lunedì 6 maggio 2019

Quando va in scena Tiepolo: Villa Valmarana ai Nani (VI) - domenica 5 maggio

Villa Valmarana ai Nani
Adagiata sui Colli Berici, Villa Valmarana ai Nani è situata alle porte di Vicenza ed è celebre per lo straordinario ciclo di affreschi di
Giambattista Tiepolo (che dipinse la villa nel periodo del suo massimo splendore artistico) e del figlio
Giandomenico. Il nomignolo ai Nani, con cui è conosciuta è legato alle diciassette sculture in pietra allineate sul muro di cinta, rappresentanti appunto dei nani. Una leggenda vuole che la figlia del signore della villa fosse affetta da nanismo e che i custodi e i servitori dell'edificio fossero scelti esclusivamente tra i nani, perché alla ragazza non si voleva far conoscere il proprio difetto fisico. Quando nella villa penetrò un principe, alla sua vista la ragazza si disperò: presa coscienza del proprio stato, la giovane si tolse la vita gettandosi dalla torre, motivo per cui i nani rimasero pietrificati dal dolore. Nonostante la pioggia Villa Valmarana si presenta con un contesto architettonico di notevole eleganza. 
Salone centrale: il  sacrificio di Ifigenia
Originariamente il primo edificio, quello residenziale, voluto da Giovanni Maria Bertolo, importante giurista, fu completato nel 1670. Alla struttura principale furono affiancate una barchessa, una foresteria, una stalla e vari altri edifici tipici delle ville venete. Nel 1720 la proprietà venne acquistata dai Valmarana, nobile famiglia vicentina, le cui antichissime fonti risalgono al 1174 dove un membro della famiglia è citato come arcidiacono della Cattedrale di Vicenza. Nel 1736 Giustino Valmarana incarica Francesco Muttoni del restauro della villa apportando modifiche che osserviamo oggi come i frontoni triangolari sui due lati della palazzina principale, le scalinate e le torrette laterali della palazzina, i sette archi con le sette teste dei vizi capitali e la costruzione delle scuderie sviluppate su due piani. Nell'aprile del 1944 alcune bombe incendiarie colpirono la villa e distrussero buona parte del soffitto della sala dell’Eneide. Quasi tutti gli affreschi furono asportati, in parte utilizzando la tecnica dello strappo ed in parte staccati demolendo il muro retrostante e conservando tutto lo spessore dell'intonaco sul quale erano stati dipinti. A guerra terminata essi furono riapplicati alle pareti.
Stanza dell'Iliade
Scriveva Goethe nel suo "Viaggio in Italia" (24 settembre 1786). "Oggi ho visitato la villa Valmarana decorata dal Tiepolo, che lasciò libero corso a tutte le sue virtù e alle sue manchevolezze. Lo stile elevato non gli arrise come quello naturale, e di quest'ultimo ci sono qui cose preziose, ma come decorazione il complesso è felice e geniale"La palazzina principale e la foresteria furono affrescate da Giambattista Tiepolo e dal figlio Giandomenico nel 1757, per volere di Giustino Valmarana. In particolare la palazzina principale ripercorre temi mitologici e classici, con scene dall'Iliade, dall’Eneide, dalla mitologia, dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso e dall’Orlando furioso di Ariosto. Tiepolo, oltre al pennello, ha fra le mani i libri che hanno segnato il pensiero occidentale, la storia che lega l'antico al moderno in un gioco di specchi e di imitazioni. La villa diviene così un "palazzo della memoria", schema dell'universo imperniato sui quattro angoli-pilastro (Nord, Sud, Est, Ovest) in cui i personaggi-chiave dell'epica, attraverso le gesta degli eroi celebrati per il coraggio adamantino e le virtù straordinarie, si raccolgono dialogando su un teatro virtuale. Seguiamo la nostra guida attraverso il bel giardino in antitesi ad un cielo bigio e malinconico, per entrare nello splendido salone centrale della Palazzina opera di Giambattista Tiepolo. Nell'atrio viene rappresentato il sacrificio di Ifigenia, sicuramente la più celebre fra le opere presenti nella storica dimora e a sinistra la flotta greca in Aulide.
Stanza dell'Eneide
Sul soffitto Diana e Eolo, sopra le porte invece le allegorie dei quattro fiumi che rappresentano i quattro continenti conosciuti nel Settecento: l'Africa riconoscibile per la sfinge, i due gemelli simbolo del Tigre e dell'Eufrate (Asia), il Mississipi rimanda all'America e il Danubio all'Europa, perché storicamente l'acqua è apportatrice di civiltà e tutte le culture più antiche sono nate vicino a un corso fluviale
. La prima sala è dedicata all’Iliade in cui è rappresentata la solitaria mestizia di Achille che rinuncia a Briseide. Achille è ritratto nella classica postura dell'uomo malinconico: il braccio sorregge la testa mentre le armi abbandonate sono un altro elemento dell'iconografia dell'eroe triste. Da notare, ed è un capolavoro, che nella scena ritratta la gamba di Achille è fuori dal quadro. La stanza omerica dà accesso a quella ariostesca quella di ispirazione bucolica e teneramente amorevole di Angelica e Medoro. Nella sala c'è Angelica che incide il nome di Medoro sulla corteccia: è lo snodo narrativo che scatenerà la follia di Orlando. La sala successiva, ispirata all'Eneide del poeta latino Virgilio, si rifà alla rinuncia amorosa per l'adempimento di un destino inevitabile. Tiepolo raffigura Mercurio mentre esorta Enea a rinunciare a Didone ritraendolo con il suo caduceo: la mano regge la fronte, l'elmo abbandonato a terra. Nella sala della Gerusalemme liberata la figura di Rinaldo assume una componente "teatrale" e melodrammatica, attraverso la forte torsione del busto.
la Sala delle Architetture
L'albero al centro della scena è quasi una cesura tra il futuro che attende Rinaldo e il passato che lo ha legato, pur con l'inganno, alla maga Armida. Nello specchio Rinaldo osserva vergognoso la propria immagine soggiogata ad Armida. 
Entriamo nella Foresteria che presenta uno stile più moderno con richiami all'Illuminismo e scene di vita quotidiana. In questa parte della villa compare in maniera decisa la mano di Tiepolo figlio, che nega il gusto del sublime paterno. Nella sala delle cineserie spiccano il Mercante di stoffe e la Passeggiata del Mandarino, specchio del gusto dell'epoca per un esotismo di maniera. Si passa alla stanza delle scene campestri. Su una parete è ritratta una vecchietta che va al mercato a vendere le sue uova, durante il tragitto è stanca, si ferma e si riposa, il tutto reso con grande naturalismo pittoricoNella stanza "gotica" passeggiate, personaggi e ambiente sono accolti in una cornice neogotica. Passiamo alla sala dell'Olimpo, tutta del padre Giambattista, nella rappresentazione degli dei tra Zeus con lo scettro del potere e gli altri dei ognuno con il simbolo che lo definisce: Marte e Venere con la mela, Apollo e Diana con la mezza luna sopra la testa, Saturno con la falce e la clessidra, Mercurio con il copricapo alato ed infine la stanza del mondo nuovo dove la mano di Tiepolo padre è in stato di grazia nella rappresentazione del servitore negro su una scalinata. 
Il Ninfeo
Usciamo dalla palazzina che si affaccia sull'incantevole 
Valletta del silenzio mentre la pioggia connota un aurea fiabesca alla lunga passeggiata che termina a nord con un ninfeo, entro la cui nicchia vi è una statua di grandi dimensioni che raffigura un tritone che cavalca un delfino. Ci spostiamo verso il teatrino delimitato su tre lati da un basso muretto e sul versante della valle, da una parete affrescata da Giandomenico Tiepolo e inquadrata dalle decorazioni di Girolamo Mengozzi Colonna con funzione di quinta scenica. Nel mezzo, un pozzo, da cui anticamente veniva attinta l'acqua. La struttura era adibita all'intrattenimento, con esibizioni teatrali e declamazioni di componimenti poetici. E non potrebbe essere altrimenti quando va in scena Tiepolo...

venerdì 3 maggio 2019

I Castelli di Malpaga e di Cavernago (Bergamo) - mercoledì 1° maggio

Castello di Malpaga
Poco lontano dalle rive del Serio, immerso in una distesa infinita di campi coltivati si erge maestoso il Castello di Malpaga, una delle più importanti fortificazioni lombarde del Trecento per iniziativa ghibellina. Dopo una scorribanda guidata da Tognotto Rota nel 1444 "acerrimo difensore delle Venete bandiere...auisato con numerose truppe d'armati improuisamente dalla città vicino portossi à Malpaga...piegò la Vittoria à suo favore, fatto lo stesso Conte prigione e con tutto il bottino in Bergamo trionfalmente condotto", il castello fu abbandonato andando in rovina. Con la nomina di Bartolomeo Colleoni a Capitano Generale di tutte le milizie della Repubblica di Venezia, il Senato della Serenissima il 24 giugno 1455 concede al grande condottiero la facoltà di scegliere come dimora un castello posto sul confine a difesa della Repubblica. Il 29 aprile 1456 il grande condottiero preferisce invece acquistare il Castello di Malpaga dal comune di Bergamo per 100 ducati d'oro adoperandosi a renderlo difendibile con una serie di interventi strutturali quali l'innalzamento delle mura, la costruzione di alloggi per le truppe, scuderie, porte fortificate e di un secondo fossato trasformando il complesso in una inespugnabile fortezza e nel contempo in una magnifica residenza tanto che il bellissimo palagio, come scriveva Marin Sanudo, cronista storico veneziano dell'epoca, diventa meta di personaggi di alto rango e di grande cultura. 
Nel 1458 il Colleoni vi si stabilisce, come in una vera reggia, con la moglie Tisbe Martinengo e come tutte le corti rinascimentali assumono sempre più il ruolo di centri di produzione culturale e il mecenatismo è parte integrante dell’esercizio del potere del principe e, nello stesso tempo, uno dei principali fattori che ne certificasse la sensibilità al bello e all'arte. Il maniero è a pianta quadrata, protetto da due cerchia di mura e da due fossati. All’interno del primo fossato, attualmente non più visibile, c’erano le scuderie e gli alloggi dei soldati. Il secondo fossato invece circonda tuttora il castello. Lungo tutto il perimetro del castello si notano le tracce della merlatura della fortificazione originaria. I dipinti murali del castello costituiscono non solo una viva e bellissima testimonianza artistica ma rappresentano un importante affresco storico e destano lo stupore del visitatore come nel Salone dei Banchetti dove viene celebrata la visita del re Cristiano I di Danimarca avvenuta nel 1474 mentre sta andando in pellegrinaggio a Roma per il Giubileo, accompagnato dal Duca di Sassonia e da duecento cavalieri. L'evento viene raffigurato da Marcello Fogolino tra il 1520 e il 1530 e illustrano il corteo regale, l'ospitalità del Colleoni, i banchetti, i tornei e le scene di cacciaAl Romanino è stato attribuito l'affresco della parete del cortile, prospiciente l'ingresso, commissionato tra il 1520 e il 1530 dai nipoti dello stesso Colleoni e rappresentante la famosa battaglia della Riccardina combattuta nel 1467, dove per la prima volta furona usate massicciamente le armi da fuoco e perché non ci furono né vinti né vincitori: papa Paolo II, rappresentato sulla parete orientale, sancì la fine del conflitto perché i Turchi si stavano avvicinando alle coste europee e pertanto bisognava fermarli
L'affresco si trova all'aperto ed è abbastanza deteriorato dall'esposizione all'intemperie ma è ancora ampiamente leggibile, un affresco importante perché rappresenta la scena bellica, i combattenti, le armature, i cavalli e i movimenti quasi animati nel loro realismo figurativo. Al piano superiore si entra nella Stanza del Capitano  dove il Colleoni  morì e dove si conserva un prezioso quadro della Madonna con il Bambino, oltre agli affreschi strappati dai muri che in precedenza adornavano la Sala di rappresentanza, e le fanciulle ritratte, un tempo identificate con le figlie del Colleoni, sono in realtà raffigurazioni allegoriche delle Virtù. Queste sono state dipinte nel 1545 circa dal pittore bresciano Lattanzio Gambara. Il complesso testimonia il rango raggiunto da un importante stratega che aveva cominciato la propria carriera militare come scudiero di Filippo Arcelli a Piacenza. Bartolomeo Colleoni ebbe solo discendenze femminili: Ursina, Isotta, Caterina, Medea, Dorotina, Riccadonna, Cassandra, Polissena. Dopo la morte del Colleoni, avvenuta il 2 novembre 1475, il castello di Malpaga passò ai suoi nipoti Estore, Giulio e Alessandro Martinengo Colleoni, figli di Gerardo Martinengo e di Ursina Colleoni. 
Castello di Cavernago
Pochi chilometri e raggiungiamo il secondo castello di Cavernago o Castello Martinengo-Colleoni, costruito tra il 1597 e il 1610 su un precedente caseggiato di proprietà dei Canonici della cattedrale di Bergamo. Le prime notizie dell’antico fabbricato risalgono al 1234 quando tale Salvo di Bellobon vendette l’intera proprietà al prete Redulfo di Ghisalba che l’acquistò per conto del Capitolo di Bergamo. I Canonici  nel 1341 si disfarono della tenuta che passò a un uomo ricco del quale si conosce solo il nome, Guglielmo figlio di Pietro Assonica. Fu uno dei suoi successori che un secolo dopo vendette l’intera proprietà a Bartolomeo Colleoni con un atto notarile datato 15 luglio 1473. Si deve a Francesco Martinengo Colleoni il castello come lo ammiriamo oggi. Nominato da Emanuele Filiberto, duca di Savoia, suo gentiluomo di camera e consigliere di guerra con il grado di colonnello nel 1568, sarà comandante generale per l'impresa di Revello nella guerra contro i francesi per il possesso del marchesato di Saluzzo e capitano di cavalleria contro i turchi di Solimano a Malta sotto la bandiera della Serenissima. E fu a Venezia che trovò il disegno fatto dal Sansovino (Jacopo Tatti) del grande cortile con doppio loggiato che caratterizza l’interno del Castello. La presenza dei Martinengo Colleoni doveva protrarsi per oltre duecento anni fino a quando, sullo spirare del diciannovesimo secolo, il ramo della famiglia si estinse. Ora appartiene da oltre sessant’anni ai Principi Gonzaga di Vescovato. Il castello di Cavernago non ha la tipica struttura di fortezza militare quanto di un'importante residenza famiare. Il castello è a pianta quadrata circondato da un profondo fossato dove ora non c'è più acqua. Un ponte levatoio assicurava il passaggio alla corte interna attraverso un'arcata in muratura su cui troneggia la grande aquila circondata dal collare dell'Annunziata, stemma del casato Martinengo.

Ai lati del castello ci sono quattro piccole torri poco sporgenti dalla struttura castellana. Queste torri, sempre per il carattere poco militare della fortezza, non presentano sulla parte alta la tipica merlatura ma delle logge circondate da archi sostenuti da sottili colonne. Le colonne sostengono archi a tutto sesto ricchi di affreschi che decorano tutti i porticati e in particolare in quello rivolto a sud si apre un salone dove è riprodotta una gigantesca figura di Bartolomeo Colleoni. Nell'ampio cortile un pozzo, ora chiuso da una grossa grata. Di particolare interesse la scala elicoidale del XVIII secolo sul lato sinistro dell’ingresso e varie sale seicentesche affrescate.I due castelli e l'intero borgo sono i protagonisti assoluti del progetto di riqualificazione territoriale che non può che fare bene al nostro splendido patrimonio artistico.

lunedì 15 aprile 2019

Il Castello di Gropparello (domenica 14 aprile)

Un tempo da lupi avvolge il paesaggio circostante mentre si sale la china e tra i rami addomesticati dalla pioggia s'inizia ad intravedere il castello di Gropparello fiero e indomito sopra la roccia. Il castello, infatti, sorge in cima ad uno sperone roccioso di rocce ofiolitiche, sopra uno strapiombo che domina il torrente Vezzeno, formando un orrido di circa 85 metri di altezza, che lo ha reso praticamente inespugnabile nei secoli. Edificato sui resti di un castrum romano del II secolo a.C. era posto a difesa dell' antica via per Velleia, centro di notevole importanza commerciale. Nell’808, Giuliano II, vescovo di Piacenza, ricevette da Carlo Magno la giurisdizione temporale delle corti e del distretto di Gusano e Cagnano (Gropparello), cioè la giurisdizione sugli abitanti con tutti gli introiti di natura pubblica (dazi, gabelle) ivi riscossi. Al centro di una controversia tra il Capitolo della Cattedrale e la Mensa Vescovile, nell'840 fu assegnato a quest'ultima da Seufredo II, allora vescovo di Piacenza
Nel 1255 venne assediato e distrutto dalle truppe ghibelline guidate da Azzo Guidoboi al servizio di Oberto II Pallavicino ma subito riedificato tanto che il Pallavicino lo riassediò nel 1260 senza successo. Il vescovo Filippo Fulgosio attorno al 1300 lasciò il castello ai propri eredi, i quali, quando nel 1335 Piacenza ed il suo territorio passarono ad Alberto Scoto e l'egemonia guelfa terminò, dovettero abbandonare la città e ritirarsi a Gropparello. I Fulgosio tennero il castello fino al 1464 per poi essere ceduto da Francesco Sforza, duca di Milano, a Galeazzo Campofregoso. Nel 1599 Ranuccio I Farnese, signore di Parma e Piacenza, rientrato in possesso del feudo, investe con il titolo ereditario di conte di Gropparello  Marcantonio Anguissola, uomo di fiducia e governatore della val di Taro, che ne terrà il dominio per circa due secoli, fino al 1869 quando viene acquistato dal conte Ludovico Marazzani Visconti il quale lo fece restaurare nelle forme che attualmente si possono ammirare. La nostra guida decanta con passione le vicende storiche del castello introducendoci nel cortile centrale, uno dei luoghi più suggestivi dell’intera struttura, con la sua forma irregolare adattata alle esigenze costruttive del profilo roccioso a picco sul torrente Vezzeno, quindi ben lontana dalla tradizionale pianta quadrata. Pur se composto di parti risalenti a epoche diverse ha l'aspetto compatto della roccaforte con doppia cinta muraria merlata, cortile, torri, torrione d'ingresso con doppio ponte levatoio (uno pedonale e uno carrabile), mastio e camminamenti di ronda scavati nella roccia. 
La parte più antica del castello è la torre, a base quadrata, risalente all'undicesimo secolo costruita proprio sulla sommità della rupe dove lo sguardo può spaziare sul magnifico panorama circostante, mentre alla base della torre era scavata una cisterna per la raccolta dell'acqua, indispensabile per resistere a lunghi assedi. Gli ambienti interni conservano arredi e decorazioni risalenti al cinquecento e non mancano monumentali camini, stucchi e soffitti in stile rococò del ‘700. Molto interessante la sala della musica che contiene alcuni strumenti di grande interesse dal punto di vista dell'organologia ovvero lo studio  dell'evoluzione degli strumenti musicali. Nell'area circostante il castello è stato aperto il primo parco emotivo italiano con animatori vestiti da guerrieri medievali: noi abbiamo incontrato sotto la pioggia il Cavaliere Nero...E come tutti i castelli che si rispettino anche qui s'aggira un fantasma, quello dell’infelice Rosania Fulgosio
Siamo alla fine del 1200 e mentre Pietrone da Cagnano è lontano, il castello viene attaccato da milizie condotte dal giovana Lancillotto Anguissola, antico amore di Rosania. Il castello cade dopo una strenua difesa e il vincitore minaccia severe rappresaglie. La giovane castellana si getta ai suoi piedi intercedendo per la vita dei vinti. I due si riconoscono e l'antico amore si ridesta. Ritorna Pietrone che, informato da una sua fedele fantesca di nome Verzuvia del tradimento della moglie, progetta la terribile punizione: fa scavare un antro nella viva roccia sotto le fondamente del castello poi, una notte addormenta con del vino la giovane moglie e ve la rinchiude murando l'entrata. Da allora la povera Rosania vaga per il maniero e il suo spirito si manifesta in certe notti con lamenti e gemiti sentiti anche da chi ha abitato il castello.

lunedì 1 aprile 2019

Il nostro assordante "NO" al Congresso Mondiale delle Famiglie a Verona (sabato 30 marzo)

Sui numeri c’è stato il consueto “balletto” tra il massimo degli organizzatori, che hanno annunciato 100 mila presenze, e le forze dell’ordine che sono arrivate a una stima massima di 40 mila. Ma il corteo "transfemminista" di sabato 30 marzo a Verona, clou delle iniziative contro il Congresso mondiale della famiglia, ha riscosso un successo al di sopra di ogni aspettativa. Una fiumana con prevalente colore rosa ha attraversato nel pomeriggio la città scaligera, dal piazzale della stazione di Porta Nuova allo scalo ferroviario di Porta Vescovo, per un totale di tre chilometri e mezzo, esaurendosi solo a tarda sera. A lanciare l’iniziativa era stato il collettivo femminista locale aderente alla rete “Non una di meno” già fattosi notare per una clamorosa protesta quando in Consiglio comunale si votò un ordine del giorno contro la legge 194. Allora le attiviste si vestirono come le “ancelle” del romanzo della Atwood e della serie tv distopica «Handmaid’s tale», dove le donne fertili vengono sfruttate come macchine da riproduzione. Un tema, il rifiuto della donna come mero “angelo del focolare”, rilanciato con forza a Verona in una serie di incontri, conferenze, spettacoli e che ha richiamato in strada nel pomeriggio migliaia di persone da tutta Italia.
Il preludio in mattinata, nel piccolo teatro K2 che a malapena contiene trecento persone, e che ha costretto molti ad assistere all’aperto a un dibattito con voci della sinistra, tra cui Livia Turco, Laura Boldrini e Monica Cirinnà. L’ex ministro del welfare ha ringraziato le donne di Verona per ribadire la volontà di libertà femminile che non è libero arbitrio, è la rivendicazione della differenza dei nostri corpi, riconoscendo la fatica di un percorso che tante donne hanno fatto. Troppe volte la politica non ce lo ha riconosciuto.
L’ex presidente della Camera ha posto l’accento su "un’altra idea di società, e per noi tutti devono essere rispettati, non devono esistere discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale e di genere". Cirinnà ha infine invitato a "resistere per esistere. Con questo governo si tenta di cancellare ogni diritto e i diritti sono l’esistenza delle persone, siano donne, eterosessuali, trans, persone di tutti i tipi e tutti gli orientamenti sessuali". Poi dalla sala si è formato un corteo che si è recato al vicino ponte di Castelvecchio, dove è stato messo in scena un flash mob sulle note della canzone "Viva la libertà" di Jovanotti mentre le donne alzavano le mani protette da guanti gialli da cucina.
Per il corteo pomeridiano - che ha visto la partecipazione del segretario Cgil Maurizio Landini, di Susanna Camusso, e di Ivana Veronese, della Uil, oltre che di esponenti del Pd come Emanuele Fiano e di Leu come Nicola Fratoianni - le forze dell’ordine avevano predisposto un piano di sicurezza blindando l’area di piazza Bra e palazzo della Gran Guardia. E il punto di maggiore tensione è avvenuto quando il corteo ha “sfiorato” piazza Bra, con vista sulla sede del Wcf. Da lì sono partiti cori e slogan in particolare contro il vicepremier Salvini, in arrivo al congresso. 
Dietro il cordone di sicurezza, qualcuno ha anche indirizzato un saluto fascista ai manifestanti venendo però dissuaso dalla polizia. È stato l’unico momento di tensione in una kermesse che ha invaso letteralmente la città scaligera in modo pacifico e rumoroso. Sin dalle prime ore del mattino c'è stato un vero assalto ai treni in partenza per Verona. Pensiline interamente occupate da persone che aspettavano i convogli. E' diventato virale il messaggio che il capotreno del convoglio Italo 8973 per Venezia Santa Lucia ha rivolto ai passeggeri una volta arrivato nella stazione Verona Porta Nuova: "Questo week end più che mai Verona è la città dell'amore, buona permanenza dal vostro capotreno, che ricorda: famiglia è dove c'è amore". In alcune carrozze si è levato anche qualche applauso. Dopo la grande manifestazione che a Verona ha riaffermato la centralità dei diritti ora è necessario un coordinamento di tutte le donne elette in Parlamento che vada oltre le appartenenze politiche, per fermare insieme ogni deriva che voglia mettere in discussione le conquiste di civiltà che il nostro Paese ha fatto.

(fonte: l'Adige.it)