martedì 28 novembre 2023

Il Castello di Torrechiara, tra storia e leggenda - domenica 26 novembre

Una perla di raro valore artistico e un’apparizione di incredibile suggestione per chi arriva a Langhirano risalendo l’antica “valle del Prosciutto di Parma”, tra i dolci colli ricamati a vigneti di Malvasia e Sauvignon (D.O.C.). Perfetta coniugazione di elementi medievali e rinascimentali il castello è stato costruito dal nobile Pier Maria Rossi tra il 1448 e il 1460 per l’amante Bianca Pellegrini d’Arluno, su un’altura che domina la vallata del torrente Parma: questa posizione, ora suggestivamente panoramica, era un tempo strategica per garantire il controllo sul territorio.
Pier Maria Rossi, conte di Berceto, marchese di San Secondo, è certamente uno dei personaggi più interessanti del Quattrocento, spesso paragonato a Lorenzo il Magnifico. Alle doti del valente condottiero militare unisce quelle di fine umanista e colto intellettuale, ama la musica e la poesia, conosce le scienze astrologiche, matematiche ed architettoniche. E' lui stesso il probabile artefice del complesso progetto del maniero di Torrechiara e pare che i bastioni e le cortine murarie del castello rivelino relazioni proporzionali rapportabili alle consonanze musicali, ispirate alla geometria pitagorico-platonica che influenzò l’arte del Rinascimento.
Nelle lunga frequentazione della corte milanese il Rossi raccoglie importanti successi militari come capitano al servizio prima dei Visconti e poi degli Sforza, ma non sfugge al dardo fatale di Cupido! Conosce qui infatti e si innamora della nobile Bianca Pellegrini, che abbandonerà il marito e la sua terra per seguirlo. Lui costruisce per lei l’alcova “Altiera ed felice” di Torrechiara, una rocca possente protetta da tre cinte murarie e quattro torri angolari, ma dal cuore "gentile", un'armoniosa fusione dei caratteri funzionali della fortezza con l'eleganza e le ricercatezze proprie di una residenza nobiliare: i beccatelli sottili e lunghissimi che ornano le torri angolari, snelle e leggere sulla base maschia della fortezza, dissimulano la loro utilità difensiva e si fanno ammirare per la loro astratta bellezza. L’interno offre al visitatore un tripudio di sale affrescate tra le quali la splendida Camera d’Oro considerata una delle più alte espressioni pittoriche del gotico internazionale in Italia. La stanza celebra il trionfo dell’amore di Pier Maria e Bianca, ma anche il prestigio della famiglia Rossi nel parmense, attraverso il viaggio immaginario di Bianca, “pellegrina” per amore, tra i vasti possedimenti e le terre del feudo. Questo mirabile capolavoro attribuito a Benedetto Bembo, documento iconografico prezioso per la precisa e minuziosa descrizione “al vero” dei castelli e del territorio, avvolge e coinvolge il visitatore in un susseguirsi dinamico quasi ‘cinematografico’ di scene, dove la protagonista avanza con soave leggiadria tra le balze appenniniche, sotto un sole che trapunta di fiammeggianti raggi dorati il cielo patinato di cobalto.
L’oro che ancora si coglie nel bagliore degli astri, nel fogliame e nei broccati degli abiti, rivestiva un tempo interamente le formelle di terracotta che ricamano la parte inferiore delle pareti, inondando di luce i visitatori della camera, che da questo ha tratto il suo nome. Il ricordo di quella magia è adesso solo evocato nelle sobrie e “nude” formelle rosse, dove spiccano i cuori dei due amanti avvinghiati in un abbraccio “digne et in eternum”. Di altissima qualità anche gli affreschi “a grottesche” degli altri ambienti di rappresentanza del maniero, realizzati da Cesare Baglione e collaboratori, Giovanni Antonio Paganino e Innocenzo Martini: il salone degli stemmi, la sala di Giove, del Pergolato, degli Angeli, dei Paesaggi, della Vittoria, del Velario, la sala di caccia e pesca e il magnifico salone degli Acrobati. Il complesso architettonico, che alterna queste preziose sale agli ambienti di servizio quali le cucine e le scuderie, è distribuito su due piani attorno al prestigioso Cortile d’Onore, oggi teatro di importanti spettacoli ed eventi estivi. Affacciata sul cortile anche la cappella di corte, detta di San Nicomede, che un tempo accoglieva l’importante polittico raffigurante la Madonna in trono con il Bambino e i Santi Antonio Abbate, Nicomede e Pietro martire del 1462, di Benedetto Bembo (oggi conservato al Museo del Castello Sforzesco di Milano). La struttura castellana è dotata di un ampio ed interessante sistema sotterraneo di segrete, aperte alle visite in alcune straordinarie occasioni. Gli ultimi restauri hanno inoltre reso nuovamente fruibili gli originari e panoramici camminamenti di ronda. Da non perdere, all’interno delle imponenti mura fortificate che circondano il castello, una passeggiata tra le case del delizioso borgo medievale, che conserva intatto l’impianto costruttivo originale dell’antico abitato annesso al castello.
Torrechiara compare nei primi documenti del XI secolo col nome di ‘Torclara’, che deriverebbe da Torcularia per la significativa presenza di ulivi nel territori fin dai tempi antichi e pertanto di torchi per la produzione di olio. La presenza di un edificio con finalità difensiva di proprietà degli Scorza in questa località è segnalata in un’ordinanza del 1259 del Podestà di Parma che ne stabilisce la demolizione. Il documento lo definisce “domum”, con ogni probabilità una semplice ‘casa forte’ per il presidio del territorio. Sulle rovine di quest’architettura (le cui vestigia sono oggi ancora visibili in una piccola breccia di una sala interna, detta del Pergolato) il conte Pier Maria Rossi dal 1448 al 1460 fa costruire il Castello di Torrechiara, con le caratteristiche e nelle sostanziali forme attuali. Il Magnifico, per anni fedele uomo d’arme alla corte Sforzesca di Milano, ottenuta l’investitura feudale del castello da parte di Galeazzo Maria Sforza nel 1480, paga la propria ribellione al successivo colpo di stato di Ludovico Sforza detto il Moro subendo reiterati attacchi armati da parte delle truppe lombarde che condurranno alla dispersione di tutti i possedimenti dei Rossi nel parmense.
Incapace di trattare la resa, stanco e malato Pier Maria si spegne nel 1482 e la resa finale dell’amata rocca di Torrechiara arriverà un anno dopo. Il maniero, che nelle volontà testamentarie del Rossi doveva andare in eredità al figlio naturale Ottaviano, avuto con Bianca Pellegrini, è oggetto di aspre dispute spartitorie e compravendite: dal 1499 si avvicendano diversi proprietari ad iniziare dal maresciallo del re di Francia Pietro di Rohan, che lo vende ai Pallavicino. A metà del ‘500 Luisa Pallavincino lo porta in dote al marito Sforza Sforza, conte di Santa Fiora. Ospiti d’onore della signorile dimora furono Alessandro Farnese e il figlio Ranuccio, che nella romantica Camera d’Oro trascorre la sua luna di miele con la tredicenne consorte Margherita Aldobrandini. In questo periodo vengono realizzati i grandi cicli affrescati cinquecenteschi ad opera del pittore Cersare Baglione e vengono aperte due panoramiche logge in corrispondenza delle due torri rivolte verso il torrente: torre della Camera d’Oro e torre di San Nicomede. In tempi recenti il castello passa agli Sforza-Cesarini e Pietro Cacciaguerra che lo cede nel 1912 allo Stato, dopo averlo spogliato dei preziosi arredi, sopravvissuti alle razzie dei proprietari precedenti.

(fonte: castelliemiliaromagna.it)

lunedì 20 novembre 2023

Le Torbiere del Sebino e il Monastero di San Pietro in Lamosa (Provaglio d'Iseo) - domenica 19 novembre

Visitiamo la Riserva Naturale Torbiere del Sebino in una assolata domenica di novembre,  avvolte da una vera esplosione di colori che caratterizzano l’autunno e i cui riflessi sugli specchi d’acqua quasi sembrano raddoppiarne la meraviglia. L'itinerario di circa cinque chilometri (ma si può anche fare l'anello completo di nove chilometri), 
prevede la partenza dal bellissimo monastero di San Pietro in Lamosa a Provaglio d’Iseo, che visiteremo a fine percorso. Scendendo per la strada sterrata che si trova ai piedi delle mura del monastero si attraversa un ponticello di legno in corrispondenza del ponte della ferrovia e si prosegue verso il Percorso Centrale, il più suggestivo in quanto si snoda direttamente nel cuore della riserva attraverso scenografiche passerelle in legno che collegano le diverse lingue di terra tra le vasche. Attraversati pontili e varie postazioni di birdwatching, al bivio si seguono le indicazioni per il Percorso Nord, superiamo il Centro accoglienza visitatori continuando lungo il percorso dove si snoda il sentiero che lambisce una zona a canneto sulla destra, mentre sulla sinistra si possono notare arbusti da frutto piantumati per favorire la biodiversità. Raggiungiamo brevemente il bivio che porta alla Torretta di avvistamento. Questa piccola deviazione consente, percorrendo un bel sentiero risalente al periodo dell’estrazione della torba, di ammirare buona parte delle vasche e godere del panorama immersi nel silenzio.
Questo sentiero termina alla Torretta, quindi bisogna ritornare sul percorso principale. Riprendendo il Percorso Nord che affianca la strada provinciale s
i costeggiano dapprima alcune vasche dove è consentita la pesca, poi una zona con prati stabili (utili per gli insetti impollinatori grazie alla grande quantità di fiori presenti), un’area boschiva ed infine un’altra zona con camminamenti di legno sospesi sull’acqua, l’ultimo tratto prima di attraversare la ferrovia e ritornare al monastero. 
La Riserva Naturale Torbiere del Sebino è un area naturale ubicata sulla sponda meridionale del lago d'Iseo che costituisce la zona umida più significativa per estensione ed importanza ecologica della provincia di Brescia. Si tratta di una piccola area di 360 ettari composti prevalentemente da canneti e specchi d’acqua circondati da campi, strade e abitazioni, e comprende le Lame (una distesa di canali e vasche di acqua profilati da argini nella parte meridionale del lago d'Iseo, caratterizzata dalla presenza di fitti canneti e vegetazione molto varia risultato dell’escavazione di un giacimento torboso), le Lamette (una sorta di acquitrino che si trova proprio a diretto contatto con il lago d'Iseo tra i paesi di Iseo e Clusane), alcune vasche, risultato degli scavi di depositi argillosi profonde fino a 10-15 metri e dall’aspetto più limpido, in alcune delle quali è tuttora permesso pescare, alcuni prati e coltivi adiacenti. A seguito della comparsa del lago d'Iseo, avvenuta sul finire dell'ultima era geologica, il Quaternario, compresa fra settantamila e diecimila anni fa e del progressivo ritiro delle acque a sud del Sebino rimase una depressione paludosa intermorenica caratterizzata da distese acquitrinose.
Nei successivi millenni l'abbondante vegetazione cresciuta permise la crescita di uno spesso strato di torba il quale andò via via sostituendosi all'acqua trasformando la zona in un'estensione di prati umidi. Verso la fine del Settecento, scoperto che la torba, una volta essiccata, aveva una resa calorica superiore alla legna si incominciò l'estrazione massiccia da utilizzarsi come combustibile. La torba divenne col passare degli anni un materiale prezioso per l'economia della zona dato che era in grado di sostituire quasi completamente l'utilizzo del carbone. Prima dell'avvento del petrolio e dell'energia elettrica veniva infatti utilizzata per molteplici scopi, nelle filande, nelle fornaci, ad uso domestico e in alcuni casi anche per alimentare i treni della linea ferroviaria Brescia-Iseo-Edolo questo fino alla prima guerra mondiale. La riduzione dell'interesse verso questo combustibile e la completa trasformazione di flora e fauna della zona portarono intorno al 1950 all'abbandono delle attività estrattive della torba e negli anni Settanta si istituiscono i primi vincoli di salvaguardia ambientale che oggi ci permette di ammirare un paradiso di inestimabile valore faunistico. Le specie che lo popolano sono diverse decine, dalle residenti alle migratorie che ogni anno fanno della riserva il loro punto di appoggio. Il cigno reale, che con le sue movenze eleganti e gentili fa sempre un bell’effetto e poi gli aironi, i cormorani, il germano reale...Durante la passeggiata non è stato difficile avvistarli. 
Completato il percorso naturalistico andiamo a visitare il Monastero di San Pietro in Lamosa, un gioiello medievale nel cuore della Franciacorta.
Fondato su un rialzo roccioso che domina le Torbiere e legato anche nel nome (Lamosa) alla natura paludosa dei luoghi, il monastero è il più antico delle fondazioni cluniacensi del Sebino. Nel 1083 Ambrogio e Oprando de Tocingo donano ai monaci dell'ordine di Cluny la chiesa romanica del casato
. Il 1535 è un anno cruciale per la storia del monastero visto che vengono poste le basi per il cambio di gestione dell’intero complesso che passa dalla dipendenza dell’abbazia di Cluny alla congregazione dei Canonici regolari di S. Salvatore di Brescia. Verso la fine del Settecento, dopo alterne vicende storiche, 
il cenobio passa di proprietà alla famiglia Bergomi. Il complesso religioso è oggi quasi interamente in possesso della comunità provagliese. Il monastero è costituito dalla navata centrale (ampliata all’incirca a metà del sedicesimo secolo), da quella laterale a nord con quattro cappelle e dall’imponente campanile. A sud della chiesa si trova l’elegante chiostro bianco. La navata maggiore termina con un coro ad abside fiancheggiato da due altari barocchi insediati in due absidiole. In parte, sono stati recuperati nel tempo gli affreschi che ornano la chiesa, alcuni dei quali rivelano le influenze del Gambara, del Foppa e del RomaninoPregevole il ciclo di affreschi dell’Historia salutis (XV-XVI secolo) nell’attiguo oratorio di Santa Maria Maddalena. L’abbazia ci appare come un luogo di quiete capace di effondere una singolare pace interiore. Uscendo dalla chiesetta, solleviamo lo sguardo e rimaniamo sovrastate dalla Balöta del Coren (mt 611), un pinnacolo roccioso sul quale sorge una panoramicissima croce bianca che si staglia nel cielo blu e, poco più in basso, dalla cinquecentesca chiesa della Madonna del Corno che sorge su una parete a strapiombo.

lunedì 13 novembre 2023

Il bellissimo borgo medievale di Soncino (CR) - domenica 12 novembre

E' di scena il bel borgo di Soncino (CR) le cui origini non sono ancora molto chiare. L'arrivo dei celti (V-III secolo a.C.coincide, probabilmente, con la nascita di una zona di confine con gli etruschi, che erano per lo più stanziati sulla sponda bresciana e mantovana del fiume Oglio. Raggiungiamo il
 centro storico, aperto al traffico automobilistico ma che non compromette la possibilità di girare il borgo con una certa tranquillità, attraversando Porta di San Giuseppe, una delle quattro antiche porte, ora ricordate da possenti pilastri bianchi elevati al loro posto, raccordate dalla possente cinta muraria costruita dalla Serenissima nel 1453 e ultimate un secolo dopo da Francesco Sforza. La storica porta si trovava in prossimità di una cappella dedicata a San Giuseppe lungo la strada esterna al borgo, abbattuta nel 1784 per questioni di viabilità. Si arriva brevemente al Portico Rosso il cui nome è legato alla pavimentazione rossa in mattoni in cui si svolgeva il mercato di pollame e ortaggi e di segiuto alla vicina Piazza Garibaldi. Qui affaccia il Palazzo Comunale che si presenta come una aggiunta di diversi corpi di fabbrica di epoche diverse. Il terremoto del 1802 causò gravi danni al Palazzo Vecchio, danneggiando anche una parte del Palazzo dei Consoli e alterando irrimediabilmente il prospetto della piazza, che venne demolito e ricostruito con la facciata visibile tuttora, dotata di torretta del 1506 con installati sopra gli automi, conosciuti come Matéi, legati alla dominazione della Serenissima. Oggi sulla torretta è presente un orologio zodiacale del 1977. Al suo interno il Palazzo ospita la bella Sala della Giunta impreziosita da un arredo ligneo, l'Archivio storico con documenti dal 1311 ai giorni nostri ed una quadreria. E la Torre civica che venne costruita nel 1128 a canna quadrata per poi nel 1575 rialzarla sino alla quota attuale di 41,80 metri. 
Proseguendo per via Tinelli raggiungiamo la Pieve di Santa Maria Assunta indicata come una delle chiese più antiche della diocesi cremonese. Le fonti storiche riportano che nel 605, dopo la conquista longobarda di Cremona, il vescovo Anselmo scappò dalla città e si ritirò nella pieve di Soncino. Il forzato esilio del vescovo rese la pieve sede vescovile poi elevata al rango di collegiata nell'anno 828. Nel 1580, la chiesa fu rimaneggiata con allungamento del coro verso est e la costruzione a sud delle cappelle laterali e decorata dai manieristi cremonesi Giulio Calvi, che affrescò la navata centrale, e Uriele Gatti, che si occupò della controfacciata in modo da adattarla alle disposizioni approvate durante il concilio di Trento. Alla fine dell'Ottocento l'architetto Carlo Maciachini dette alla chiesa l'attuale aspetto costruendo l'imponente cupola ottagonale e sulla cuspide della torre campanaria venne posta la statua in rame realizzata da Carlo Riva con la facciata riportata ad un aspetto medievale. L'interno si presenta in forme davvero solenni. La vistosa policromia delle volte venne realizzata nel 1897 in stile neobizantino. Tra le opere pittoriche presenti nella chiesa, di grande pregio è la tela seicentesca del pittore fiammingo Matthias Stom che raffigura un soggetto insolitamente non ecclesiastico La liberazione delle catene di Flavio Giuseppe ad opera dell'imperatore romano Vespasiano. Nell'altare neoclassico è inserita una tela del Cinquecento raffigurante la Trinità con Angeli e Santi di Uriele Gatti. Sopra l’antico fonte battesimale si trova un affresco degli inizi del sedicesimo secolo raffigurante la Santissima Trinità. La particolarità iconografica con le Tre Persone assolutamente identiche, secondo la più diffusa rappresentazione medioevale in luogo di quella del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, indussero l’autorità ecclesiastica nell'età della Controriforma a far coprire l’immagine, che venne ritrovata solo nel 1843 durante i lavori di rifacimento della cappella.
Poco lontana ecco l
a Chiesa di San Giacomo originariamente romanica, sull'area di un più antico ospizio per pellegrini che si recavano a Santiago di Compostela sulla tomba del santo e che presenta oggi vestigia cinquecentesche. Si deve ai Canonici Agostiniani (XIV secolo) la costruzione dello splendido campanile ettagonale, ovvero a sette lati, probabilmente unico in Italia mentre tra il 1456 ed il 1468, su progetto del domenicano Maffeo Caleppio, venne costruito il chiostro. In contrasto con la facciata poco appariscente, l'interno della chiesa è stupendamente affrescato in stile barocco e dominato dall'imponente gradinata completa di balaustre intarsiate del 1733. La presenza di una cripta sotto al presbiterio sopraelevato rende però evidente l'origine più antica della chiesa. Nella cappella a destra dove è collocato il cinquecentesco gruppo scultoreo Compianto su Cristo morto dello scultore cremasco Agostino de Fondulis, si trovano tracce di un affresco rappresentante L’Addolorata, uno dei pochissimi brani pittorici che testimonia la decorazione della chiesa precedente ai restauri realizzati tra Cinquecento e Seicento. D'obbligo una fermata all'Enoteca 5 Frati in uno splendido complesso del Quattrocento collegato alla Cappella dei Barbò, un luogo magico che fonde il calore rustico della cucina locale con la particolare attenzione alle etichette vinicole meno note. 
Praticamente adiacente all'ingresso della Rocca si trova un altro punto di particolare interesse, la ex filanda Meroni che per la sua valenza storica è stata riproposta come moderno percorso ricreativo e culturale ospitando, oltre all'ufficio turistico di Soncino, il museo della seta, trasformandosi nel baricentro architettonico tra la stessa e la rocca, vero simbolo della città. La costruzione della Rocca Sforzesca di Soncino avviene nel 1473 su volere di Gian Galeazzo Maria Sforza e ancora oggi rappresenta l’esempio di architettura militare meglio conservata di tutta la Lombardia. Nel 1536 l'imperatore Carlo V d'Asburgo elevò Soncino a marchesato e lo passò in feudo alla famiglia milanese degli Stampa che lo trasformarono nei secoli successivi sempre più in una dimora patrizia. Nel 1876 la Rocca passò al Comune con un atto testamentario dell'ultimo discendente della nobile famiglia milanese, ma già con i segni di un importante degrado strutturale. Nel 1883, il Regio Ministero della Pubblica Istruzione incaricò l'architetto Luca Beltrami di progettarne il ripristino. L'intervento del Beltrami rappresenta un esempio di ricostruzione condotto sulla base di una rigorosa documentazione storica che oggi ci restituisce la magnifica possanza di questa rocca. Il borgo di Soncino vede scorrere al suo fianco il fiume Oglio e nelle estreme vicinanze delle mura, è bagnato dal naviglio Pallavicino. Il naviglio ha una lunghezza di circa trenta chilometri e venne creato allo scopo di irrigare i terreni delle province di Bergamo e di Cremona. La sua costruzione risale ai primi anni del Cinquecento su iniziativa del marchese Galeazzo Pallavicino. Proprio la presenza del naviglio Pallavicino ha fatto sì che fiorissero i mulini lungo il suo corso.
Ci allunghiamo esternamente alle mura fino alla Chiesa di Santa Maria delle Grazie. La chiesa sorge alta sul terrazzo alluvionale della valle dell’Oglio, con vista verso la piana sottostante e la rocca sforzesca. Arrivate davanti alla chiesa ci troviamo davanti ad una facciata a capanna estremamente semplice in pietra. Questa risale agli inizi del XVI secolo quando i frati carmelitani iniziarono la costruzione con i fondi raccolti tra le famiglie nobili di Soncino. Gli interni, ad unica navata, vennero riccamente affrescati nel 1527. Di grande rilevanza è soprattutto la decorazione delle dieci cappelle all’interno della chiesa che si devono a Francesco Scanzi e Giulio Campi. Sulla controfacciata è presente il meraviglioso affresco del Giudizio Universale ad opera di Francesco e Bernardino Carminati. Siamo agli sgoccioli della visita a Soncino. Ritornando verso Porta San Giuseppe ammiriamo in successione l'esterno del quattrocentesco Palazzo Azzanelli, dalle belle finestre ad arco, e Palazzo Zardina-Cropello, un lungo edificio giallo con stemmi, balconcini dotati di ringhiere in ferro battutto risultato di una ristrutturazione settecentesca del vecchio Ospedale dei Pellegrini. Al termine dell’edificio si trova invece una vecchia torre dalla facciata in cotto che ospitava al suo interno l'arsenale privato della famiglia nobile Barbò.

lunedì 6 novembre 2023

Quanto è bella Mantova: il Palazzo Ducale e il suo Duomo - domenica 5 novembre

Arriviamo in una assolata Piazza Sordello dominata dall'imponente Palazzo Ducale, alla scoperta di questa magnificente "città-palazzo", residenza dei Gonzaga dal 1328 al 1707. Divenuto capitano del popolo nel 1299, Guido Bonacolsi trasforma quella che allora era un palazzo di proprietà della famiglia nel centro del potere della città. I Gonzaga che sconfissero i Bonacolsi nel 1328, durante i quasi quattrocento anni del loro dominio, ne modificarono la struttura aggiungendo nuovi corpi di fabbrica con logge, maestose scale, gallerie, cortili pensili collegandoli tutti fra loro sotto la direzione di geniali architetti come il Fancelli, Giulio Romano, Giovan Battista Bertani e il cremonese Viani. Il nucleo più antico del complesso è costituito dalla Magna Domus e dal Palazzo del Capitano. I
l castello di san Giorgio, sorto alla fine del Trecento per volontà di Francesco I Gonzaga, su progetto dell'architetto Bartolino da Novara, si eleva a guardia della reggia dalle rive dei laghi di Mezzo e Inferiore. Gli ambienti si raccolgono intorno a una corte centrale quadrata, rafforzata da robuste torri angolari. Quando Mantova, nel 1459, ospita la Dieta di Mantova convocata da Pio II Piccolomini, Ludovico Gonzaga decide di trasferirsi nel castello lasciando che il seguito del pontefice si insediasse nel Palazzo Ducale. L'architetto toscano Luca Fancelli viene incaricato allora di riqualificare gli interni del castello e al Mantegna, trasferitosi in città nell'estate del 1460 dopo lunghe trattative, viene affidata la decorazione della stanza delle udienze private del Gonzaga, la Camera degli Sposi, capolavoro assoluto dell'arte rinascimentale.
Perfetta sintesi tra naturalismo pittorico, illusionismo prospettico ed esigenze autocelebrative della casata impegna il Mantegna per dieci anni fino al 1474, come indica l'iscrizione nel tabellone dipinto sopra una delle porte, che reca anche la dedica a Ludovico III e alla moglie Barbara di Brandeburgo. La finzione pittorica e prospettica ideata dal Mantegna riveste senza soluzione di continuità le ingrate partiture di pareti irregolarmente scandite dalle porte, dalle finestre, dal camino, e scarsamente illuminate, regalando l'emozione di un illusionismo "totale" e di una continua, accattivante, ricercata ambiguità tra il piano della realtà e quello della rappresentazione. La Corte Vecchia riacquista nuovo prestigio quando nel 1519 Isabella d'Este lasciata la dimora nel Castello e si trasferisce al piano terreno di questo antico settore della reggia gonzaghesca. Per l'insaciabile desiderio di cose antique e per la straordinaria sensibilità a cogliere le tendenze più moderne dell'arte, la marchesa Isabella, figlia di Ercole I d'Este e giovanissima sposa, nel 1490, di Francesco Gonzaga, diventa la protagonista di uno dei più intelligenti e raffinati episodi di collezionismo e cultura figurativa del Rinascimento cortigiano. Donna mai paga di curiosità culturali, educata a Ferrara dall'umanista Battista Guarini, si circonda a Mantova di dotti quali l'Equicola e Paride da Cesarea, frequentando letterati come Baldassar Castiglione, Matteo Bandello, il Boiardo e l'Ariosto. La tradizione mecenatistica dei Gonzaga si rinnova a inizio Cinquecento con le iniziative culturali del figlio di Isabella, Federico II, che affidando a Giulio Romano la direzione delle fabbriche della città (su tutte Palazzo Te) fa di Mantova un autentico laboratorio della grande Maniera italiana.
Importanti i cicli di affreschi, 
rimasti incompiuti, del "Torneo-battaglia di Louvezerp" del Pisanello, riscoperto solo nel 1969 sotto due strati d’intonaco sovrapposti in epoche successive nelle pareti del nucleo più antico della Corte Vecchia, la Sala di Troia concepita da Giulio Romano e ispirata all’Iliade di Omero, sono del tutto consoni all'intento di Federico II e all'effettivo ruolo politico che rivestiva. Dietro a questi episodi mitologici carichi di eroica potenza si nasconde un preciso messaggio iconografico. In successione ecco le sale rinnovate negli apparati decorativi durante il secolo XVIII. La Galleria degli Specchi in origine una loggia aperta, poi chiusa e trasformata in una galleria d'esposizione e a quadreria. La parte alta delle pareti e il soffitto sono riccamente decorati: nella volta vi sono tre grandi riquadri raffiguranti gli Dei dell’Olimpo al centro e ai lati i Carri del Giorno e della Notte. Questa lunga e sontuosa galleria fu impreziosita negli ultimi decenni del '700 da decorazioni neoclassiche con stucchi dorati e specchiere ispirate al gusto francese. La Sala dei Fiumi trasformata verso la fine del Settecento dagli affreschi barocchi di Giorgio Anselmi in un illusorio gazebo che incornicia le allegoriche figurazioni dei fiumi che bagnano il territorio mantovano (il Po, l’Oglio, il Mella, il Chiese, il Mincio ed il Secchia). Il salone si affaccia sull'incantevole giardino pensile racchiuso da un colonnato cinquecentesco. Le Stanze degli Arazzi, serie di arazzi tessuti nelle Fiandre intorno al 1530 sui celebrati cartoni di Raffaello ed acquistati in seguito dal Cardinale Ercole Gonzaga. Le nove preziose pezze d'arazzo raffigurano episodi tratti dagli Atti degli Apostoli e si riferiscono alla vita dei Santi Pietro e Paolo.
Fu il duca Guglielmo ad incaricare il prefetto delle Fabbriche Giovan Battista Bertani perché collegasse i vari edifici in forma organica così da creare, a partire dal 1556, un unico grandioso complesso monumentale e architettonico, uno dei più vasti d'Europa, che si estendeva tra la riva del lago Inferiore e Piazza Sordello. Scomparso il Bertani nel 1576, l'opera viene proseguita da Bernardino Facciotto che completa l'integrazione di giardini, piazze, loggiati, gallerie, esedre e cortili, fissando definitivamente l'aspetto della residenza ducale. E' quasi impossibile elencare tutti i tesori custoditi nel Palazzo Ducale, non è solo una chimera architettonica. E' molto di più. Diventa depositario delle culture cresciute nei secoli a Mantova e delle loro relazioni con il resto del mondo ma soprattutto la porta d'accesso a grandi emozioni e quelle, non si possono misurare. Attraversata la piazza ancora illuminata dal sole, andiamo a scoprire il Duomo di Mantova, noto anche come Basilica di S. Pietro, che conserva le tracce di tutta la sua storia più che millenaria. Basta guardarlo dall'ingresso di piazza Pallone per rendersene conto: la facciata tardo-barocca progettata nel Settecento da Nicolò Baschiera, rimangono 
sul lato est invece le tracce della precedente struttura gotica, seguite dalla massiccia torre campanaria romanica originariamente isolata dal resto della costruzione. L'aspetto gotico della cattedrale, prima dell'intervento cinquecentesco, è documentato dal dipinto quattrocentesco di Domenico Morone "La caduta dei Bonacolsi" che si ammira a Palazzo Ducale e che ritrae la facciata dal gotico fiammeggiante. L'interno corrisponde al progetto cinquecentesco di Giulio Romano con la pianta a croce latina e cupola che si erge sull'intersezione dei due bracci, suddiviso in cinque navate che va a terminare in un'abside con volta a botte. Tra queste trovano spazio i finestroni che rendono luminoso l'interno della cattedrale. Il soffitto piano a cassettoni è opera settecentesca di Doricillo Moscatelli. Dalla navata a sinistra si accede tramite un passaggio al Sacello dell'Incoronata e all'esuberante volta della sagrestia opera della bottega del Mantegna. E non si può non concludere la giornata senza fare un salto alla storica panetteria di via San Giorgio "Pane al pane" dove trionfa la celeberrima torta sbrisolona vanto di questa città.

(fonti storiche:lombardiabeniculturali.it)