domenica 16 ottobre 2016

Grandi Donne: WANDA RUTKIEWICZ, la signora degli Ottomila

"Quando sopra di noi c'è solo il cielo tutto è più difficile. Non ci sono mezze verità. Tutto è bianco o nero, freddo o caldo. In entrambi i casi si vive o si muore". Lei era così, della montagna non poteva fare a meno, personaggio chiave della storia dell'alpinismo femminile ma soprattutto donna coraggiosa e caparbia nel battersi per un confronto paritario fra uomo e donna.
Wanda (nata Blaszkiewicz) nasce il 4 febbraio 1943 a Płungianach (ora Lituania). Dopo la guerra, la famiglia si trasferisce a Breslavia dove si laurea in ingegneria elettronica. Forte fisicamente si dedica con buoni risultati prima all'atletica, poi diventa giocatrice di pallavolo e viene anche selezionata per le Olimpiadi di Tokyo ma ben presto scopre la montagna. "E' come un'esplosione interiore. Le montagne erano per me luoghi di pace e di libertà e in montagna mi sentivo felice". Inizia ad arrampicare sulle rocce di casa, gli Alti Tatra, poi insieme al famoso alpinista polacco Bogdan Jankowski sui Sudeti, catena montuosa al confine con la Germania. Tra il '64 e il '65 si reca nella Zillertal, la maggiore delle vallate dell'Inn nel Tirolo austriaco con il futuro marito, il dottor Helmut Scharfetter, vincendo la parete nord-ovest dell'Olperer. Poi è la volta delle Dolomiti mentre nel '67 sale il massiccio del Monte Bianco insieme ad un'altra scalatrice polacca, Halina Kruger-Syrokomska, e con lei l'anno successivo sconfigge la famosa parete nord del Trollryggen, in Norvegia, la più alta parete verticale d'EuropaWanda comincia presto a pensare alle alte montagne. Il primo incontro ha luogo nel 1970 sul Pamir, parte della spedizione polacca sotto la direzione di Andrzej Zawada con cui raggiunge il Lenin Peak (7134 metri). Nella primavera di quello stesso anno sposa il matematico Wojtech Rutkiewicz, il figlio dell'allora Vice Ministro della Salute John Rutkiewicz ma il matrimonio sarà di breve durata, la passione di Wanda per la montagna mal si adattava all'immagine convenzionale di una moglie. Con il Mountaineering Club di Varsavia il 23 agosto 1972 raggiunge la vetta più alta in Afghanistan, il Noshaq (mt 7492) mentre una settimana prima, il 14 e 15 agosto, nella stessa regione era salita sulle cime senza nome W 82 (ca. 5950 mt) e W 81 (ca. 5980 mt).
Ai successi alpinistici di quell'anno si contrappone il dolore straziante per la perdita del padre brutalmente ucciso durante una rapina, e la montagna diventa la sua via di fuga. L'anno successivo sale con Danuta Wach e Stefania Egierszdorff, in seconda ripetizione assoluta dopo i fratelli Messner, il pilastro nord dell'Eiger. Il 1975 è l'anno di uno delle sue grandi conquiste: guida il primo team femminile sul Gasherbrum III (7952 m), prologo per le future ascensioni sulle cime himalayane, e in quella stessa spedizione Halina Kruger e Anna Okopinska raggiungono anche il Gasherbrum II senza l'uso dell'ossigeno. Nel 1978 sale in invernale la parete nord del Cervino con Anna Czerwinska, Krysztyna Palmowska e la giovane Irena Kesa che ebbe una crisi di ipotermia. Wanda cercò di ottenere aiuto via radio ma senza successo. Poi alle otto di sera, nonostante le pessime condizioni atmosferiche, arrivò un elicottero che portò le alpiniste a valle. Solo la Palmowska mise piede sulla vetta. Poi i16 ottobre 1978, nello stesso anno in cui Reinhold Messner e Peter Habeler conquistano la vetta senza ossigeno, Wanda è la prima scalatrice europea (e la terza in assoluto) a raggiungere gli 8848 metri dell'Everest! "Le mie ginocchia tremavano ma ora non potevo rinunciare. Improvvisamente non riuscivo a respirare e ho strappato la maschera di ossigeno dal viso... Alle ore 14 mi trovavo sul punto più alto della terra, ero così felice, mi sono guardata in giro, volevo vedere la curvatura del globo...".  E' un successo che la porta agli onori della cronaca ma soprattutto è una sfida a quell'ambiente alpinistico, aspro e maschilista da cui non si sente accettata come avrebbe voluto e per cui si batte così tanto per rompere il monopolio degli uomini nelle scalate alle alte vette. "Ho conosciuto molti uomini interessanti, ma non ho "creato" la mia vita. Non è facile resistere con me ogni giorno. Qualsiasi tentativo di limitare la mia indipendenza diventa come un'aggressione a cui reagisco con forza"  ha confidato a Barbara Rusowicz ( "Tutto ciò che riguarda Wanda Rutkiewicz" 1992).
I suoi due matrimoni con Rutkiewicz e successivamente con il dottor Helmut Scharfetter furono brevi. Successivamente aveva conosciuto Kurt Lynch, compagno di molte spedizioni, e sembrava il partner giusto per Wanda ma il 24 luglio 1990 precipitò per 400 metri sotto il Broad Peak. "Per la prima volta nella mia vita ho odiato la montagna"Molti furono gli infortuni che caratterizzarono le vicende alpinistiche di Wanda come quello del 17 marzo 1981 sul Monte Elbrus nel Caucaso: colpita dalla caduta di un altro alpinista sul ghiacciaio sotto Pastuchow Rocks aveva subito la frattura esposta del femore e si era recata in Austria per farsi curare. Qui ritrova il dottor Schafetter, spesso in cordata con lei anni prima, che poi finirà per sposare. Dopo un ulteriore intervento chirurgico, a metà gennaio '82 giunge in Italia dove viene ricevuta insieme a Messner dal presidente Sandro Pertini, ma ritornata in Austria per controlli si rompe nuovamente la gamba stavolta sui gradini della clinica. Altri si sarebbero arresi a questa serie di incidenti ma non Wanda. Aveva già dovuto rinunciare alla spedizione del K2 nel luglio 1981 organizzata dall'alpinista francese Yannick Seigneur ma mai a quella dell'estate 1982. Nonostante i numerosi contrattempi e il suo improvviso matrimonio, la spedizione tutta al femminile riesce a partire solo con un breve ritardo e l'immagine di Wanda che attraversa il ghiacciaio del Baltoro con le stampelle fa il giro del mondo. La spedizione fu però un insuccesso e funestata anche dalla morte della sua vecchia compagna di salite Halina Kruger-Syrokomska. Nel 1985 sconfigge la parete sud dell'Aconcagua e il Nanga Parbat e il 23 giugno 1986, al terzo tentativo, diventa la prima donna a toccare la cima del K2, appena prima dei coniugi francesi Liliane e Maurice Barrard e di Michel Parmantier, anche se poi vaga nella tormenta per più di 48 ore.
"Mi trovavo in cima intorno alle 10.15. Avevo preparato un gagliardetto bianco e rosso, della carta e qualcosa con cui scrivere. Ho scritto il mio nome, da dove vengo e la data. Ero la prima donna in vetta al K2". La montagna in quell'anno famigerato conterà tante vittime illustri tra cui la scomparsa anche dei Barrard. Negli anni successivi la Rutkiewicz aggiunge alla sua lista altri Ottomila, Shisha Pangma (1987) con l'amica Ewa Pankiewicz poi nel luglio 1989 sale con una spedizione femminile inglese sul Gasherbrum II . Dopo quest'ultimo successo progetta la cosiddetta "Carovana dei sogni" ovvero la conquista dei restanti Ottomila in un tempo spaventosamente breve (12-16 mesi), idea ufficializzata nell'ottobre 1990 ma destinata al fallimento perchè non teneva conto dei molteplici aspetti che una spedizione comporta quali l'acclamatimento, il tempo atmosferico e la stessa resistenza fisica che richiede un periodo di almeno sei settimane per ambientarsi al successivo ingresso in un Ottomila. Comunque nel 1991 vengono conquistati il Cho Oyu e l'Annapurna, il suo ottavo e ultimo ottomila, denso di veleni in seno al team. A metà strada una caduta di sassi aveva ferito Wanda e Krzysztof Wielicki, capo della spedizione, ne aveva ordinato la discesa. Ma Wanda rifiuta, sale da sola anche se molto lentamente a causa del dolore e raggiunge la vetta. Ma era tardi per ritornare al campo e dovette passare la notte sotto la cima, raggiungendo la base solo il giorno successivo. Si scatenarono le polemiche e fu nominata una commissione d'inchiesta sul raggiungimento o meno della vetta. Le foto presentate dimostrarono la veridicità dell'alpinista polacca, il caso fu archiviato ma per Wanda fu fonte di grande amarezza. Questa situazione aumentò la sua determinazione a vincere il successivo Ottomila, il Kangchenjunga, ma in vetta Wanda non ci arrivò mai. Il primo tentativo a metà di aprile non era riuscito a causa di una tempesta di neve. Erano pronti per il secondo attacco al vertice dal nord del Kangchenjunga il mattino presto (erano le 4.30) dal Campo IV che si trovava ad una altitudine di 7950 metri. Nel campo non c'erano più viveri quindi non si poteva aspettare. Il tempo era buono ma la neve era scivolosa e Wanda, non in perfetta forma, andava più lentamente del giovane alpinista messicano Carlos Carsolio che la precedeva. Rapidamente perde contatto con lui. Intanto alle 17 Carlos tocca la vetta e sulla via del ritorno trova Wanda a 8300 metri decisa a bivaccare, pur non avendo con sè nè gas nè cibo, lui la esorta a rinunciare ma Wanda anche se faceva molto freddo e c'era un forte vento non voleva scendere a Campo IV, avrebbe perso l'ultima opportunità di giungere in vetta quindi voleva tentare al mattino. Il giorno successivo il tempo ha iniziato a deteriorarsi. 
Carlos attende Wanda mezza giornata al quarto campo, poi altri due giorni nel secondo. Lascia per lei tenda, sacco a pelo, gas, cibo e radio. Quando arriva alla base, il tempo era peggiorato e il Kangchenjunga scomparso tra nuvole di neve. Wanda non ha mai fatto ritorno. Non si può escludere che la grande alpinista fosse riuscita, prima donna in assoluto, a vincere il Kangchenjunga ma questo non lo sapremo mai. Non hanno mai trovato il corpo di Wanda anche se nella primavera 1995 la spedizione guidata da Simone Moro trova ad un'altitudine di 7600 metri sul ghiacciaio Yalung il cadavere di un alpinista con una tuta rosa. Gli italiani hanno fatto fotografie dettagliate e sepolto il corpo nel ghiaccio. La stampa ipotizzò che si trattasse di Wanda Rutkiewicz ma l'alpinista polacca indossava una tuta dai colori giallo e acciaio. Inoltre, se vi fosse stata una caduta dalla cresta, il suo corpo avrebbe dovuto essere sul lato nord e non a sud, poi il ritrovamento di alcune compresse nella tasca fanno pensare che si trattasse piuttosto dell'alpinista bulgaro, Jordanki Dymitrowej. Il record degli Ottomila scalati da una donna fu detronizzato solo il 14 maggio 2006, quando Gerlinde Kaltenbrunner proprio con questa cima superò il suo record femminile. Nel 1999 Gertrude Reinisch, sua amica e compagna di spedizione, ha scritto una celebre biografia della grande alpinista "La signora degli Ottomila" (Vivalda Editori, 1999), il ritratto di una donna durissima come la roccia ma anche colma di sogni, speranze e fragilità nascoste.

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