbracciate da un azzurro incredibile, ci accodiamo ad una marea rosseggiante oltrepassando la linea di partenza...a passo di lumaca tanto è la calca!
Numeri alla mano siamo più di seimila a cui si aggiungono anche i 200 atleti del Canoa Club Verona che, anch'essi in tema con l'evento natalizio, hanno pagaiato sull'Adige rispondendo ai saluti di tutti i partecipanti. Ogni angolo del centro storico è un'occasione speciale per rallentare il ritmo e riscoprire i mille volti di Verona, mentre il numero 4315 ti sgambetta accanto confondendosi poi velocemente tra la marea rossa. Riacchiappi qualche marmotta dispersa tra onde umane poi riprendi la camminata guardandoti indietro "in fondo non siamo nemmeno ultime" e senza accorgertene trovi al tuo fianco l'Arena. L'arrivo sfilacciato e insieme divertente, gli abbracci, i pacchi dono, il vin brulè e le caldarroste, in fondo basta davvero poco per stare bene insieme.

lunedì 14 dicembre 2015

Grandi Donne: MARIE MARVINGT, la fiancée du danger

Il 16 dicembre 1963 il Chicago Tribune, alla notizia della scomparsa di "la fiancée du danger", le rese un breve ma decoroso omaggio eppure il nome di Marie Marvingt, tra i più importanti pionieri e non solo dell'aviazione, è scivolato velocemente nel dimenticatoio. Se fosse morta in un aereo quando era ancora giovane e bella probabilmente sarebbe entrata nella leggenda... Marie nasce a Aurillac in Francia il 20 febbraio 1875. Poco dopo, nel 1880, suo padre Felix, direttore di un ufficio postale, si trasferisce a Metz allora sotto occupazione tedesca dopo la guerra franco-prussiana. Il padre è un atleta appassionato e vista la salute cagionevole dei figli maschi decide di trasmettere la sua passione anche a sua figlia ignorando le convenzioni sociali dell'epoca. Già alla tenera età di cinque anni Marie riesce a nuotare per ben 4000 metri! Scopre la passione per il circo e si forma presso il famoso Circo Rancy. Durante questo periodo studia giocoleria, impara a camminare su un filo, a librarsi su un trapezio ed eseguire acrobazie.
Nel 1889 Marie perde la madre ed è costretta a lasciare la scuola privata dove studiava per raggiungere il padre e il fratello a Nancy, dove vivrà per il resto della sua vita, andando a lavorare come cameriera. Tale onere non gli impedisce di continuare gli studi e praticare i suoi sport preferiti: nuoto, ciclismo, sci, alpinismo, pattinaggio, canottaggio, scherma, equitazione, ginnastica e tiro. Nel 1899 consegue la patente di guida, inusuale per l'epoca!
Le sue capacità natatorie le permettono di vincere numerose gare nazionali ed internazionali. Nel 1905 è la prima donna ad attraversare Parigi nuotando lungo la Senna. La stampa del tempo diede grande risalto al singolare avvenimento sopranominandola l'amphibie rouge dal colore del suo costume da bagno e dandole così un'improvvisa notorietà. Ma l'intrepida Marie non si limita al nuoto: diventa un'atleta  a tutto tondo. Tra il 1908 e il 1910 domina diverse discipline invernali sulle piste di Chamonix, Gèrardmer e del Ballon d'Alsace. Il 26 gennaio 1910 vince la Coupè Leon Auscher nel mondiale di bob femminile. E' anche un'alpinista di fama mondiale: è la prima donna a scalare la maggior parte delle vette delle Alpi francesi e svizzere negli anni 1903-1910. Il 15 marzo 1910 riceve dall'Acadèmie des Sports, unica nel genere, la medaglia d'oro "per tutti gli sport". Intrepida quanto basta Marie va da Nancy a Napoli in bici solo per assistere ad una eruzione vulcanica. Nel 1908 decide di partecipare al Tour de France ma le viene negato il permesso, allora segue la corsa in via non ufficiale arrivando al traguardo tra i 36 ciclisti rimasti in gara dei 114 partecipanti!
Dava il massimo di se stessa. Tra le prodezze compiute Marie Marvingt annovera quella di essere stata nel 1907, l'unica donna a ricevere dalle mani del ministro della guerra il titolo di Premier Tireur per la sua vittoria in una gara di tiro militare con carabina. Il gusto per l'avventura la spinge a guardare verso il cielo e dopo alcune brevi esperienze il 26 settembre 1909, in compagnia di Emile Garnier, diventa la prima donna a pilotare una mongolfiera, l'Etoile Filante, attraverso il Mare del Nord raggiungendo dopo 14 ore di volo la costa inglese di Suffolk. Anche se l'atterraggio è catastrofico - viene scaraventata fuori dal canestro dopo che la mongolfiera aveva colpito un albero - l'esperienza galvanizza Marie ora ben decisa a salire su un aereo come pilota. 
A differenza delle prime donne piloti americane come Harriet Quimby, Blanche Scott, Bessica Raiche e Mathilde Moisant, le aviatrici europee non sono molto conosciute perché allora non era permesso competere con gli uomini ai raduni d'aviazione. Durante questo periodo le donne, oltre ad utilizzare aerei fragili e insicuri, dovevano anche affrontare le molestie, il disprezzo e addirittura i tentativi di sabotaggio da parte di alcuni aviatori. Il maschilismo imperante affermava che fosse "indegno per una donna il desiderio di volare" per cui la maggior parte dei piloti rifiutavano loro l'insegnamento. Tuttavia una sessantina di donne riuscirono a volare ma solo una trentina di esse giunsero ad ottenere il brevetto ufficiale.
Nel settembre del 1909, mentre lavora come giornalista, Marie Marvingt assiste a una riunione di aviazione a cui partecipa Roger Sommer. Quando gli dice che il volo non le sembra così difficile, Sommer la invita a salire sul suo aereo. In risposta Marie lascia cadere il suo notes e il cappotto per terra accettando l'invito senza esitazione. Con questo "primo volo"  incontra il vero amore della sua vita: l'aviazione. E' con Hubert Latham, il rivale di Louis Bleriot, che Marie ottiene il brevetto numero 281 di pilota a Chalons en Champagne l'8 novembre 1910. Ora è la terza donna francese dopo Raymonde de Laroche (n° 36) e Marthe Niel (n° 226) ad avere la licenza. A bordo di un Antoinette partecipa a molte riunioni e il 3 dicembre 1910 gareggia per la Coppa Femina battendo il record di Madame Laroche con un volo di 27 miglia in soli 53 minuti.
Dopo il fallimento di Leon Levavasseur e dei suoi aeromobili "Antoinette", lei vola su un Deperdussin. Al di là delle prestazioni sportive l'interesse di Marie Marvingt per l'aviazione si sposta su un suo possibile utilizzo come mezzo di trasporto dei feriti. Già nel 1910 Marie propone al governo francese lo sviluppo di ambulanze aeree ma il tutto cade nello scetticismo generale anche se alcuni credono in esso. Così con l'aiuto dell'ingegnere Louis Béchereau, progettatore dei famosi aerei combattenti SPAD, realizza la prima macchina medica: il prototipo è un monoplano Deperdussin adattato per questo scopo ed equipaggiato con una barella fissa sotto la fusoliera. Nel 1912, dopo aver aperto una sottoscrizione pubblica per finanziare il progetto, riceve un'ordine di acquisto dal governo francese e dalla Croce Rossa ma il prototipo non verrà mai consegnato perchè nel frattempo il fondatore della fabbrica Armand Deperdussin viene accusato di frode, arrestato e condannato ai lavori forzati. Nel 1914, il famoso pittore francese Emile Friant ritrae Marie con un medico vicini ad un ferito con l'ambulanza aerea a fare da sfondo. E' solo una rappresentazione di fantasia poiché l'aeromobile non fu mai costruito ma, pubblicato su cartoline e litografie, il disegno diverrà un ottimo veicolo promozionale. All'inizio della Grande Guerra, Maria si offre come pilota da combattimento ottenendo un secco rifiuto. Allora opera come infermiera della Croce Rossa fino a quando trova la possibilità di partecipare direttamente nel conflitto. Nel 1914 si traveste da uomo e parte con un battaglione di fanteria francese. Rimane sulla linea del fronte fino a quando viene smascherata e mandata a casa. Più tardi, su richiesta diretta del maresciallo Ferdinand Foch, partecipa a operazioni di combattimento con il 3°reggimento alpini sul fronte dolomitico. Nel 1915, sempre senza permesso ufficiale, si offre volontariamente di effettuare bombardamenti contro le forze di occupazione tedesche in Lorena ricevendo la Croix de guerre. Probabilmente è una delle prime donne, se non la prima, a volare su un aereo da combattimento. Dopo il conflitto mondiale le ambulanze aeree dimostrano la loro grande utilità durante le guerre coloniali degli anni Venti. Marie è in Nord Africa come corrispondente di guerra e come ufficiale medico e, mentre si trova in Marocco, suggerisce di fare utilizzare sci metallici sugli aerei per atterrare sulla sabbia del deserto. Sempre in prima linea, viene attivamente coinvolta nell'organizzazione della prima conferenza internazionale sul trasporto aereo medico tenutosi a Varsavia nel 1929, in cui partecipano 41 nazioni. Nello stesso anno, è co-fondatrice dell'organizzazione Les Amies de l'Aviation Sanitaire. Consapevole della struttura rudimentale degli aerei e della necessità di apporre delle modifiche per renderli più sicuri, crea la Coppa Capitano Echeman per incoraggiare iniziative in questo senso.
Nel 1934 sostiene corsi di formazione per Infirmières de l'Air. Oltre alla sua attività, Marie trova ancora il tempo di fare cinema: è regista, sceneggiatore e attore di "Le Ailes qui Sauvent" e "Sauvés par la Colombe" prodotti nel 1934 e 1935, film di promozione per lo sviluppo delle ambulanze aeree. Poi il 24 gennaio 1935 Marie Marvingt viene nominata Cavaliere della Legion d'Onore, promossa poi al grado di ufficiale nel 1949.
I problemi medici e sociali sono ancora tra le principali preoccupazioni di Marie e allo scoppio della seconda guerra mondiale apre un convalescenziario per aviatori feriti inventando un nuovo tipo di sutura chirurgica. Personalità poliedrica Marie ha scritto romanzi, saggi e poesie con lo pseudonimo Myriel. Il 30 gennaio 1955 riceve il premio dalla Federation Nationale d'Aéronautique alla Sorbona per il lavoro svolto nello sviluppo della medicina aeronautica. Il 20 febbraio 1955, nel giorno del suo ottantesimo compleanno, vola su un jet americano oltrepassando la barriera del suono e nello stesso anno studia da pilota di elicotteri non riuscendo però a prendere la licenza. Nel 1961 inforca una bicicletta e da Nancy pedala sino a Parigi!
Marie Marvingt la donna più decorata nella storia della Francia, con più di 34 tra medaglie e decorazioni, muore il 14 dicembre 1963. Lentamente il suo nome cade nell'oblio poi, fortunatamente, le sue imprese riemergono e il governo francese la onora con la pubblicazione di un francobollo di posta aerea il 29 giugno 2004. Non poteva essere altrimenti...

lunedì 23 novembre 2015

Il Monte Creino e la Val di Gresta (domenica 22 novembre)

La Val di Gresta è certamente una delle vallate meno conosciute rispetto alle blasonate mete turistiche trentine eppure per la varietà dei suoi paesaggi e la mitezza delle temperature che favoriscono una importante produzione ortofrutticola, tanto da essere nominata "l'orto biologico del Trentino", ne fanno un gioiellino da riscoprire. Incastonata tra i monti Biaena e Creino, con la mole dello Stivo a chiuderla a nord, la piccola valle è dolcemente suggestiva. Ed è proprio il Monte Creino la nostra destinazione, non una vera escursione ma una piacevole passeggiata - modesto è il dislivello - che sin dai primi passi verso l'alto regala il tepore di una bella domenica novembrina. Dall'abitato di Ronzo-Chienis saliamo in località Santa Barbara e, lasciando alla nostra destra l'hotel Genzianella, impegniamo la stradina in salita seguendo il percorso boschivo Creinarte realizzato dai bambini delle scuole del luogo. Il bosco è ancor più rosseggiante accarezzato com'è dal sole, poi la comoda forestale si apre su ampi prati e appezzamenti coltivati sino a raggiungere la croce di Monte Creino a 1280 metri.
Intorno, quasi a corolla l'orizzonte si perde sulla Valle del Sarca, sulle vette imbiancate della Presanella e delle Dolomiti del Brenta per poi cadere a strapiombo sul lago di Garda. La sosta è fitta di chiacchiere, thermos di caffè caldo, panini di vario genere e fotografie a iosa, poi quando si riprende la via del ritorno deviamo verso le trincee risalenti alla Grande Guerra e in ottime condizioni grazie all'opera degli alpini che ne hanno curato la manutenzione. Lungo i trinceramenti si aprono cunicoli che fungevano da ricovero dei soldati o utilizzati come depositi mentre le postazioni di vedetta si "buttano" sul Garda sottostante. Il Monte Creino del resto era parte della principale linea di difesa degli austro-ungarici nell'Alto Garda e per questo motivo fu fortificato in ricongiunzione con la copertura difensiva posta sul Monte Biaena. Il fronte della Val di Gresta fu parte attiva del conflitto mondiale tra il 1915 e il 1916 fino a quando la guerra si spostò definitivamente verso l'Isonzo. Percorriamo le trincee con curiosità e nel silenzio del bosco ed è difficile comprendere le sensazioni appartenenti a quei lontani soldati...Il sole lentamente scompare e nuvole su nuvole si affollano intorno alle montagne. 


PARTENZA: Santa Barbara
(metri 1140)
SEGNAVIA: ------
DIFFICOLTA': T
DISLIVELLO: mt 140
ALTITUDINE: mt 1280
LUNGHEZZA: km 4




martedì 17 novembre 2015

Marmotte a Roma (13-15 novembre)

La Frecciargento sfreccia sui binari divorando la distanza che ci divide da Roma. Roma...si può dire di tutto e il contrario di tutto ma la culla della splendida civiltà imperiale esula dai canoni banalizzanti della metropoli consacrandosi a perenne bellezza.
Roma, immensa e contraddittoria, caciarona ed intellettuale, egocentrica ma aperta al mondo...la stessa città che dall'Aventino riesci a racchiudere in un sintomatico abbraccio. Scendiamo a Termini, il tempo di un caffè e mentre la città viene inghiottita dalle prime ombre notturne, ci ritroviamo a zigzagare fra storici vicoli dai nomi spiritosi che si prestano a irriverenti gags. Le marmotte romane, di cui siamo ospiti, ci accompagnano al ristorante Grisù, a due passi da Fontana di Trevi, dove viene proposta l'esilarante esibizione delle drag queens.
E quando rintoccano le 23 non si può assolutamente perdere il giocoso barocco di una delle fontane più famose al mondo. L'opera progettata dall'architetto Nicola Salvi su commissione di papa Clemente XII nel 1792, è uno dei simboli forti della Roma papale e ad essa sono anche collegate molte tradizioni popolari, la più conosciuta afferma che lanciando una moneta dentro la fontana voltandole le spalle porti fortuna in amore.
La notte è ancora giovane e le gambe hanno voglia di saltellare sul ciottolato capitolino. Attraversiamo Piazza di Spagna salendo con lo sguardo a Trinità dei Monti: ai suoi piedi la Fontana della Barcaccia, opera del Bernini, riportata all'antica bellezza dopo l'ondata distruttiva degli hooligans olandesi. Da lì proseguiamo verso la celeberrima Via Condotti, patria della Grandi Firme (e dei portafogli a fisarmonica) e rapite dalla notte attraversiamo Via del Corso mantenendo alla nostra destra Palazzo Chigi, sede del governo, con grande spiegamento di forze militari dopo l'attentato di Parigi. I piedi bollono e le ore da piccole...sono diventate piccolissime: domani ci aspetta un tour de force!
E' sabato, il cielo è bigio ma poco importa. Lasciando ad un immediato futuro la visita ai Musei Vaticani (ah tempo tiranno!) ci facciamo largo su viale Vaticano letteralmente invaso da turisti provenienti da tutto il mondo e sentendoci anche noi un pò cosmopolite ci affacciamo quasi timidamente nella piazza del Papa. La fiumana di gente per la Basilica ci fa desistere dall'intento e allora tutte verso Via della Conciliazione lasciando alle spalle il simbolo per antonomasia della cultura cristiana. e tra chiacchiere e varia umanità raggiungiamo Castel Sant'Angelo. Il castello o mausoleo di Adriano che ne iniziò la costruzione nell'anno 125 d.C., nei secoli successivi fu teatro di grandi eventi storici sino a legare dal 1367 indelebilmente le sue sorti a quelle dei pontefici. Il castello è ricco di grandi opere artistiche e salendo al quinto livello, si trovano i fastosi appartamenti di Paolo III Farnese con la meravigliosa Sala Paolina affrescata dal toscano Perin Del Vaga tra il 1545 e il 1547. Più in alto, la Biblioteca, la Sala del Tesoro con le sue armi e i suoi forzieri sino a raggiungere il Terrazzo dell'Angelo dove l'occhio può finalmente perdersi sulla città di Roma. La fame scalpita, due passi indietro per una pizzetta veloce e poi di corsa per nuove suggestioni! 
Superiamo ponte Sant'Angelo e ci inoltriamo nel cuore capitolino sulla sponda opposta del Tevere. Ecco Vicolo delle Vacche (un nome che è un programma...), poi si va ad incrociare Bar del Fico, dalla pianta di fico che spunta letteralmente da mura storiche sino a raggiungere Piazza Navona, La celebre piazza, la cui forma è quella di un antico stadio su quello preesistente dedicato all'imperatore Domiziano (85 d.C.), celebra la grandiosità dell'antico casato dei Pamphili con la seicentesca chiesa dedicata a Sant'Agnese in Agone e l'imponente Fontana dei Quattro Fiumi di berniniana memoria. La piazza è diventata col tempo anche luogo d'incontro di artisti di strada, pittori e ritrattisti caricaturali. Ci blocchiamo in Piazza Colonna davanti alla Chiesa di Santa Maria Maddalena, bell'esempio di arte rococò in Roma, entrando silenziosamente nella sua unica navata. Poi raggiungiamo finalmente il Pantheon, unico edificio pagano trasformato in un luogo di culto cristiano.
E' affollatissimo! Pieghiamo a sinistra lungo via della Minerva dove nella piazza omonima c'è la splendida Basilica di Santa Maria sopra Minerva le cui volte, di fattura ottocentesca, richiamano un cielo stellato e che i romani hanno ribattezzato "chiesa blu". Mentre la sera si affaccia su Roma, noi ci avviciniamo al Vittoriano, giriamo intorno al monumento salendo a Campidoglio dove giganteggia la statua equestre di Marco Aurelio, o meglio la sua copia, visto che per motivi di conservazione l'originale è all'interno dei Musei capitolini. Scendiamo poi verso il Foro Romano, ormai immerso nei chiaroscuri della notte e puntiamo il Colosseo, simbolo di Roma stessa. I nostri piedi a questo punto sono out, prendiamo la metro a ritroso e raggiungiamo il rione Testaccio dove abbiamo un appuntamento importante...oh sì, con un piatto di fantastici bucatini all'amatriciana al ristorante Da bucatino. Quale modo migliore per concludere degnamente una serata? 
Domenica si apre con un sole incredibile ma è anche giornata di ritorno a casa, non prima di una passeggiata a Castel Gandolfo, cittadina nota soprattutto per essere residenza estiva del pontefice, con splendida vista sul sottostante Lago Albano. Un breve giro tra i banchi di un mercatino antico prima di fiondarci nell'Osteria del Borgo, vero trionfo gastronomico della più genuina romanità...ma il tempo vola e il treno ci aspetta e non accetta ritardi. Arrivederci Roma!

venerdì 13 novembre 2015

Una marmotta in Iran (ottobre 2015)

Da alcuni anni mi si era stata presentata l’occasione per andare in Persia, ma solo ora ho potuto realizzare questo viaggio. Prima di partire, anzi ancor prima di confermare la mia adesione, familiari, amici e conoscenti andavano a gara nello sconsigliarmi questa avventura principalmente per motivi di sicurezza relativi a motivazioni religiose.
Nonostante tutti i tentativi di dissuadermi dal partire, ho preferito ascoltare il mio desiderio di conoscere un popolo nuovo e una civiltà diversa naturalmente dopo aver raccolto informazioni dettagliate sulla sequenza del viaggio dal sito “Viaggiare sicuri-Farnesina-Ministero degli esteri”. Ora posso raccontare attraverso i miei occhi la bellezza di questo paese.
L'Iran, ex Persia, è una terra ricca di storia, di cultura e di un popolo positivo, pieno di speranza per il futuro. Grande circa cinque volte l'Italia, ha metà del territorio ricoperto da catene montuose a cui si antepongono ampie zone desertiche il Dasht-e Kavir (letteralmente Immenso Deserto) mentre la parte meridionale del paese è quello dove vive in prevalenza la popolazione.
In Iran vige una repubblica, o regime, islamica fondata da Khomeyni che seguì alla caduta dello Scià di Persia (fine anni '70). Tale regime capillarmente rappresentato legifera in modo assolutistico leggi, norme e regolamenti a cui tutti devono adeguarsi: il controllo e la vigilanza sono quasi assoluti! Tutte le donne devono portare il velo nero o tendenzialmente scuro ed un indumento consono a coprire le forme del corpo. Solo le bambine vestono all'occidentale, ma purtroppo ci sono anche bimbe completamente coperte da un burqa nero.
Questo controllo capillare, quasi soffocante, porta una sicurezza al 100 per cento per tutti ma chi viola le regole viene punito severamente: pena di morte, prigione, lapidazione oppure semplicemente scompare. Anche l'ambiente rispetta questo assolutismo: città, paesi, strade, giardini, vicoli insomma tutto e' sempre pulito. In pubblico inoltre è vietato far uso di alcolici.
Tornando alle mie valutazioni, posso dire che il viaggio è stato splendido, perché  è un paese affascinante e ricco di storia risalente fino al 5000 a.c.
Ho visitato Teheran, capitale dell’Iran  che possiede circa una decina di musei, immersi in ampi parchi e splendide moschee, poi con un viaggio aereo interno sono scesa nella parte meridionale dell’Iran raggiungendo la città di Shiran, denominata anche la città dei poeti e delle rose.
Nei giorni successivi risalgo l’Iran di oltre 500 chilometri raggiungendo Persepoli, una delle capitali dell'antico impero Achemenide, costruita intorno al V secolo a.c. da Dario il Grande e successivamente ampliata da Serse. Inestimabile antico gioiello del vicino Oriente. rimasto in uno splendido stato di conservazione. Sono rimasta entusiasta di questi suggestivi capolavori di civiltà. Sui resti ci sono le narrazioni storiche risalenti a 4-5000 anni fa, che riportano un’immagine  quanto mai viva di una grande antica civiltà. Sempre risalendo a nord troviamo Yazd ,città zoroastriana, l’unica che conti ancora parecchi seguaci dell’antica religione. La visita al Tempio del fuoco dove arde una fiamma eterna, tenuta accesa dall'anno 470 a.c. è emozionale, poi alle moschee adorne di ricchezze ed in fine il mausoleo di Sayed Jafar. E dopo finalmente raggiungiamo la grandiosa Isfahan, con le favolose Moschee composte da 4 logge e rifinite con finissime piastrelle nella piazza dell’Iman. Una nota curiosa: la piazza è grandissima, anzi lunghissima! In origine veniva usata per il gioco del polo. Sapevate che questo sport è nato in Persia? Solo successivamente venne "trasportato" in Inghilterra. Nel mio viaggio si susseguono altre moschee e altri mausolei, poi un antico bagno turco ora diventato museo, ricco di materiali architettonici e pietre preziose.
Poi visitiamo la città di Kashan  sede di uno dei più splendidi mausolei Agha Bozorg costruito nel 1700, a seguire ai più antichi palazzi dell’architettura Sasanide, antica grande civiltà risalente a oltre 2000 anni fa. Dopo questo lungo tour si fa nuovamente ritorno a Teheran. In sei giorni tra viaggi in aereo o su pullman abbiamo macinato oltre 1500 chilometri!
Una nota importante: anche noi turiste abbiamo dovuto portare il velo ed un indumento consono a coprirsi le forme del corpo ancor prima di scendere dall’aereo e fino alla partenza del volo per l’Italia. Quello che si sente in questa nazione è comunque positivo. Gli uomini tendono a tenere un comportamento “distante”, mentre nelle donne, nonostante portino un vestito tutto nero compreso il capo, si nota un viso ben curato e truccato, spesso sorridente. I giovani sono sempre desiderosi di avvicinarsi al turista, per parlare e capirne la provenienza. Molti di loro parlano perfettamente l’inglese e scalpitano nella speranza di un cambiamento.
E' stato un viaggio che ha soddisfatto le personali aspettative. Conoscere altri popoli e altre abitudini...Un viaggio da consigliare in tutta tranquillità e sicurezza.

(Santi)

giovedì 12 novembre 2015

Due marmotte a Praga (17-19 ottobre)

Eccoci finalmente a Praga! Accolte calorosamente al nostro arrivo dalla marmotta "praghese" Robi e dal fratello Alberto arriviamo in questa città, nel cuore storico dell'Europa, quando calano le ombre della sera accolte da una pioggerellina sottile sottile. Fiondiamo in un locale "italiano" a festeggiare un compleanno poi è di pragmatica un giro notturno per la città. C'è il  festival della luce!  Sono luci particolari proiettate sugli edifici storici della città accompagnate da melodie suggestive, luci danzanti in totale simbiosi con i diversi ritmi musicali che creano incredibili effetti scenici: sembra proprio che l’edificio stesso si metta a ballare!!! 
Il giorno dopo è tempo di tour per la città. Raggiungiamo Ponte Carlo, storico ponte in pietra sulla Moldava e su su sino al castello, situato sopra una delle nove alture su cui si sviluppa la città. All'interno del complesso si trova la gotica Cattedrale di San Vito, ci aspetta una salita di 285 scalini per raggiungere le splendide guglie da cui si osserva un panorama bellissimo. Le altissime vetrate finemente decorate dai maestri vetrai ci lasciano senza fiato. Poi raggiungiamo il palazzo reale, il convento di San Giorgio, il bellissimo giardino circostante e una piccola via ricca di caratteristici negozietti. Una visita alle armature antiche di Palazzo Schwarzenberg e si continua camminando con occhi curiosi attraverso piazze e vie sino a raggiungere il fiume…non ci facciamo mancare nulla!
Seconda giornata a Praga dedicata alla memoria mentre il tempo si diverte a mutare pioggia in sole e viceversa. Visitiamo il cimitero ebraico, sembra un parco...Il pomeriggio è dedicato alla visita di Piazza Venceslao, santo protettore della repubblica ceca la cui statua di notevoli dimensioni domina un lato della piazza, e poi i suoi palazzi importanti e tutta una serie di negozietti in cui perdersi...in fondo a questa enorme piazza ci sono dei piccoli capanni di arte e mestieri di un tempo!!! Finalmente ci concediamo una primizia gastronomica praghese assaggiando le loro splendide salsicce in un paninone buonissimo!!!!! Il tempo stringe e il volo di ritorno ci aspetta, ma non ci facciamo scappare l’occasione per un giro a Piazza della Città Vecchia (Staromestské nàmesti) dove si trova il famosissimo orologio astronomico, montato sul lato sud del municipio e uno dei simboli della città, e una veloce visita alla chiesa barocca del Gesù Bambino. Purtroppo dobbiamo partire, grazie Praga di averci fatto vivere un sogno. (Anna e Franca)

lunedì 9 novembre 2015

Croce di Perlè (domenica 8 novembre)

A guardarlo dall'alto il lago di Idro sembra quasi un fiordo nordico con il suo aspetto allungato, viceversa è il più piccolo dei bacini prealpini italiani ma la corona delle montagne che lo circonda offre più di un motivo per lasciarsi incantare e saggiarne i sentieri. A Pieve di Idro abbandoniamo la statale che prosegue in direzione Madonna di Campiglio volgendo a destra sulla provinciale 58 per Capovalle. Oltrepassiamo il bivio che scende a Crone d'Idro procedendo per circa 400 metri sino all'intersezione con una stradina asfaltata (località Ravausso) dove la segnaletica predisposta dal "Gruppo Sentieri Attrezzati Idro 95", a cui si deve la bella manutenzione sentieristica di questa zona, indica il segnavia 451.  Zaino in spalla ci incamminiamo lungo la stradina poi, entrando nella boscaglia, l'ampia mulattiera si restringe in uno ripido tracciato immerso dal fogliame autunnale sino a incrociarci con il cartello che indica Croce di Perlè dritto davanti a noi mentre a destra si scende al Sentiero delle cascate. La vista sull'Eridio sottostante si accende dei colori di questa splendida domenica di sole. Il sentiero sale con maggiore decisione verso oriente abbandonando la vista del lago e penetrando in un vallone boschivo. Il serpentineo percorso diventa finalmente più facile e con fondo ben tracciato, rimontiamo lungamente la destra orografica del vallone totalmente immerse in un bosco silenzioso interrotto solo dalla lontana presenza dei cacciatori e delle loro doppiette.

Si sale ancora di dislivello mentre il sentiero gira a sinistra rimontando un solco terroso per poi raggiungere Gola di Meghè, a 968 metri, dove troviamo un pannello con diverse indicazioni. Seguendo il segnavia per la sommità, rimontiamo una facile cresta con qualche affioramento roccioso. Il bosco rimane alle nostre spalle mentre il cielo si spalanca d'azzurro. Ancora pochi metri in falsopiano e guadagniamo la Croce di Perlè da dove la visione è meravigliosa su tutto l'orizzonte. Siamo a 1031 metri e sotto la nostra verticale c'è il paese di Crone, in lontananza la Corna Blacca e più a nord le altre cime delle Giudicarie. Volgendo lo sguardo più a oriente si erge l’ampia sagoma erbosa del Monte Manos. La sosta panino è solo il pretesto per godersi, sedute tranquillamente alla base della grande croce lignea, lo scenario spettacolare che si apre davanti a noi. Procediamo a ritroso l'intero tracciato sino a raggiungere nuovamente l'incrocio con il sentiero delle cascate che impegniamo in direzione contraria. Il sentiero è piuttosto tranquillo, si affronta la forra del torrente Neco con alcuni tratti attrezzati da scalette e funi metalliche, peccato solo che le cascate rimangono solo immaginifiche vista la totale assenza d'acqua, ma l'insieme naturale è davvero emozionale... 


PARTENZA: loc. Ravausso (mt 480)
SEGNAVIA: 451
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 550
ALTITUDINE: mt 1031
LUNGHEZZA: km 7

lunedì 2 novembre 2015

La Valvestino (domenica Primo novembre)

La prima domenica novembrina ti accoglie con un cielo dipinto d'azzurro e la voglia di montagna, mai sopita, si accende di nuove curiosità...Non serve andare molto lontano per scoprire la Valvestino, silenziosa valle tra la Val Sabbia e il Garda, territorio del parco regionale dell'Alto Garda Bresciano.
Seguiamo la statale 45bis oggi poco movimentata abbandonandola all'altezza di Idro per poi immetterci sulla provinciale 58 che porta alla piccola vallata. Arriviamo a Moerna (992 metri) nel più assoluto silenzio, parcheggiamo la macchina nel piazzale antistante il minuscolo cimitero del paese e imboccando la stradina carrabile (sentiero Cai 76) risaliamo in buona pendenza le ultime propaggini del Dosso Garsù che scende direttamente dal sovrastante Monte Stino. Giunti ad un bivio, a 1190 metri, prendiamo una carrareccia che ci porta nel cuore di un fitto faggeto dove persino i raggi solari stentano a penetrare, ci alziamo così di quota sino a raggiungere Bocca Cocca (1327 metri) caratterizzata da un vecchio roccolo e da numerose postazioni di guerra. Alzi lo sguardo e vedi un cocuzzolo che si innalza oltre il capanno di caccia, a lato della forestale uno striminzito sentiero sale seccamente ai resti di una fortificazione austro-ungarica risalente alla guerra '15-'18 che si affacciano sull'impervia e selvaggia Val Piombino che, restringendosi, sprofonda nel sottostante lago di Idro.
Saliamo i ripidi scalini che portano al primo ingresso scavato nella roccia e poi attraverso una strettoia, regolata ai fianchi rocciosi tramite una fune metallica, raggiungiamo una galleria che porta alle postazioni di vedetta: dalle naturali feritoie scorgi lo skyline delle prealpi bresciane in tutta la loro bellezza! Sullo sfondo da sinistra, la Corna Zeno, la Cima Meghè, la Corna Blacca, il Dosso Alto e il Maniva. All'estrema destra emerge da altre montagne la sommità del Cornone di Blumone. Dopo la sosta panino, ridiscendiamo recuperando la mulattiera che porta al  fianco orientale del Monte Bezplel (sentiero Cai 75) raggiungendo in meno di un'ora Bocca di Valle, a 1392 metri, da dove si apre una visione panoramica sull'Eridio, sul Garda e sui boschi rosseggianti della Valvestino.
L'intero percorso porterebbe fino a Cima Rest ma preferiamo tornare sui nostri passi e presa l'autovettura, percorrere il versante opposto della vallata. La strada perimetra tra imprevedibili tornanti e spettacolari gallerie naturali sino a raggiungere il lago di Valvestino, splendido bacino artificiale alimentato dal torrente Toscolano, su cui si erge la possente diga costruita nel 1962. Il lago si incunea meravigliosamente con le sue acque smeraldine tra le montagne e i rigogliosi boschi diventando un tutt'uno...poi il Garda all'improvviso appare in lontananza...




PARTENZA: Moerna 
(mt 992)
SEGNAVIA: sentieri Cai 75-76
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 400 
ALTITUDINE: mt 1392
LUNGHEZZA: km 8,5

lunedì 26 ottobre 2015

Scandalosa Tamara...(domenica 25 ottobre)

Bella, elegante, trasgressiva, indipendente, forte e fragile al tempo stesso. Tamara de Lempicka, icona dell'emancipazione femminile e protagonista indiscussa dell'Art Déco, continua ancor oggi ad affascinare e sedurre con la sua vita avventurosa, le sue opere smaglianti e ricche di glamour, il suo protagonismo nella vita mondana. Verona le rende omaggio con una importante mostra monografica a Palazzo Forti: 200 le opere presenti tra dipinti, disegni, fotografie, acquarelli, abiti e video d'epoca testimonianze della poliedrica personalità di questa autrice. L'esposizione, suddivisa in sette sezioni, accompagna il nostro sguardo curioso lungo l'evoluzione artistica della pittrice polacca. La ricerca della forma leviga corpi di algida bellezza, forti sono i richiami cromatici alle avanguardie storiche e i suoi rossetti che tanto amava, accesissimi ed esasperati, riecheggiano persino nelle raffigurazioni "sacre" rendendo intrigante l'arte della Lempicka. La prima sezione è dedicata a "I mondi di Tamara" ed esplora le case in cui visse l'artista. Ci sono la casa-atelier di rue Méchain a Parigi, dove Tamara andò a vivere nel 1930, la grande villa coloniale del regista King Vidor a Beverly Hills dove giunse con il barone Raoul Kuffner de Dioszegh, suo secondo marito, nel 1939 e la casa di New York in cui abitò durante gli anni Quaranta. A seguire la sezione "Madame la Baroness, Modern medievalist" che prende spunto da un articolo pubblicato negli Stati Uniti nei primi anni Quaranta in cui si esaltava il virtuosismo tecnico espresso dall'artista in particolare nel genere delle nature morte.
Vi sono esposte "La conchiglia" e una serie di opere dedicate alle mani, soggetto caro pure ad alcuni fotografi come Kertész, Kollar, Dora Maar. Si passa quindi ai dipinti che ritraggono la figlia Kizette tra cui spicca, per la ricca gamma di bianchi delle vesti dal forte effetto plastico, "La comunicanda". La tela, premiata nel 1929, anticipa la serie di opere forse più inattese della mostra, ossia quelle a soggetto devozionale, le "Sacre visioni", dove sono esposte la "Vergine blu" e la "Madre Superiora" il quadro preferito della Lempicka. Di tutt'altro tenore le opere della sezione "Scandalosa Tamara" dedicate al tema della coppia e alle "Visioni amorose", capolavori quali "Prospettiva (Le due amiche)", l'unico "Nudo maschile" da lei dipinto o "La bella Rafaela" rivelano la potenza espressiva, sensuale dell'artista nella sua originale rielaborazione del cubismo di impronta naturalistica appreso dal suo maestro Andrè Lhote e l'uso sapiente della luce di derivazione fotografica. "Dandy déco" invece approfondisce il rapporto della pittrice con la moda realizzando così una mostra nella mostra, ovvero un'inedita sfilata di abiti, calzature e accessori degli anni Venti e Trenta scelti rispecchiando i gusti della Lempicka. 
La sezione della moda presenta anche le foto di Tamara indossatrice, immortalata dai più grandi fotografi di moda come Madame d’Ora e Joffé a Maywald. I prestiti provengono da diverse fondazioni: il Museo della Moda di Ciliverghe (Brescia), ha concesso un abito bianco dei primi anni Trenta che rispecchia il complesso disegno dell’abito indossato nel dipinto "Ritratto di Madame Perrot" e l’abito da sera che la cantante lirica Lina Cavalieri indossò nella serata di gala dell’aprile 1920 quando dette il suo definitivo addio alle scene. Sono poi esposte alcune ricerche d’avanguardia di quei decenni. La Fondazione Biagiotti Cigna ha prestato l’abito futurista disegnato da Giacomo Balla intorno al 1930 protagonista del Divisionismo italiano che sicuramente la Lempicka conosceva, vista la frequentazione con molte personalità del gruppo tra cui Francesco Monarchi, uno degli autori nel 1933 del Manifesto futurista del cappello italiano, che con Prampolini la intervistò a Parigi nel 1929. L’abito di Balla è esposto accanto ad alcune eccentriche e geniali creazioni di Salvatore Ferragamo: le sue calzature sono piccole e preziose sculture, veri oggetti d’arte destinati a essere indossati da molte donne famose dell’epoca, percorso completato da una “vetrina del lusso” che raccoglie un tripudio di borsette e cappellini, tra cui due esemplari della sua modista preferita, Rose Descat. 
Il medesimo orientamento eclettico della Lempicka lo si riscontra nei suoi gusti e nelle sue frequentazioni musicali. Amava la lirica. Ritrasse Bianca Bellincioni Stagno, soprano che aveva debuttato nel 1913 a Graz come Cio Cio San in Madama Butterfly. Il disegno, risalente al 1925, è in mostra nella prima sezione. La Lempicka la conobbe a Milano quando allestì la sua prima personale in quella Bottega di Poesia che fu anche casa editrice musicale, gestita da Walter Toscanini e dal conte Emanuele Castelbarco. L’artista rimase sempre legata alla San Pietroburgo di inizio Novecento che l’aveva vista spettatrice di balletti al Mariinsky ma frequentò anche i più popolari cabaret parigini creati dagli esuli della rivoluzione in cui si esibivano danzatrici in costumi russi: una tela del 1924, "Ballerina russa" che apre il percorso espositivo, testimonia questo tenace legame con la "sua" Russia. 
Apprezzava i locali jazz in cui si esibiva Josephine Baker, amava le facili musiche del charleston, del tango e del fox-trot che rallegrarono "la decade dell'illusione", passò molte serate a La Vie Parisienne, un locale per sole donne gestito da una delle sue amanti, in cui la cantante Suzy Solidor, indimenticata Lily Marlene francese, intonava canzoni bretoni. Tamara de Lempicka, espressione d'indipendenza, eleganza e modernità, grande ammiratrice di Greta Garbo, si muove con la disinvoltura di un'attrice in due brevi film del 1930 e del 1932 in visione a fine mostra. La pellicola del 1930 la coglie in compagnia della sua storica amante, Ira Perrot, in giro per Parigi mentre il breve film del 1932 esplora lo studio della Lempicka e la sorprende nella vita di tutti i giorni, fatta di lavoro e cura della propria immagine. Un viaggio, dunque articolato, approfondito, affascinante e irripetibile nel mondo di Tamara de Lempicka simbolo di trasgressione e indipendenza da cui si esce rapite dalla forza espressiva di questa inimitabile artista.


giovedì 15 ottobre 2015

Grandi Donne: ARLENE BLUM e la conquista dell'Annapurna - 15 ottobre 1978

Nell'agosto 1978, tredici donne lasciano San Francisco per raggiungere il Nepal ed entrare di diritto nella storia dell'alpinismo come i primi americani e soprattutto le prime donne a scalare le piste insidiose dell' Annapurna I (8091 metri), la decima vetta più alta del mondo. Capo della spedizione è Arlene Blum che racconta nel suo libro, Annapurna: A Woman's Place la loro storia drammatica: i problemi logistici, le tempeste e le arrampicate pericolose sui ghiacciai, i conflitti e le riconciliazioni all'interno del team, il terrore delle valanghe che minacciavano di travolgere campi e scalatori...Il 15 ottobre, due donne e due sherpa finalmente raggiungono la cima, ma i loro festeggiamenti vengono interrotti due giorni più tardi dalla tragica scomparsa delle componenti della seconda squadra che tentavano a loro volta la vetta. Un racconto di alpinismo mai prima di allora narrato dal punto di vista di una donna a dimostrazione che le donne possedevamo la capacità, la forza e il coraggio per tentare le sommità himalayane sradicando la percezione sessista sulle reali capacità delle donne nello sport e nella vita. Annapurna: A Woman's Place, pubblicato nel 1980 è diventata una storia di sfida e impegno raccontata con passione e inflessibile onestà. Ecco il racconto di quella spedizione.

Il nome della grande montagna, Annapurna, tradotto dal sanscrito significa "la dea della fertilità." Era l'obiettivo giusto per la prima grande spedizione americana femminile in Himalaya, almeno noi pensavamo così. Ma questa vetta è incredibilmente difficile da conquistare. Delle tredici spedizioni che hanno tentato di salire sull'Annapurna sino ai nostro tentativo del 1978, solo quattro hanno avuto successo. Nel mese di agosto 1978, un gruppo di nove americane e una britannica decide di tentare di raggiungerne la vetta. L'idea della nostra spedizione nasce 6 anni prima, nell'agosto 1972 su una montagna chiamata Noshaq situata lungo il corridoio del Wakhan in Afghanistan. Wanda Rutkiewicz, (prima europea e terza donna al mondo sull'Everest il 16 ottobre 1978), Alison Chadwick-Onyszkiewicz e io eravamo sul Noshaq. In quei anni moltissimi scalatori erano saliti sugli 8000 ma queste altitudini non erano state ancora raggiunte da nessuna donna. Così noi tre abbiamo deciso di organizzare una spedizione solo femminile su un Ottomila. Speravamo di raggiungere l'Annapurna I nel 1975 ma non siamo riuscite ad ottenere il permesso governativo. Nel frattempo, nel 1974, tre alpiniste della spedizione giapponese hanno raggiunto il Manaslu, prima salita femminile su un ottomila.
E nel 1975, una spedizione polacca mista guidata da Wanda Rutkiewicz con Alison Chadwick- Onyszkiewicz raggiungeva il Gasherbrum III, a quel tempo la vetta più alta inviolata nel mondo. Nella medesima spedizione, Anna Okopinska e Halina Krueger- Syrakomska salirono il Gasherbrum II, la prima femminile su un picco di 8000 metri non accompagnate da uomini. Nello stesso anno, la scalatrice giapponese Junko Tabei e lo sherpa Phanthog raggiungono la vetta dell'Everest. Nel 1976, ho preso parte alla American Expedition Everest dove siamo stati in grado di ridurre al minimo i rischi valanga sulla cascata di ghiaccio Khumbu salendo prima dell'alba, tattica da impiegare anche sull'Annapurna. Dopo l'Everest, ho contattato il Ministero del Turismo nepalese ottenendo con mia gioia il permesso di scalare l'Annapurna I nella stagione post-monsonica 1978. I successivi due anni sono stati impiegati nella selezione della squadra, l'acquisto di attrezzature e cibo, e tutti gli accordi che accompagnano una grande spedizione.
Ecco il nostro team di scalatrici: Vera Watson, Irene Miller, Joan Firey, Piro Kramar, Alison Chadwick-Onyszkiewicz, Vera Komárková, Liz Klobusicky, Margi Rusmore, e Annie Whitehouse tutte con una vasta esperienza alpinistica e la partecipazione a numerose spedizioni. Inoltre abbiamo inglobato nella squadra Christie Thews, il nostro manager del campo base, Dyanna Taylor e Marie Ashton, le nostre cineaste. Siamo stati assistite da un ottimo sirdar, Lopsang Tsering, e cinque portatori d'alta quota: Chewang Renzing, Mingma Tsering, Lakpa Norbu, Ang Pemba e Wangyal. Il nostro principale sponsor sull'Annapurna era davvero insolito: abbiamo venduto magliette con lo slogan "A woman's place is on top Annapura" per un'azienda di biancheria intima. Il 16 agosto la nostra carovana di circa 230 persone tra scalatori, facchini e sherpa lascia Pokhara seguendo l'antica via commerciale tra il Mustang e il Tibet. Raggiunto il fiume Kali Gandaki puntiamo verso nord seguendo il percorso della prima ascensione del leggendario Maurice Herzog nel 1950. Raggiungiamo i 1200 metri attraversando fitte foreste lungo un sentiero di fango scivoloso ma ben presto le piste forestali e i ripidi pendii erbosi vanno via via diradandosi sino al Passo francese, a 4400 metri.
Una lunga traversata sopra l'immenso canyon del Mristi Khola, seguita da una discesa di centinaia di metri verso il fiume e immediatamente dopo una nuova ardua salita sino ad arrivare alla postazione del campo base il 27 agostoIl campo è stato organizzato su una morena pianeggiante vicino al ghiacciaio a nord dell'Annapurna a 4420 metri sulla sinistra della lingua del ghiacciaio. Il 28 agosto dopo aver superato una serie di balzi rocciosi nella parte alta del ghiacciaio Liz Klobusicky e Alison Chadwick  organizzano campo 1 a circa 5000 metri di quota. Le piazzole vengono livellate da ghiaccio e roccia e gli sherpa le mettono in sicurezza pregando gli dei della montagna e cospargendo il perimetro del campo con il riso che il Lama aveva consacrato. Il 3 settembre Vera Watson, Annie Whitehouse e Piro Kramar raggiungono campo 2 a 5640 metri, campo predisposto dalla cordata olandese l'anno precedenteIl giorno dopo Irene Miller, Vera Komárková ed io fissiamo l'ultimo tratto percorso che porta a campo 2. Il sito aveva un diametro di nove metri e posto sotto una parete di ghiaccio che sembrava potesse offrire una certa protezione contro le valanghe. Eravamo estremamente consapevoli del pericolo valanghe a campo 2 perché in questa zona numerosi alpinisti ne erano rimasti coinvolti. Al campo abbiamo trovato resti della precedente spedizione olandese: scale metalliche per superare i crepacci, pali delle tende, sacchetti di plastica, e meglio di tutti, un pacchetto di cioccolato. Lopsang, il nostro sirdar, ancora una volta aveva cosparso di riso tutta l'area ammonendoci che il riso sacro non sarebbe stato sufficiente a garantire la sicurezza del campo.
Tuttavia dato che il calendario tibetano afferma che l'inizio di settembre è di cattivo auspicio per l'esposizione delle bandiere votive, abbiamo dovuto aspettare fino alla metà del mese prima che queste fossero portate al campo base. La tempistica della cerimonia comunque collimava bene con il diario che avevo previsto per la scalataIl monsone di solito termina a metà settembre così abbiamo avuto due settimane per stabilire campo 2 e trasportare l'attrezzatura. Dopo avremmo iniziato ad arrampicare la parte più difficile della montagna dove a quote tra i 5600 e i 6400 metri c'è maggior pericolo di valanghe. Tre le opzioni per la salita: (1) Il percorso della spedizione francese del 1950, che prevedeva una salita tecnicamente difficile ma più breve comunque in linea diretta con le valanghe. (2) Il percorso olandese che comportava un primo incrocio sotto la via francese incline alle valanghe, una ripida salita lungo una stretta di ghiaccio e roccia, camminando poi sulla sua cresta. (3) Più a sinistra c'era il percorso degli spagnoli che qualche anno prima avevano affrontato il versante est per raggiungere la vetta dell'Annapurna, seguendone la prima parte per poi attraversarlo tutto fino alla sommità. 
Abbiamo deciso di ripetere il percorso olandese che si presentava come il più sicuro. La notte prima della cerimonia dell'alzabandiera, abbiamo fatto festa di compleanno a due alpiniste del team, Margi che compiva 21 anni e Joan 50 anni, la componente più giovane e più anziana della squadra.Prima del solenne alzabandiera, gli sherpa si alzarono all'alba e costruirono un altare di mezzo metro in pietra rettangolare tra il nostro campo e il torrente. Rami di betulla furono bruciati e molte bandiere colorate sollevate. Abbiamo fatto offerte agli dèi della montagna e discorsi sulla scalata alla vetta. Proprio in quel momento spunta il sole rivelando la vetta dell'Annapurna al di sopra di noi. Un buon auspicio, noi speravamo. Il I7 settembre iniziamo ad arrampicare sul lato della nervatura olandese. Vera Komárková, Piro Kramar e Chewang Renzing si trovano a metà strada quando il tempo cambia di colpo e viene giù una grande tempesta. Cadono quasi trenta centimetri di neve all'ora su campo 2 e forte è il rischio valanghe su entrambi i lati del campo. Bisognava scavare ogni minuto, non c'era altra scelta altrimenti il peso della neve fresca avrebbe collassato le tende e di conseguenza l'abbandono del campo. Inoltre questa nuova neve aumentava il pericolo di valanghe quando avremmo ripetuto il tentativo sul percorso olandese. Per fortuna la tempesta si è placata e abbiamo aspettato alcuni giorni per il consolidamento della neve fresca. Annie, Vera Komárková, Mingma e Ang Pemba scalano il resto della nervatura olandese raggiungendo la cresta il 21 settembre. Il giorno dopo Vera Komárková, sempre energica, e Vera Watson tornano a stabilizzare un provvisorio campo 3A sulla cresta della nervatura. Da questo campo si salirà verso campo 3. 
Il 22 settembre Liz, Alison, Margi, Ang Pemba e Mingma avanzano sulla strettissima cresta. Nel frattempo si susseguivano piccole slavine ma è la troupe del film, al quale avevamo promesso che non si sarebbero trovate in postazioni pericolose, a subire la valanga. Il 26 settembre, la più grande valanga che abbia mai visto si staccava dal ghiacciaio a 7000 metri sopra campo 1. Il blocco nevoso era vasto circa tre chilometri come si è potuto vedere con orrore da campo 2. Abbiamo intravisto la troupe del film, Joan, Christie e due facchini sotto il ghiacciaio, sei piccole macchie sul percorso della gigantesca massa di neve. In pochi secondi la valanga ha spazzato tutto il ghiacciaio seppellendo le macchie e ammantando campo 1. Per diversi terribili momenti il nulla poi quando la valanga finalmente si è fermata abbiamo visto rialzarsi le piccole macchie e muoversi in modo irregolare, come formiche la cui casa è stata calpestata. Abbiamo contato sei puntini e tirato un sospiro di sollievo. La valanga ha livellato campo 1 continuando la sua corsa fino al campo base. Avevamo messo i nostri campi in luoghi considerati al sicuro dalle valanghe, ma quest'anno è diverso. Nessun luogo era davvero sicuroIl pericolo valanghe era così grave che si era seriamente considerata l'ipotesi di rinunciare e tornare a casa. Ma lo slancio della scalata aveva alla fine sopraffatto i nostri dubbi quindi si andava avanti. Nel frattempo, Liz Klobusicky, Alison Chadwick-Onyszkiewicz, Mingma e Ang Pemba raggiungono la cresta della nervatura e piazzano campo 3 a circa 6400 metri. La parte tecnicamente più difficile dell'Annapurna era stata superata. Poi Annie Whitehouse, Vera Komárková. Chewang e Mingma si trovano ad affrontare due lunghi duri giorni di arrampicata per stabilire campo 4 a settemila metri.
Il campo è una piccola piattaforma all'ombra di un enorme seracco. Era un luogo freddo e umido, ma aveva una vista spettacolare. Fissato campo 4, la domanda del giorno era: "Chi farà parte della summit team?". Avevo pensato fin dall'inizio che la selezione naturale avrebbe fatto la scelta della squadra d'assalto. In molte spedizioni, dopo mesi di duro lavoro ad alta quota, alcuni alpinisti sono fisiologicamente o psicologicamente troppo provati per tentare l'attacco alla cima ma la maggior parte della squadra stava diventando ancora più forte e più determinata di giorno in giorno. Liz Klobusicky aveva dovuto andare a casa presto per mantenere il suo lavoro di insegnante in Germania, la forza di Joan Firey era stata indebolita da una precedente malattia ed io avevo perso il mio personale desiderio di raggiungere la vetta sotto il peso della responsabilità della logistica e dei movimenti della squadra a fronte dell'evidente pericolo valanghe. Il resto della squadra, sette delle dieci scalatrici, erano ancora ansiose di cimentarsi con l'assalto alla vetta. Il piano originale considerava Piro Kramar, Irene Miller e Vera Komárková a formare la prima squadra e Alison, Vera Watson, Annie Whitehouse e Margi Rusmore la seconda. Margi sarebbe salita a piazzare campo 5 con due degli sherpa e i tre si sarebbero riposati durante il primo tentativo di vetta per poi prendere parte al secondo. 
Dal 12 ottobre abbiamo osservato stormi di oche che migravano dal Tibet all'India. Le abbiamo viste volare ad una altitudine di 8300 metri sopra la vetta. Erano i primi animali che vedevamo dopo settimane. Non siamo riusciti a capire il motivo per cui abbiano scelto di volare sulle montagne più alte del mondo. Perché non hanno preso la strada più facile attraverso i valichi bassi e le vallate dove potevano trovare cibo e acqua? Sentire giorno dopo giorno le loro grida mentre volavano sopra la vetta dell'Annapurna ci ha intensamente emozionate. In un certo senso eravamo come loro. In questo posto ai confini del mondo senza audio se non il vento e le nostre voci; senza luogo se non l'azzurro del cielo, le cime bianche e i colori sgargianti delle nostre tende; senza sensazioni se non il freddo della neve e del ghiaccio e il calore del sole, i nostri sacchi a pelo e le stufe. La domanda importante era perchè siamo qui? Pronte le risposte: per visitare l'Asia, per scalare una montagna, per testare la nostra forza e conoscere noi stesse. Tutto questo era vero, ma non era abbastanza. Perché una donna rischia la vita per stare sulla cima di una montagna? Un gruppo di oche fa il giro della vetta ancora una volta prima di riprendere il loro volo verso sud. Sfrecciano tra le alte cime per il panorama? Per la gloria? Ho sorriso e pensato "Scommetto che stanno andando per il gusto di farlo"Il 13 ottobre, la prima squadra sostenuta da Lakpa si sposta fino al campo 4. Nello stesso tempo Chewang, Mingma e Margi cercano di stabilire campo 5. Poi Margi deve scendere a campo 3 per il congelamento di un piede, mentre Mingma e Chewang finiscono il lavoro. Il giorno dopo la prima squadra d'assalto, con tre sherpa di supporto, sale a campo 5, a circa 7300 metri. Chewang e Mingma chiedono di unirsi alla prima squadra d'assalto garantendo in questo modo la sicurezza e la probabilità di successo del team. Il 15 ottobre i cinque alpinisti iniziano a prepararsi. Proprio mentre stanno per andarsene, Piro Kramar nota che c'è un piccolo foro nel suo guanto di linea e la punta di un dito si è congelata. Si toglie il guanto e tutto il dito era bianco e non si muoveva. Poiché Piro è un chirurgo e l'uso delle dita sono come "strumenti di lavoro" ritorna nella tenda rifiutandosi di andare in vetta, Gli altri quattro alpinisti cominciano a salire poco prima delle sette. Il tempo appare buono per l'assalto alla vetta: cielo sereno e assenza di vento. Il terreno ripido e ghiacciato. A 7700 metri, dopo circa tre ore e mezzo di arrampicata, Vera Komárková esclama "sento bollire il mio cervello" e lei e Irene iniziano a utilizzare l'ossigeno. Poco sotto la cima della piramide la neve è molto profonda e il loro ritmo viene rallentato, ma presto dirada e camminare diventa più facile.
Sotto la cima gli strati di roccia non sono un problema. Raggiungono una cresta sommitale ventosa. Chewang inizia a correre lungo il crinale cercando di determinare il punto più alto dove procedere e alla fine arrivano lì, il picco di Annapurna I, finalmente! Alle 15.30 del 15 ottobre 1978, i quattro alpinisti sono a 8091 metri in cima alla decima montagna più alta del mondo! Sulla vetta lasciano molte bandiere, quella nepalese, l'americana e una con la scritta 'A Woman's Place is on top". La vista dall'alto è straordinaria. Montagne bianche al di sopra di un mare di colline marrone e rosse fuse all'orizzonte con il blu intenso del cielo. Come Irene, Chewang e Mingma si mettono in posa per la macchina fotografica di Vera Komárková, cominciano a gridare nella radio, e un grande grido di gioia risuona da un campo all'altro e giù per la montagna. Gli scalatori tornano indietro diretti a campo 5, due razzi rossi vengono sparati verso il cielo sopra campo 2 così da segnalare il successo a Margi e Annie a campo 3.
Il 16 ottobre gli sherpa scendono direttamente a campo 2, mentre Piro, Irene e Vera rimangono a campo 4 a sostegno della seconda squadra d'assalto: Alison Chadwick-Onyszkiewicz e Vera Watson. Avevamo sperato che uno o più degli sherpa sarebbero rimasti in cima alla montagna a sostegno del secondo tentativo alla vetta, ma i tre sherpa erano scesi al campo base con sintomi d'altitudine e gli altri tre a campo 2 erano molto stanchi del lavoro in quota. La notte del 16, Alison, Vera Watson, Vera Komárková, Irene e Piro trascorrono la notte a campo 4 discutendo l'imminente ascesa della seconda squadra. Nonostante la mancanza degli sherpa, Vera e Alison sono determinate a fare il proprio tentativo. In molte spedizioni himalayane, dopo che una squadra raggiunge con successo la vetta, la tensione si placa. Ma Alison e Vera volevano almeno salire a campo 5, stavano infatti considerando di fare un tentativo sul picco centrale inviolato dell'Annapurna.
La mattina successiva guardavamo con i binocoli gli spostamenti di Vera e Alison sul ripido ghiaccio verso campo 5. Facevano maggiori progressi rispetto alla prima squadra, gravata com'era di carichi molto più pesanti. Tende, sacchi a pelo e un po 'di cibo erano a disposizione di Vera e Alison a campo 5. Le guardavamo farsi strada fino al pendio finchè la montagna non è stato coperta dal buio della notte. In base all'ultima chiamata radio della giornata, la troupe cinematografica stimava che Vera e Alison fossero a venti minuti da campo 5 e si muovevano bene. Tuttavia quella notte non chiamarono, e il giorno dopo non si hanno notizie di loro nonostante i continui tentativi alla radio e i controlli del versante con i nostri binocoli. Non abbiamo alcun segno di loro. Pensavamo che la loro radio fosse rotta, ma ci stavamo preoccupandoAbbiamo discusso con gli sherpa al campo 2 chiedendogli di risalire la montagna al mattino per vedere se Vera e Alison avessero bisogno di aiuto ma gli sherpa erano troppo stanchi per scalare e ci rassicurarono su di loro. Il giorno dopo, non ci sono ancora segni di movimento e nessuna parola alla radio, allora gli sherpa coraggiosamente decidono di tornare su a campo 5 per vedere se Vera e Alison fossero in difficoltà. Poche ore dopo la radio trasmette le voci agitate degli sherpa. Proprio dal tono, ancor prima che della traduzione, sapevamo che le notizie fossero delle peggiori. Gli sherpa avevano trovato il corpo di Alison. Lei era ancora legata alla corda e la corda cadeva in un crepaccio dove c'era Vera...
Siamo stati sopraffatte dal dolore. Sapevo dove guardare ora, ho preso il binocolo e controllato i pendii alla sinistra di campo 4. Ho potuto solo vedere una macchia rossa, la giacca di Alison. A quanto pare Vera e Alison non avevano mai raggiunto campo 5 il 17 ottobre. Devono essere cadute sul ghiaccio ripido sotto il campo o buttate giù da una frana. Caddero per quasi trecento metri fino a quando non si fermarono a sinistra del campo 4. Gli sherpa riferirono che Vera e Alison dovevano essere morte durante la caduta. Ho chiesto a Piro e Vera Komarkova di salire con me il giorno dopo per esaminare i corpi. Si sono preparate presto ma il dito di Piro ha ricominciato a congelare, e siamo state costrette a tornare indietro. Con estrema tristezza, abbiamo imballato i nostri carichi e siamo scese al campo base.
I
 nomi di Vera e di Alison sono stati incisi sulla roccia dove sono già scritti quelli degli altri sette alpinisti che sono morti sull'Annapurna. Ora i loro nomi rimarranno per sempre di fronte alla vetta che speravano di raggiungere. Sarebbe un mondo diverso se Alison e Vera fossero ancora con noi. Eravamo piene di gioia dopo una scalata di successo... Abbiamo preso le mani e cantato la nostra vecchia canzone e poi gli sherpa hanno intonato "om mani padme hum, om man!"



Arlene Blum
Annapurna: A Woman's Place
Edizione: Counterpoint
Lingua: Inglese
Pagine: 272
www.arleneblum.com