martedì 18 ottobre 2016

Malga Biancari, la bellezza selvaggia della Val Sorda (domenica 16 ottobre)

Uno splendido anello di sentieri che si intersecano tra i profili dolci della Lessinia e gli austeri versanti della Val Sorda, una gola profonda e stretta che ha mantenuto inalterata la sua selvaggia bellezza. Base di partenza è Malga Biancari, in locatità Girotto, posta sulla sommità del crinale a 590 metri, facilmente raggiungibile da Marano di Valpolicella (VR). Da qui partono quattro sentieri contraddistinti da diversi colori che ne determinano il grado di difficoltà, dal percorso giallo soprattutto una rilassante passeggiate boschive, a quello rosso, il numero 4, a cui è stato recentemente aggiunto il tratto detto "sentiero del Tibetano" non ancora mappato dalla Pro Loco, che conduce allo spettacolare ponte sospeso. La domenica è splendida e pennellata d'azzurro ma le forti piogge dei giorni precedenti sconsigliano il sentiero del ponte quindi optiamo per il tracciato blu, il numero 3, che per buona parte del percorso segue parallelamente quello diretto al ponte e realizzato con il recupero di vecchi sentieri. Dopo una breve salita, ci si inoltra nel bosco e il tracciato regolare lascia il posto ad uno stretto sentiero che picchia con decisione verso valle, fra passaggi di rocce impegnativi, che richiedono uno sforzo importante al nostro equilibrio dato che è particolarmente fangoso, "sporco" di rami, fogliame e radici, ma che sa anche regalarci gli odori dei funghi, nota caratterizzante di una vallata abbastanza insidiosa a causa dell'abbondante umidità ma dall'indiscutibile fascino.
Dopo una bella marcia verso il basso, tra le fronde si incominciano ad intravedere alcuni ruderi e una casetta gialla (un bar con annesso parcheggio) in località Molino del Cao (315 metri) che raggiungiamo con il gruppo ormai snocciolato. L'aria è piacevolmente leggera  e la sosta panino quanto mai apprezzata. Riprendiamo il cammino con alcuni muscoli meno tonici rispetto alla partenza e dopo aver superato un pianoro che segue brevemente il Rio Baiaghe, rientriamo nel bosco, dove la sfera solare non riesce più a filtrare, la salita si alza seccamente e grandi felci osservano il nostro passaggio. Il sentiero continua ad essere impervio e soprattutto scivoloso, sino a raggiungere una bellissima forra dove fermarci un attimo per tirare il fiato e ammirarne il paesaggio circostante. Volgendo lo sguardo in alto la segnaletica indica a destra i "Covoli" di Marano, ovvero due grotte carsiche denominate "Coalo del Diaolo" e "Buso Streto", mentre a sinistra si sale in direzione di Malga Biancari. Optiamo per il ritorno alla malga. Alcuni passaggi tra le rocce sono abbastanza impegnativi e richiedono attenzione, poi la scalata si placa e lo stretto sentiero lascia il passo ad un falsopiano e da questo ad una forestale che impegniamo con le ultime energie rimasteci sino alla base di partenza. Ovviamente le "grandi fatiche" richiedono una buona birra in allegra compagnia! E sulla via del ritorno è d'obbligo una visita alla Pieve di San Floriano, a San Pietro in Cariano, una antica chiesa romanica considerata tra le più belle della provincia di Verona.


PARTENZA: Malga Biancari (mt 590)
SEGNAVIA: sentiero n. 3
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 320
LUNGHEZZA: km 6

domenica 16 ottobre 2016

Grandi Donne: WANDA RUTKIEWICZ, la signora degli Ottomila

"Quando sopra di noi c'è solo il cielo tutto è più difficile. Non ci sono mezze verità. Tutto è bianco o nero, freddo o caldo. In entrambi i casi si vive o si muore". Lei era così, della montagna non poteva fare a meno, personaggio chiave della storia dell'alpinismo femminile ma soprattutto donna coraggiosa e caparbia nel battersi per un confronto paritario fra uomo e donna.
Wanda (nata Blaszkiewicz) nasce il 4 febbraio 1943 a Płungianach (ora Lituania). Dopo la guerra, la famiglia si trasferisce a Breslavia dove si laurea in ingegneria elettronica. Forte fisicamente si dedica con buoni risultati prima all'atletica, poi diventa giocatrice di pallavolo e viene anche selezionata per le Olimpiadi di Tokyo ma ben presto scopre la montagna. "E' come un'esplosione interiore. Le montagne erano per me luoghi di pace e di libertà e in montagna mi sentivo felice". Inizia ad arrampicare sulle rocce di casa, gli Alti Tatra, poi insieme al famoso alpinista polacco Bogdan Jankowski sui Sudeti, catena montuosa al confine con la Germania. Tra il '64 e il '65 si reca nella Zillertal, la maggiore delle vallate dell'Inn nel Tirolo austriaco con il futuro marito, il dottor Helmut Scharfetter, vincendo la parete nord-ovest dell'Olperer. Poi è la volta delle Dolomiti mentre nel '67 sale il massiccio del Monte Bianco insieme ad un'altra scalatrice polacca, Halina Kruger-Syrokomska, e con lei l'anno successivo sconfigge la famosa parete nord del Trollryggen, in Norvegia, la più alta parete verticale d'EuropaWanda comincia presto a pensare alle alte montagne. Il primo incontro ha luogo nel 1970 sul Pamir, parte della spedizione polacca sotto la direzione di Andrzej Zawada con cui raggiunge il Lenin Peak (7134 metri). Nella primavera di quello stesso anno sposa il matematico Wojtech Rutkiewicz, il figlio dell'allora Vice Ministro della Salute John Rutkiewicz ma il matrimonio sarà di breve durata, la passione di Wanda per la montagna mal si adattava all'immagine convenzionale di una moglie. Con il Mountaineering Club di Varsavia il 23 agosto 1972 raggiunge la vetta più alta in Afghanistan, il Noshaq (mt 7492) mentre una settimana prima, il 14 e 15 agosto, nella stessa regione era salita sulle cime senza nome W 82 (ca. 5950 mt) e W 81 (ca. 5980 mt).
Ai successi alpinistici di quell'anno si contrappone il dolore straziante per la perdita del padre brutalmente ucciso durante una rapina, e la montagna diventa la sua via di fuga. L'anno successivo sale con Danuta Wach e Stefania Egierszdorff, in seconda ripetizione assoluta dopo i fratelli Messner, il pilastro nord dell'Eiger. Il 1975 è l'anno di uno delle sue grandi conquiste: guida il primo team femminile sul Gasherbrum III (7952 m), prologo per le future ascensioni sulle cime himalayane, e in quella stessa spedizione Halina Kruger e Anna Okopinska raggiungono anche il Gasherbrum II senza l'uso dell'ossigeno. Nel 1978 sale in invernale la parete nord del Cervino con Anna Czerwinska, Krysztyna Palmowska e la giovane Irena Kesa che ebbe una crisi di ipotermia. Wanda cercò di ottenere aiuto via radio ma senza successo. Poi alle otto di sera, nonostante le pessime condizioni atmosferiche, arrivò un elicottero che portò le alpiniste a valle. Solo la Palmowska mise piede sulla vetta. Poi i16 ottobre 1978, nello stesso anno in cui Reinhold Messner e Peter Habeler conquistano la vetta senza ossigeno, Wanda è la prima scalatrice europea (e la terza in assoluto) a raggiungere gli 8848 metri dell'Everest! "Le mie ginocchia tremavano ma ora non potevo rinunciare. Improvvisamente non riuscivo a respirare e ho strappato la maschera di ossigeno dal viso... Alle ore 14 mi trovavo sul punto più alto della terra, ero così felice, mi sono guardata in giro, volevo vedere la curvatura del globo...".  E' un successo che la porta agli onori della cronaca ma soprattutto è una sfida a quell'ambiente alpinistico, aspro e maschilista da cui non si sente accettata come avrebbe voluto e per cui si batte così tanto per rompere il monopolio degli uomini nelle scalate alle alte vette. "Ho conosciuto molti uomini interessanti, ma non ho "creato" la mia vita. Non è facile resistere con me ogni giorno. Qualsiasi tentativo di limitare la mia indipendenza diventa come un'aggressione a cui reagisco con forza"  ha confidato a Barbara Rusowicz ( "Tutto ciò che riguarda Wanda Rutkiewicz" 1992).
I suoi due matrimoni con Rutkiewicz e successivamente con il dottor Helmut Scharfetter furono brevi. Successivamente aveva conosciuto Kurt Lynch, compagno di molte spedizioni, e sembrava il partner giusto per Wanda ma il 24 luglio 1990 precipitò per 400 metri sotto il Broad Peak. "Per la prima volta nella mia vita ho odiato la montagna"Molti furono gli infortuni che caratterizzarono le vicende alpinistiche di Wanda come quello del 17 marzo 1981 sul Monte Elbrus nel Caucaso: colpita dalla caduta di un altro alpinista sul ghiacciaio sotto Pastuchow Rocks aveva subito la frattura esposta del femore e si era recata in Austria per farsi curare. Qui ritrova il dottor Schafetter, spesso in cordata con lei anni prima, che poi finirà per sposare. Dopo un ulteriore intervento chirurgico, a metà gennaio '82 giunge in Italia dove viene ricevuta insieme a Messner dal presidente Sandro Pertini, ma ritornata in Austria per controlli si rompe nuovamente la gamba stavolta sui gradini della clinica. Altri si sarebbero arresi a questa serie di incidenti ma non Wanda. Aveva già dovuto rinunciare alla spedizione del K2 nel luglio 1981 organizzata dall'alpinista francese Yannick Seigneur ma mai a quella dell'estate 1982. Nonostante i numerosi contrattempi e il suo improvviso matrimonio, la spedizione tutta al femminile riesce a partire solo con un breve ritardo e l'immagine di Wanda che attraversa il ghiacciaio del Baltoro con le stampelle fa il giro del mondo. La spedizione fu però un insuccesso e funestata anche dalla morte della sua vecchia compagna di salite Halina Kruger-Syrokomska. Nel 1985 sconfigge la parete sud dell'Aconcagua e il Nanga Parbat e il 23 giugno 1986, al terzo tentativo, diventa la prima donna a toccare la cima del K2, appena prima dei coniugi francesi Liliane e Maurice Barrard e di Michel Parmantier, anche se poi vaga nella tormenta per più di 48 ore.
"Mi trovavo in cima intorno alle 10.15. Avevo preparato un gagliardetto bianco e rosso, della carta e qualcosa con cui scrivere. Ho scritto il mio nome, da dove vengo e la data. Ero la prima donna in vetta al K2". La montagna in quell'anno famigerato conterà tante vittime illustri tra cui la scomparsa anche dei Barrard. Negli anni successivi la Rutkiewicz aggiunge alla sua lista altri Ottomila, Shisha Pangma (1987) con l'amica Ewa Pankiewicz poi nel luglio 1989 sale con una spedizione femminile inglese sul Gasherbrum II . Dopo quest'ultimo successo progetta la cosiddetta "Carovana dei sogni" ovvero la conquista dei restanti Ottomila in un tempo spaventosamente breve (12-16 mesi), idea ufficializzata nell'ottobre 1990 ma destinata al fallimento perchè non teneva conto dei molteplici aspetti che una spedizione comporta quali l'acclamatimento, il tempo atmosferico e la stessa resistenza fisica che richiede un periodo di almeno sei settimane per ambientarsi al successivo ingresso in un Ottomila. Comunque nel 1991 vengono conquistati il Cho Oyu e l'Annapurna, il suo ottavo e ultimo ottomila, denso di veleni in seno al team. A metà strada una caduta di sassi aveva ferito Wanda e Krzysztof Wielicki, capo della spedizione, ne aveva ordinato la discesa. Ma Wanda rifiuta, sale da sola anche se molto lentamente a causa del dolore e raggiunge la vetta. Ma era tardi per ritornare al campo e dovette passare la notte sotto la cima, raggiungendo la base solo il giorno successivo. Si scatenarono le polemiche e fu nominata una commissione d'inchiesta sul raggiungimento o meno della vetta. Le foto presentate dimostrarono la veridicità dell'alpinista polacca, il caso fu archiviato ma per Wanda fu fonte di grande amarezza. Questa situazione aumentò la sua determinazione a vincere il successivo Ottomila, il Kangchenjunga, ma in vetta Wanda non ci arrivò mai. Il primo tentativo a metà di aprile non era riuscito a causa di una tempesta di neve. Erano pronti per il secondo attacco al vertice dal nord del Kangchenjunga il mattino presto (erano le 4.30) dal Campo IV che si trovava ad una altitudine di 7950 metri. Nel campo non c'erano più viveri quindi non si poteva aspettare. Il tempo era buono ma la neve era scivolosa e Wanda, non in perfetta forma, andava più lentamente del giovane alpinista messicano Carlos Carsolio che la precedeva. Rapidamente perde contatto con lui. Intanto alle 17 Carlos tocca la vetta e sulla via del ritorno trova Wanda a 8300 metri decisa a bivaccare, pur non avendo con sè nè gas nè cibo, lui la esorta a rinunciare ma Wanda anche se faceva molto freddo e c'era un forte vento non voleva scendere a Campo IV, avrebbe perso l'ultima opportunità di giungere in vetta quindi voleva tentare al mattino. Il giorno successivo il tempo ha iniziato a deteriorarsi. 
Carlos attende Wanda mezza giornata al quarto campo, poi altri due giorni nel secondo. Lascia per lei tenda, sacco a pelo, gas, cibo e radio. Quando arriva alla base, il tempo era peggiorato e il Kangchenjunga scomparso tra nuvole di neve. Wanda non ha mai fatto ritorno. Non si può escludere che la grande alpinista fosse riuscita, prima donna in assoluto, a vincere il Kangchenjunga ma questo non lo sapremo mai. Non hanno mai trovato il corpo di Wanda anche se nella primavera 1995 la spedizione guidata da Simone Moro trova ad un'altitudine di 7600 metri sul ghiacciaio Yalung il cadavere di un alpinista con una tuta rosa. Gli italiani hanno fatto fotografie dettagliate e sepolto il corpo nel ghiaccio. La stampa ipotizzò che si trattasse di Wanda Rutkiewicz ma l'alpinista polacca indossava una tuta dai colori giallo e acciaio. Inoltre, se vi fosse stata una caduta dalla cresta, il suo corpo avrebbe dovuto essere sul lato nord e non a sud, poi il ritrovamento di alcune compresse nella tasca fanno pensare che si trattasse piuttosto dell'alpinista bulgaro, Jordanki Dymitrowej. Il record degli Ottomila scalati da una donna fu detronizzato solo il 14 maggio 2006, quando Gerlinde Kaltenbrunner proprio con questa cima superò il suo record femminile. Nel 1999 Gertrude Reinisch, sua amica e compagna di spedizione, ha scritto una celebre biografia della grande alpinista "La signora degli Ottomila" (Vivalda Editori, 1999), il ritratto di una donna durissima come la roccia ma anche colma di sogni, speranze e fragilità nascoste.

lunedì 3 ottobre 2016

Due marmotte a Castel Tirol (domenica 2 ottobre)

Tra chiaroscuri decisamente autunnali la prima domenica di ottobre stempera i toni di questa incantevole landa altoatesina. Sì perchè oggi siamo a Tirolo, un caratteristico borgo a una manciata di chilometri da Merano, usi e costumi del vicino Tirol austiaco, nel cuore verde del parco naturale del Gruppo di Tessa. Situato ad una altitudine di 596 metri, Tirolo (Dorf Tirol in tedesco per distinguerlo dalla regione) si snoda fra brevi viuzze e caratteristiche abitazioni e tutte sembrano convogliarsi verso la panoramica che si getta sulla val Passiria. Poi alzi lo sguardo e sopra un colle maestoso emerge imponente Castel Tirolo. La visione è spettacolare e il cielo quasi plumbeo avvolge di arcana magia il fantastico maniero. Edificato a partire dall'anno 1138 dai conti di Tirolo, il castello ben presto diventa il più importante di tutta la regione a monito della potenza della casata che lo abitava. La salita, prima dolce e rilassante, s'impenna decisamente negli ultimi duecento metri proprio quando il cielo apre i rubinetti. Al volo riusciamo a varcare l'entrata. A nord del castello si erge il possente mastio difensivo affiancato da ciò che rimane dell'edificio residenziale, frutto di un ottimo lavoro di restauro. 
Seguendo il percorso fra tracce secolari (pezzi di stoffe, antichi vasellami, copie miniate, armature) raggiungiamo un trono teatrale, posto accanto ad uno stretto incavo adibito a "guardaroba medievale" e divertite proviamo a trasformarci in re, regine, paggi o cavalieri entrando a pieno titolo nella sua storia. E la storia di Castel Tirol ci riporta al marzo 1347 durante la guerra mossa da Carlo di Lussemburgo, re di Boema, guerra che mise in seria difficoltà la resistenza del bastione difeso con incredibile valore dall'arciduchessa Margherita di Tirolo-Gorizia, reggente del casato ed ex cognata di Carlo avendone sposato il fratello Giovanni Enrico di Lussemburgo poi ripudiato (cosa inusuale per l'epoca). Le vicende storiche porteranno poi Margherita a lasciare il trono a Rodolfo IV d'Asburgo e dal 1363 la storia del Tirolo si legherà per più di cinquecento anni con quella della casata asburgica. Nel frattempo è scoppiato un bel temporale e mentre Giove Pluvio si diverte con fulmini, saette e cascate d'acqua, noi attraversiamo il bel camminamento di ronda che volge lo sguardo verso Tirolo e la sua valle, per rientrare poi nel bastione e raggiungere la cappella superiore dominata da un grande Cristo in croce con a lato la Madonna e San Giovanni ascrivibile al 1330 circa.
Una serie di scaloni conduce nelle diverse ali del castello sino alla grande Sala dei Cavalieri attraverso importanti portali, caratterizzati da figure zooformi, veri capolavori di arte romanica. Nel frattempo la pioggia ha lasciato il passo ad un tiepido sole e sull'orizzonte uno splendido arcobaleno cinge nell'immaginifico abbraccio i vigneti della vallata. L'intero nucleo castellano è un susseguirsi di memorie storiche, i muri trasudano lontane vicende, nella corte interna brevi chiacchiericci e il leggero stormire delle fronde. Fuori dalle possenti mura svettano le cime dolomitiche. La funivia che parte dal centro del paese raggiunge in pochi minuti i 1400 metri della stazione a monte di Hochmuth. Da qui dipartono una serie di sentieri che raggiungono Cima Muta (mt 2294), la Val Venosta e i bellissimi laghi di Sopranes, nell'omonima valle. Ma questa è un'altra storia...

www.schlosstirol.it

venerdì 16 settembre 2016

Grandi Donne: DOROTHY PILLEY, Climbing Days

Avvicinarsi alle alte quote per una donna era considerata cosa impossibile e le prime alpiniste dell'Otto-Novecento si battevano affinchè le donne potessero scalare indipendentemente dagli uomini erodendo così una rigidissima etichetta vittoriana. Chi meglio di Dorothy Pilley riesce ad incarnare lo spirito libero di donna e di alpinista insofferente alle restrizioni dell'epoca? Dorothy scopre la montagna durante una vacanza con zia e cugina nel nord del Galles nel giorno del suo ventesimo compleanno. Nei suoi diari scrive "Non avevo mai visto prima qualcosa di così bello, ero sconvolta dai sentimenti che provavo". La pubblicazione nel 1935 di Climbind Days, il suo libro di memorie relativo al periodo 1916-1928 mette nella giusta luce i suoi successi alpinistici a cavallo delle due guerre.  Dorothy Pilley nasce a Camberwell, Londra il 16 settembre 1894 ed è la maggiore di quattro figli nati da John James Pilley, un ricco industriale chimico, e di sua moglie Annie Maria Young. I genitori Pilley esemplificavano molti dei valori appartenenti all'Inghilterra vittoriana del diciannovesimo secolo. Già nel 1869 la femminista e suffragetta Sarah Emily Davies metteva in discussione la demarcazione sociale e culturale dei ruoli degli uomini e delle donne nella società britannica in cui la casa era di fatto il luogo principe in cui questi si legittimavano. E a questo futuro preordinato Dorothy si opporrà. Dal 1910 al 1912 frequenta Queenwood, una scuola privata per ragazze a Eastbourne. Terminati gli studi a malincuore parte per la Germania dove vi rimane per nove mesi allo scopo di "rifinire" la sua formazione. Nei suoi diari si legge la rabbia ma anche la sua impotenza nel non poter sfidare la volontà paterna inveendo contro una società che limita le ambizioni delle donne e sentendosi crescere dentro il desiderio di indipendenza. Nel giugno 1913 Dorothy ritorna in Inghilterra. Poco prima dei suoi diciannove anni, Dorothy si iscrive alla London Istitute dove vengono addestrate le giovani donne della classe media nella gestione domestica.
La giovane Pilley vede il suo futuro con crescente incertezza. Alla disperata ricerca di un po' di indipendenza economica dal padre e consapevole della catastrofe che si stava abbattendo sull'Europa, nell'ottobre 1914 mette a punto un piano per dare una svolta alla sua attività professionale dedicandosi per un paio d'anni alla Wives of Soldiers' and Sailors' Relief Association, un'organizzazione benefica d'aiuto alle mogli dei soldati e dei marinai in guerra. Nell'aprile 1915 Pilley intraprende una vacanza di passeggiate e arrampicate nel Galles settentrionale con Winifred Ellerman, che lei descrive come un "camminatore instancabile e fantasioso". Durante questa vacanza compie la prima vera salita con Ellermann e l'alpinista Herbert Carr sul Tryfan, una delle sue montagne preferite. La montagna è la sua vita e sfidando le convenzioni sociali ogni venerdì sera parte da Londra con il treno per andare a scalare con gli amici in Snowdonia, nel nord del Galles, durante i fine settimana. Nel 1916 Pilley accetta un lavoro come segretaria al British Women's Patriotic League. Presieduto da Lady Florence Campbell, la League aveva ottenuto il sostegno delle tante donne che la guerra aveva utilizzato come nuova forza lavoro e questa sorta di "emancipazione" lavorativa le aveva portate a sentirsi membri attivi della società collettiva, un ruolo a cui, a termine del conflitto mondiale, non volevano più rinunciare. Per Dorothy Pilley queste aspirazioni sarebbero state realizzate attraverso l'alpinismo e il giornalismo. Ma il 1916 è anche l'anno della sua conoscenza con Ivor Armstrong Richards, il futuro marito, uno dei più importanti scrittori e critici letterari del suo tempo. Tra il 1917 e il 1918 con Herbert Carr, Ivor Richards (e il suo spaniel Sancio Panza) e altri alpinisti esplora le principali montagne del Nord Galles mentre nel 1920 ecco la sua prima stagione alpina: attraversa la Charmoz-Grepon (durante una tempesta di neve!), le Aiguille e il Petit Charmoz nell'Alta Savoia. 
Il padre sembra essere diventato con suo grande stupore più conciliante. Nel frattempo collabora con diverse testate periodiche quali The Englishwoman, the Pall Mall Magazine and the Lady's Pictorial sotto uno pseudonimo, che lei non rivelerà mai, e dal 1920 inizia a scrivere per il Daily Express. Convintissima che bisognasse "incoraggiare l'arrampicata tra le donne"  nel 1921 dà vita al Pinnacle Club, costituito olte che da Dorothy, presidente del club nel 1930 e per vent'anni editore del Pinnacle Club Journal, dalla scalatrice Pat Kelly, morta tragicamente sul Tryfan nel 1922 e da Eleanor "Len" Winthrop Young primo presidente del club. La grande alpinista inglese, anche lei affiliata del prestigioso club, Gwen Moffat, prima guida alpina britannica nonchè scrittrice di successo, nella sua premessa a Storia del Pinnacle Club sottolineava come le fondatrici fossero inconsapevoli della importante rivoluzione culturale e sociale della loro creazione. Quello che era iniziato come un'associazione con ambizioni modeste aveva sviluppato una tale forza di cambiamento nell'alpinismo femminile.  Nel 1922 Ivor Richards le chiede di sposarlo ma lei rifiuta temendo di perdere la sua indipendenza, accetterà qualche anno più tardi. La sua seconda stagione alpina la porta in Svizzera nella Valle di Saas. poi è la volta del Zmutt Ridge del Cervino, si arrampica intorno ad Arolla nella Val d'Herens con Ivor Richards e poi l'incontro importante con la guida Joseph Georges Le Skieur. E' una collaborazione felice che la porterà, fra le sue tante ascensioni, alla seconda salita della cresta nord-est della Jungfrau (1923), sulla cima nord della Grivola (1924) e soprattutto la prima in assoluto della cresta nord del Dent Blanche (1928).
Questo è il punto più alto della sua carriera alpinistica. Due anni prima Dorothy Pilley era diventata Dorothea Richards. Lei era in Canada, Richards negli Stati Uniti, si erano incontrati di nuovo e sposati a Honolulu. Successivamente a causa degli appuntamenti professionali di Ivor a Pechino negli anni Trenta e di Harvard dal 1939, la coppia trascorre la maggior parte del tempo al di fuori dell'Europa. Ovunque andassero trovavano qualcosa da scalare, la Grande Muraglia della Cina, i picchi di Yunnan, le Alpi giapponesi, la Diamond Mountain in Corea, i Selkirks e Bugaboos delle Montagne Rocciose canadesi. Quando possibile tornavano sulle Alpi in estate. Negli anni di Harvard andavano spesso sulle White Mountains ma nel 1958 di ritorno da uno di questi fine settimana vengono coinvolti in un incidente d'auto dove Dorothy si rompe in modo grave un femore. La zoppia limita fortemente la sua attività in montagna, ma nemmeno questo la ferma. Le teleferiche e le seggiovie fungevano da supporto nelle passeggiate sulle Alpi e vagabondavano da rifugio a rifugio in Austria. Un asino rese possibile una vacanza in Perù, un elicottero portò i Richards al rifugio alpino Cabane Rossier nel 1966 per il centenario della salita del Dent Blanche mentre con una motoslitta nel 1968 Dorothy sale sul Mount Hood in Oregon, la sua ultima grande montagna. Nel 1974 i Richards tornano in Inghilterra e si ritrovano coinvolti nei progetti dell'Alpine Club. Dopo la fusione con il Ladies Alpine Club, nel 1975 Dorothy diventa la prima donna vicepresidente, un evento celebrato in un suo articolo "Guardando indietro". Dopo la morte di Ivor nel 1979, devolve 4000 sterline in sua memoria alla biblioteca del club alpino. Amava gli incontri e le cene del club, si informava avidamente delle ultime notizie sull'arrampicata. Anche dopo la scomparsa del marito, ha continuato a vivere nella stessa casa che il Magdalene College di Oxford aveva messo a loro disposizione.
Accoglieva gli amici e usciva per conferenze, concerti, rappresentazioni teatrali, mostre, cene. "Ogni scusa era buona per una splendida festa" ha detto Henry Chadwick al suo funerale. Era inutile discutere con lei: prendeva treni e autobus quando poteva ben permettersi i taxi, lo zaino era il suo bagaglio, le piaceva far tardi la notte, una riluttanza la sua ad abbandonare "le strade zingaresche".  Nel 1986 trascorre il suo ultimo Capodanno al rifugio nella Glen Brittle, la vallata a sud dell'isola di Skye in Scozia, mettendosi a sedere con un gruppo di alpinisti scozzesi fino alle 3 di notte, bevendo whisky e parlando di montagne. Nel mese di giugno di quell'anno si unisce alle celebrazioni del centenario della salita di Walter Parry Haskett Smith sul Napes Needle, un pinnacolo impervio della Great Gable. Uno scalatore ricorda la sua presenza davanti al Wastwater Hotel, in un abito verde di seta cinese, capelli neri come ali di corvo, giovanile nonostante i suoi anni. Non c'era nessuno come lei. Scomparve il 24 settembre 1986. Il suo epitaffio, scritto anni prima dal marito Ivor, diceva "Saltando crepacci nel buio, ecco come vivere!"