venerdì 1 aprile 2016

Grandi Donne: ALFONSINA STRADA, il diavolo in gonnella

Aveva coraggio Alfonsina, tanto coraggio da affrontare i pregiudizi dei primi anni del Novecento. Lei, Alfonsina Morini nasce a Riolo di Castelfranco Emilia il 16 marzo 1891, figlia di povera gente, una famiglia di braccianti analfabeti come tante nell’Italia di fine Ottocento, che certo non asseconda più di tanto quella che ai loro occhi è solo una stranezza della ragazza: il ciclismo. Nei primi anni del Novecento a lei basta correre in competizioni locali, con premi poveri spesso in natura, in sella alla bicicletta, o meglio ad un ferro vecchio abbandonato chissà da chi, che il padre sistema in qualche modo, scandalizzando benevolmente gli appassionati emiliani, che presto la soprannominano il diavolo in gonnella. "Le femmine devono pensare a maritarsi altro che pedalare!", lei però non demorde e si allena lungo la Via Emilia.
A sedici anni Alfonsina, ragazza dal carattere indipendente, prende il treno e va a Torino dove il movimento ciclistico è molto forte e le donne sulle biciclette sono "tollerate". Qui conosce un ciclista famoso di quell'epoca, Carlo Messori che la prende a ben volere, la segue negli allenamenti e le fa da manager. In Piemonte la giovane inizia a correre sul serio, battendo facilmente la famosa star dell’epoca, Giuseppina Carignano e ottenendo il titolo di "miglior ciclista italiana". Sono anni di successi per Alfonsina e nel 1909 va a correre al Grand Prix di Pietroburgo, dove riceve una medaglia direttamente dalle mani dello Zar Nicola II. Due anni dopo a Stupinigi stabilisce il record italiano femminile (ancora ufficioso) dell’ora con 27,192 km. Nel 1911 conquista il record mondiale di velocità femminile, con 37,192 chilometri l'ora, superando quello fissato otto anni prima da Louise Roger. E nella primavera dello stesso anno, un premio di quindici lire le permette il trasferimento a Milano.
E' il 1912 e Alfonsina viene notata da Fabio Orlandini, corrispondente per la Francia della Gazzetta dello Sport, che la raccomanda ad alcuni impresari transalpini. Alfonsina ottiene così un contratto per le gare su pista e nei due anni seguenti gareggia nel Vélodrome Buffalo, nel Vélodrome d'Hiver e al Parco dei Principi ottenendo grande popolarità. Nel frattempo, la giovane incontra Luigi Strada, cesellatore di Azzate. che sposa nel 1915. "Finalmente appenderà al chiodo la bicicletta quella benedetta figliola" sospirano i genitori ma le loro speranze vanno però presto deluse. Luigi si rivela un uomo moderno e di ampie vedute, ama profondamente il ciclismo e il suo regalo di nozze alla sposa è una bicicletta da corsa! Il 24 maggio 1915 però l’Italia entra in guerra e per un paio d’anni molte gare vengono sospese, tuttavia Alfonsina continua a partecipare a corse minori. La grande occasione arriva nove giorni dopo la disfatta di Caporetto, il 2 novembre 1917. Si corre il giro di Lombardia. Gli iscritti sono pochi ma la gara si deve correre lo stesso per dare una sensazione di serenità al paese, come scrive il direttore della Gazzetta dello Sport, Emilio Colombo: "Una gara ciclistica si svolge mentre il nemico, varcato un tratto della patria frontiera, crede con orgoglio offensivo di aver fiaccato ogni energia italiana e di avere la nostra Nazione alla sua mercè..."La giovane si presenta nella redazione per chiedere l’iscrizione al Giro di Lombardia. Poiché risulta tesserata come dilettante di seconda categoria e nessun regolamento lo vieta, Armando Cougnet, sovrintendente alla corsa, dopo le prime perplessità ne autorizza la partecipazione. Alfonsina Morini, ora signora Strada, prende il via con il numero 74, con altri 43 corridori, molti dei quali vere leggende del ciclismo: Philippe Thys, Henri Pélissier, Costante Girardengo e Tano Belloni. E' il 4 novembre 1917. Già dopo il tramonto, dopo 204 chilometri di corsa, assieme a Pietro Sicbaldi e Gino Augè, il diavolo in gonnella arriva al traguardo con un’ora e mezzo di distacco e ultima classificata, ma arriva. Venti corridori, quasi la metà, hanno ceduto e si sono ritirati. Ancora meglio va l’anno successivo. Dopo una brutta caduta, con conseguente abbandono, alla Milano-Modena, Alfonsina è di nuovo al Giro di Lombardia. Dei 36 in partenza in 14 abbandonano, lei invece arriva 21esima concedendosi il lusso di battere allo sprint il comasco Carlo Colombo. E' il 1924: Emilio Colombo, giornalista di razza, intuisce che in una corsa come il Giro d'Italia che, per motivi economici, si presenta priva dei grandi campioni, Alfonsina può rappresentare una inconsueta mossa pubblicitaria e così la iscrive alla gara. Le polemiche sulla partecipazione di Alfonsina sono tante e molti temono che il Giro si possa trasformare in una pagliacciata. 
Nei giorni precedenti al via il nome di Alfonsina non figura nemmeno tra i partecipanti. A tre giorni dalla partenza viene menzionata sulla Gazzetta come Alfonsin Strada di Milano e non si sa se la "a" mancante fosse voluta o solo frutto di un errore tipografico, mentre sulle pagine del Resto del Carlino viene indicata come Alfonsino Strada. Solo alla partenza gli organizzatori chiariscono che si tratta di una donna. Così la notizia si diffonde in tutta Italia tra scalpore, curiosità e scherno. Il Giro è una terribile kermesse di 3.613 km, divisi in dodici terribili tappe intervallate da undici giorni di sosta. Strade per lunghi tratti non asfaltate, da percorrere in sella a biciclette pesanti oltre venti chili e prive di cambio. Capelli scarmigliati e pantaloni alla zuava, Alfonsina deve fare tutto da sola. Le prime quattro tappe sono portate a termine regolarmente, pur con distacchi pesanti: oltre un’ora a Genova, 45 minuti a Roma. E tuttavia la ragazza taglia sempre il traguardo. L’attraversamento della nativa Emilia avviene tra ali di folla osannante, a Firenze è festeggiatissima tra mazzi di fiori e ricevimenti in suo onore, a Roma lo stesso re Vittorio Emanuele III le fa recapitare un grandioso mazzo di rose e una busta contenente ben 5000 lire, stesse scene a Fiume dove giunge dopo 21 ore di sella tra gli applausi e gli abbracci degli spettatori. Nella frazione tra L’Aquila e Perugia c'è un tempo da lupi, con i corridori costretti ad avanzare in un pantano allagato e pieno di buche. Alfonsina cade, si rompe il manubrio che viene sostituito provvidenzialmente da un manico di scopa ma l'incidente le provoca un ritardo abissale e giunge al traguardo fuori tempo massimo. Inizialmente i giudici non vogliono estrometterla dalla corsa ma successivamente si opta per la linea dura. Alfonsina viene esclusa dal Giro ma Emilio Colombo, che ormai ha preso a cuore le sue sorti, decide di farla comunque proseguire, anche se fuori classifica. Alfonsina arriva sino a Milano: su novanta partenti, ben sessanta si sono arresi. Al traguardo nessuno cerca il vincitore Giuseppe Enrici, le attenzioni sono tutte per lei. È un trionfo, è la vera vincitrice della corsa. Guadagna, considerando i premi, 50.000 lire una somma enorme per l'epoca ma la soddisfazione maggiore è quella di avere dimostrato di poter pedalare alla pari con gli uomini. Purtroppo, Alfonsina non correrà più il Giro. Le sfide aperte alla superiorità maschile sono molto poco apprezzate dal regime. Ma la carriera della Regina della pedivella non finisce qui. Si dedica allo spettacolo, pedalando sui rulli e si esibisce persino nei circhi, in acrobazie sulla bici. La Strada vince la bellezza di trentasei gare contro colleghi maschi. Nel 1937 batte la campionessa francese Robin e l’anno dopo, a Parigi Longchamp, conquista il record mondiale femminile dell’ora percorrendo 35,280 km. Rimasta vedova, il 9 dicembre 1950 si risposa con l’amico Carlo Messori, con cui apre un negozio di biciclette con un’annessa officina di riparazione, a Milano che diventa ritrovo per ciclisti, giovani e veterani, e dove persino Fausto Coppi la va spesso a trovare. 
Nel 1956, a sessantacinque anni, corre e vince la sua ultima gara, un circuito per veterani a Nova Milanese. L’anno dopo è di nuovo vedova. Vende parte dei trofei conquistati e compra una splendida Guzzi 500 rossa con la quale continua a seguire le corse ciclistiche. Il 13 settembre 1959 assiste alla partenza della Tre Valli Varesine. Rientrata la sera, si ferma a chiacchierare con la portinaia. Torna poi verso la moto con l’intenzione di parcheggiarla al negozio e poi rincasare in bicicletta, ma la Guzzi proprio non vuole saperne di ripartire. La portinaia la sente premere più volte, con forza, sul pedale d’avviamento e, incuriosita, esce dalla guardiola, giusto in tempo per vederla cadere riversa sul manubrio vittima di un infarto. La corsa verso l’ospedale è inutile. Di lei rimane la memoria leggendaria di una sportiva tenace, coraggiosa e in anticipo sui tempi. Sulla tomba di Alfonsina a Cusano Milanino, una bicicletta di bronzo ricorda una passione per la vita raccontata anche nel bellissimo libro di Paolo Facchinetti "Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada" (Ediciclo, 2004). Alfonsina Strada ha rivendicato, contro il sistema e contro tutti, il diritto alla eguaglianza tra uomo e donna (come sportiva e come persona) e ha vinto perché con il suo coraggio ha reso reale un sogno di parità che prima di allora era impossibile. Se oggi le donne possono affermarsi nello sport come nella vita lo dobbiamo a donne come Alfonsina che non si sono lasciate abbattere da una società ostile, ma che hanno continuato a correre, a correre sempre più veloce, pur di raggiungere i propri sogni.

(brani tratti da Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada)

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