martedì 19 giugno 2018

La splendida terra friulana... (16-17 giugno)

la Vecchia Strada della Valcellina

Orgoglio della propria bellezza ma mai ostentato tipico del carattere schivo dei suoi abitanti, questa è l'essenza del Friuli Venezia Giulia, terra di confine e da sempre crocevia di popoli e culture che hanno lasciato un segno indelebile nel territorio, nelle tradizioni e nella cucina. Solo toccando con mano questi luoghi si riesce a capire quanto sia palpabile l'emozione di questa terra. Dai Romani ai Longobardi, dagli Slavi agli Austriaci fino alla Repubblica di Venezia in molti hanno lasciato qui la loro impronta. Le Dolomiti friulane, le Alpi Giulie e quelle Carniche custodisco autentiche meraviglie merito anche del suo cantore, Mauro Corona, alpinista, scultore e soprattutto sanguigno scrittore che immortala di lirica poesia le montagne della valle del Vajont e della Valcellina. Ed è in questi posti meravigliosi che inizia il nostro breve viaggio - sabato 16 giugno - lungo la regionale 251 che da Montereale sale verso le montagne sino a Ponte Antoi per scoprire la Vecchia Strada della Valcellina che anticamente univa Montereale a Barcis, strada dismessa dal 1992. Questa vallata ha sofferto a lungo un forte isolamento perché raggiungibile tramite mulattiere. La situazione cambia ai primi del Novecento quando viene realizzata un'arteria stradale sopraelevata sulla forra scavata nella roccia calcarea dal torrente Cellina in milioni di anni, torrente che scorre azzurrissimo e limpido più sotto tra alti e ripidi strapiombi, gallerie scavate nella roccia, spettacolari sporgenze rocciose sospese sopra le nostre teste che rendono unica la camminata.
il ponte tibetano
La strada realizzata sopra l'incanalamento delle acque del Cellina alla centrale idroelettrica è lunga una decina di chilometri e vicina ad alcune grotte naturali, come il Bus della Volpe. L'attraversamento della forra comporta obbligatoriamente l'ausilio di un caschetto consegnatoci all'entrata della galleria anche a causa dei frequenti smottamenti della montagna, poi a metà percorso incontriamo il Ponte Tibetano, un motivo in più per provare l'ebbrezza di passare oltre la stretta forra tra il Monte Fara e la Pala d'Altei. A guardare il vuoto sotto i nostri piedi c'è da restare senza fiato ma è una emozione che non potevamo certo lasciarci scappare. Ritornate sulla terra ferma arriva piano piano il Trenino rosso della Valcellina affollato di turisti che segue l'intero percorso dell'antica strada ad esclusione del tratto che va verso la vecchia diga, chiuso in via precauzionale per importanti franamenti, almeno chiuso per gli altri perché noi, con un bel pò di incoscienza, proseguiamo verso la Diga Vecchia che nel progetto redatto dall'ingegner Zenari nel 1903 andava ad alimentare le turbine della grande centrale di Malnisio importantissima per la popolazione della vallata, diga poi dismessa negli anni Cinquanta, la cui solitaria presenza ai nostri occhi ha un qualcosa di intrigante...Dalla diga allo splendido lago di Barcis, incastonato nel cuore di questa vallata, il passo è breve. Risultante del programma di sbarramento del Cellina alla diga di Ponte Antoi, che avrebbe dovuto portare alla sommersione dell'intero paese, pericolo poi scongiurato, questo bacino artificiale ci regala meravigliosi colori, lussureggianti boschi di abeti e faggi e una bella rete sentieristica che ne esaltano magnificamente la bellezza.
lago di Barcis
Ci fermiamo a cenare sulle sue sponde, in compagnia di un ottimo prosecco locale e il sole che scivola all'orizzonte...Domenica 17 giugno. Una buona colazione e siamo già in direzione Clauzetto, in Val Cosa, verso le Grotte di Pradis. In un paesaggio tipicamente carsico le grotte, cito testualmente,  sono scavate in rocce calcaree formatesi nel Cretacico superiore corrispondente ad un arco temporale da 65 a 100 milioni di anni fa e sono tra gli spettacoli naturali più affascinanti del territorio friulano. La prima grotta che esploriamo è la Grotta della Madonna, un'enorme cavità con la Madonnina delle Grotte, realizzata dallo scultore Costantini di Assisi. Dalle grotte attraverso una serie di ponticelli e gradinate passando per il bosco si raggiungono i 207 scalini che portano in fondo all'orrido scavato dall'impetuoso torrente Cosa. Da qui una serie di caverne, archi naturali, camminamenti portano alla cascata formata dalla confluenza del rio Molat nel torrente Cosa. Ora la direzione è rivolta alla diga del Vajont senonché lungo la strada la segnaletica avvisa della prossimità di un castello, non sembra lontano quindi tagliamo per la Val d'Arzino. a dire il vero l'immaginifico corre a ruderi magari importanti ma oltrepassata una salitella verdissime montagne fanno da fantastico fondale al fiabesco Castello Ceconi, imponente costruzione neogotica con rimandi di riflessi medievali e bellissimi affreschi, insomma un castello assolutamente...falso costruito dal conte Giacomo Ceconi, un importante ingegnere ferroviario (1833-1910) e nativo di queste terre.
il Castello Ceconi
Il castello, ora di proprietà della Graphistudio leader della fotografia digitale, non è visitabile ma si può passeggiare tranquillamente negli splendidi giardini, tra le sue torri, abbracciare la grande fontana...il tempo passa veloce ma ora si viaggia verso il Veneto, nella storia più recente ma tristemente famosa, la diga del Vajont. La frana, 270 milioni di metri cubi di terra staccatosi dal Monte Toc nella notte del 9 ottobre 1963, è ancora lì a perenne testimonianza della scelleratezza umana e dove prima c'era un lago rimane il sentore delle tante vite strappate in pochissimi terribili minuti. Consigliamo le visite guidate che accompagnano lo spettatore lungo il coronamento della diga, ovviamente non più funzionante, dalla quale si guarda la vallata sottostante e giù in fondo il "nuovo" Longarone, e a questo punto le parole ammutoliscono di fronte all'enormità dell'avvenimento...
la diga del Vajont

mercoledì 6 giugno 2018

Due giorni sull'Appennino bolognese: le cascate del Dardagna (sabato 2 giugno)

Chi pensa che questa sia una zona priva di bellezza e attrattiva solo perché lontana dai poli turistici più famosi ebbene si sbaglia di grosso considerando la ricchezza di spunti che questo lembo di territorio offre sia dal punto paesaggistico, culturale e gastronomico. L'Appennino bolognese merita di essere guardato, scrutato e soprattutto raccontato e per farlo non bastano due giorni ma noi ci proviamo lo stesso. Si abbandona la grande arteria autostradale risalendo dolcemente i fianchi appenninici per entrare nel Parco Regionale del Corno alle Scale, il tempo di posare le valigie in un alberghetto di Vidiciatico (BO) e siamo già con zainetti e bastoncini in direzione del Santuario della Madonna dell'Acero (mt 1191). Si va alla scoperta delle Cascate del Dardagna. ahimè senza poter proseguire per il bellissimo lago Scaffaiolo vista l'ora tarda di partenza. Dalle conche del Cavone nasce il torrente Dardagna, in realtà due rami distinti, quello principale che scende dal Corno alle Scale e quello secondario dal Monte Spigolino, per poi precipitare per oltre 200 metri con una serie di spettacolari cascate. Il nostro giro parte dalla stradina sbarrata che si inoltra nel bosco a fianco del Santuario.
Dopo aver superato un agevole falsopiano il sentiero descrive un'ampia curva e oltre l'imbocco di un ponticello ci troviamo alla base del salto inferiore (mt 1170) con la prima delle sette cascate generate dalle balconate arenacee del Monte Cervarola. Ogni scatto fotografico è un omaggio alla potenza della natura mentre ci si arrampica sul sentiero 331 che fiancheggia il tumultuoso Dardagna, utilizzando tornanti scalinati che risalgono il bosco e così poter ammirare l'intero sviluppo delle cascate sino all'ultimo meraviglioso salto, quello superiore, con i suoi trenta metri di dislivello. Da questo punto il tracciato si biforca e noi proseguiamo su quello di sinistra, il sentiero 337, che sale verso il rifugio Cavone posto a 1422 metri di quota circondate da faggi maestosi, veri patriarchi vegetali. Mentre il pomeriggio dirada dolcemente dietro le montagne, usciamo dalla radura direttamente sulla provinciale 71, davanti a noi il Cavone e il suo grazioso laghetto, un invaso artificiale alimentato dalle acque del rio Piano. Non c'è molta gente al rifugio, per noi solo una breve pausa prima di recuperare la comoda forestale che ci riporta al punto di partenza. Il cinquecentesco Santuario della Madonna dell'Acero è una delle massime espressioni della religiosità montana bolognese e sorge su un precedente tempietto costruito per proteggere l'antico acero della leggenda (oggi sotto l'altare maggiore).
Non è un edificio imponente e lo troviamo in fase di parziale recupero architettonico. All'interno sono esposti i "Brunori", ovvero statue lignee a grandezza naturale donati come ex voto da Brunetto Brunori, uno dei comandanti delle forze fiorentine di Francesco Ferrucci, scampato miracolosamente alla morte nella battaglia di Gavinana del 3 agosto 1530 nonostante fosse stato trapassato da una lancia. Il ritorno a Vidiciatico è allietato dalla gastronomia locale ma è la notte, ancora frizzante e sincera, che ben si amalgama con le bollicine di un ottimo prosecco.
(continua...)

PARTENZA: Santuario Madonna dell'Acero (mt 1191)
SEGNAVIA: 331-333-337
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 230
ALTITUDINE: mt 1422
LUNGHEZZA: km 8

Due giorni sull'Appennino bolognese: la Rocchetta Mattei (domenica 3 giugno)

(...segue)
Rocchetta Mattei
La mattinata è già  calda quando scendiamo verso Grizzana Morandi, e precisamente in località Riola di Vergato, alla scoperta di un castello fiabesco (a proposito bisogna prenotare la visita, obbligatoria, con notevole anticipo) perché Rocchetta Mattei è una meravigliosa follia architettonica incastonata nel bellissimo paesaggio appenninico. Dimora del conte Cesare Mattei letterato, politico e soprattutto medico autodidatta fondatore della cosiddetta elettromeopatia ovvero basata sull'abbinamento di granuli medicati e liquidi detti "fluidi elettrici" (citiamo testualmente) in antitesi con la medicina classica colpevole di non aver saputo curare adeguatamente la madre, una medicina alternativa che riscosse dalla metà dell'Ottocento una incredibile popolarità anche tra i potenti dell'epoca. La produzione dei suoi medicamenti naturali, che prendevano spunto dalle teorie omeopatiche di Samuel Hahnemann, continuarono oltre la sua morte avvenuta nel 1896, poi anche sul conte Mattei e la sua Rocchetta cadde una pesante coltre di oblio e presto furono dimenticati e i suoi metodi di studio rimasero un mistero, fino al recentissimo recupero.
"Salendo la gradinata scoperta, l'occhio liberamente si posa fra le rocce, vedendo sorgere torri e muraglie con archi e finestre squisitamente decorate a stile, a reticolati, a poliedri ove predominano le tinte bianche e nere. Animali fantastici qua e là guardano dalle mure merlate. Dappertutto un'aria di mistero che colpisce e ricorda quei soggiorni incantati che la poesia orientale faceva edificare dalle fate" così scriveva un visitatore della Rocchetta nel 1882. Sopra una rocca medievale emergono cupole a cipolla dorate, minareti, torri e torrette quadrate e cilindriche. L'ingresso di indubbio sapore moresco con una larga scala, conduce al vestibolo dell'edificio. Un ippogrifo è a guardia dell'entrata mentre due gnomi, a guisa di cariatidi, sostengono lo stipite di una porta che introduce al cortile. La nostra giovane guida ci prende per mano immergendosi nella storia di questo complesso architettonico mentre entriamo in un magnifico loggiato orientaleggiante chiamato Loggia Carolina. Da qui una scaletta della torre conduce attraverso un ponte levatoio ad una stanzetta piccola che fu la camera del conte ma che ora è in fase di restauro. Quasi di fronte si trova la Scala delle visioni dove una fantasia allegorica nella volta rappresenta la nuova scienza che vince sulla vecchia medicina.
La scala conduce alla Sala inglese sul torrione principale. La guida non lesina aneddoti mentre ammiriamo le eclettiche camere di questo incredibile castello. Dopo aver attraversato un breve tratto di roccia scoperta, rupe e balcone nello stesso tempo, ci si ritrova nel Cortile dei Leoni di fatto la riproduzione in miniatura del cortile dell'Alhambra, la famosa fortezza di Granada. A lato di questo cortile si entra nella chiesa del castello che con i suoi giochi di arcate in marmo bianco e nero fanno ritornare alla mente le moschee meravigliose dell'Andalusia ma richiamano anche gli estri bizzarri di Escher. Qui all'interno di un'arca in maiolica riposa Cesare Mattei. Ripassando dal cortile dei Leoni si entra nel Salone della pace e successivamente nella Sala della musica, imitazione della cattedrale di Cordova. Niente sembra ciò che è a Rocchetta Mattei: quello che appare costruito in laterizio è in legno, quello che sembra legno è in cartapesta, i mosaici sono invece dipinti, in una girandola di elementi apparentemente in aperta contraddizione ma che andavano a rispecchiare l'animo complesso del conte. Da qui ripercorriamo la scala che riconduce al cortile. Lasciamo alle nostre spalle questa visionaria antica rocca rimanendo sulla cresta appenninica per una parte del viaggio di ritorno tra mille punti panoramici ed echi di storia come il duecentesco Santuario di Montovolo (mt 962) prima di farci inghiottire dall'affollata rete autostradale.

martedì 22 maggio 2018

La Toscana di Michelangelo (18-20 maggio)

Terra decantata la Toscana dove il senso del Bello nelle sue mutevoli sfumature cattura la nostra attenzione procurando quel senso del piacere che si accompagna all'esperienza estetica. Terra d'arte, di spiritualità e di piaceri gastronomici, un patrimonio da proteggere che mette in moto la nostra sete di conoscenza in simbiosi con l'ambiente circostante. Quindi andiamo a fare la conoscenza di una piccola parte di toscanità, quella zona compresa tra il Casentino e la Valtiberina. VENERDI 18 MAGGIO. Lasciata la E45 all'altezza di Pieve Santo Stefano fra mille curve si sale al Passo dei Mandrioli (mt 1173) tra boschi di faggi e querce, sul crinale che getta lo sguardo sull'appennino tosco-emiliano entrando di fatto all'interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna in una rete sentieristica di assoluta rilevanza. Una manciata di chilometri e si arriva a Badia Prataglia (mt 850) ameno paese le cui origini sono anteriori all'anno Mille e a testimonianza di ciò fa bella mostra di sè la splendida chiesa romanica fondata dai monaci benedettini intorno al 986. Il silenzio, rotto solo da voci di bimbi, pare quasi irreale. Pochi chilometri più avanti appare Serravalle, frazioncina di Bibbiena, posta su un alto sperone di roccia e attraversata dal torrente Archiano tra stradine strette e solitarie. Troviamo aperta la chiesa di San Nicolò e il castello con la sua grande torre di avvistamento che, come riportato nel Regestum Camaldulense, fu costruito nel 1188 dal vescovo di Arezzo.
Monastero di Camaldoli
Attorno aleggia un senso di abbandono che si condensano nelle scarne parole di un abitante "i vecchi scompaiono e i giovani non vogliono restare". Proseguiamo il nostro viaggio raggiungendo il Monastero di Camaldoli (mt 818) "invaso" da un rumoroso sciame di bikers intenti a pregustare le specialità di questa zona. E' un complesso monastico composto dall'antica foresteria, dalla chiesa e dal monastero la cui costruzione fu iniziata a partire dal 1046 con un piccolo ospedale di cui rimane oggi testimonianza l'antica Farmacia dove sono ancora conservati antichi alambicchi, mortai, fornelli e medievali ricettari. All'interno della chiesa sette preziose tavole del Vasari. Nel frattempo, partiti i motociclisti, la foresteria è in gran fermento con l'arrivo di numerosi ospiti che vengono qui a cercare silenzio e pace. Senza cedere alle lusinghe gastronomiche procediamo verso l'Eremo. Il nome Camaldoli deriva da Maldolo, un conte aretino che secondo la leggenda donò a San Romualdo di Ravenna intorno al 1012 il terreno sul quale venne edificato l'Eremo.
L'Eremo di Camaldoli
Entriamo nell'eremo attraverso un portone che dà sul grande cortile. A sinistra attraverso una porticina si accede all'antica cella del santo, una cella semplice con struttura "a chiocciola" che oltre ad offrire riparo dalle rigide temperature invernali simboleggiava il percorso interiore da seguire. La chiesa incorniciata da due campanili simmetrici, nel corso dei secoli ha subito numerosi rimaneggiamenti e poi impreziosita da affreschi e stucchi allegorici seicenteschi. Nella cappella a fianco dell'altare c'è una bellissima Vergine con bambino realizzata da Andrea della Robbia. Usciamo da questo luogo di raccoglimento e preghiera per avviarci verso il nostro alberghetto "La buca di Michelangelo" a Caprese Michelangelo (mt 653) mentre inizia ad imbrunire, regalandoci piatti locali e un vinello del territorio mentre sopra di noi si ergono luminose mura castellane imponenti.
"La buca di Michelangelo" a Caprese Michelangelo
SABATO 19 MAGGIO. Il mattino profuma di pane toscano e marmellata mentre il sole illumina una vallata verdeggiante dominata dalla mole boscosa dell'Alpe di Catenaia. Caprese Michelangelo, poco più di un migliaio di anime sparse sul territorio, porta nel nome il ricordo del sommo artista Michelangelo Buonarroti che qui nacque il 6 marzo 1475. Nel castello di Caprese, delimitato ad est da una poderosa cinta muraria, sopra la porta d'ingresso si trova un campanile con la campana fusa nel 1561, all'interno del recinto di forma ovoidale ci sono Palazzo Chiusini e la Podesteria, entrambi del quindicesimo secolo in cui il padre Ludovico vi svolgeva la funzione di podestà quando nacque l'artista. Nel cortile interno tra i resti di cinta muraria sono allestiti importanti bronzi di contemporanei italiani. Appena fuori dalle mura, la chiesetta duecentesta di San Giovanni Battista, oggi però chiusa, nel quale Michelangelo fu battezzato.
Il Castello di Caprese
Lasciamo la Valtiberina in direzione del Santuario di La Verna, posto sul Cammino di San Francesco, uno dei luoghi di fede e meditazione del Cosentino. Quando arriviamo il santuario brulica di gente, il silenzio a dire il vero difetta ma è innegabile, anche per chi non è credente, sentire un'aurea di profonda spiritualità in un luogo così mistico. Il monte La Verna venne donato a San Francesco dal conte Orlando Cattani nel 1213 e con i suoi 1128 metri di altezza domina il paesaggio circostante. Il complesso monastico è formato da diversi edifici, cappelle e luoghi di culto di epoche successive senza un progetto omogeneo ma seguendo l'andamento dei rilievi montuosi. Il più antico è la Chiesa di Santa Maria degli Angeli fatta edificare nel 1216 mentre la costruzione della grande Basilica è stata avviata nel 1348 e terminata nel 1509. Di particolare pregio le terracotte invetriate opera dei Della Robbia. Da visitare la Cappella delle Stigmate e il lungo corridoio caratterizzato da 22 affreschi che raccontano la vita del Santo. Dal piazzale del Santuario, detto "quadrante" la vista e l'emozione corrono lontano...
Santuario de La Verna
Lasciamo questa oasi di pace e scendendo lungo la statale 71 troviamo aggrappato alla roccia che cade a strapiombo sul torrente Rassina, i ruderi di castello Cattani. Il complesso, in stato di deplorevole abbandono, in origine era di vaste dimensioni, tre lati protetti da possenti mura perimetrali e il quarto lato a precipizio sulla vallata. Vicino sorge l'antica chiesa di San Michele (chiusa purtroppo) fatta costruire dalla contessa Giovanna Tarlati nel 1385, accanto alla chiesetta l'antica Podesteria e la cosiddetta Roccia di Adamo, ovvero l'area che ispirò a Michelangelo la Creazione di Adamo nella volta della Cappella Sistina di Roma. Scendendo ulteriormente sulla strada che attraversa Chiusi della Verna (mt 950) si può apprezzare la fontana pubblicitaria del Campari realizzata negli anni Trenta dallo scultore Giuseppe Gronchi sicuramente il primo esemplare dei 12 realizzati (l'altro esistente è in località Le Piastre in provincia di Pistoia, rintracciata in un precedente viaggio). Attraversiamo un territorio meraviglioso e alla volta di Chitignano seminascosto da cipressi centenari appare il Castello dei conti Ubertini.
A prima vista sembra desolato, l'ingresso tramite un vialetto ci introduce a quella che sembra la Piazza d'Armi dove ora regna sovrano ogni genere di erbacce. Stiamo per andare via quando un clacson ci ferma e una figura dallo stanco incedere scende dall'automezzo. Al centro di grandi eventi storici il castello rimase nelle mani degli Ubertini per oltre cinquecento anni fino a metà '800 quando passò in mani private e l'ultimo discendente, l'ultranovantenne signor Mario Castellano, ci fa accomodare in una bella corte affrescata e poi nell'attiguo Corpo di Guardia con stemmi e busti della famiglia Ubertini raccontandoci aneddoti e storie del maniero. Ci siamo ripromesse di tornare mentre attraversiamo il verde Casentino. Poi un'altra deviazione per ammirare il Castello di Valenzano, una dimora storica nel comune di Subbiano le cui origini si perdono nel medioevo per trasformarsi verso la fine dell'Ottocento in una residenza neogotica, ora sede di convegni e manifestazioni. Adesso puntiamo verso Anghiari. Questo piccolo centro è uno splendido scrigno medievale posto fra il Tevere e l'Arno e deve la sua fama alla storica battaglia del 29 giugno 1440 in cui le truppe fiorentine sconfissero quelle milanesi dei Visconti. Il celebre affresco della Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci, andato purtroppo perduto, deve la sua fama duratura soprattutto alle famose riproduzioni di Rubens. La raggiungiamo mentre scendono le prime ombre della sera e passeggiando per le strette vie del borgo protetto da imponenti mura duecentesche, il passato sembra riemergere da ogni singola pietra. Assolutamente da vedere la seicentesca Chiesa di Santa Maria delle Grazie, poi Palazzo Pretorio che ospitava i podestà e oggi edificio municipale, il Campano ovvero la torre civica costruita alla fine del XVI secolo, per poi procedere attraverso strette viuzze  al quattrocentesco quartiere del Borghetto dove si trova Palazzo Taglieschi, sede museale, ridiscendere verso Galleria Girolamo Magi, per anni sede del mercato di semi e granaglie che ci introduce in piazza IV novembre dove si ammira il Teatro dei Ricomposti.
La cattedrale dei Santi Pietro e Donato ad Arezzo
DOMENICA 20 MAGGIO. Mentre ritorniamo verso Anghiari dall'alto spicca il blu del lago di Montedoglio, uno dei più grandi bacini artificiali d'Europa a pochi chilometri da Sansepolcro, città d'arte famosa per aver dato i natali a Piero della Francesca. Le acque del lago sono considerate idropotabili e per questo motivo è vietato l'uso di qualsiasi tipo di motore e nel contempo la zona è diventata oasi naturale per numerosi uccelli migratori. La quieta è assoluta appena smorzata dai nostri passi in perlustrazione lungo le sue rive. Oltrepassata Anghiari si prosegue nella ricerca di castelli e dimore antiche come il Castello di Galbino, in frazione Tavernelle, risalente all'undicesimo secolo che unitamente al vicino castello di Montauto controllava i collegamenti tra il Valdarno aretino e l'alto corso del Tevere.
Ora è una residenza privata ma non si può non osservare da vicino questo solido quadrilatero ingentilito da finestroni rinascimentali. Vorremmo visitare anche il Castello di Montauto, ma senza prenotazione è presocchè impossibile quindi a mitigare la nostra delusione ci pensa una bella grigliata presso l'Antico Posto Di Ristoro sul punto più alto della provinciale della Libbia. Arezzo adesso è vicinissima quindi è d'obbligo una visita nel cuore storico della città. Le vie sono silenziose e si lasciano osservare con gentilezza, bellezze che si manifestano da sole, senza indagare. Prima la Chiesa di San Domenico famosa per il bellissimo Crocifisso ligneo del Cimabue e per gli splendidi affreschi di Spinello Aretino, poi la Cattedrale semplicemente stupenda con le sue tre navate, il grande abside poligonale e quasi nascosta nella navata di sinistra, la Maddalena di Piero della Francesca, ed infine una visita a "I colori della giostra del Saraceno" piccolo viaggio in quella che è una delle più importanti rievocazioni storiche italiane. Aspettaci terra toscana...