domenica 28 luglio 2024

Zaino in spalla lungo la Val Grande (Valcamonica) - sabato 27 luglio

La bellissima Val Grande si "apre" dietro l’abitato di Vezza, prosegue per oltre venti chilometri fino a giungere all’imponente ghiacciaio di Pietra Rossa a 3212 metri ed è percorsa dal torrente omonimo che poi va a sfociare nell'Oglio. E' la più lunga delle valli camune dalla peculiare conformazione perché va ad estendersi in modo pianeggiante e singolarmente ampio all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio. Negli ultimi anni è diventata luogo privilegiato per gli ungulati che, durante la stagione degli amori fra settembre e ottobre, scorrazzano lungo i costoni erbosi, ma non mancano gli altri animali tipici della fauna alpina d’alta montagna, qui particolarmente protetta. Si possono udire i fischi delle marmotte, intravedere i simpatici musetti di scoiattoli ed ermellini. Non mancano volpi, lepri, ricci, ghiri e faine, più rari sono tassi e donnole. Se poi si presta attenzione si ascolta il melodioso cinguettio delle numerose famiglie di uccelli di piccole dimensioni dalle forme e dai colori più svariati e sgargianti. Non mancano il francolino di monte, la poiana, lo sparviero, il gufo e la pernice bianca e molti rapaci. Su tutti domina in alto nel cielo il volo della maestosa aquila reale e da qualche tempo è possibile avvistare anche il gipeto. E una moltitudine di farfalle! Una vera riserva naturale da vivere e ammirare nelle sue mille sfaccettature.
La Val Grande ha due accessi principali: da Grano e da Tù, entrambe frazioni di Vezza. In questo articolo è descritto l’itinerario da Grano per la maggior varietà di paesaggi che si incontrano nella prima parte dell’escursione ma, in ogni caso, 
anche la camminata da Tù merita assolutamente.
Da Piazza 4 luglio 1866, centro del piccolo e caratteristico borgo di Vezza d’Oglio, si supera il ponte sul torrente Grande seguendo le indicazioni per Grano. Una volta parcheggiato in località Rosolina (mt 1325), si imbocca una strada a fondo di cemento e pietre. Dopo una decina di minuti di cammino incontriamo le prime baite in località Vartighera (mt 1380) e successivamente incontriamo il torrente Grande, con la nuova diga della centrale idroelettrica (ultimata alla fine dell’estate 2017), e arriviamo in località Plasabus dove è presente un pannello del parco (mt 1414). Proseguendo, al bivio in località “Le Roche” (mt 1464) incontriamo la strada acciottolata proveniente da Tù e la strada diventa unica. Entriamo per un breve tratto nel bosco. Si prosegue su fondo che alterna tratti sterrati a tratti acciottolati. 
Qui la pendenza aumenta leggermente e, al termine della breve salita raggiungiamo la Locanda della Val Grande in località Scudeler. Alla locanda ci fermeremo nel ritorno. Superiamo degli splendidi cavalli al pascolo e successivamente delle rovine di antiche costruzioni, i Cüciarei. Lo scenario cambia, la valle si apre sempre di più e il corso del torrente Grande, gonfio d'acqua, accompagna i nostri passi mentre raggiungiamo una piccola chiesa, la Chiesetta di Carèt a 1726 metri, che ricorda quelle del Far-West. Superato anche lo chalet Bramito, adagiato su un bel pascolo pianeggiante, in lontananza a quota 1785 metri vediamo stagliarsi la bianca sagoma di Malga Val Grande dove viene prodotto formaggio tipico. 
Si può proseguire oltre in direzione del bivacco Occhi situato in località Plas de l’Asen (mt 2047). 
Il ritorno avviene lungo il percorso di salita.


PARTENZA: località Rosolina (mt 1325)
SEGNAVIA: Cai 102
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 460
ALTITUDINE: mt 1785
LUNGHEZZA: km 11

lunedì 15 luglio 2024

Claude Monet a Padova - sabato 13 luglio

Capita a volte che una selezione di opere di un famoso museo internazionale si sposti in blocco per realizzare in Italia una mostra con i capolavori provenienti da quella sola sede museale, sottolineando generalmente il concetto e la straordinarietà dell’evento già nel titolo stesso, che vede il ripetersi dell’ormai usuale formula “Capolavori da... ” seguito dal celebre museo prestatore di turno. Un’operazione condivisibile o meno che tuttavia dà la possibilità di ammirare in Italia capolavori di importanti musei stranieri senza andare all’estero. E ora si ripropone questo modello a Padova con la mostra Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet di Parigi nel penultimo giorno di apertura al Centro Culturale Altinate San Gaetano, curato da Sylvie Carlier, direttrice delle collezioni del Musée Marmottan Monet.
In occasione della mostra padovana sono arrivati in Italia sessanta capolavori del museo che custodisce la più grande raccolta al mondo delle tele di Claude Monet per raccontare le varie tappe della ricerca artistica del pittore, dagli esordi ai suoi soggiorni in Olanda, in Norvegia e a Londra, fino a giungere alle sue grandi tele con le Ninfee e i Glicini. Si ha modo di ripercorrere, attraverso le sei sezioni espositive, i momenti fondamentali della produzione del maestro dell’Impressionismo nell’anno in cui ricorrono i 150 anni dalla nascita del movimento francese, ovvero da quella prima mostra impressionista che si tenne a Parigi, nello studio del fotografo Félix Nadar, al numero 35 del Boulevard des Capucines, il 15 aprile 1874. E di osservare da vicino molte delle opere che lo stesso Monet custodì gelosamente, senza volersene mai separare, nella sua casa di Giverny fino alla sua scomparsa. 
La mostra di Padova si apre con il Ritratto di Michel Monet realizzato nel 1880 quando il figlio Michel aveva solo due anni e mezzo. È invece del 1867 il ritratto qui esposto di un giovane Claude Monet realizzato dal pittore Carolus-Duran come anche il ritratto sempre qui esposto che Pierre-Auguste Renoir fa a Monet mentre legge il quotidiano L’Événement e fuma la pipa o ancora il ritratto che Gilbert Alexandre de Séverac compie di un Monet ventiquattrenne limitando la gamma cromatica ai toni del marrone su sfondo neutro. Per raccontare la pittura di Claude Monet non si può non parlare della luce con i suoi riflessi che inonda i paesaggi impressionisti, insita nei quadri che il pittore realizza all’aria aperta, quella luce unica che viene trasposta dalla natura alla tela, considerando che non vengono rappresentati i colori reali, bensì l’interpretazione di essi a seconda della luce qui ben testimoniato nel dipinto La spiaggia di Trouville che Monet realizzò nell’estate del 1870. Qui Monet  si concentra soprattutto sugli effetti della luce tra cielo e mare nonché sullo studio della pittura en plein air, per cui tutto ciò che è in secondo piano risulta meno definito rispetto a ciò che sta in primo piano e Il treno nella neve. La locomotiva del 1875 realizzato ad Argenteuil. Vedute invernali che permettono al pittore di misurarsi con nuovi effetti di luce e di contrasto, evidenziando le sue doti di colorista. 
Si susseguono quindi sotto i nostri occhi La spiaggia di Pourville, sole al tramonto in cui il pittore rende le variazioni della luce e del sole al tramonto che riflettono sul mare, sulla spiaggia, sulle scogliere e che creano suggestive sfumature nel cielo. Barca a vela, effetto sera, dipinto sulla spiaggia di Étretat: al centro della marina è raffigurata scura una barca a vela, in contrasto con i toni pastello che vanno dal giallo al rosa che occupano l’intera scena e che creano una soluzione di continuità tra cielo e mare. Campo di iris gialli a Giverny in cui i fiori sono resi con tocchi gialli accostati che diventano pennellate sempre più ampie in secondo piano. Ci si sposta poi nella pittura en plein air della Norvegia, dove Monet soggiornò tra febbraio e marzo 1895, a quella di Londra, dove l’artista soggiornò varie volte dal 1870 al 1901. Troviamo esposto Londra. Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi  
il dipinto del 1905 che raffigura in controluce la silhouette del Parlamento nell’ora del tramonto, espediente che gli permette di creare scintillanti riflessi sul Tamigi. Questo è anche uno degli ambienti più suggestivi del percorso espositivo dove è stata collocata al centro della sala una seduta circolare sulla quale vengono proiettate immagini di alcune opere del pittore a tema. Un altro capitolo fondamentale della vita e dell’arte di Monet è il trasferimento nella sua proprietà di Giverny, dove trascorre gli ultimi vent’anni della sua esistenza circondato dalle sue tele, che si popolano di fiori, e soprattutto dal suo giardino.
È proprio questo infatti il tema della successiva sezione: il visitatore si trova attorniato da tele con iris dai petali blu-viola, emerocallidi e ninfee, fiori che si trovavano nel suo splendido giardino acquatico di Giverny, nel quale si rispecchiavano anche i salici piangenti che il pittore aveva fatto piantare intorno allo stagno. E ancora, segue un ambiente quasi circolare al cui centro è collocata una seduta che mostra a rotazione immagini di ninfee: sulle pareti tornano tele con ninfee e iris, questa volta gialli. Tema sono le Grandi Decorazioni: i monumentali pannelli con le Ninfee, a cui Monet lavorò fino alla sua scomparsa, che portarono alla realizzazione delle celebri sale ovali dell’Orangerie. 
L’ultima sezione documenta infine un netto cambiamento sia nei colori che nelle forme, arrivando persino quasi all’astrazione, come nel caso del dipinto Il giardino di Giverny, dove vengono eliminati i dettagli realistici mantenendo solamente ampie masse cromatiche. I marroni, i rossi, i gialli dominano in queste opere, come si vede nello Stagno delle ninfee, ne Il viale delle rose, ne Il ponte giapponese o nel Salice piangente. Un cambiamento dettato dai problemi alla vista che gli alteravano la percezione dei colori, ma che lo conduce probabilmente in maniera inconsapevole a una pittura estremamente moderna e più gestuale.
Il percorso espositivo si conclude con due grandi tele allungate dedicate ai glicini, piante che nella casa di Giverny si arrampicavano e ricadevano sull’arco installato sul ponte giapponese. Le grandi dimensioni e la forma allungata richiedevano una collocazione adeguata: erano infatti destinate a decorare il padiglione del giardino dell’hôtel Biron di Parigi (l’attuale Musée Rodin), ma il progetto venne abbandonato in favore dell’allestimento dell’Orangerie. 
Attraverso tutte queste opere siamo andate a ripercorrere l’intero universo artistico di Monet e i temi che hanno caratterizzato la sua produzione, dagli esordi alle Grandi Decorazioni che sfociano nell’astrazione. Un percorso cronologico scandito in modo lineare nelle diverse sezioni tematiche arricchite anche da un percorso didattico sulla luce e sui colori. Anche se essenzialmente non aggiunge nulla alla conoscenza del padre dell’Impressionismo, visitare la mostra di Padova è stata una occasione imperdibile.

(fonte: Ilaria Baratta finestresullarte.info)

lunedì 8 luglio 2024

Il Drago di Vaia è tornato a dominare l'Alpe Cimbra - domenica 7 luglio

Un incendio doloso, quasi un anno fa, ha completamente distrutto l’imponente Drago di Vaia che si trovava in Alpe Cimbra, sulla sommità del colle Tablat. L’allerta era scattata nella serata del 22 agosto 2023 quando diverse persone, anche da una notevole distanza, avevano notato le fiamme avvertendo immediatamente i Vigili del Fuoco. Il Drago era un'opera unica nel suo genere, realizzato dallo scultore Marco Martalar con gli scarti di legno degli alberi abbattuti dalla tempesta Vaia nel 2018, e parte di una lunga serie di composizioni artistiche simili dedicate al mondo animale che hanno reso famoso l’autore, la cosiddetta Land Art, corrente artistica che vede gli artisti operare direttamente sul territorio con installazione che solitamente hanno carattere effimero. 
La vigliacca distruzione del Drago di Vaia aveva gettato nello sconforto lo scultore e scosso profondamente la comunità ma nel contempo ne ha sollecitato il riscatto attraverso una raccolta fondi proposta dal sindaco di Lavarone, Isacco Corradi - raccolta a cui ha dato un piccolo contributo anche la nostra associazione - e da lunedì 1 luglio il DragoVaiaRegeneration è tornato a spiegare le ali. Una scultura composta da sei tonnellate di legno carbonizzato, lunga sedici metri per sette d’altezza, dimensioni che lo rendono il drago in legno più grande del mondo.
Per realizzarlo ci sono voluti dieci mesi di lavoro e l’opera porta con sé la memoria di quello che è successo. Non ci sono infatti solo le radici della tempesta Vaia ma c’è pure una parte del vecchio drago che è andato distrutto, mentre le altre parti sono state volutamente carbonizzate e poi assemblate insieme al resto del legno. Un drago potente ma non immortale. Il legno utilizzato non è stato trattato e la creatura quindi muterà “pelle” sotto le intemperie e con il passare delle stagioni. Anche il nuovo drago diventerà un giorno la terra dalla quale nasceranno nuovi alberi. Forse la magia di questa grande opera d’arte sta tutta lì, nel farci comprendere che, senza natura, non siamo niente.
Sono diversi i sentieri che raggiungono i 1332 metri del Drago di Vaia.
- Sentiero da Gionghi - Si parte dal Municipio di Lavarone (parcheggio dalle scuole) e si procede in direzione dell’Hotel Fior di Roccia seguendo le indicazioni “Sentiero del Drago”. Il sentiero, una volta usciti dall’abitato, prosegue nel bosco. Ad ogni bivio che si incontra bisogna tenere la destra e in meno di un’ora si raggiunge il Drago.
- Sentiero da Passo Cost - Si lascia l’auto nella frazione di Cappella procedendo in direzione frazione Longhi e seguendo la segnaletica per Passo Cost. Dal parcheggio del Cost si arriva al Drago in circa 45 minuti sempre seguendo la segnaletica del Drago, percorso interamente nel bosco.
- Da località Bertoldi si raggiunge a piedi la Frazione Slaghenaufi, su strada asfaltata che porta fino alla frazione. Una volta superato il piccolo abitato si continua a seguire le indicazioni per lo chalet Tana Incantata e poco dopo si trovano i cartelli recanti l’indicazione “Sentiero del Drago”. Da località Bertoldi è anche possibile prendere la seggiovia che in dieci minuti porta sulla cima del Monte Tablat e con una breve passeggiata si raggiunge il Drago
- Dal Forte Belvedere Gschwent in circa 90 minuti si percorre il Sentiero dei Camini che culmina al parcheggio del Cost, attraversata la strada incrociamo il sentiero che sale al mitico Drago (lunghezza km 5 dislivello mt 200). Noi abbiamo seguito questo percorso.
Poco prima del Drago delle simpatiche sculture in legno (una volpe, un maiale e delle rondini) rallegrano il luogo e con una tranquilla camminata si può raggiungere anche la Baita Tana Incantata, dove si mangia davvero bene (anche piatti tipici cimbri) e si spende il giusto.

martedì 2 luglio 2024

Bell'anello sull'altopiano di Brentonico, il fiore del Baldo - domenica 30 giugno

L'altopiano di Brentonico si estende lungo le pendici settentrionali del Monte Baldo e con lo sguardo spazia dal Pasubio alle Piccole Dolomiti, ai Lessini, al Garda, l'Adamello, la Presanella, il Brenta. Ma più interessante ancora è vedere come si possa osservare l'intero corso della Vallagarina e dell'Adige da nord a sud. Premiato nel 2006 con la Bandiera Verde di Legambiente e conosciuto fin dal Cinquecento come "Hortus Italiae", l'altopiano vanta una ricchissima varietà di fiori e piante, alcune particolarmente preziose e tanto antiche da essere precedenti alle glaciazioni. Queste specie si possono ammirare nella riserva naturalistica di Bès - Corna Piana del Monte Baldo e nel Giardino Botanico di Palazzo Eccheli Baisi a Brentonico. Ma l'altopiano è anche memoria storica. Allo scoppio della prima guerra mondiale le truppe italiane occuparono rapidamente le principali alture del Monte Baldo settentrionale, assicurandosi un osservatorio privilegiato sulle postazioni nemiche del fondovalle ed in Val di Gresta. Sul lato opposto del Parco, il Monte Vignola avrebbe dovuto ospitare un forte della cintura fortificata della Vallagarina ma di fatto l'impero austro-ungarico non riuscì a dare corso a questi progetti e nel 1915 le linee vennero fatte arretrare permettendo una rapida avanzata italiana. 
Si sale a Polsa di Brentonico (mt 1310) lungo la strada che parte da Mori e si parcheggia all'altezza del camping Polsa. Si imbocca il famoso Sentiero della Pace, molto più di un lungo cammino, è un viaggio nella memoria, un itinerario lungo 495 chilometri che attraversa il Trentino dal Passo del Tonale alla Marmolada ripercorrendo i luoghi teatro della Grande Guerra, per raggiungere con pendenza piacevole Malga Vignola. Subito si nota il grande impluvio per la raccolta dell'acqua piovana, ancora in perfette condizioni, costruito dagli austro-ungarici. A monte si incrocia il monumento del gruppo alpini Cima Vignola e tenendo la sinistra si punta alla vetta di Monte Vignola (mt 1606). A metà salita notiamo l'ingresso di una galleria scavata nella roccia che andiamo a visitare con l'ausilio di una torcia. Sulla cima si trovano alcune postazioni circolari in cemento per l'artiglieria antiaerea realizzate dalle truppe italiane dopo il 1915. Tornate sui nostri passi e ripreso il sentiero raggiungiamo una biforcazione. Entrambe le alternative sono percorribili. Il Sentiero della Pace, che è la strada che prosegue più in basso, è preferibile da chi percorre l'itinerario in MTB. Procedendo invece a piedi, il sentiero più in alto in direzione degli impianti sciistici, offre panorami più vasti verso nord. Poco dopo il punto in cui i due sentieri si riuniscono, una leggera digressione sulla sinistra ci porta presso la grande croce a quota 1412 metri.
Si riprende tutto in quota fino a Bocca d'Ardole (mt 1387), con la strada che si snoda a strapiombo sulla valle dell’Adige e attraversa due suggestive gallerie, scavate dai soldati italiani. Nei pressi, sono visibili i plinti della teleferica che saliva dal fondovalle, ruderi di baraccamenti e postazioni di artiglieria antiaerea. Ora lasciamo il sentiero e dopo una breve salita si raggiunge il Corno della Paura (mt 1518) in verticale panoramica sul castello di Sabbionara d'Avio. Nella prima fase del conflitto la vetta non venne edificata in quanto si preferì dotare di fortificazioni punti più strategici, come le circostanti alture del Monte Vignola e dell'Altissimo di Nago. Nel maggio 1915 le truppe italiane iniziarono a occupare l'area del Baldo settentrionale, in particolare l'Altissimo di Nago, conquistato dagli alpini del generale Antonio Cantore. Anche la vetta del Corno venne occupata nello stesso periodo e si diede inizio alle operazioni di fortificazione, insediandovi una postazione di artiglieria contraerea. Nella parte bassa del Corno si possono notare resti di edifici di forma rettangolare, distribuiti su due piani e collegati da scale, una ripida scalinata che gira ad angolo retto porta alla parte sommitale dell'altura dove sono presenti due maestose basi di cannone circolari e, sulla sinistra, una galleria scavata nella roccia e aperta sulla vallata doveva fungere da punto di osservazione. All'altezza di un cippo commemorativo della 1a Armata del Regio Esercito Italiano, si prosegue a destra fino a raggiungere malga Pravecchio di sopra (mt 1427). Dal tornante presso la malga, per tracce, si scende a prendere il tracciato della 
pista da sci sottostante e lo si segue passando prima presso malga Susine (mt 1325) e poi si va a raggiungere il punto di partenza.

PARTENZA: Polsa (mt 1310)
SEGNAVIA: 687
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 375
ALTITUDINE: mt 1606
LUNGHEZZA: km 12,5