lunedì 30 dicembre 2024

Divertente camminata a Montebello Vicentino - domenica 29 dicembre

Percorso tra storia e viticoltura immerso nel verde, alterna tratti pianeggianti e collinari con
brevi ma impegnative salite, terreno misto asfalto e sterrato. Il percorso Blu è circolare con partenza ed arrivo in Piazza Italia, antistante il Municipio di Montebello Vicentino e ben tabellato dal Cai locale. I primi 3,5 chilometri sono pianeggianti e si percorrono lungo la pista ciclopedonale sull’argine destro del torrente Chiampo che dà il nome a tutta la vallata. Arrivati al passaggio pedonale sulla strada provinciale SP22 di Sorio si svolta a destra verso Contrada Mason (nome che deriva da mansio ovvero una stazione di epoca romana). La Mason era la principale sede templare in provincia di Vicenza sin dal 1189. Si prosegue quindi in leggera salita fino all’Obelisco, monumento commemorativo della battaglia di Sorio, contro il dominio asburgico del 1848. Percorsi quasi cinque chilometri si arriva in località Guglia. In questo tratto, rinselvatichito dalla vegetazione, si possono osservare gli affioramenti della roccia vulcanica che forma questa dorsale collinare. Successivamente si scende fino ad incrociare la strada comunale. Da lì, seguendo la segnaletica blu, si attraversa l'arteria stradale e ci si arrampica lungo il crinale del colle, prima propaggine dei Monti Lessini con i suoi ordinati vitigni che danno origine all'ottimo vino Durello.
Sulla sinistra splendida è la vista sul territorio di Gambellara che dà il nome all’altro rinomato vino bianco del territorio. Al chilometro 7,5 si raggiunge Contrà Guarda e si gira a destra in discesa verso Selva, un’incantevole frazione di Montebello mentre il percorso Rosso continua diritto in cresta fino a Contrà Pieropan e successivamente si raggiunge Agugliana, un agglomerato di poche case dominato dalla settecentesca chiesa. Oltrepassata la frazione, si svolta a destra all’incrocio e seguendo sempre la nostra segnaletica  si giunge in località Brusegala dove, percorrendo una strada bianca tra i vigneti, si incrocia un’altra strada comunale. La si percorre rapidamente per poi affrontare una breve ma ripida salita che ci porta fino alla cima delle Gualive, in prossimità dell’antica necropoli dei Veneti Antichi. Siamo ora in via Pegnare dove possiamo godere del paesaggio sottostante sul paese, sui Colli Berici e su tutta la pianura. Mentre si scende verso il paese svetta in alto l’imponente Castello dei Maltravesi (secolo XII) e poco più a valle, sulla sinistra, ci si sofferma malinconicamente sugli antichi splendori di Villa Miari.Siamo ora in via San Francesco a due passi dall’arrivo in Piazza Italia. Inevitabile la conclusione al Bar Castello con ottimi affettati e formaggi, una carta dei vini molto interessante e soprattutto la cordialità della titolare, la signora Liliana.

(fonte: Cai - Montebello Vicentino)

PARTENZA: Montebello Vicentino (mt 48)
SEGNAVIA: percorso Blu
DIFFICOLTA': T
DISLIVELLO: mt 232
ALTITUDINE: mt 280
LUNGHEZZA: km 13,3

domenica 22 dicembre 2024

TESSERAMENTO ASSOCIATIVO 2025

Creato il gruppo Allegre Marmotte il Primo maggio 2010 - divertita scommessa tra i monti della val di Fassa - e trasformatosi poi in associazione nel marzo 2019, negli anni ha maturato una propria strada di crescita con la buona intenzione di portare avanti dei progetti e delle idee legati a quella comune passione chiamata montagna, ampliandoli successivamente a nuovi interessi, eventi, curiosità e coinvolgendo in questo modo le persone in modo da dare un senso di appartenenza al gruppo. Ora siamo entrate in un nuovo anno di attività ponendoci criticamente su ciò che è stato fatto e quali proposte intercalare ancora nei prossimi mesi in primis l'importante appuntamento del 4 maggio 2025 quando festeggeremo 15 anni di marmotte!

Ecco i punti considerati per l'anno associativo 2025
  • La tessera associativa ha validità annuale, dal 1 gennaio al 31 dicembre 2025 e un valore di 10 euro e diventa obbligatoria per la partecipazione a tutti gli eventi organizzati dall'Associazione (non solo escursioni o gite, ma anche cene, feste, degustazioni in cantina, grigliate e similari)
  • La tessera associativa non comprenderà l'assicurazione. Esclusivamente per le escursioni e i viaggi può essere proposta una assicurazione "temporanea" ovvero legata al singolo evento, a discrezione delle partecipanti
  • I viaggi e le gite previste avranno una durata di 2-3 giorni al massimo e, in questi casi sarà richiesta una caparra, pari al 25% del prezzo totale (art. 1386 c.c.), almeno una settimana prima dell'avvenimento 
  • La montagna avrà sempre un privilegio particolare con escursioni e cammini ma, in linea con i presupposti degli scorsi anni associativi, continueremo ad avviare altre formule organizzative (visite museali, incontri culturali, etc) e non solo, anche eventi enogastronomici legati alla promozione del territorio, dei prodotti e della cucina locale
  • Per tutto il resto farà fede il Regolamento Ufficiale dell'Associazione Allegre Marmotte
  • L'iscrizione può essere effettuata sulla nostra postapay evolution n° 5333 1712 2956 3610 a nome Teodolinda Mian (causale TESSERAMENTO ASSOCIAZIONE ALLEGRE MARMOTTE anno 2025) IBAN: IT20P3608105138244435344441
    oppure durante la partecipazione ai nostri programmi
    Info: 347 1527671 (anche per la richiesta del Regolamento Ufficiale), le nostre pagine Facebook e il blog allegremarmotte.blogspot.com

lunedì 16 dicembre 2024

Emozioni senza fine alla Christmas Run di Verona - domenica 15 dicembre

La Christmas Run, 
appuntamento ormai consolidato nel periodo natalizio, colora di rosso il centro storico di Verona. Atmosfera gioiosa, musica e balli natalizi e l’odore inconfondibile del vin brulè, ecco gli ingredienti per accogliere i quattromila Babbi Natale provenienti da numerose città italiane e da ben 25 paesi esteri, per celebrare lo spirito delle feste e la solidarietà. Presente al via anche l'assessora comunale alle Politiche sociali, Luisa Ceni. Parte del ricavato sarà devoluto all’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare per Fondazione Telethon. Pronti via! I maratoneti in prima fila scattano come schegge allo start da Piazza Bra, davanti al Palazzo della Gran Guardia, mentre il fiume rosso in cui ci troviamo avvolte va a percorrere con pacifico ritmo via Roma. Poco più avanti gli iscritti alla dieci chilometri svoltano sullo stradone Porta Palio, noi invece che "corriamo" i cinque chilometri ci godiamo un lungo tratto del Lungadige avvolto da una nebbia leggera quasi magica. Ora Verona si mostra in tutta la sua bellezza. Si attraversa in successione il Ponte della Vittoria per poi percorrere il Corso di Porta Borsari, in direzione del cuore della città. I chilometri scorrono lungo Piazza delle Erbe, Piazza dei Signori ed il Lungadige Panvinio, in direzione di via Ponte Pietra. Dal Lungadige Rubele, percorrendo lo stradone Maffei, si torna infine in una rosseggiante e arruffata Piazza Bra accompagnate dalle note di DJ Alex Armani. E dopo tutte in trattoria!

lunedì 9 dicembre 2024

Pomeriggio al Big Bowling - domenica 8 dicembre

Pomeriggio divertente al Big Bowling di Rubano (PD). Mentre una domenica uggiosa non permette incursioni montane meglio cimentarsi con il bowling, tra una canalina impietosa e degli incredibili strike. Chiusura di serata con una ottima cena al Ristorante Pizzeria "Le Torri", sempre nel piccolo centro padovano.

lunedì 2 dicembre 2024

I sentieri colorati di Bolca (Monti Lessini) - domenica 1 dicembre

Domenica in tranquillità. Partite con parecchia nebbia che non sembrava volesse andarsene e arrivate a Bolca con un sole stupendo e in cima un mare di nuvole. Le Piccole Dolomiti e i Lessini in tutto il loro splendore, sentieri di vari colori (da perdersi) e dopo la chiesa del paesello in salita al monte Purga.

(Cristina Desenzani)

lunedì 25 novembre 2024

Camminata simbolica per la giornata contro la violenza sulle donne in Valtenesi (Lago di Garda) - domenica 24 novembre

Nuvole grigie si addensano sopra il cielo di Muscoline in questa domenica novembrina mentre andiamo a raggiungere la partenza della Camminata simbolica per la giornata contro la violenza sulle donne organizzata da Sonia di "Sentieri nel tempo". Ci troviamo di fronte al Santuario di San Quirico (XII secolo), nell'omonima frazione, un bel gruppo di persone con indosso un indumento o un accessorio rosso, colore dell'amore che talvolta si trasforma in male, diventato triste simbologia delle violenze sulle donne. L'escursione inizia visitando il santuario dalla caratteristica nudità tipica dell'architettura romanica e con l’arioso interno ad una sola navata divisa da tre arcate a sesto acuto. Sotto le vecchie imbiancature emergono bellissimi gli affreschi del Quattrocento lombardo. Ora è davvero tempo di partire impegnando un sentiero che si immerge velocemente nella foresta di castagni e faggi. Nelle zone a confine con il bosco si sentono numerosi spari ed infatti incontriamo alcuni cacciatori lungo il tracciato. Raggiungiamo a pieno ritmo il panoramicissimo residence a Cassaga e superate le ultime case ci si immerge nuovamente nella boscaglia che sale alla Panchina Gigante color rosa di Muscoline
 ispirata al vino più caratteristico della Valtènesi, il Chiaretto, dal colore tenue la cui tonalità, nella sua visione più romantica, è ispirata ai meravigliosi tramonti del Lago di Garda. Da questo punto di osservazione un meraviglioso panorama si apre sulla Valtènesi con le sue distese di vigneti, uliveti, le morbide colline moreniche che degradano dolcemente verso il lago maestosamente dominato dal Monte Baldo. Scendiamo con passo svelto lungo il pendio ritrovandoci circondati da filari di viti di Groppello, Marzemino, Sangiovese e Barbera.
In lontananza osserviamo il Lucone, un importante sito preistorico che appare quasi in stato di abbandono, mentre risaliamo una collinetta per raggiungere la chiesa di San Pietro in Lucone, eccezionalmente aperta per noi, situata in prossimità del cimitero di Polpenazze del Garda. La struttura architettonica è ascrivibile al XV secolo ma la sua origine romanica è documentata dai suoi affreschi del Trecento e dal duecentesco campanile. In evidenza sia il bellissimo organo in legno che l'affresco raffigurante la Concezione della Beata Vergine (1603) attribuita a Pietro Ricchi, detto il Lucchese. Ripreso l'ampio sterrato, tra oliveti e pregiati vitigni, in direzione della Cantina Trevisani, incrociamo i laghi di Sovenigo, tre piccoli laghetti incastonati tra le colline moreniche dove, in luglio e agosto, fioriscono i fiori di loto che la tradizione locale vuole importati direttamente dal Giappone, laghi che conservano il fascino selvaggio e naturale di un tempo. La zona è infatti un'oasi naturalistica ed ambientale. Superato un breve fronte boschivo raggiungiamo la storica cantina sulle colline affacciate sul Benaco, nel comune di Gavardo. Uno dei principali fattori che lo rendono un luogo così speciale per la produzione del vino - ci raccontano i titolari - è il suo particolare microclima, che consente una cura ottimale delle viti tradotte nella produzione di vini di alta qualità. Nel frattempo nella saletta ci aspetta uno stuzzicante aperitivo con generosi taglieri a base di salumi e formaggi, una squisita giardiniera oltre all'ottimo vino di produzione della cantina (Due Querce Cabernet Sauvignon su tutti).
E la terrazza naturale ci regala una vista mozzafiato sul Garda. Evitato l'asfalto concludiamo l'anello con il ritorno
 al Santuario.

PARTENZA: Santuario San Quirico (mt 225)
SEGNAVIA: ---
DIFFICOLTA': T
DISLIVELLO: mt 120
ALTITUDINE: mt 345
LUNGHEZZA: km 14


 

lunedì 11 novembre 2024

L'Orso di Martalar sull'Altopiano di Pradel - domenica 10 novembre

L’Orso di Vaia di Martalar è una straordinaria opera d’arte situata sull’Altopiano di Pradel al cospetto delle Dolomiti di Brenta. Realizzata dallo scultore vicentino Marco Martalar, l'imponente scultura di legno non è solo un tributo alla bellezza della natura ma soprattutto un simbolo di resilienza e rinascita. Realizzato interamente con duemila pezzi di larice abbattuti dalla Tempesta Vaia, evento meteorologico devastante che ha colpito le foreste del Nord Italia nell’ottobre 2018, Martalar è riuscito a trasformare la distruzione in arte dando nuova vita ai tronchi spezzati. La maestosità dell’opera è evidenziata dai suoi sei metri di altezza e otto di lunghezza ma è anche nella perizia dei dettagli che riflette l’abilità artistica di Martalar. 
L’Orso si trova a poca distanza dall’arrivo della funivia Pradel che collega Molveno alla località montana quindi facilissimo da raggiungere, ma l'autunno ci regala uno spettacolo unico, fatto di nuovi meravigliosi colori che riabbracciano il calore della terra dopo che per mesi si erano offerti ai nostri occhi in modo vivo e rigoglioso, quindi lasciamo le strade battute per ripidi pendii e bruschi tornanti, declivi scoscesi e brughiere selvagge. 
Punto di partenza dell’escursione è l'ampio spiazzo di Val Biole (via Belvedere n°36) lungo la strada che corre alta sopra la statale che collega Andalo a Molveno. Si prende la carrareccia che sale a Spiaz de Piof e da qui si va a raggiungere Casina Bruniol all'interno di boschi silenziosi. Arrivati in località Pineta, dove la strada si biforca, si procede a sinistra verso il rifugio Pradel e si supera un piccolo invaso artificiale. Lungo il tracciato che porta ai 1460 metri di Malga Tovre, si aprono i meravigliosi panorami sul lago di Molveno. Dalla malga si raggiunge l'arrivo della funivia del Pradel, superiamo il Rifugio La Montanara e duecento metri più avanti lo sguardo si posa incantato sul maestoso Orso di Vaia e su alcune delle splendide montagne del Brenta, tra le quali il vicino Croz dell’Altissimo e alla sua sinistra la Cima della Vallazza, la Cima Roma e la Cima Sella.


PARTENZA: Val Biole (mt 965)
SEGNAVIA: 352B (Rif. La Montanara)
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 555
ALTITUDINE: mt 1520
LUNGHEZZA: km10

lunedì 21 ottobre 2024

Museo Nicolis - Un viaggio nel tempo - domenica 20 ottobre

Suggestioni di epoche differenti, dall’eleganza del dopoguerra, l’edonismo degli anni del boom economico fino al modernismo geometrico degli anni 70 all'interno di una luminosa struttura in vetro e acciaio nella zona industriale di Villafranca di Verona. L'entrata del Museo Nicolis è dominata da una maestosa scala a chiocciola e dalla scultura in bronzo, a dimensioni reali, di una Cottereau "Populaire" del 1903, una vetturetta francese, ideata per il ceto medioborghese del primo Novecento. Poi si apre luminosa l'area espositiva dove troneggia una splendida Lancia Aurelia B20, auto amata anche dal grande attore americano Gary Cooper, terza assoluta nella Mille Miglia del '52. Più a destra troviamo la Bugatti Type 49 del 1931 utilizzata nel film Grand Prix del 1966, la francese Amilcar (1928), posta al suo lato una Bianchi decappottabile del 1909, auto di lusso a trasmissione cardanica, e la bella Lancia "Lambda" (1928). Accanto fa bella mostra la Maserati "A6 1500" (1947) disegnata da Pininfarina, dietro quasi a ventaglio le due fiammanti Ferrari - la celeberrima Testarossa e la "348 TB" - anni Novanta che raccontano l'evoluzione tecnica delle sportive, e in contraltare le tre Fiat la "500 Spider" (1949), la 1100 Sport Barchetta (1948) e la Zanussi 1100 Sport del 1952 meravigliosi esempi delle “speciali da corsa”.
Superata un’area con cimeli militari delle due guerre mondiali ci appare d'incanto la seducente Harley-Davidson FLSTC Heritage Softail Classic “H-Paradise” (1994) il cui magnifico color ciliegia è il risultato della sovrapposizione di trentanove strati di vernice realizzati interamente a mano, e accanto quasi a farle il vezzo, l'agile torinese Fongri, bellissima bicilindrica del 1921, prodotto scaturito da una miscela di passione e genialità tipica di quei tempi ma oggi così malinconicamente lontana. Per visitare la vera collezione di auto dobbiamo però salire al primo piano, dove si va ad ammirare l’evoluzione della tecnica e della meccanica. Gli albori sono rappresentati dalla Motrice Pia, il primo motore a scoppio funzionante a benzina, realizzato nel 1884 dal veronese Enrico Bernardi, in competizione con il tedesco Karl Benz, a cui è dedicata una apposita sessione, corredata dai disegni originali dell’ingegnere. Tra le tante meraviglie a quattro ruote, ecco la tedesca Benz “Jagdwagen 8/20 PS” (1914) ordinata da un maharaja indiano, la velocissima Ansaldo “4/CS ” (1924) vittoriosa nella corsa in salita “Trento-Bondone” del 1924 guidata da Ettore Mayr, la Mercedes-Benz “500 K” (1934) probabilmente utilizzata da alcuni esponenti di governo del Terzo Reich e la Rolls-Royce “20 hp” (1927) che si fregiava di essere la fornitrice ufficiale di Sua maestà il Re, della Regina e del Principe di Galles.
La Fiat rende omaggio al regime fascista chiamando Balilla il modello 508, presente in mostra, ma la vera protagonista del piano è la Lancia Astura Mille Miglia, un esemplare unico al mondo costruito appositamente per il grande pilota Gigi Villoresi nel 1938. La vettura si presenta come un bolide rosso fiammante che colpisce per le sue forme accattivanti e incredibilmente moderne. Procedendo lungo il tappeto blu, si trovano esposte le “stars del cinema” come l’enorme Isotta Fraschini 8 AS del 1929 nel celebre film Il Viale del Tramonto, la DMC DeLorean (1981) di Ritorno al futuro, la Ford Thunderbird (1966) di Thelma & Luise e la Lancia Aurelia B24 Spider de Il Sorpasso (1962) di Dino Risi con Gassman e Trintignant. All’interno del Museo Nicolis sono presenti anche macchine fotografiche, cineprese, strumenti musicali, jukebox, macchine da scrivere come la famosa Lettera 22 di Olivetti, volanti e modellini automobilistici di ogni scala e marchio mentre sul tetto giganteggiano alcuni aerei della Lockheed e la livrea argentea del piccolo Fiat G46 degli anni '50. Saliamo all'ultimo piano del museo dove sono presenti circa un centinaio di modelli di moto e di biciclette che raccontano la storia delle due ruote
Partiamo dagli albori con la Draisina creata dal Barone Karl Von Drais, un pezzo unico in legno totalmente privo di pedali (1816). Con l’invenzione dei pedali - grazie all'ispirazione del carrozziere parigino Michaux - nel 1861 nacquero i primi veri velocipedi, come la Michaudine del 1865, con telaio in ferro e ruote di legno ricoperte di ferro presenti in mostra. Tantissime le Bianchi, da quella con la livrea verde dei Bersaglieri (anni '30-'40), alle vittoriose di Giri d'Italia e Tour de France tutte costruite con grande cura e con componenti di qualità, caratteristiche che hanno sempre decretato il grande successo commerciale della casa milanese. Originalissima la bicicletta destinata ai vigili del fuoco del 1910, che operavano all'interno delle industrie petrolchimiche. La dotazione di questa bicicletta comprendeva oltre alla manichetta per l'acqua arrotolata nel telaio, un becco a lancia, un piede di porco, una piccola ascia, la sirena, il casco ed un fanale a carburo. Dai gloriosi pedali alla raffigurazione del centauro, icona di libertà e potenza. Tra le moto ammiriamo la Bianchi Tonale 175cc (1956) qui rivestita con una speciale carenatura realizzata in collaborazione con l’ingegner Nardi, progettista di aerei. Presente anche la Skootamota del 1919, mezzo innovativo definito anche “la non moto”, dal peso di 35 chilogrammi indicato come il precursore del moderno scooter.
E poi l'inglese Ariel "Square Four" con sidecar (1932), fra le case motociclistiche più innovative dell'epoca, le Ducati con una delle sue prime rappresentazioni, il Cucciolo, di fatto un motore a quattro tempi montato su una bicicletta. Due splendide Galloni, marchio piemontese fondato a Borgomanero negli anni ’20 del Novecento oggi rarissime, e poi l'eccellenza tecnica delle Gilera, le moto Guzzi dei vari Astore, Falcone, Cardellino tutte in bella mostra. E il blocco degli scooter a marchio Piaggio. A rendere la sua Vespa uno status symbol ha senz’altro contribuito il film Vacanze Romane del 1953 in cui Audrey Hepburn e Gregory Peck affrontano il traffico di Roma in sella a una Vespa 125. E non c’è ciclomotore più iconico del Piaggio "Ciao", prodotto per quasi 40 anni in innumerevoli esemplari. Ed arrivare infine ad epoche più recenti, dominate dalle giapponesi, con la Yamaha YZF 500 del 1996 in testa.
Il percorso museale è purtroppo terminato. Pezzi unici selezionati con un preciso criterio e che formano idealmente un’enciclopedia tangibile con linguaggio universale. Collezioni ricercate, restaurate e conservate con lungimiranza da Luciano Nicolis che consente al pubblico di scoprire l’ingegno dell’uomo e di declinarle in ogni possibile interpretazione con infinite chiavi di lettura

lunedì 14 ottobre 2024

La Rocca d'Olgisio: la perla che domina tutta la Val Tidone - domenica 13 ottobre

L'imponente affioramento roccioso della Rocca d'Olgisio (mt 564), spartiacque tra la val Tidone e la val Chiarone, è uno dei complessi fortificati più antichi del piacentino in una zona appenninica caratterizzata da cime di quote modeste ma che regalano suggestivi panorami sulla pianura padana e le vallate circostanti ricche di vigneti. Fa parte dei Castelli del Ducato di Parma, Piacenza e Pontremoli. La rocca presenta una struttura caratterizzata da una pianta di forma irregolare a cui si accede tramite l'ingresso più....sul lato nord dell'edificio. Il versante meno aspro, quello meridionale, caratterizzato dalla presenza di un declivio meno ripido e per questo più vulnerabile all'attacco nemico, venne munito di cinque ordini di spesse mura all'interno delle quali si addossano numerosi corpi di fabbricato ed un dispositivo di cortine che costituiscono gli ordinamenti difensivi della rocca. L'entrata del terzo ordine murario è sormontato da un arco bugnato sulla cui sommità è decorato un dipinto, ormai stinto, di un Santo. L'ingresso, che riporta scritto sullo stipite interno il motto latino Arx impavida era originariamente dotato di ponte levatoio, di cui restano solo gli incastri, e di un'inferriata a saracinesca, andata perduta. Nel cortile si trova un pozzo, profondo una cinquantina di metri su cui insistono leggende di passaggi segreti e vie di fuga dal castello.
Dal lato opposto del cortile sono presenti l'oratorio dedicato a Santa Faustina e Santa Liberata e il bel mastio con saloni affrescati, caratterizzato da una pianta di forma rettangolare su cui si innesta la torre della campana, originariamente più alta. Diversi elementi decorativi, come la balaustra sorretta da tredici mascheroni, alcuni affreschi e lo scalone risalgono agli ultimi anni del Cinquecento per volontà del cardinale Jacopo Dal Verme III. Nella parte esterna della Rocca si apre un giardino rigoglioso che ospita fiori e piante rarissime, come alcuni fichi d’india nani, diverse specie di orchidee selvatiche e una insolita varietà di amarillidi gialla originari del Sudafrica. Si tratta di specie difficili da trovare in Europa, specialmente nelle regioni del nord, ma che riescono a crescere e a sopravvivere grazie al particolare microclima della Val Tidone. 
Poco oltre la cinta muraria più esterna, sono presenti alcune grotte naturali all'interno delle quali sono stati trovate tracce di insediamenti preistorici. Secondo la leggenda, nel 550 il signore del castello era un certo Giovannato, padre delle sante Liberata e Faustina ma le prime notizie documentate della Rocca risalgono al 1037 quando il fortilizio viene ceduto da Giovanni, canonico nella cattedrale di Piacenza, ai monaci di San Savino che lo custodiscono fino al 1296.
Per un centinaio d'anni, periodo storicamente turbolento, si succedono vari proprietari tra cui la signoria pontificia, sino a giungere nel 1378 quando Galeazzo Visconti assegna la Rocca in
feudo nobile e perpetuo a Jacopo Dal Verme, celebre capitano di ventura di nobile famiglia veronese che con alterne vicende ne mantiene il possesso sino alla metà dell'Ottocento quando la famiglia si estingue, per successione ereditaria, passando ai conti Zileri di Parma. Da questo momento la rocca subisce un degrado inarrestabile e una vera e propria spogliazione di oggetti e arredamenti antichi. Dopo vari passaggi di mano, nel 1979 la proprietà passa alla famiglia Bengalli che con notevoli sforzi, una grande passione e un attento restauro hanno reso visitabile al pubblico il bellissimo maniero.

lunedì 7 ottobre 2024

Dal Corno d'Aquilio il panorama è infinito - domenica 6 ottobre

La cima del Corno d'Aquilio (mt 1547) è un pilastro nord orientale dei Monti Lessini che si affaccia alto e solenne sulla Val d'Adige, tra Verona e Trento. Per salire alla cima del Corno d'Aquilio si può partire da contrada Tommasi di Fosse di Sant'Anna d'Alfaedo, come pure dal passo di Fittanze della Sega. Noi preferiamo optare per la prima soluzione. Il sentiero 240, che corrisponde in larga parte al sentiero europeo E7, si stacca da una comoda strada di avvicinamento asfaltata, poco distante dal parcheggio più alto in Contrada Tommasi. Iniziato il sentiero, ci si inerpica lungo una salita immersa nel bosco che come per incanto è passato in pochi giorni dal verde brillante al giallo senape, all’arancio, al rosso e al marrone. I passi si fanno silenziosi, la prospettiva infinita. Dal bosco si raggiunge una selletta tralasciando le stradine per il passo Fittanze, e si proseguire in leggera salita, ad aggirare malga Pretta di Sopra (m.1527) poco sotto la gobba del Cornetto (mt 1543) con relativo brutto edificio in cemento armato del ripetitore, dalla quale si apre lo straordinariamente bello piccolo e dolcissimo altopiano di malga Fanta, dove si trova la celebre Spluga della Preta, una delle grotte più profonde al mondo con i suoi 877 metri esplorati sotto la cima del Corno d’Aquilio. Poco lontano dalla dolina della Spluga della Preta - completamente recintata - si trova la chiesetta degli speleologi e a qualche centinaio di metri la Grotta del Ciabattino, facilmente visitabile da tutti. Tutto attorno un bucolico paesaggio popolato esclusivamente da mucche al pascolo. Oltrepassato il recinto ora si mira alla croce della cima che si raggiunge con salitella tra prati e balze erbose.
La cima è davvero stupefacente. All'improvviso, ai piedi della grande croce di ferro, si spalanca lo strapiombo sulla val d'Adige e sulle contrade di Sant'Anna d'Alfaedo. Intorno lo sguardo spazia su tutta la Lessinia, le Piccole Dolomiti, i contrafforti della Valle dell'Adige, il Baldo ed anche il lago di Garda...peccato per il grande ammasso nuvoloso che copre la vetta e che fa solo percepire la straordinaria bellezza paesaggistica. Dopo la meritata sosta e scattate le foto di rito si riprende la discesa raggiungendo malga Preta di Sotto (mt 1482) dove andiamo a gustare i deliziosi "gnocchi sbatui" tipici della Lessinia, i corposi antipasti e la rustica polenta. Assaggiare la loro grappa e un vino sincero è quasi d'obbligo. E' tempo di ritornare. Affiancata la ghiacciaia della malga si scende nuovamente lungo il sentiero 240 nel bosco della val Liana che sbocca nella strada sterrata non lontano da contrada Tommasi.


PARTENZA: Contrada Tommasi 
(mt 1130)
SEGNAVIA: Cai 240
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 415
ALTITUDINE: mt 1545
LUNGHEZZA: km 7,5

domenica 6 ottobre 2024

Festival del Cammino: incontro emozionante con Nives Meroi - sabato 5 ottobre

Lei scalza senza bombola d'ossigeno e senza aiuto di portatori d'alta quota. Gioca pulito col mondo Nives Meroi la tigre sopra i grattacieli di madre natura.
Sono le parole dello scrittore Erri De Luca estratte dal bellissimo libro "Sulla traccia di Nives". Solo il meteo inclemente nega la possibilità della camminata sotto le stelle alla Santissima di Gussago al cospetto della grande alpinista Nives Meroi. Tutto è rimandato ad un incontro nella meno spettacolare Sala Polifunzionale del centro franciacortino - moderato dal giornalista Andrea Mattei della Gazzetta dello Sport - dove a raccontarsi c'è Nives Meroi, la prima italiana ad aver scalato tutti i 14 ottomila del mondo insieme a suo marito Romano Benet, che l'ascolta seduto in prima fila. E' una Nives semplice e disincantata che dà quasi l'impressione di non prendersi sul serio nonostante il prestigioso curriculum sportivo. Un cammino iniziato dalle Alpi Giulie per arrivare sulle cime più alte della Terra, senza l’ausilio dell’ossigeno, di portatori d'alta quota o di altri aiuti. Un cammino fatto di piccoli passi, passione, umiltà, pazienza. Ma anche di libertà e responsabilità, di curiosità e attenzione per i particolari perché in montagna le distanze non si calcolano in chilometri ma in giorni di percorso. Bergamasca di Bonate di Sotto, classe 1961, Nives si racconta partendo dall'ultimo ottomila, l'Annapurna - conquistato l'11 maggio 2017 - attraverso le immagini proiettate sullo schermo, senza musica se non la sua voce narrante mai monotona. 
"Alle 10:30 (ora locale) Nives Meroi e Romano Benet hanno raggiunto la cima dell’Annapurna a 8091 metri riuscendo così a completare il “grande tour” dei 14 Ottomila della Terra. Cinque settimane di duro lavoro per i due che hanno fatto squadra con gli spagnoli Alberto Zerain e Jonatan Garcia. Dieci ore di salita per l’attacco alla vetta con meteo instabile per oltre 1.100 metri di dislivello. La vetta dell’Annapurna alle 6,30 di questa mattina. Ora stanno scendendo verso campo 4".
Nives conosce bene la difficoltà della salita, del gelo e della solitudine. Ma è bella anche l’attesa della fatica, che significa strada fatta, metri conquistati e la vetta più vicina. La vetta però non la si deve guardare se non di nascosto, altrimenti il cammino sembra più faticoso, il respiro si fa più affannoso e il passo più breve. Nives e Romano sono un unicum nell’alpinismo. Hanno iniziato insieme nel 1994 su una delle montagne più temute e simboliche, il K2, che però quell'anno non li ha lasciati salire, anche perché loro l'avevano tentato da nord per una nuova via. Il primo ottomila arriva nel 1998 con il Nanga Parbat, mentre è del 2003 la scalata di tre Ottomila in soli venti giorni (Gasherbrum II, Gasherbrum I, Broad Peak), seconda cordata al mondo a realizzare quest’impresa e Nives, prima donna in assoluto. Oppure il loro “K in 2” del 2006 attraverso lo Sperone degli Abruzzi, salito e disceso in cinque giorni in completa solitudine. E ancora l’Everest nel 2007. L'anno successivo, in stagione invernale, tentano il Makalu senza raggiungere la vetta, mentre nella discesa Nives si frattura una gamba. E poi il Lhotse (2004), il Kangchenjunga (2009), fino alla cima del Makalu (2016) e l'ultima incredibile impresa dell’Annapurna.
Si racconta con emozione Nives quando rinuncia nel 2009 al tentativo di scalata del Kangchenjunga per l'improvviso peggioramento delle condizioni fisiche di Benet quando si trovano in arrampicata sopra i settemila metri. Non ci pensa un solo momento a rinunciare anche alla competizione per la prima scalata femminile degli ottomila himalayani. Tornati in Italia, Romano Benet scopre d'essere affetto da un'aplasia midollare severa. La grave malattia li tengono lontani fino al 2012, nuovamente respinti dal Kangchenjunga che si arrenderà finalmente nel 2014.
Il racconto è terminato. Nives Meroi si lascia avvolgere dal nostro abbraccio. In disparte Romano ascolta. Nelle sue parole scorre la narrazione di un alpinismo attento a rispettare la natura, i paesi e le genti di cui sono ospiti. "Il buono dei viaggi in Himalaya è che si fanno ancora a piedi. Si cammina per avvicinarsi alle montagne e le distanze ritornano vere. La lentezza permette di entrare nel paesaggio, di registrare i sensi su di esso. Mi fermo spesso per annusare, bere, salutare le persone che incontro. I saluti aprono le porte"

Erri De Luca " Sulla traccia di Nives" (Feltrinelli - 2005)


lunedì 30 settembre 2024

Palazzo Te e la mostra “Picasso, Poesia e Salvezza” - domenica 29 settembre

Mantova, bellezza senza tempo, ci sorprende all'arrivo con il suo profilo di cupole, campanili, torri, merlature che si affacciano sui laghi che la circondano. E continua a stupire con una serie di piazze l'una dietro all'altra sino a raggiungere Piazza Sordello, circondata da edifici medievali di rustici mattoni rossi e candidi marmi settecenteschi, le merlature che orlano le antiche residenze delle famiglie che si avvicendarono al potere, l'antica pavimentazione in ciottoli, è un angolo di storia variegato e interessante ricco e vario di monumenti, dettagli, colori, e profumi. Oggi questo luogo è una piazza ma una volta era il cuore della vecchia Mantova, in passato denso di edifici e viuzze, tutto è scomparso quando i Gonzaga abbatterono il vecchio centro città per realizzare un largo spazio davanti alla loro residenza da poter utilizzare come scena per le cerimonie eleganti e sfarzose e per ricevere ospiti importanti. L'impronta antica è mitigata dai tavolini all'aperto di ristoranti e caffè. La vita contemporanea si mescola all'architettura del passato e una pausa in questa piazza riconcilia spirito culturale e gastronomico. Nella zona meridionale della città, poco lontano da Palazzo San Sebastiano, sorge Palazzo Te, splendida cornice della villa suburbana voluta da Federico II Gonzaga e appositamente progettata e realizzata da Giulio Romano tra il 1524 e il 1534 per Federico II Gonzaga, considerata gioiello della cultura tardorinascimentale italiana. L’edificio, di proprietà comunale, è oggi museo e sede del Centro Internazionale d’Arte e Cultura di Palazzo Te. Basso e a pianta quadrata, è composto da quattro corpi caratterizzati da facciate decorate a finto bugnato con paraste e colonne d’ordine gigante, disposti attorno a un cortile centrale, e da un vasto giardino retrostante chiuso da un’esedra mentre spazi e aree verdi ne disegnano l’intorno. Il complesso si inserisce oggi all’interno del tessuto urbano cittadino, in origine però l’ampia area era un’isoletta, chiamata fin dal medioevo Tejeto, forse dal latino tilietum, località di tigli, e da qui l’origine del nome “Te”, circondata dalle acque del lago Paiolo, luogo di svago privilegiato della corte, posto appena fuori dalle mura cittadine a ridosso di Porta Pusterla che ne consentiva l’accesso diretto.
“Un poco di luogo da potervi andare e ridurvisi tal volta a desinare, o a cena per ispasso”
Nel quindicesimo secolo Mantova appariva come una grande isola collegata con altre tre isole minori. Qui Francesco II creò un vasto complesso rustico con scuderie per i suoi cavalli più preziosi e palazzina padronale poi inglobate nella villa voluta dal figlio Federico come rifugio per il tempo libero, nobile dimora deputata alle feste, alle cerimonie, ai grandi ricevimenti, funzione esemplarmente inaugurata con la fastosa accoglienza dell’imperatore Carlo V nel 1530, a palazzo non ancora ultimato. La costruzione di Palazzo Te viene affidata all’architetto Giulio Romano, brillante allievo di Raffaello che progetta la splendida residenza sullo schema architettonico delle antiche Domus romane, alternando agli elementi architettonici quelli naturali che la zona offriva, dando libero spazio a tutto il suo estro creativo.Il complesso è formato da un edificio a pianta quadrata costruito attorno ad un cortile centrale. Il lato est del palazzo è completato da un porticato che si apre su un giardino fiancheggiato da due ali a cui è collegato da un ponte pedonale. Un emiciclo colonnato chiude il giardino sul lato opposto all’edificio principale. Il complesso comprende anche un piccolo edificio con un giardino interno, conosciuto come Appartamento del Giardino Segreto che Federico II usava come piccola residenza privata. Oltre che come straordinaria opera architettonica, Palazzo Te è celebre per gli affreschi che decorano i suoi ambienti. Giulio Romano realizza gli affreschi e l’apparato decorativo insieme ad un gruppo di allievi e collaboratori fra cui Francesco Primaticcio. Rinaldo Mantovano e Fermo da Caravaggio.
La Sala del Sole che prende il nome dall’affresco della volta in cui sono raffigurati i carri del Sole e della Luna metafora dell’incessante scorrere del tempo. La Sala dei cavalli con i ritratti in grandezza naturale dei sei destrieri preferiti dei Gonzaga era la sala destinata all'accoglienza degli ospiti e alla celebrazione degli eventi più importanti. I cavalli sono dipinti a dimensione naturale e spiccano in tutta la bellezza delle loro forme su un paesaggio naturale che si apre dietro alcune colonne corinzie dipinte e che alternano i purosangue a bassorilievi che illustrano le eroiche fatiche di Ercole aggiungendo un ulteriore strato di magnificenza e mitologia a questa sala straordinaria. L’incredibile Camera di Amore e Psiche. Interamente affrescata, ogni parete raffigura la mitologica storia di Amore e Psiche, ispirate alla “Metamorfosi” di Apuleio, ed è il simbolo dell'amore del duca per Isabella Boschetti. Il culmine di questa straordinaria narrazione si trova al centro del soffitto dove Giove è rappresentato mentre unisce i protagonisti della storia in un sublime atto di unione divina. Ma non si smetterebbe mai di osservala è la Sala dei giganti, un vero e proprio capolavoro. L’affresco venne dipinto fra il 1532 e il 1535. Ricopre la sala dalle pareti al soffitto con l’illusionistica rappresentazione della battaglia tra i Giganti che tentano l’assalto a Giove e all’Olimpo. La camera è la più famosa e spettacolare del palazzo sia per il dinamismo e la potenza espressiva delle enormi e tumultuose immagini, sia per l’audace ideazione pittorica, volta a negare i limiti architettonici dell’ambiente, in maniera tale che la pittura non abbia altri vincoli spaziali se non quelli generati dalla realtà dipinta. Giulio Romano interviene proprio per celare gli stacchi tra i piani orizzontale e verticale, smussa gli angoli tra le pareti e la volta e realizza un pavimento, oggi perduto, costituito da un mosaico di ciottoli di fiume che prosegue alla base delle pareti.
Con questo stupefacente artificio illusionistico l’artista intendeva catapultare lo spettatore nel vivo dell’evento in atto, per produrre in lui una impressione indelebile di potenza e magnificenza. “Non si pensi alcuno di vedere mai opera di pennello più orribile e spaventosa, né più naturale di questa. E chi entra in quella stanza, non può non temere che ogni cosa non gli rovini addosso” scrive Giorgio Vasari nella sua opera “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori” (1550). Ma Palazzo Te è anche importante polo culturale, a riprova la mostra Picasso a Palazzo Te. Poesia e Salvezza quasi cinquanta opere del grande maestro del Novecento, alcune delle quali presentate per la prima volta al pubblico italiano in un dialogo che celebra la creatività e l’innovazione. Curata da Annie Cohen-Solal e Johan Popelard la mostra crea un ponte tra passato e presente, fa emergere un Picasso radicalmente sconosciuto che ritroviamo in preziosi dipinti come Donna sdraiata che legge del 1939 e Sta nevicando al sole del 1934.

(fino al 6 gennaio 2025)

sabato 14 settembre 2024

mercoledì 11 settembre 2024

L'anello delle 5 Torri e le innumerevoli emozioni dolomitiche - (6-9 settembre)

Le Dolomiti sono considerate tra i più bei paesaggi montani della Terra ed oltre a distinguersi per la solennità e la dolcezza del proprio quadro paesaggistico attrae anche per il suo enorme patrimonio culturale e storico. Il nostro è un piccolo viaggio in questa sublime bellezza.
6 settembre - Ecco l'Abbazia di Novacella tra imponenti rocce dolomitiche, vicino a Bressanone, una delle più importanti dell'Arco Alpino costituita da un complesso di edifici religiosi e civili. Il convento di Novacella è stato fondato nel 1142 dal vescovo della diocesi di Bressanone, beato Artmanno, già preposito dell'abbazia di Klosterneuburg e faceva parte dell'ambizioso programma di riforma ecclesiastica avviato da Corrado I di Abenberg all'interno dell'arcidiocesi di Salisburgo di cui la diocesi di Bressanone faceva parte. L'abbazia, fin dalla sua fondazione, è stata un luogo di ricovero per i pellegrini provenienti dal Nord Europa e diretti verso Roma e la Terrasanta, dopo la dura prova dell'attraversamento dei valichi alpini. Entriamo tramite un piccolo ponte coperto nel complesso fortificato costituito da edifici di epoche diverse (il campanile è in stile romanico, coro, presbiterio della chiesa e chiostro in gotico, chiesa e biblioteca hanno forme barocche) coesistendo armoniosamente in uno spazio ben definito. Alla nostra destra la cappella di San Michele detta "Castello dell'Angelo", una rotonda di ispirazione romanica. Edifici di questo tipo erano frequenti sulle rotte dei pellegrinaggi, richiamandosi sia ai grandi edifici romani sia alla rotonda del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
La Chiesa di Santa Maria Assunta è stata interamente rifatta nel Settecento da Giuseppe Delai, mantenendo il presbiterio gotico. Al centro del cortile principale si trova il bel pozzo rinascimentale, detto “pozzo delle meraviglie” perché sovrastato da un'edicola ottagonale sui cui lati sono raffigurate le sette meraviglie dell'antichità e sull'ottavo lato, orgogliosamente, l'abbazia stessa. L'importante biblioteca settecentesca invece occupa due piani del monastero dove sono conservati circa 65.000 volumi oltre a manoscritti e codici miniati, ma la sala principale è un capolavoro di Antonio Giuseppe Sartori. Al di sopra del grande complesso giganteggiano i meravigliosi vigneti che beneficiano delle elevate altitudini, comprese tra i 600 e i 900 metri, del clima alpino e dell’alta concentrazione di sostanze minerali nei terreni. Infatti l'abbazia è anche una storica cantina che può essere considerata come una sorta di tempio della viticoltura della Valle Isarco e ancora oggi si configura come una delle realtà vitivinicole in attività più antiche di tutto il mondo. La tenuta abbaziale conta 86 ettari di vigneti dedicati a varietà tradizionali dell’Alto Adige quali Müller-Thurgau, Sylvaner, Kerner, Sauvignon Blanc, Riesling Renano e Grüner Veltliner tra le uve bianche, Schiava, Lagrein e Pinot Nero per quanto riguarda i vitigni a bacca nera. Completano la piattaforma varietale il Gewürztraminer e il Moscato Rosa, tecnicamente classificate come uve a bacca rosa. Proseguendo sulla nostra direttiva che ha come destinazione San Cassiano, scopriamo a Rio di Pusteria un'impressionante costruzione fortificata risalente al XIII secolo. Questo sbarramento difensivo e antica dogana dei Principi del Tirolo è situato tra i paesi Rio Pusteria e Vandoies all'imbocco della Val Pusteria. Nel 1271 qui correva il confine tra le contee di Tirolo e Gorizia e proprio per questa ragione Mainardo II fece costruire uno sbarramento, la Chiusa di Rio Pusteria che si trovava 600 metri ad ovest della struttura attuale chiamata Chiusa di Sigismondo, eretta nel quindicesimo secolo. Parti del complesso vennero distrutti da un'inondazione nel 1703 le altri parti caddero in rovina quando la dogana venne chiusa.
Nella parte bassa della Chiusa si possono riconoscere la dogana (con le stalle e la fucina) e sulla sinistra la cosiddetta Kaiserturm (torre dell'Imperatore), così chiamata perché Massimiliano I era solito soggiornarvi in occasione delle sue battute di caccia. Dopo un attento restauro il complesso è nuovamente accessibile al pubblico ogni giovedì. Ripresa la statale andiamo a svoltare in direzione del Lago di Braies, reso famoso dalla serie televisiva Un passo dal cielo, è un lago alpino situato in Val di Braies (una valle laterale alla Val Pusteria) a 1496 metri. Il lago giace ai piedi dell'imponente parete rocciosa della Croda del Becco (mt 2810) e si trova all'interno del parco naturale Fanes-Sennes-Braies, e punto di partenza dell'Alta via numero 1 delle Dolomiti detta "La classica" che arriva fino a Belluno ai piedi del gruppo della Schiara. 
7 settembre - Oggi ci addentriamo nel cuore delle Dolomiti, con l'Anello delle 5 Torri che parte dal Rifugio Col Gallina (mt 2055), passa per il lago di Limides, sale fino al Rifugio Averau, per toccare i 2275 metri del Nuvolau, scendere al Cinque Torri ed infine risalire allo Scoiattolo. Raggiungiamo il sentiero 419 che parte da Col Gallina entrando nel boschetto di larici e pini cembri reso pesante dalla pioggia notturna. Dopo una quarantina di minuti ci troviamo al cospetto del piccolo lago di Lìmedes, di cui è famoso il riflesso della Tofana di Rozes. Lasciato alle spalle il lago si comincia a salire verso la forcella Averau dove la pendenza si fa più più decisa, d’obbligo qualche pausa per ammirare e fotografare la bellezza che ci circonda.
Dopo gli ultimi tratti che s’inerpicano tra le rocce dominati ai lati dall’Averau e dalla Croda Negra, usciamo sulla piana per superare la forcella Averau (mt 2435) non semplicissima. Si percorre un sentiero a mezzacosta che taglia tutto il versante della montagna e da questo punto di osservazione è facile riconoscere le curve sinuose della strada che sale fino al Passo Giau e gli altri sentieri che portano al rifugio. Siamo ormai arrivati al rifugio Averau (mt 2416) . Ci togliamo il piacere di una fresca birra prima di proseguire sul versante opposto della sella, salendo una breve fascia rocciosa dove ha inizio il costone roccioso e detritico che consente di raggiungere la cima del rifugio Nuvolau a 2575 metri offrendo una spettacolare vista a 360 gradi. Costruito nel 1883 dal Club Alpino Austriaco grazie alla donazione di un barone della Sassonia è oggi il rifugio ancora in funzione più antico delle Dolomiti. Ridiscesi all'Averau affrontiamo il panoramico sentiero 439 che scende verso il Rifugio Cinque Torri (mt 2137). Meta storica di generazioni di alpinisti di tutto il mondo, ha ospitato principi e regnanti di tutta Europa, prima e dopo la Grande Guerra. Nel 1916 il Re Vittorio Emanuele III si fermò qui durante la visita al fronte per assistere allo scoppio della mina del Castelletto. Intorno al rifugio sono presenti le trincee e le postazioni restaurate della Prima Guerra Mondiale. Risaliamo il pendio sino al sovrastante Rifugio Scoiattoli (mt 2255) dove si ammirano le Cinque Torri da una diversa prospettiva, per poi prendere la Seggiovia 5 Torri. Infine un meritato aperitivo al Rifugio Col Gallina.
8 settembre - Le previsioni meteo danno allerta pioggia quindi si decide di rinviare l'escursione alla Viel Dal Pan (Val di Fassa) preferendo andare a braccio in direzione dell'Alta Pusteria. Ci fermiamo al Lago di Landro che si trova nell'area del Parco Naturale Tre Cime sul confine con il Parco Naturale Fanes-Senes-Braies dove si gode una vista incredibile del gruppo del Cristallo che si riflette in modo meraviglioso sulle sue acque verde turchesi. Sulle sponde del lago un cippo con una ruota posto a ricordo della teleferica che dal lago portava rifornimenti alle postazioni sul monte Piana (mt 2324) durante la prima guerra mondiale. Poco lontano, in direzione Dobbiaco, si trova il famoso punto panoramico dopo possiamo osservare le Tre Cime di Lavaredo. Una manciata di chilometri e raggiungiamo un altro gioiello naturale, il Lago di Dobbiaco, uno degli ultimi esempi di marcita, una zona umida, che esistono ancora nella regione alpina, dove è stato predisposto un sentiero naturalistico che percorre l'intero periplo del bacino lacustre lungo 4,5 chilometri. Il sole in alto sembra resistere e sulla strada che porta in Alta Pusteria, superato il lago artificiale di Valdaora che usa l'acqua del fiume Rienza per la centrale idroelettrica Brunico-Valdaro, si va a raggiungere la funivia che sale a Plan de Corones, l’area sciistica più all'avanguardia dell'Alto Adige con i suoi 119 chilometri di piste e 32 moderni impianti di risalita.
Il Plan de Corones (mt 2275) è un rilievo delle Dolomiti di Braies a forma di panettone, posta a spartiacque fra la Val Pusteria e la val di Marebbe. Dalla sua particolare cima si gode una vista impareggiabile su gran parte delle più alte e famose vette delle Dolomiti (Marmolada, Sass de Putia, Sassolungo, Civetta, Pelmo, Lagazuoi e molte altre), delle Alpi Retiche e delle Alpi della Zillertal, e si può accedere da tre versanti che corrispondono alle tre aree sciistiche del comprensorio, ossia Riscone di Brunico (Reischach), Valdaora (Olang) e San Vigilio di Marebbe (Enneberg). Questa conformazione fa sì che le discese a valle siano particolarmente lunghe e variegate in grado di accontentare sia il principiante che lo sciatore più esperto. Arrivate in vetta troviamo alcune compagnie degli Schutzen in parata e così si viene a conoscenza della cosiddetta Schützenkapelle ("cappella degli Schützen"), dedicata a San Sebastiano dove al suo interno è custodita una reliquia dell'ultimo imperatore austriaco Carlo (novembre 2018) nel centenario della suddivisione della regione altoatesina tra Austria e Italia dopo la sconfitta delle armate imperiali. E poi le diciotto tonnellate della grande Campana della Pace e il sesto Messner Mountain Museum voluto da Reinhold Messner su progetto della famosa architetta iraniana Zaha Hadid. Bellissima la progettazione ma deludente il suo percorso museale. Non lontano l'avveniristico Museo della fotografia, denominato LUMEN. Scendiamo mentre adesso sì che piove di brutto, passare da Cortina è davvero un must ed infine risalire verso il Rifugio Passo Valparola (mt 2168) con la colonnina di mercurio che segna quattro gradi e con un buonissimo piatto di polenta ad aspettarci!
9 settembre - E' giornata di partenza. Ci fermiamo al rifugio Valparola per un cappuccino e un simpatico saluto alla titolare, passiamo davanti al Forte Tre Sassi, alle pendici del Sass de Stria, dove è allestito l'interessante museo della Grande Guerra sul fronte dolomitico. Costruito nel 1897 a difesa dei confini meridionali dell'impero austro-ungarico contro l'esercito italiano, fu ammodernato nel 1910. Dopo poche settimane di guerra la fortezza fu colpita e perforata da bombe sparate dalle 5 Torri, e quindi evacuata con ritiro sulla Selletta del Sass de Stria. Arriviamo al Castello di Andraz costruito nel 1027 su di un gigantesco sperone roccioso che conferisce alla fortezza un'integrazione straordinaria con l'ambiente naturale circostante. Si trova lungo l'antica strada della Vena che dalle Miniere del Fursil alle pendici del monte Pore arrivava ai forni di fusione nei pressi del passo Falzarego. È il castello più alto d'Italia a circa 1800 metri. Alla rocca si accedeva solo da una rampa di pietra (oggi in parte recuperata) che metteva in comunicazione i vari piani sovrapposti. Per i rifornimenti, si ricorreva per questo all'uso di un argano. Attorno allo sperone si trovava una cinta muraria la quale, oltre alle chiare funzioni difensive, permetteva di ricavare anche uno spazio per le stalle. A malincuore non possiamo salire al Colle Santa Lucia (interruzione della provinciale 251 per lavori) perla ladina dell'Alto Agordino quindi proseguiamo verso lo specchio verde smeraldo in cui si riflettono superbe le vette imponenti del Civetta, il Lago di Alleghe, una delle attrattive più famose della Val Cordevole. Dopo una sosta sulle sue tranquille rive riprendiamo a salire incrociando a Falcade l'ottocentesca Chiesa della Beata Vergine Immacolata e poco più in alto la Chiesa di San Sebastiano, una delle più antiche del territorio agordino edificata probabilmente nel quattordicesimo secolo caratterizzata da una forte impronta gotico-alpina con l'aguzzo campanile del 1885.
Dal bellunese rientriamo in Trentino passando da località Zingari Bassi, parte del territorio di Falcade, dove a 1770 metri c'è un bellissimo laghetto, il Lago degli Zingari, e un simpatico cagnone che ci viene festosamente a salutare. Raggiungiamo il Passo San Pellegrino, valico alpino sospeso a 1918 metri sul confine con l’altopiano di Falcade e punto di congiunzione tra le Pale di San Martino e le Dolomiti di Fassa. Ora scendiamo oltrepassando il lago artificiale di Stramentizzo, situato all'imbocco della val di Fiemme, che trattiene le acque del torrente Avisio. E nell'occasione di una breve sosta al Ristorante 4 venti scopriamo l'esistenza di un percorso che si snoda tra antichi sentieri, mulattiere e terrazzi un tempo coltivati, che collegava le due frazioni di Ischiazza e Maso abbandonate in seguito all'alluvione del novembre 1966. Ripresa la strada puntando gli occhi in alto compaiono le Piramidi di Segonzano, in Valle di Cembra, capolavoro della natura: torri, creste, pinnacoli disposti a canna d’organo, alte colonne sovrastate da un masso di porfido, un fenomeno geologico unico in Trentino. Resti di un deposito morenico risalente all’ultima glaciazione, le Piramidi sono oggi un’attrazione turistica di alto valore didattico. 
Eccoci arrivate. Di queste intense giornate resta il grande impatto emozionale del mondo dolomitico che riflette suoni e profumi, luci e atmosfere di cui la nostra anima ha davvero bisogno.

lunedì 2 settembre 2024

Le meraviglie della Valcamonica: Bienno e il lago d'Aviolo - 31 agosto- 1 settembre

Sabato 31 agosto - Ogni anno ad agosto torna la Mostra-Mercato di Bienno, nella Valle dei Magli, un borgo storico medievale incastonato tra le verdi montagne della Media Valle Camonica e citato tra "I borghi più belli d'Italia". La sua importanza nel passato si legge ancora negli antichi palazzi, nel mulino quattrocentesco e nelle fucine museo, ma il suo gioiello più prezioso è custodito nella Chiesa di Santa Maria Annunciata che domina la borgata ovvero il ciclo di affreschi opera del Romanino. Oggi Bienno si trasforma in una bottega a cielo aperto grazie ai tantissimi artisti e artigiani che animano il cuore storico in prospettive ricche di colori e con un colpo d'occhio agli antichi mestieri, dal mulino alla forgiatura, dalla fucina alla segheria. Ma diventa anche ampio spazio per i prodotti tipici del territorio camuno. Meritano una menzione particolare i formaggi d'alpeggio tra i quali il Silter o il Fatulì, un formaggio ottenuto con latte di capra dell'Adamello. Ci si muove leggere tra vicoli, piazze racchiuse tra le mura che inaspettatamente si aprono verso spazi ristretti di un centro storico custodito dalla solenne cortina d’antichi palazzi che si ammirano cercando di non perdersi nell’intricato labirinto di itinerari possibili, ancora lontane dal vociare irrequieto che ben presto sovrasterà il remoto silenzio del borgo. Sì, ora possiamo proseguire. Domani ci aspetta il trekking all'Aviolo.
Domenica 1 settembre - Si raggiunge agevolmente il punto di partenza per lo splendido lago
d'Aviolo percorrendo per circa cinque chilometri la strada della Valpaghera che si stacca dal centro abitato di Vezza d’Oglio, supera il ponte Stella e, in leggera salita, oltrepassa la piccola chiesetta gialla dedicata a Sant’Anna. Dopo un tornante e alcune curve attraversiamo il Ponte Scalvino  fino a raggiungere il rifugio "Alla Cascata" a quota 1453 metri. Proseguendo si raggiunge un parcheggio in prossimità della teleferica Enel dove imbocchiamo il sentiero 21, che si addentra subito nel bosco facendosi strada tra le alte radici degli abeti, per poi continuare su fondo roccioso. La mulattiera appare già impegnativa. Giunte ad un canalone di massi il sentiero prosegue a gradoni, costeggiando la roccia. Oltrepassiamo un torrentello, poi un lieve tratto in piano prima di affrontare un altro irto canalone. Il panorama finalmente si apre sullo scacchiere di Vezza d'Oglio poi il sentiero piega a sinistra. Passiamo in mezzo a dei larici e arriviamo a un piccolo pianoro, con in fondo una galleria nella roccia, chiusa da un cancello. Ripieghiamo sempre a sinistra risalendo nel vallone dalle gole larghe superando una breve passerella, anch'essa attrezzata con una catena. Ancora poco e siamo arrivate al rifugio Sandro Occhi all'Aviolo, dedicato alla memoria del vezzese Sandro Occhi, esperta guida alpina, soccorritore, nonché ideatore della nota Caspolada al chiaro di luna che si tiene ogni anno a febbraio, perito nella Val Grande nell'inverno 2003. Poco più avanti, ai piedi del monte Baitone, si apre in tutta la sua bellezza il lago d'Aviolo. Non molto lontano si trova anche il centro di osservazione naturalistica del Parco dell’Adamello posto in prossimità di Malga Aviolo, oggi purtroppo chiuso. Proseguendo ancora, a circa un'ora e mezza dal rifugio, si può raggiungere il Passo Gallinera, e il bivacco Festa. Ritornate a ritroso sullo stesso percorso dell'andata raggiungiamo il rifugio "Alla Cascata" dove andiamo a gustare le migliori interpretazioni della cucina tipica camuna.


PARTENZA: Rifugio Alla Cascata (mt 1453)
SEGNAVIA: Cai 21
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 480
ALTITUDINE: mt 1930
LUNGHEZZA: km 5