mercoledì 28 giugno 2017

Marmotte allo splendido concerto dei Depeche Mode a Milano (27 giugno)

Un simbolo della pace è in bella vista sulla batteria dei Depeche Mode. Dave Gahan e soci sono ben lontani dall'immagine classica dei fricchettoni pacifisti, ma il messaggio dell’ultimo disco e di questo tour è di provare, con la musica, a cambiare lo zeitgeist , quello che per i filosofi tedeschi era lo “spirito dei tempi” oggi per la band è il “Global Spirit", il nome del tour che approda a San Siro per la seconda tappa italiana.
San Siro e' strapieno e in quei 60.000 spettatori ci siamo anche noi marmotte! La serata inizia con gli Algiers, freschi di pubblicazione del secondo album “The underside of power”, una band di originali sonorità  Sono le nove e qualche minuto quando a San Siro risuonano le note di “Revolution" dei Beatles, a cui segue un video sui tre megaschermi che anticipa l'entrata della band, accolta da un boato. Gahan quasi si nasconde, in controluce su una passerella sullo sfondo colorato dello schermo, che contrasta con le parole di "Going backwards": "We have not evolved". E’ questo contrasto che segna il concerto: quello tra la melodie cantabili e tra il suono duro dei brani, spesso centrato sulla batteria. Quello tra la festa della musica e l’invito alla rivoluzione dell'ultimo disco “Spirit”. "There is so much love in me", cantano alla seconda canzone i Depeche Mode, per urlare subito dopo "Whatever I've done, I've been staring down the barrel of a gun".
È il primo classico in scaletta, e i megaschermi inquadrano la band, rivelando a tutto lo stadio il gilet lamé di Dave e la chitarra a forma di stella argentata di Martin Gore. L'altro dualismo è, ovviamente, quello storico e consolidato tra Dave e Martin: le voci si intrecciano fin da subito, con il cantante che cerca Gore già al secondo verso del primo brano. Gahan è il dominatore assoluto della scena, un carisma e una padronanza del palco che hanno pochi eguali: alterna incitazioni al pubblico a mossette (sempre accolte da un boato), canta in maniera perfetta. Martin, quasi sempre alla chitarra, lo guarda benevolo alla sua destra e assieme a Fletch costruisce un suono potente che scuote lo stadio. L'acustica di San Siro si sa non è delle migliori e tende ad esaltare soprattutto i bassi della band, in particolare la batteria che in più di un momento sovrasta tutto il resto.
La prima parte dello spettacolo tende a dare molto spazio ai filmati realizzati da Anton Corbijn che nel corso della sua carriera ha collaborato a più riprese con i Depeche Mode: la band che, gigantesca, viene mostrata in bianco e nero durante “So much love” duplicando quella reale sul palco. Oppure il video di una coppia che balla durante "In your room" o ancora il Gahan vestito da astronauta urbano di “Cover me”; la canzone ha uno stupendo finale strumentale, musicalmente uno dei momenti più belli della serata. Dave, dopo essere sceso tra il pubblico sulla passerella, lascia la scena a Martin che canta un applauditissimo uno-due con “A question of lust" e “Home”. Dave si riprende il palco poco dopo, dirigendo l'orchestra del pubblico di San Siro che continua a cantare in coro il finale della canzone cantata da Martin Gore. Da “Everything counts" in poi il concerto letteralmente decolla. La lunga introduzione musicale del pezzo serve solo ad aizzare la platea, ma quando parte il giro di tastiera e viene riconosciuto il pezzo, lo stadio impazzisce e quando si arriva al ritornello cantato da Martin, è già un emozionante trionfo. Violator considerato universalmente il loro capolavoro. Ancora una volta la musica dei Depeche Mode riesce nell'operazione di rigenerare decine di migliaia di persone. Una band che con quasi 40 anni di carriera non tradisce la sua identità ma va avanti e si rifiuta di chiudersi in una sorta di torre d’avorio guardandosi intorno, cercando nuovi modi di raccontare quello che vede e spingendo l’ascoltatore a fare altrettanto.
Una carrellata di classici per poi culminare con “Enjoy the silence”: mentre animali fluo giganteschi vengono mostrati sullo schermo alle spalle della band, lo stadio canta in coro. La coda strumentale rende ancora più bella una canzone perfetta ed è in questi momenti che viene fuori tutta la bravura della band: nel riarrangiare le canzoni, senza snaturarle ma rendendole ancora più potenti da far risuonare in uno stadio. “Never let me down again" subisce un trattamento simile e trasforma San Siro in un mare di braccia che vanno a tempo. I bis si aprono con Martin Gore che canta “Somebody”, ma la vera protagonista del finale è la cover di “Heroes" di David Bowie, che parte con le sole chitarre per poi terminare splendidamente in crescendo. A chiudere il concerto tre gioielli: "Walking in my shoes", "I feel you" e l'immancabile "Personal Jesus" il primo singolo estratto dall'album

(fonte www.rockol.it)

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