mercoledì 27 aprile 2016

Il 25 aprile ai Giardini di Belfiore di Mantova

Nuvoloni minacciosi, ululati di vento, pioggia e fulmini non sono decisamente il miglior preludio per preparare un pic-nic a sole ventiquattro ore di distanza. Guardi con tono supplichevole il meteo: una sfera di sole sembra voler sorridere dal monitor e tanto basta per organizzare le macchine, riempirle all'inverosimile e sperare in un mattino colorato d'azzurro. Quale magico arcano sia stato evocato questo non lo so proprio dire, ma sta di fatto che le luci del venticinquesimo giorno di aprile si aprono col più bello dei sorrisi.
I giardini di Belfiore odorano ancora di pioggia notturna al nostro arrivo, l'erba inumidisce le scarpe mentre organizziamo la nostra area, tra plaid e aquiloni, lasciando alle spalle le placide rive del Lago Superiore. Il sole, prima timido, prende via via forza in vicinanza del mezzodì. Sulla griglia rosseggiano le braci, le salamelle vengono diligentemente allineate tra morbidi panini e buon vino d'annata e in contemporanea ecco l'arrivo festoso delle partecipanti non più imbrigliate tra le quattro mure di un ristorante ma felici di bighellonare liberamente in questo cuore verde di Mantova. L'odore delle salamelle riempe l'aria tra chiacchiere e risate, poi apriamo lo "scrigno" dei giochi affondando a piene mani nella tradizione: la corsa dei sacchi, quella dell'ubriaco, per finire con il tiro alla fune tra divertenti ruzzoloni sull'erba e urla di orgogliosa vittoria. La giornata scema dolcemente verso le ore tarde del pomeriggio...

martedì 12 aprile 2016

Il Sentiero del Ponale (domenica 10 aprile)

Il Garda oggi è mosso, particolarmente mosso e questo fa la gioia di windsurf e vele che solcano veloci il grande lago. Dall'alto del sentiero osservi l'agitare di spiriti ventosi, il librarsi tra affondi e risalite spumeggianti, dall'alto il Garda è una fantastica tavola blu. L'escursione di oggi è sostanzialmente una camminata che esalta la bellezza paesaggistica di questa parte dell'alto Garda, la parte trentina, con i suoi panorami mozzafiato.
Il sentiero del Ponale inizia immettendosi alla destra della nuova galleria sulla gardesana, dal centro di Riva del Garda in direzione di Limone, dopo aver oltrepassato l'imponente centrale idroelettrica realizzata negli anni Venti dall'architetto Giancarlo Maroni, progettista anche del Vittoriale di Gabriele d'Annunzio. La vecchia strada che anticamente congiungeva Riva con la valle di Ledro fu fortemente voluta da Giacomo Cis di Bezzecca, un agiato imprenditore che ideò questo progetto per togliere la vallata dall'isolamento secolare a cui era stata costretta dovuta alla mancanza di strade carrabili. Iniziati nel 1848 i lavori richiesero tre anni. Il sentiero del Ponale si presenta sterrato nella parte iniziale con una serie di gallerie scavate nella roccia calcarea del Monte Oro e della Rocchetta e con vertiginosi strapiombi sulle acque gardesane. La salita è costante ma con moderata pendenza adatta quindi ad ogni tipo di passo. Le soste invece sono infinite visto le eccezionali prospettive che si aprono ad ogni uscita da un anfratto o dopo una curva tortuosa e lungo il cammino una vegetazione rada, quasi mediterranea caratterizzata da lecci e cipressi, riesce a ritagliarsi spazi tra rocce a picco sullo specchio d'acqua sottostante.
 Lungo il tracciato ci si imbatte nella massiccia presenza di fortificazioni austro-ungariche costituite da un dedalo di corridoi e trincee scavate sopra il lago di Garda denominate forte Teodosio o Tagliata del Ponale. A quanto si legge questo eccezionale comprensorio militare, costruito intorno al 1860, venne ulteriormente rinforzato a ridosso della Grande Guerra. Si sale sempre più in alto, prestando attenzione ai numerosissimi bikers che scendono veloci, e raggiungiamo il curvone della Fonte dello Sperone con una visione incantevole del Benaco mentre a destra del tracciato si erge una torre del vecchio acquedotto "Riva", costruito nel 1877 ed ora in disuso. Nel bel mezzo della spettacolare serpentina del sentiero, poco prima del punto in cui il tracciato si biforca verso le due vecchie lingue d'asfalto (una sale verso Ledro mentre l'altra si alza in direzione di Pregasina) troviamo l'antico ristorante Belvedere, con una vertiginosa balconata in verticale sul lago a ovest e sulla gola del torrente Ponale a sud. Inaugurato nel lontano 1900 dalla famiglia Toniatti, dopo essere stato popolarissimo per mezzo secolo negli anni Sessanta venne abbandonato riducendosi a rudere, e solo dopo un accurato recupero, riaperto nel 2014.  Oltrepassiamo il ponte dove la valle di  Ledro va a congiungersi con il Garda e decidiamo di salire lungo l'antica stradale in direzione di Pregasina con spettacolari tornanti che attraversano brevi boschi sino a raggiungere la balconata del piccolo centro abitato in cui si erge l'imponente statua dedicata alla "Regina Mundi", opera dello scultore trentino Silvio Bottes. Il ritorno avviene sulla stessa strada, il silenzio nel frattempo si è riappropriato della montagna mentre si fa largo l'imbrunire...


PARTENZA: Riva del Garda
(mt 65)
SEGNAVIA: D01
DIFFICOLTA': T
DISLIVELLO: mt 460
ALTITUDINE: mt 536 (Pregasina)
LUNGHEZZA: km 12

lunedì 4 aprile 2016

Altopiano di Cariadeghe in Val Sabbia (domenica 3 aprile)

Salire la montagna, solcare i sentieri protesi verso la breve sommità dei mille metri oppure arrancare lungo le dorsali delle grandi vette. Salire la montagna, dove fatica e sudore si fondono nello sforzo verso l'alto. La meta di oggi è lo splendido altopiano di Cariadeghe, una conformazione unica nel paesaggio delle prealpi bresciane, dovuta alla particolare morfologia carsica che ha prodotto una fitta ragnatela di grotte naturali anticamente usate come ghiacciaie. E' una domenica perfetta, anche dal punto di vista meteorologico, e dalla bassa bresciana ci si inerpica verso Serle nel cuore della Val Sabbia, spingendosi oltre località Villa sino a raggiungere il Rifugio degli Alpini a quota 700 metri. Da qui una serie di sentieri che si snodano lungo l'intero altopiano e attraversano ampi faggeti con morbide pendenze. Noi optiamo per il sentiero degli Omber, punteggiato da cave naturali e depressioni del terreno come il Bus del Zèl, e superato un grande stagno paradiso di docili rospi, attraversiamo di buon passo un rado manto boschivo, sfociando poi su una carrareccia da cui si raggiungono i prati della Cascina del Comune a 894 metri.
A lato del rustico fabbricato, un bellissimo faggio fa da scenografia alle nostre foto di gruppo. La segnaletica bianco-rossa del sentiero 3 svolta a sinistra, in direzione del Monte Ucia (mt 1168) la cima più alta dell'altopiano. Qui il sentiero si restringe decisamente, rientriamo nella boscaglia abbracciate dai raggi solari. Una netta rottura di pendenza caratterizza questa parte del tracciato ma in capo ad un'ora e mezza di cammino raggiungiamo la cima. Il panorama è "sporcato" da una fitta foschia ma si possono ugualmente ammirare le sottostanti vallate di Caino e Vallio intravedendo in lontananza anche il lago di Garda. Visto l'orario la pausa è più che doverosa e da uno zaino spuntano quasi per magia pane casareccio e salame nostrano per tutto il gruppo! Dopo la sosta si riprende il cammino scendendo lungo il sentiero 1 che delimita l'altopiano dalle vallate valsabbine, percorso che ci porta nella boscosa zona del Ruchì e da qui, attraverso una comoda mulattiera, nuovamente al rifugio, base di partenza. A maggior ragione non si può non salire al Monastero di San Bartolomeo (oggi purtroppo chiuso) che sorge sul Monte Orsino a quota 933 metri, monastero fondato nel 1039 dal vescovo bresciano Olderico I e da cui si gode un panorama fantastico. Ma è ora di tornare...


PARTENZA: Rifugio degli Alpini di Serle (BS), mt 700
SEGNAVIA: Sentiero degli Omber
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 450
ALTITUDINE: mt 1168
LUNGHEZZA: km 9

venerdì 1 aprile 2016

Grandi Donne: ALFONSINA STRADA, il diavolo in gonnella

Aveva coraggio Alfonsina, tanto coraggio da affrontare i pregiudizi dei primi anni del Novecento. Lei, Alfonsina Morini nasce a Riolo di Castelfranco Emilia il 16 marzo 1891, figlia di povera gente, una famiglia di braccianti analfabeti come tante nell’Italia di fine Ottocento, che certo non asseconda più di tanto quella che ai loro occhi è solo una stranezza della ragazza: il ciclismo. Nei primi anni del Novecento a lei basta correre in competizioni locali, con premi poveri spesso in natura, in sella alla bicicletta, o meglio ad un ferro vecchio abbandonato chissà da chi, che il padre sistema in qualche modo, scandalizzando benevolmente gli appassionati emiliani, che presto la soprannominano il diavolo in gonnella. "Le femmine devono pensare a maritarsi altro che pedalare!", lei però non demorde e si allena lungo la Via Emilia.
A sedici anni Alfonsina, ragazza dal carattere indipendente, prende il treno e va a Torino dove il movimento ciclistico è molto forte e le donne sulle biciclette sono "tollerate". Qui conosce un ciclista famoso di quell'epoca, Carlo Messori che la prende a ben volere, la segue negli allenamenti e le fa da manager. In Piemonte la giovane inizia a correre sul serio, battendo facilmente la famosa star dell’epoca, Giuseppina Carignano e ottenendo il titolo di "miglior ciclista italiana". Sono anni di successi per Alfonsina e nel 1909 va a correre al Grand Prix di Pietroburgo, dove riceve una medaglia direttamente dalle mani dello Zar Nicola II. Due anni dopo a Stupinigi stabilisce il record italiano femminile (ancora ufficioso) dell’ora con 27,192 km. Nel 1911 conquista il record mondiale di velocità femminile, con 37,192 chilometri l'ora, superando quello fissato otto anni prima da Louise Roger. E nella primavera dello stesso anno, un premio di quindici lire le permette il trasferimento a Milano.
E' il 1912 e Alfonsina viene notata da Fabio Orlandini, corrispondente per la Francia della Gazzetta dello Sport, che la raccomanda ad alcuni impresari transalpini. Alfonsina ottiene così un contratto per le gare su pista e nei due anni seguenti gareggia nel Vélodrome Buffalo, nel Vélodrome d'Hiver e al Parco dei Principi ottenendo grande popolarità. Nel frattempo, la giovane incontra Luigi Strada, cesellatore di Azzate. che sposa nel 1915. "Finalmente appenderà al chiodo la bicicletta quella benedetta figliola" sospirano i genitori ma le loro speranze vanno però presto deluse. Luigi si rivela un uomo moderno e di ampie vedute, ama profondamente il ciclismo e il suo regalo di nozze alla sposa è una bicicletta da corsa! Il 24 maggio 1915 però l’Italia entra in guerra e per un paio d’anni molte gare vengono sospese, tuttavia Alfonsina continua a partecipare a corse minori. La grande occasione arriva nove giorni dopo la disfatta di Caporetto, il 2 novembre 1917. Si corre il giro di Lombardia. Gli iscritti sono pochi ma la gara si deve correre lo stesso per dare una sensazione di serenità al paese, come scrive il direttore della Gazzetta dello Sport, Emilio Colombo: "Una gara ciclistica si svolge mentre il nemico, varcato un tratto della patria frontiera, crede con orgoglio offensivo di aver fiaccato ogni energia italiana e di avere la nostra Nazione alla sua mercè..."La giovane si presenta nella redazione per chiedere l’iscrizione al Giro di Lombardia. Poiché risulta tesserata come dilettante di seconda categoria e nessun regolamento lo vieta, Armando Cougnet, sovrintendente alla corsa, dopo le prime perplessità ne autorizza la partecipazione. Alfonsina Morini, ora signora Strada, prende il via con il numero 74, con altri 43 corridori, molti dei quali vere leggende del ciclismo: Philippe Thys, Henri Pélissier, Costante Girardengo e Tano Belloni. E' il 4 novembre 1917. Già dopo il tramonto, dopo 204 chilometri di corsa, assieme a Pietro Sicbaldi e Gino Augè, il diavolo in gonnella arriva al traguardo con un’ora e mezzo di distacco e ultima classificata, ma arriva. Venti corridori, quasi la metà, hanno ceduto e si sono ritirati. Ancora meglio va l’anno successivo. Dopo una brutta caduta, con conseguente abbandono, alla Milano-Modena, Alfonsina è di nuovo al Giro di Lombardia. Dei 36 in partenza in 14 abbandonano, lei invece arriva 21esima concedendosi il lusso di battere allo sprint il comasco Carlo Colombo. E' il 1924: Emilio Colombo, giornalista di razza, intuisce che in una corsa come il Giro d'Italia che, per motivi economici, si presenta priva dei grandi campioni, Alfonsina può rappresentare una inconsueta mossa pubblicitaria e così la iscrive alla gara. Le polemiche sulla partecipazione di Alfonsina sono tante e molti temono che il Giro si possa trasformare in una pagliacciata. 
Nei giorni precedenti al via il nome di Alfonsina non figura nemmeno tra i partecipanti. A tre giorni dalla partenza viene menzionata sulla Gazzetta come Alfonsin Strada di Milano e non si sa se la "a" mancante fosse voluta o solo frutto di un errore tipografico, mentre sulle pagine del Resto del Carlino viene indicata come Alfonsino Strada. Solo alla partenza gli organizzatori chiariscono che si tratta di una donna. Così la notizia si diffonde in tutta Italia tra scalpore, curiosità e scherno. Il Giro è una terribile kermesse di 3.613 km, divisi in dodici terribili tappe intervallate da undici giorni di sosta. Strade per lunghi tratti non asfaltate, da percorrere in sella a biciclette pesanti oltre venti chili e prive di cambio. Capelli scarmigliati e pantaloni alla zuava, Alfonsina deve fare tutto da sola. Le prime quattro tappe sono portate a termine regolarmente, pur con distacchi pesanti: oltre un’ora a Genova, 45 minuti a Roma. E tuttavia la ragazza taglia sempre il traguardo. L’attraversamento della nativa Emilia avviene tra ali di folla osannante, a Firenze è festeggiatissima tra mazzi di fiori e ricevimenti in suo onore, a Roma lo stesso re Vittorio Emanuele III le fa recapitare un grandioso mazzo di rose e una busta contenente ben 5000 lire, stesse scene a Fiume dove giunge dopo 21 ore di sella tra gli applausi e gli abbracci degli spettatori. Nella frazione tra L’Aquila e Perugia c'è un tempo da lupi, con i corridori costretti ad avanzare in un pantano allagato e pieno di buche. Alfonsina cade, si rompe il manubrio che viene sostituito provvidenzialmente da un manico di scopa ma l'incidente le provoca un ritardo abissale e giunge al traguardo fuori tempo massimo. Inizialmente i giudici non vogliono estrometterla dalla corsa ma successivamente si opta per la linea dura. Alfonsina viene esclusa dal Giro ma Emilio Colombo, che ormai ha preso a cuore le sue sorti, decide di farla comunque proseguire, anche se fuori classifica. Alfonsina arriva sino a Milano: su novanta partenti, ben sessanta si sono arresi. Al traguardo nessuno cerca il vincitore Giuseppe Enrici, le attenzioni sono tutte per lei. È un trionfo, è la vera vincitrice della corsa. Guadagna, considerando i premi, 50.000 lire una somma enorme per l'epoca ma la soddisfazione maggiore è quella di avere dimostrato di poter pedalare alla pari con gli uomini. Purtroppo, Alfonsina non correrà più il Giro. Le sfide aperte alla superiorità maschile sono molto poco apprezzate dal regime. Ma la carriera della Regina della pedivella non finisce qui. Si dedica allo spettacolo, pedalando sui rulli e si esibisce persino nei circhi, in acrobazie sulla bici. La Strada vince la bellezza di trentasei gare contro colleghi maschi. Nel 1937 batte la campionessa francese Robin e l’anno dopo, a Parigi Longchamp, conquista il record mondiale femminile dell’ora percorrendo 35,280 km. Rimasta vedova, il 9 dicembre 1950 si risposa con l’amico Carlo Messori, con cui apre un negozio di biciclette con un’annessa officina di riparazione, a Milano che diventa ritrovo per ciclisti, giovani e veterani, e dove persino Fausto Coppi la va spesso a trovare. 
Nel 1956, a sessantacinque anni, corre e vince la sua ultima gara, un circuito per veterani a Nova Milanese. L’anno dopo è di nuovo vedova. Vende parte dei trofei conquistati e compra una splendida Guzzi 500 rossa con la quale continua a seguire le corse ciclistiche. Il 13 settembre 1959 assiste alla partenza della Tre Valli Varesine. Rientrata la sera, si ferma a chiacchierare con la portinaia. Torna poi verso la moto con l’intenzione di parcheggiarla al negozio e poi rincasare in bicicletta, ma la Guzzi proprio non vuole saperne di ripartire. La portinaia la sente premere più volte, con forza, sul pedale d’avviamento e, incuriosita, esce dalla guardiola, giusto in tempo per vederla cadere riversa sul manubrio vittima di un infarto. La corsa verso l’ospedale è inutile. Di lei rimane la memoria leggendaria di una sportiva tenace, coraggiosa e in anticipo sui tempi. Sulla tomba di Alfonsina a Cusano Milanino, una bicicletta di bronzo ricorda una passione per la vita raccontata anche nel bellissimo libro di Paolo Facchinetti "Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada" (Ediciclo, 2004). Alfonsina Strada ha rivendicato, contro il sistema e contro tutti, il diritto alla eguaglianza tra uomo e donna (come sportiva e come persona) e ha vinto perché con il suo coraggio ha reso reale un sogno di parità che prima di allora era impossibile. Se oggi le donne possono affermarsi nello sport come nella vita lo dobbiamo a donne come Alfonsina che non si sono lasciate abbattere da una società ostile, ma che hanno continuato a correre, a correre sempre più veloce, pur di raggiungere i propri sogni.

(brani tratti da Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada)