mercoledì 22 gennaio 2025

"Unseen, le foto mai viste di Vivian Maier" . La splendida mostra alla Villa Reale di Monza - domenica 19 gennaio

Direttamente da New York arriva in Italia la più grande mostra mai dedicata a Vivian Maier. "Unseen, le foto mai viste di Vivian Maier" è il tributo che la Villa Reale di Monza dedica a una delle pioniere e massime esponenti della street photography attraverso 220 fotografie, divise in nove sezioni espositive, che esplorano i temi e i soggetti caratteristici del suo stile, dagli autoritratti alle scene di strada, dalle immagini di bambini alle persone ai margini della società, avventurandosi anche in aspetti sconosciuti o poco noti di una vicenda umana e artistica non convenzionale. La mostra si compone di un nucleo importante di fotografie in bianco e nero e a colori, molto rare e fino a pochi anni fa mai esposte in pubblico, alle quali si aggiungono filmati in formato Super 8, provini a contatto, audio con la sua voce e vari oggetti che le sono appartenuti come le macchine fotografiche Rolleiflex e Leica. "È nel cuore della società americana, a New York dal 1951 e poi a Chicago dal 1956, che Vivian osserva meticolosamente il tessuto urbano che riflette i grandi cambiamenti sociali e politici della sua storia - spiega la curatrice Anne Morin - È il tempo del sogno americano e della modernità sovraesposta, il cui dietro le quinte costituisce l'essenza stessa del lavoro di Vivian Maier"
Con la scatto silenzioso della sua Rolleiflex, Vivian Maier ha immortalato per quasi cinque decenni il mondo che la circondava. Gli oltre 150.000 negativi scattati nel corso della sua esistenza coprono una immensa gamma di soggetti occupandosi di documentare meticolosamente ogni aspetto della vita ovunque andasse. Eppure il suo lavoro è rimasto sconosciuto sino alla casuale scoperta nel 2007 di John Maloof, giovane filmaker, che acquista ad una asta pubblica di Chicago per 380 dollari una scatola contenente centinaia di negativi appartenuto all'artista. Maloof comincia a svilupparne alcuni rendendosi conto di trovarsi di fronte ad una straordinaria fotografa e ne divulga l'eccezionale bravura con il bellissimo documentario "Finding Vivian Maier" (2014), candidato all'Oscar, diretto insieme al regista Charlie Siskel dando a Vivian Maier fama mondiale.
Capace di unire l’approccio umanista europeo (in Francia, paese d’origine della madre, dove trascorse l’infanzia) al richiamo moderno della street photography americana, Vivian Maier ha costruito un corpus di opere che la rendono oggi, a tutti gli effetti, una delle più grandi fotografe del XX secolo, al pari di artisti come Robert Frank, Diane Arbus, Robert Doisneau o Henri Cartier-Bresson. Il percorso espositivo è stato allestito al terzo piano della Reggia di Monza, chiamato sontuosamente Piano Belvedere, nonostante fosse uno spazio adibito alla servitù, è stato interessato da opere di riqualificazione e restauro conservativo conferendogli un grande impatto visivo. Le sale, i corridoi, i locali d'angolo e le aree di risulta sono state lasciate il più possibile aperte in un ambiente in cui proprio tutto è a vista, dalle gigantesche capriate in legno del Piermarini alle strutture lignee residuali rispetto ad antichi allestimenti perduti, dai tubi in acciaio degli impianti ai graffiti impressi sui muri ai tempi della Biennale delle Arti decorative e a quelli lasciati dalle famiglie istriane che hanno occupato la Villa Reale durante gli anni dell’abbandono, che conferisce all’ambiente una visione architettonica di ampio respiro e pronta, come in questo caso, ad esposizioni artistiche di rilievo. Ma adesso addentriamoci nei temi della bellissima mostra.
VIVIAN SONO IO
La mostra si apre con il nucleo di lavori forse più iconici dell’artista, quelli con cui ricerca se stessa per mezzo della fotografia. Autoritratti ricavati attraverso diverse soluzioni e processi visivi che raccontano della sua capacità creativa e intuitiva, come gli scatti alla propria silhouette proiettata, alla forma della sua ombra, al riflesso in uno specchio o in un vetro. Un vocabolario di situazioni che utilizza per affermare la sua presenza in un determinato momento e in un determinato luogo. Un lavoro particolarmente rilevante nell'era dei social media, con i suoi autoritratti che risuonano con la cultura del selfie contemporanea.
UNO SGUARDO RAVVICINATO E SINCERO SU UN'EPOCA PASSATA
Prima a New York, tra il 1951 e il 1956, poi a Chicago, Vivian Maier ama perdersi passeggiando nei quartieri popolari della città, avventurandosi nel luogo dove per eccellenza va in scena il quotidiano: la strada. Gli attori sono una serie di soggetti inconsapevoli che Maier segue, osserva e immortala in gesti e reazioni spontanee, suscitando possibili narrazioni. Tra queste molte donne, di estrazione umile o benestanti, di cui Maier riusciva a raccontare la bellezza, la profondità e la saggezza dei loro visi solcati dal tempo.
L'AMERICA DEL DOPOGUERRA E LA FACCIATA DEL SOGNO AMERICANO
Nelle sue frequenti passeggiate lungo la città, accompagnata dai bambini di cui si occupa, lo sguardo di Maier si posa su coloro che vivono ai margini del Sogno americano, la grande utopia da cui sono esclusi. Lontani dai classici ritratti con soggetti in posa e agghindati, l'autrice ritrae i suoi soggetti sorprendendoli, precedendo il momento in cui, accorgendosi di lei, avrebbero perso spontaneità.
Concentrandosi spesso su un dettaglio corporeo, sono iconici gli scatti in cui immortala la figura di spalle, un taglio che oggi le si riconosce come distintivo del suo stile.
IL SUPER 8 E LA VIVACE TRAMA UMANA DEGLI SPAZI METROPOLITANI
Negli anni sessanta Vivian Maier affronta più compiutamente il linguaggio cinematografico, filmando frontalmente, senza artifici né montaggio, la realtà che osserva durante le sue peregrinazioni urbane. In un avvicendarsi che diviene stimolo reciproco, Maier alterna la macchina da presa Super 8 e la Rolleiflex, muovendosi e riprendendo inesorabilmente ciò che le si pone davanti e, una volta attratta da un elemento in particolare, immortalandolo in uno scatto.
TUTTI COLORI DELLA STRAORDINARIA VITA ORDINARIA
Se il suo lavoro in bianco e nero è profondamente silenzioso, il colore è per l'autrice il Blues che percorre le strade di Chicago, in particolare quelle dei quartieri operai, che restituisce in un gioco cromatico estremamente ricco. L'utilizzo di una Leica 35 mm, il cui formato rettangolare differisce notevolmente da quello quadrato della Rolleiflex, conferisce un marcato dinamismo alla composizione di queste immagini, esposte pochissime volte in pubblico e tra le più rare della sua produzione.
BAMBINI NEL TEMPO
Istitutrice per quasi quarant'anni, Maier ha spesso documentato la vita dei bambini di cui si è presa cura, scoprendo e rappresentando il modo autentico con cui guardano il mondo. I volti, le espressioni, le mimiche, gli sguardi, le lacrime, i giochi: tutto ciò che costituisce la vita del bambino è passato sotto l’obiettivo della fotografa, che ha saputo restituirne lo spirito più intenso e genuino.
L’ASTRATTO VISTO DA VICINO
L'ultima sezione della mostra raccoglie fotografie di dettagli così piccoli e ravvicinati da perdere il legame con la realtà e sfociare quasi nell'astratto. Sono primi piani di oggetti, dettagli precisi, che Maier guarda così da vicino e con tale intensità da farne talvolta perdere i contorni. Si tratta di scatti poetici e documentaristici che mostrano l'abilità innata di Maier nel comporre rapidamente le sue foto con piccole stranezze e sottili trucchi fotografici. 
La sua storia umana corre su binari differenti e la visione del docu-film "Finding Vivian Maier" offre più interrogativi che risposte. Una cosa, però, è certa. In una delle sue tante registrazioni, si sente Vivian chiedere ad un bambino "E ora dimmi, come si fa a vivere per sempre?" Ecco, adesso avrebbe la risposta.
LA MOSTRA E' STATA PROROGATA SINO AL 21 APRILE
(fonte: Arte.it)

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