Sin dal lontanissimo Medioevo il cammino di Santiago di Compostela è profondamente legato alla presenza della tomba di Giacomo il Maggiore, uno dei dodici apostoli di Gesù, a quanto riportato dai Vangeli, ed è celeberrima meta di un pellegrinaggio lungo ottocento chilometri che attraversa Francia e Spagna. Il 23 ottobre 1987 il Consiglio Europeo, riconoscendone l'importanza, dichiarava il Camino de Santiago "Itinerario culturale europeo" seguito da un interesse sempre più crescente non solo devozionale, anzi grande impulso è arrivato proprio dalla necessità di correlarsi con se stessi e misurarne le capacità. E' proprio su questi presupposti che la nostra marmotta Anna ha deciso di intraprendere il suo viaggio verso Santiago, in compagnia di un'amica, su un percorso totale di 270 chilometri con partenza da Astorga sabato 17 giugno.
"E proprio sotto il solleone che parte questa avventura con tutti gli inevitabili dubbi di riuscire o meno a farcela, di sostenere la stanchezza, le intemperie e tutte quelle difficoltà che un viaggio a piedi comporta, con tappe di almeno una ventina di chilometri. E dopo la partenza da Astorga raggiungiamo il paese di Rabanal del Camino.
Il giorno successivo si arriva a Molinaseca, minuscolo centro della Castiglia, sotto un caldo asfissiante che ci ha tormentato per l'intera tappa e per ripagarci della stanchezza ci siamo volute premiate con una buonissima birra. Ma bisogna riposare perchè al mattino la sveglia suona presto e si devono sfruttare appieno le ore mattutine, quelle più fresche. Il percorso è ben contrassegnato dal logo del "cammino" lungo tutto il tracciato: Santiago è a 190 chilometri quando si riparte da Cacabelos, e nella lunga tappa (25 km) entriamo in Galizia, zona montuosa della Spagna nord-occidentale. Si sale verso Alto de San Roque a 1270 metri percorrendo bellissimi sentieri boschivi.
Sul passo troviamo la statua di San Rocco o del pellegrino che sembra piegarsi per contrastare i forti venti che soffiano in questa regione (21 giugno). Il caldo soffocante dei giorni precedenti ha lasciato il passo a rade nebbie e molto umidità tanto da dover prendere mano alle nostre felpe in alcuni tratti del percorso. Il 23 giugno si arriva al Mosteiro de Samos, con lo splendido monastero benedettino, dopo un'altra tappa abbastanza impegnativa. Una stele di pietra ci indica che siamo a 110 chilometri da Santiago! Il giorno successivo raggiungiamo Portomarin. Nel 1962 in questa zona fu costruita la diga di Belesar e tutto il paese si trasferì sul vicino monte di Cristo dove vennero ricostruiti pezzo per pezzo gli edifici più importanti tra la chiesa romanica di San Nicola. Nel periodo in cui l'acqua del bacino si abbassa sono ancora visibili i ruderi dell'antico villaggio. Ripartiamo con la stessa grinta di sempre.
Ormai la lunghezza di queste tappe non si sente quasi più nelle gambe e tutto viene ancor più mitigato dagli amichevoli scambi di saluto con altri pellegrini che viaggiano lungo lo stesso percorso. L'incontro con delle ragazze coreane non possiamo non immortalarlo con un selfie! Le ultime tappe si susseguono tra boschi e natura con la nostra meta sempre più vicina. Raggiungiamo Santiago di Compostela mercoledì 28 giugno sotto una pioggia fitta fitta.
È una grandissima emozione che stempera la lunga fatica della camminata. Ma non vogliamo rinunciare ad avvicinarci a Cabo Finisterre, promontorio sull'Oceano Atlantico, e al suo faro che rappresenta di fatto il punto di arrivo del Camino de Santiago. L'oceano affascinante e minaccioso al tempo stesso ci saluta con un abbraccio e per me che adoro il mare è una coinvolgente emozione! Ancora un giorno per gustarmi questa terra di Spagna...e poi si torna a casa".
Complimenti Anna!
giovedì 29 giugno 2017
mercoledì 28 giugno 2017
Marmotte allo splendido concerto dei Depeche Mode a Milano (27 giugno)
Un simbolo della pace è in bella vista sulla batteria dei Depeche Mode. Dave Gahan e soci sono ben lontani dall'immagine classica dei fricchettoni pacifisti, ma il messaggio dell’ultimo disco e di questo tour è di provare, con la musica, a cambiare lo zeitgeist , quello che per i filosofi tedeschi era lo “spirito dei tempi” oggi per la band è il “Global Spirit", il nome del tour che approda a San Siro per la seconda tappa italiana.
San Siro e' strapieno e in quei 60.000 spettatori ci siamo anche noi marmotte! La serata inizia con gli Algiers, freschi di pubblicazione del secondo album “The underside of power”, una band di originali sonorità Sono le nove e qualche minuto quando a San Siro risuonano le note di “Revolution" dei Beatles, a cui segue un video sui tre megaschermi che anticipa l'entrata della band, accolta da un boato. Gahan quasi si nasconde, in controluce su una passerella sullo sfondo colorato dello schermo, che contrasta con le parole di "Going backwards": "We have not evolved". E’ questo contrasto che segna il concerto: quello tra la melodie cantabili e tra il suono duro dei brani, spesso centrato sulla batteria. Quello tra la festa della musica e l’invito alla rivoluzione dell'ultimo disco “Spirit”. "There is so much love in me", cantano alla seconda canzone i Depeche Mode, per urlare subito dopo "Whatever I've done, I've been staring down the barrel of a gun".
È il primo classico in scaletta, e i megaschermi inquadrano la band, rivelando a tutto lo stadio il gilet lamé di Dave e la chitarra a forma di stella argentata di Martin Gore. L'altro dualismo è, ovviamente, quello storico e consolidato tra Dave e Martin: le voci si intrecciano fin da subito, con il cantante che cerca Gore già al secondo verso del primo brano. Gahan è il dominatore assoluto della scena, un carisma e una padronanza del palco che hanno pochi eguali: alterna incitazioni al pubblico a mossette (sempre accolte da un boato), canta in maniera perfetta. Martin, quasi sempre alla chitarra, lo guarda benevolo alla sua destra e assieme a Fletch costruisce un suono potente che scuote lo stadio. L'acustica di San Siro si sa non è delle migliori e tende ad esaltare soprattutto i bassi della band, in particolare la batteria che in più di un momento sovrasta tutto il resto.
La prima parte dello spettacolo tende a dare molto spazio ai filmati realizzati da Anton Corbijn che nel corso della sua carriera ha collaborato a più riprese con i Depeche Mode: la band che, gigantesca, viene mostrata in bianco e nero durante “So much love” duplicando quella reale sul palco. Oppure il video di una coppia che balla durante "In your room" o ancora il Gahan vestito da astronauta urbano di “Cover me”; la canzone ha uno stupendo finale strumentale, musicalmente uno dei momenti più belli della serata. Dave, dopo essere sceso tra il pubblico sulla passerella, lascia la scena a Martin che canta un applauditissimo uno-due con “A question of lust" e “Home”. Dave si riprende il palco poco dopo, dirigendo l'orchestra del pubblico di San Siro che continua a cantare in coro il finale della canzone cantata da Martin Gore. Da “Everything counts" in poi il concerto letteralmente decolla. La lunga introduzione musicale del pezzo serve solo ad aizzare la platea, ma quando parte il giro di tastiera e viene riconosciuto il pezzo, lo stadio impazzisce e quando si arriva al ritornello cantato da Martin, è già un emozionante trionfo. Violator considerato universalmente il loro capolavoro. Ancora una volta la musica dei Depeche Mode riesce nell'operazione di rigenerare decine di migliaia di persone. Una band che con quasi 40 anni di carriera non tradisce la sua identità ma va avanti e si rifiuta di chiudersi in una sorta di torre d’avorio guardandosi intorno, cercando nuovi modi di raccontare quello che vede e spingendo l’ascoltatore a fare altrettanto.
Una carrellata di classici per poi culminare con “Enjoy the silence”: mentre animali fluo giganteschi vengono mostrati sullo schermo alle spalle della band, lo stadio canta in coro. La coda strumentale rende ancora più bella una canzone perfetta ed è in questi momenti che viene fuori tutta la bravura della band: nel riarrangiare le canzoni, senza snaturarle ma rendendole ancora più potenti da far risuonare in uno stadio. “Never let me down again" subisce un trattamento simile e trasforma San Siro in un mare di braccia che vanno a tempo. I bis si aprono con Martin Gore che canta “Somebody”, ma la vera protagonista del finale è la cover di “Heroes" di David Bowie, che parte con le sole chitarre per poi terminare splendidamente in crescendo. A chiudere il concerto tre gioielli: "Walking in my shoes", "I feel you" e l'immancabile "Personal Jesus" il primo singolo estratto dall'album
(fonte www.rockol.it)
San Siro e' strapieno e in quei 60.000 spettatori ci siamo anche noi marmotte! La serata inizia con gli Algiers, freschi di pubblicazione del secondo album “The underside of power”, una band di originali sonorità Sono le nove e qualche minuto quando a San Siro risuonano le note di “Revolution" dei Beatles, a cui segue un video sui tre megaschermi che anticipa l'entrata della band, accolta da un boato. Gahan quasi si nasconde, in controluce su una passerella sullo sfondo colorato dello schermo, che contrasta con le parole di "Going backwards": "We have not evolved". E’ questo contrasto che segna il concerto: quello tra la melodie cantabili e tra il suono duro dei brani, spesso centrato sulla batteria. Quello tra la festa della musica e l’invito alla rivoluzione dell'ultimo disco “Spirit”. "There is so much love in me", cantano alla seconda canzone i Depeche Mode, per urlare subito dopo "Whatever I've done, I've been staring down the barrel of a gun".
È il primo classico in scaletta, e i megaschermi inquadrano la band, rivelando a tutto lo stadio il gilet lamé di Dave e la chitarra a forma di stella argentata di Martin Gore. L'altro dualismo è, ovviamente, quello storico e consolidato tra Dave e Martin: le voci si intrecciano fin da subito, con il cantante che cerca Gore già al secondo verso del primo brano. Gahan è il dominatore assoluto della scena, un carisma e una padronanza del palco che hanno pochi eguali: alterna incitazioni al pubblico a mossette (sempre accolte da un boato), canta in maniera perfetta. Martin, quasi sempre alla chitarra, lo guarda benevolo alla sua destra e assieme a Fletch costruisce un suono potente che scuote lo stadio. L'acustica di San Siro si sa non è delle migliori e tende ad esaltare soprattutto i bassi della band, in particolare la batteria che in più di un momento sovrasta tutto il resto.
La prima parte dello spettacolo tende a dare molto spazio ai filmati realizzati da Anton Corbijn che nel corso della sua carriera ha collaborato a più riprese con i Depeche Mode: la band che, gigantesca, viene mostrata in bianco e nero durante “So much love” duplicando quella reale sul palco. Oppure il video di una coppia che balla durante "In your room" o ancora il Gahan vestito da astronauta urbano di “Cover me”; la canzone ha uno stupendo finale strumentale, musicalmente uno dei momenti più belli della serata. Dave, dopo essere sceso tra il pubblico sulla passerella, lascia la scena a Martin che canta un applauditissimo uno-due con “A question of lust" e “Home”. Dave si riprende il palco poco dopo, dirigendo l'orchestra del pubblico di San Siro che continua a cantare in coro il finale della canzone cantata da Martin Gore. Da “Everything counts" in poi il concerto letteralmente decolla. La lunga introduzione musicale del pezzo serve solo ad aizzare la platea, ma quando parte il giro di tastiera e viene riconosciuto il pezzo, lo stadio impazzisce e quando si arriva al ritornello cantato da Martin, è già un emozionante trionfo. Violator considerato universalmente il loro capolavoro. Ancora una volta la musica dei Depeche Mode riesce nell'operazione di rigenerare decine di migliaia di persone. Una band che con quasi 40 anni di carriera non tradisce la sua identità ma va avanti e si rifiuta di chiudersi in una sorta di torre d’avorio guardandosi intorno, cercando nuovi modi di raccontare quello che vede e spingendo l’ascoltatore a fare altrettanto.
Una carrellata di classici per poi culminare con “Enjoy the silence”: mentre animali fluo giganteschi vengono mostrati sullo schermo alle spalle della band, lo stadio canta in coro. La coda strumentale rende ancora più bella una canzone perfetta ed è in questi momenti che viene fuori tutta la bravura della band: nel riarrangiare le canzoni, senza snaturarle ma rendendole ancora più potenti da far risuonare in uno stadio. “Never let me down again" subisce un trattamento simile e trasforma San Siro in un mare di braccia che vanno a tempo. I bis si aprono con Martin Gore che canta “Somebody”, ma la vera protagonista del finale è la cover di “Heroes" di David Bowie, che parte con le sole chitarre per poi terminare splendidamente in crescendo. A chiudere il concerto tre gioielli: "Walking in my shoes", "I feel you" e l'immancabile "Personal Jesus" il primo singolo estratto dall'album
(fonte www.rockol.it)
lunedì 19 giugno 2017
La gran festa de "Pedalando per le Viote" (domenica 18 giugno)
E' una mattina di luce e di tiepido calore quella che si stempera sulle maestose cime del Brenta mentre la piazzetta di Vason si anima di voci e passi d'attesa. E' tutto pronto per la pedalata e la camminata che gli "Amici della Chiesetta" hanno organizzato per ricordare due bondoneri doc, Manuel Calovi e Giorgio Corradi, che hanno profondamente contribuito alla storia della nota località turistica dominata dal Palon (2098 metri), "la montagna di Trento", termine che sta un pò stretto a questo territorio che meriterebbe maggiore attenzione da parte delle amministrazioni locali. Ma oggi non si parla di politica, oggi il pensiero corre a due giovani uomini che non ci sono più, pensiero che si è trasformato in festa contribuendo anche così alla raccolta fondi per il restauro della storica chiesetta, luogo sacro dedicato agli sciatori scomparsi in montagna, posta ai 1650 metri del passo di Vason.
Il percorso, a piedi oppure sulla sella di una mountain bike, compie un largo e bellissimo giro che dalla piazzetta scende fra splendidi panorami fino alla Conca delle Viote per poi risalire nuovamente al valico dove ad attendere tutti noi partecipanti, oltre ad una bella medaglia lignea, ci sono i piatti tipici di questa splendida regione, il tutto accompagnato musicalmente dalla Knodel Bergmusikantel. Nel pomeriggio forse il momento più toccante con la sfilata di alcune compagnie degli Schutzen, di cui Manuel era un appassionato rappresentante, e l'arrivo dei gonfaloni in una piazza silenziosa seguita come da tradizione dalla santa messa. Alle spalle la chiesetta con le sue vetrate dell'abside rivolte alle Dolomiti di Brenta, mute testimoni di questa splendida domenica...
Il percorso, a piedi oppure sulla sella di una mountain bike, compie un largo e bellissimo giro che dalla piazzetta scende fra splendidi panorami fino alla Conca delle Viote per poi risalire nuovamente al valico dove ad attendere tutti noi partecipanti, oltre ad una bella medaglia lignea, ci sono i piatti tipici di questa splendida regione, il tutto accompagnato musicalmente dalla Knodel Bergmusikantel. Nel pomeriggio forse il momento più toccante con la sfilata di alcune compagnie degli Schutzen, di cui Manuel era un appassionato rappresentante, e l'arrivo dei gonfaloni in una piazza silenziosa seguita come da tradizione dalla santa messa. Alle spalle la chiesetta con le sue vetrate dell'abside rivolte alle Dolomiti di Brenta, mute testimoni di questa splendida domenica...
lunedì 12 giugno 2017
I bellissimi laghi di Cornisello in Val Nambrone (TN) domenica 11 giugno
Andiamo a scoprire la Val Nambrone, splendida vallata delle Alpi Retiche meridionali, ai piedi delle imponenti pareti della Presanella dove in lontananza svetta Cima Tosa con i suoi 3173 metri, la più alta delle Dolomiti di Brenta, vallata impreziosita dai bellissimi laghi di Cornisello. Lungo la statale che conduce a Madonna di Campiglio, tra Carisolo e Sant'Antonio di Mavignola s'imbocca una stradella (cartello Val Nambrone) arrampicandoci lungo i tornanti accompagnate dalla sovrastante mole del Monte Giner, sino a raggiungere uno slargo nei pressi del Rifugio Cornisello. Giusto il tempo di indossare scarponcini e zaini e siamo sullo sterrato che dal sentiero 239 ci conduce in breve verso il primo dei laghi di Cornisello, il lago Inferiore, a 2120 metri. Il tempo di scorgere con sguardi divertiti rane e ranocchi saltellanti in tutti i loro stadi evolutivi e ritroviamo la traccia ghiaiata che in breve porta al grande lago Superiore in cui si specchia Cima Cornisello. I due bacini d'acqua, di origine glaciale, si offrono ad un colpo d'occhio eccezionale che ben si amalgama con il silenzio sacrale di queste montagne. Completiamo il giro e, dopo aver fatto una sosta, risaliamo il costone. Tralasciamo l'impegnativo sentiero 239, che conduce al solitario lago di Vedretta (2600 metri), continuando lungo il sentiero 216 diretto al Rifugio Segantini, alzandoci sui due sottostanti laghi.
Qui l'impennata diventa secca allorchè si decide di salire alla panoramica Bocchetta dell'Om a 2361 metri e tra persistenti nevai che rallentano i nostri passi raggiungiamo la dorsale che fa da spartiacque fra la Val d'Amola e la Val Cornisello. Da qui la prospettiva sul gruppo del Brenta è maestosa! Ridiscendiamo ampliando il tracciato sino a congiungersi con il sentiero roccioso 238 in direzione dello splendido lago Nero (2233 metri) nelle cui fredde acque...immergiamo felici i nostri piedi. Seguendo le tracce sentieristiche bianco-rosse ci riportiamo verso l'alto, dove facciamo l'ennesima sosta. Il percorso ora scende ripido superando alcune scalette e terminando sulla forestale. Sulla via del ritorno la nostra camminata incrocia ciò che resta di una teleferica costruita negli anni '60 dall'Enel, che intendeva sfruttare le preziose acque dei laghi, e poi abbandonata. Lasciamo alle nostre spalle gli scheletri dei tralicci, muti testimoni dell'incuria dell'uomo, e in breve raggiungiamo il rifugio. La tappa successiva stavolta è a Carisolo per una bevuta in allegra compagnia.

PARTENZA: Rifugio Cornisello
SEGNAVIA: Cai 239, 216, 238
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 240
ALTITUDINE: mt 2361
LUNGHEZZA: km 6
Qui l'impennata diventa secca allorchè si decide di salire alla panoramica Bocchetta dell'Om a 2361 metri e tra persistenti nevai che rallentano i nostri passi raggiungiamo la dorsale che fa da spartiacque fra la Val d'Amola e la Val Cornisello. Da qui la prospettiva sul gruppo del Brenta è maestosa! Ridiscendiamo ampliando il tracciato sino a congiungersi con il sentiero roccioso 238 in direzione dello splendido lago Nero (2233 metri) nelle cui fredde acque...immergiamo felici i nostri piedi. Seguendo le tracce sentieristiche bianco-rosse ci riportiamo verso l'alto, dove facciamo l'ennesima sosta. Il percorso ora scende ripido superando alcune scalette e terminando sulla forestale. Sulla via del ritorno la nostra camminata incrocia ciò che resta di una teleferica costruita negli anni '60 dall'Enel, che intendeva sfruttare le preziose acque dei laghi, e poi abbandonata. Lasciamo alle nostre spalle gli scheletri dei tralicci, muti testimoni dell'incuria dell'uomo, e in breve raggiungiamo il rifugio. La tappa successiva stavolta è a Carisolo per una bevuta in allegra compagnia.

PARTENZA: Rifugio Cornisello
SEGNAVIA: Cai 239, 216, 238
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 240
ALTITUDINE: mt 2361
LUNGHEZZA: km 6
lunedì 5 giugno 2017
domenica 4 giugno: Festival dei Gufi al castello di Grazzano Visconti (Piacenza)
Una tre giorni intensa, carica di curiosità, di informazioni e di simpatia, una fra le più importanti manifestazioni dedicate al mondo misterioso dei rapaci notturni. Il parco del castello di Grazzano Visconti (PC), nel cuore della Val Nure ha fatto da splendida cornice alla pluralità di eventi e presenze sconfiggendo persino l'asfissiante calura di questa domenica. Sul verde è tutto un alternarsi continuo di piccoli gazebi dove gufi e civette sono riprodotti nei più svariati materiali: ceramica, ferro, tessuto, vetro...A poca distanza le voliere ospitano alcuni dei nostri amici rapaci che vivono in cattività da tempo anche per ragioni di sopravvivenza. Meraviglioso il barbagianni, altero lo splendido allocco degli Urali ma anche la comune civetta si mostra in tutta la sua bellezza. E tanti tantissimi bimbi. E' una lieve passeggiata tra alberi secolari e le dolci melodie di un arpa ancestrale accompagnano in ogni angolo del parco. Poi guardi il castello e il tempo sembra fermarsi...
"Noi Signore di Milano e Conte di Virtù, Vicario Generale Imperiale, volendo compiacere per speciale grazia i nostri egregi e diletti Signori Giovanni Anguissola e Beatrice Visconti sua consorte, concediamo che nella loro proprietà di Grazzano, nel nostro distretto di Piacenza, possano far costruire liberamente e impunemente una fortificazione quale loro aggradi, nonostante alcuni decreti o nostri ordini emessi in contrario. I mandanti osservino e facciano inviolabilmente osservare questo nostro scritto.
In testimonianza della qualcosa abbiamo disposto che la presente sia compilata registrata e convalidata con il nostro sigillo."
Pavia, 18 febbraio 1395
Con questo manoscritto il duca Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, autorizzava la costruzione del castello di Grazzano. A base quadrata, circondato da un ampio fossato, i torrioni merlati agli angoli, questa rocca si erge vera e autentica. Nei secoli successivi furono apportati numerosi rifacimenti ma perdendo l'iniziale funzione di difesa, iniziò inevitabile il declino e alla fine dell'ottocento era abitato solo da contadini in catapecchie e vecchie stalle.
Nei primi anni del '900 che Giuseppe Visconti di Modrone decide di rivalutarlo consolidando le antiche mura e costruendo il borgo medievale fatto di case, botteghe artigiane e laboratori. Il parco del castello fortemente voluto dall'eclettico duca è inserito di diritto nei Grandi Giardini Italiani e racchiude preziosi stilemi architettonici: ponticelli, fontane, statue impreziosito dalla grande fontana barocca da cui parte la lunga passeggiata che raggiunge il belvedere affacciato sulla campagna piacentina ornato di una statua di Apollo. Ma torniamo ai nostri gufi.
Volano in assoluto silenzio, soprattutto di notte, sfruttando l'oscurità per cacciare. Per questo sono entrati nell'immaginario fantastico di miti e leggende, lasciando segni indelebili in tutte le arti. Nella mitologia greca la civetta rappresentava la dea Atena emblema di saggezza e sapienza, mentre nel culto romano la dea equivalente è Minerva raffigurata talvolta dal gufo come animale sacro. Nella tradizione dei nativi americani il gufo era uno degli animali totemici, simbolo della proiezione astrale per la sua capacità di volare nelle notti prive di luna. Lo stesso aspetto di questi rapaci ha contribuito ad accrescerne il mito: il gufo non può muovere gli occhi ma ha sviluppato la straordinaria capacità di ruotare il collo fino a 270 gradi oltre al caratteristico piumaggio della testa a forma di "occhiali". Questi rapaci hanno un aspetto così elegante che furono illustrati sin dall'antichità. Nelle grotte di Chauvet, nel sud della Francia, è raffigurato un gufo reale ed ha 32.000 anni! Nell'arte ellenica gufi e civette compaiono un pò dappertutto ma si trovano raffigurati anche nelle civiltà precolombiane, come i Maya, in decine di reperti in terracotta utilizzati come oggetti rituali.
Esiste poi nella costellazione dell'Orsa Maggiore un gruppo di stelle nominato "Nebulosa Gufo" per la forma particolare che richiama il simpatico rapace. L'ammasso stellare ha circa 6000 anni ed è stato scoperto da Pierre Méchain nel 1781. Ma al di là degli aspetti culturali e curiosi questi rapaci, appartenenti alla famiglia degli Strigidi, hanno un ruolo fondamentale nell'ecosistema del nostro pianeta e che quindi va protetto e tutelato. In Italia vivono nove specie di rapaci notturni e il gufo reale, con la sua apertura alare di un metro e sessanta, è la specie più grande ma anche più rara. Infatti la sua sopravvivenza è a forte rischio soprattutto a causa dell'uomo, dopo l'abbandono delle pratiche agricole tradizionali a favore di un'agricoltura più moderna e intensiva che ha cambiato profondamente la morfologia delle nostre campagne e montagne.
(fonte Lipu)
Nei primi anni del '900 che Giuseppe Visconti di Modrone decide di rivalutarlo consolidando le antiche mura e costruendo il borgo medievale fatto di case, botteghe artigiane e laboratori. Il parco del castello fortemente voluto dall'eclettico duca è inserito di diritto nei Grandi Giardini Italiani e racchiude preziosi stilemi architettonici: ponticelli, fontane, statue impreziosito dalla grande fontana barocca da cui parte la lunga passeggiata che raggiunge il belvedere affacciato sulla campagna piacentina ornato di una statua di Apollo. Ma torniamo ai nostri gufi.
Volano in assoluto silenzio, soprattutto di notte, sfruttando l'oscurità per cacciare. Per questo sono entrati nell'immaginario fantastico di miti e leggende, lasciando segni indelebili in tutte le arti. Nella mitologia greca la civetta rappresentava la dea Atena emblema di saggezza e sapienza, mentre nel culto romano la dea equivalente è Minerva raffigurata talvolta dal gufo come animale sacro. Nella tradizione dei nativi americani il gufo era uno degli animali totemici, simbolo della proiezione astrale per la sua capacità di volare nelle notti prive di luna. Lo stesso aspetto di questi rapaci ha contribuito ad accrescerne il mito: il gufo non può muovere gli occhi ma ha sviluppato la straordinaria capacità di ruotare il collo fino a 270 gradi oltre al caratteristico piumaggio della testa a forma di "occhiali". Questi rapaci hanno un aspetto così elegante che furono illustrati sin dall'antichità. Nelle grotte di Chauvet, nel sud della Francia, è raffigurato un gufo reale ed ha 32.000 anni! Nell'arte ellenica gufi e civette compaiono un pò dappertutto ma si trovano raffigurati anche nelle civiltà precolombiane, come i Maya, in decine di reperti in terracotta utilizzati come oggetti rituali.
Esiste poi nella costellazione dell'Orsa Maggiore un gruppo di stelle nominato "Nebulosa Gufo" per la forma particolare che richiama il simpatico rapace. L'ammasso stellare ha circa 6000 anni ed è stato scoperto da Pierre Méchain nel 1781. Ma al di là degli aspetti culturali e curiosi questi rapaci, appartenenti alla famiglia degli Strigidi, hanno un ruolo fondamentale nell'ecosistema del nostro pianeta e che quindi va protetto e tutelato. In Italia vivono nove specie di rapaci notturni e il gufo reale, con la sua apertura alare di un metro e sessanta, è la specie più grande ma anche più rara. Infatti la sua sopravvivenza è a forte rischio soprattutto a causa dell'uomo, dopo l'abbandono delle pratiche agricole tradizionali a favore di un'agricoltura più moderna e intensiva che ha cambiato profondamente la morfologia delle nostre campagne e montagne.
(fonte Lipu)
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