martedì 30 aprile 2013

I dieci capitelli di Soave (25 aprile)


Le marmotte si sono date appuntamento giovedì 25 aprile nella terra del Soave, il vino bianco italiano per eccellenza, fiduciose in qualche benevolo raggio solare dopo le grandi secchiate d'acqua dispensateci da Giove Pluvio. E la meta è nel cuore dei vigneti veronesi, sterminati filari che si perdono tra le morbidi coste collinari del territorio della Lessinia. Il sentiero dei Dieci Capitelli, ovvero le edicole votive poste lungo il cammino a testimonianza del credo appassionato di un mondo agreste ancorato alla terra dura ma da cui germoglia la speranza, è un itinerario circolare lungo quasi 10 chilometri e si snoda tra Soave e Monteforte d'Alpone. Zaino in spalla allora, e con la voglia di conciliare risate, chiacchiere e molto molto sudore, mantenendo a destra il castello scaligero, l'allegra comitiva imbocca la salitella incontrando dopo un solo chilometro il primo capitello dedicato a San Vincenzo Ferreri (il n°5). Ma è il paesaggio a bloccare il nostro cammino. Lo scenario si perde tra vitigni che tratteggiano la regione e sfuma nella foschia delineando percettibilmente la linea lontana degli Appennini. Le parole contrassegnano i nostri passi ed è un musicare quasi irrispettoso al placido silenzio della collina, poi al successivo dislivello il gruppo lentamente si snocciola e le ragazze iniziano a misurarsi con i fiati e le prime sorsate d'acqua replicando in qualche modo ad una calura che inizia a proporsi quasi feroce. Via via lasciamo dietro di noi i successivi tempietti (bello il nono quello di fine '800 il Regina Pacis) e il chiaro sentiero degrada verso Monteforte dove mute case ci accompagnano nel cuore del paese in cui troneggia l'ottocentesca Chiesa di Santa Maria Maggiore. Sarà la fame o chissà quale altra strana alchimia ma le marmotte riacquistano velocità prendendo allegramente d'assalto il tranquillo giardino adiacente alla casa di riposo dove le nostre ganasce fanno rima con gusti e profumi trasportati in spalla sino a quel momento, un vero trionfo di verdure, salumi e formaggi!
Dopo la canonica sosta caffè, ripartendo da piazza Venturi, ci addentriamo nella stradina che collega la Val Ponsara con la Valle dell'Acqua. Limitando le curve dei colli veneti il gruppo schiamazza variamente, poi il falsiopiano s'impenna e ora la salita si fa dura. Su su sempre più su, andando in debito d'ossigeno e offrendo le spalle ad una palla di fuoco incredibilmente rovente, sino a raggiungere il Capitel del Foscarin ai piedi di un costone brullo, il più elevato della zona (mt. 201) mitigato solo dalle fronde vivaci dei numerosi ulivi. Le gambe segnano i ritmi, qualcuna ti guarda supplicante, altre testa bassa avanzano imperiose, arriva velatamente qualche "non c'è la faccio più". Lo strappo c'è e si sente ma al suo culmine finalmente scema leggero, lasciamo il quarto capitello Regina Coeli e imboccando l'ultimo tratto del percorso cogliamo in lontananza il profilo dominante del castello di Soave e sul litorale una linea di ciliegi che fiancheggiano la mulattiera. Il gruppo ritrova forza, una foto di gruppo quasi obbligata ma ahimè non composta nell'agitazione delle partecipanti. La monumentale opera fortificata che segna il cielo azzurro merita un piccolo sforzo! Entrando dal ponte levatoio protetto da una torre possente detta di San Giorgio respiriamo l'aria della Storia. Il castello, uno dei migliori esempi di struttura castellana del Medioevo, è stato per secoli teatro di aspri scontri e battaglie ed ora è di proprietà della famiglia Camuzzoni che lo ha riportato, dopo un periodo di abbandono, all'antico splendore. Dal bellissimo mastio si gode il più bel panorama dei Monti Lessini. I click sfuggono al controllo, le gambe magari scricchiolano paurosamente ma in tutte le marmotte la fatica ha lasciato il posto al sorriso. E dopo un'indovinatissima puntatina in un'enoteca dove "il vino è la poesia della terra" a detta della penna arguta di Mario Soldati, tutte alla trattoria "Alla Rocca" famosa per i suoi bigoli casalinghi e la squisita cordialità!

martedì 16 aprile 2013

Sui Monti Berici! (14 aprile)

Domenica 14 aprile ci siamo ritrovate con le ragazze di "Pianetacuore", organizzatrici della camminata, in Val Liona (Monti Berici) nel vicentino per condividere la prima vera sgambata primaverile. Zaini e scarponcini in bella mostra, sorrisi smaglianti e il calore di un sole per nulla avaro nel dispensare i propri raggi e siamo subito in marcia. Dalla bella piazzetta di Villa del Ferro il festoso gruppetto di donne s'inerpica sulla stradina incontrando gioiellini architettonici quale Villa Custozza-Lazzarini, pregevole esempio seicentesco, e ancor più in alto l'attenzione si posa su Villa Giacometti, struttura di gusto tardo gotico. Seguendo la direttiva che porta verso Fontana della Villa, importante sorgente che alimenta tutta la borgata e le corti  circostanti ecco sul limitare della curva la segnaletica bianco-rossa del sentiero 51, un anello tracciato tra prati e boschi, lungo poco più di 6 chilometri e con un dislivello di oltre 200 metri. Il paesaggio della piana è emozionante e lo sguardo va a perdersi nella vastità dei filari vitigni che si estendono a macchia d'olio. La camminata procede fra qualche sosta (le case rurali sono un'incredibile scoperta!) e tante chiacchiere, poi d'improvviso il sentiero sfora in un bel tratto pianeggiante in cui troneggia imponente una antica pianta di rovere, e mentre polmoni e piedi di alcune donzelle ringraziano festanti, ecco apparire la chiesetta di San Lorenzo, nota come la Cesòla, che nonostante il massiccio intervento di restauro mantiene i tratti tipici degli antichi oratori romanici, molto presenti sui Berici.
Il percorso snocciola via via il gruppetto con pause obbligate come quella all'antica edicola sulla Via Carbonarola, con una pregevole Madonna col bambino iscrivibile al Cinquecento, per poi impegnare seccamente una parabola a sinistra abbandonando così la sede stradale e impegnando una campestre con cui si guadagna quota. E' il bosco a farla da padrone inframmentizzato da prati verdeggianti invasi da una esplosione di colori! Il sole brilla alto nel cielo e lo stomaco comincia a protestare, e la vivace supplica delle partecipanti porta saggezza nonchè senso pratico alle capicordata di Pianetacuore pronte a far virare tutto il gruppo verso la locanda Botteghino Risorto, locale ricavato da un vecchio cascinale e già meta di villeggianti sin dai primi del Novecento. Al fresco delle sue salette facciamo festa ai sapori dei piatti tradizionali della cucina vicentina (fantastico il risotto agli asparagi selvatici). E' l'ora del ritorno. Nuovamente immerse nel cuore del bosco, e con qualche breve affanno da crampi e acido lattico, il baldo gruppo di esploratrici riprende il cammino che ci riporta al punto di partenza. E come per incanto l'apparizione di salumi e formaggi riesce a strappare risate a tutte le presenti.

venerdì 12 aprile 2013

Tete à tete: passioni stonate

Una coppia inedita alle prese con monologhi piccoli piccoli e canzoni scapigliate in cui larghi sorrisi si alternano a momenti di riflessione. Veronica Pivetti si è messa in gioco: talento, ironia e grande esuberanza assecondata dalla leggerezza del pianoforte di Alessandro Nidi, funambolico musicista e compositore parmigiano. Sceneggiatura leggera, scelte musicali accattivanti, versatilità e ritrovato istrionismo dell'attrice milanese, in splendida forma dopo il doloroso tunnel della depressione raccontato con cruda sincerità nel suo libro "Ho smesso di piangere", è il proscenio di una scommessa teatrale vincente ! TETE A TETE: PASSIONI STONATE diventa itinerante pretesto fra fantasie musicate e ironici graffi linguistici per raccontare in fondo la stessa cosa: i guai del cuore. Veronica prende per mano lo spettatore trascinandolo in un gioioso vortice musicale, frenetico nel suo incedere scenico e brillante nell'uso azzeccatissimo dei tagli di luce per arrivare all'esaltazione di testi d'autore e così la cruda ballata firmata Brecht-Weill, bloccata da un lampo abbagliante che precipita  dall'alto, si alterna alla mimica graziosa di una gemma d'antan quale Parlami d'amore Mariù, la bellissima Via Broletto 34 di Sergio Endrigo ci accompagna nel realismo tragico di un amore concluso per poi passare la mano ai tratti nostalgici di Parigi di Paolo
Conte, punteggiando qua e là le iteriazioni recitative con accenni musicali di atmosfere romane o con le fugaci introduzioni sgrammaticali del Jannacci prima maniera. Le note si alternano in perfetta simbiosi con l'azione teatrale e Veronica, padrona della sua enfasi mimica riesce a far esplodere tutti gli stati d'animo, e rabbia, passione, nostalgia, desiderio si fondono creando una perfetta armonia resa ancora più profonda e autentica dal timbro vocale della Pivetti, viscerale e quasi graffiante, che ci fa piacevolmente riscoprire un'attrice di razza. Una performance interpretativa senza inutili fraseggi, senza attimi di respiro, che ha trascinato tutto il pubblico presente, noi comprese, in un appassionato applauso strameritato!

lunedì 8 aprile 2013

Giuseppe De Nittis a Padova - 7 aprile

Padova diventa ideale palcoscenico di un'eccezionale evento culturale. Palazzo Zabarella ospita la bellezza pittorica di Giuseppe De Nittis, il più grande insieme a Giovanni Boldini degli Italiens de Paris. Forte di ben 120 capolavori provenienti dai più prestigiosi musei e da importanti collezioni private, allestiti nelle sale del bel palazzo settecentesco sito nel cuore della città patavina, la mostra riconosce la grandezza di un pittore che ancor oggi incanta e seduce nella sua gioiosa evoluzione cromatica affiancando efficacemente, pur nella diversità del linguaggio pittorico, i temi cari dei Degas, dei Manet e degli Impressionisti che animavano la scena francese della Seconda Repubblica, la cosiddetta pittura en plein air, capace di cogliere e trasportare sulla tela le sfumature più remote sino ad arrivare all'essenza stessa delle cose. De Nittis giocava con questa rappresentazione moderna raccontandola, nella sua unicità, in quelle che erano le due capitali dell'arte e della mondanità di metà Ottocento: Parigi e Londra. Le sue composizioni ci riportano una società in rapido cambiamento, la vita frenetica dei boulevard, le passeggiate nei grandi parchi, il vitalismo degli ippodromi e la frivolezze dei salotti. "A volte, felice, restavo sotto gli improvvisi acquazzoni. Perchè, credetemi, l'atmosfera io la conosco bene e l'ho dipinta tante volte. Conosco tutti i colori, tutti i segreti dell'aria e del cielo nella loro intima natura"  scrive nel suo diario ed è una riflessione che ben si adatta ad uno spirito fatto di slanci emozionali favoriti dalle veloci pennellate con cui fissava, quasi fotograficamente, i colori e che solo la morte improvvisa, nel 1884, riuscì dolorosamente a troncare. La condivisione di atmosfere lontane nel tempo ma d'innegabile fascino, colori gioiosi ed insieme intensi di un mondo che non aveva ancora sentore dei futuri drammatici corsi della Storia.