lunedì 27 giugno 2022

Splendida Lessinia trentina: dai Busoni ai Denti della Sega - domenica 26 giugno

La Lessinia trentina appartiene al settore occidentale dei Monti Lessini, al confine tra la provincia di Trento e quella di Verona. Immersa in un paesaggio antico dalle caratteristiche malghe dai tetti in pietra ancora oggi utilizzate per l’alpeggio racconta la storia di questo altopiano suggestivo ma nascosto, da sempre dedito alla pastorizia. Siamo a Sega di Ala, tra il Monte Corno e Cima Borghetto, dove nel cuore di quest’ultima montagna 
sono state scavate dai soldati della Grande Guerra le gallerie dei Busoni. Poco dopo l’Albergo Alpino si lascia l'auto al Villaggio San Michele, si prosegue affiancando il camping al Faggio e quindi lungo la vecchia strada militare. Superato un cancello si continua tra deliziose vallette e dolci pendii. In leggero falsopiano si taglia Malga Borghetti inoltrandosi in un bel bosco. Il cammino è piacevole, senza particolari difficoltà, e dopo circa due chilometri si raggiunge l'ingresso delle gallerie, recentemente ripulite e messe in sicurezza, che si visitano con l'ausilio di una torcia.
Il cunicolo principale è in leggera discesa e porta a quattro stanze di tiro poste a ventaglio sulla Val Fredda sottostante, mentre una galleria laterale a destra conduce ad altre quattro stanze che puntano Avio e Sabbionara. Sotto di noi scorre il fiume Adige. I Busoni rappresentavano una incredibile posizione dominante sopra la Vallagarina, la
 terza linea difensiva a tutela della Pianura Padana, che permetteva alle truppe italiane di tenere sotto controllo le sponde del grande fiume. Ma qui non si sentì nessuno sparo, nessun caduto in combattimento, la vallata rimase zona tranquilla se paragonata ai carnai del Carso, del Pasubio e dell'Ortigara. Uscite dalle gallerie risaliamo il bosco sino a toccare cima Borghetto (mt 1278) immersa nella boscaglia. Ritornate sul percorso principale si va ad imboccare un bel sentiero che porta sulla dorsale del Monte Corno (mt 1354), nei pressi di un’antenna recentemente installata, e del Dos dei Muli, la bella cresta che domina la Vallagarina con una splendida visuale verso la Lessinia, il Monte Baldo e le Prealpi trentine e dove si distingue l’azzurra superficie del Lago di Garda. Non raggiungiamo Malga delle Cime, meglio una breve digressione al Passo della Morte, una magnifica cengia molto esposta ma protetta da un parapetto. Oltre non si può andare perché il sentiero cade in verticale quindi si torna brevemente alla biforcazione prendendo la traccia che sale ai Denti della Sega, una cresta a picco sulla Val d'AdigeA questo punto la salita diventa più pronunciata alzandosi maggiormente di quota all'interno di una faggeta. Dopodiché ci si lascia alle spalle la via principale per avventurarci in una tratta non segnata, se non con sbiaditi bolli rossi, stretta ma tecnicamente sempliceIl percorso non è particolarmente esposto, per questo si riesce ad osservare in tutta sicurezza gli intagli dei "denti" del crinale, le sue imponenti pareti e gli splendidi scorci panoramici. A questo punto decidiamo di tagliare seccamente il bosco, anche se le foglie e la roccia lo rendono molto scivoloso,
si va così a raggiungere un sentiero che torna ad attraversare dei prati in attesa dello sfalcio, sotto di noi appare Malga Fratte e la strada bianca che conduce al Villaggio San Michele.

PARTENZA: Villaggio San Michele (mt 1226)
SEGNAVIA: ai Busoni
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 250
ALTITUDINE: mt 1476
LUNGHEZZA: km 9,7

sabato 18 giugno 2022

Friuli Venezia Giulia, semplicemente un luogo magico - 15-17 giugno

Mercoledì 15 giugno 
- Panorami incantevoli, aria pura, una natura
incontaminata, una terra magica che non smette mai di emozionare questo è il Cadore che percorriamo in una bella giornata di sole. A Pieve di Cadore l'arte si respira. Basta visitare la casa natale di Tiziano Vecellio, il celebre pittore rinascimentale e sempre a Pieve c'è il bel museo dell’Occhiale che racconta storia e tecnica di questo prezioso strumento. Ai piedi del maestoso Antelao e delle Marmarole appare il lago di Cadore, specchio d'acqua artificiale posto lungo l'alto corso del fiume Piave frequentatissimo dagli amanti della pesca. Il lago si formò negli anni Cinquanta in seguito alla costruzione della diga che sbarra il Piave all'altezza di Sottocastello. L'infrastruttura faceva parte del complesso di dighe e centrali realizzati dalla SADE, divenuta in seguito ENEL, lungo l'alto bacino del fiume. Ci fermiamo per un primo aperitivo al Bar La Casetta prima di riprendere la statale che più avanti saluta le montagne bellunesi per le terre friulane e raggiungere Sappada (mt 1250), una piccola perla nel panorama dolomitico, abbracciata da una natura incontaminata e dove si ascolta il silenzio delle montagne. Sappada vecchia, caratterizzata dalle antiche abitazioni in legno delle sue borgate e un turismo che affonda le radici alla fine dell'800, si sviluppa nella parte alta dell’abitato sino a Cima Sappada.
Ci fermiamo alla Plodar Kelder - Latteria di Sappada in Borgata Fontana e il tagliere traboccante di stracchino, caciotte erborinate e pancetta, salame, lardo e Senkl, un particolare speck che producono affumicato e stagionato per circa quattro mesi che viene aromatizzato con cumino e bacche di ginepro, è un trionfo di genuinità. Da Cima Sappada si risale lungo la strada provinciale 22 della Val Sesis che porta alle Sorgenti del Piave, ai piedi del massiccio del Monte Peralba (mt 2037) vicino al rifugio omonimo, punto di partenza anche dell’Alta Via delle Dolomiti n°6 che termina a Vittorio Veneto. Ritornando a valle con fare curioso ci si ferma a Venzone, cittadina fortificata alla confluenza di due importanti valli: quella del Tagliamento e il Canal del Ferro. 
Fin dall'epoca dei Celti (500 a.C.) Venzone deve la sua fortuna alla sua posizione di passaggio obbligato verso il nord, successivamente i Romani ne fecero un loro statio lungo il percorso della via Julia Augusta che dal sito di Aquileia portava al Norico (l’attuale Austria centrale). Nel 1258 Glizoio di Mels fece fortificare il paese con una doppia cinta muraria, preceduta da un profondo fossato. La possente cerchia delle mura, con le numerose torri che la caratterizzano racchiudono in ampio esagono irregolare le 14 "insulae" dell’antico borgo abitato elevandosi sull'ampio terrapieno da cui sorgono. Tre le porte, delle quali la più bella ed interessante è la porta di "San Genesio" del 1310. Il complesso monumentale della cittadina contiene il Duomo, il Palazzo Comunale, le alte mura e le antiche case contadine e signorili. Nel 1965 Venzone viene dichiarato Monumento Nazionale perché rappresenta l’unica testimonianza di città fortificata del Duecento in Friuli. Era il 6 maggio 1976, ed era stranamente afoso in Friuli. Anche alle 21 e dodici secondi. Prima ci fu un brusio. Poi un tremore. Poi un boato. Poi venne giù tutto. Teste dure i friulani. Distrutta dal terribile terremoto Venzone venne ricostruita pietra per pietra.
Ora raggiungiamo Arta Terme, dove abbiamo il nostro alberghetto, apprezzata stazione termale che sfrutta gli effetti benefici delle acque della fonte Pudia, già nota in epoca romana.
Giovedì 16 giugno
- Il Forte del Monte Festa è una delle opere militari italiane più importanti di inizio '900 in Friuli Venezia Giulia. Inserito nel sistema difensivo dell'Alto Tagliamento-Val Fella assieme ai forti di Osoppo, Monte Ercole e Chiusaforte, poteva controllare eventuali invasioni dalla confluenza tra i fiumi Fella e Tagliamento nonché dalla Val del Lago. La sua costruzione risale al 1910 ed è collegato da una grande strada militare di otto chilometri che da Interneppo sale fino in cima al monte a quota 1065 metri. A differenza di altri edifici simili, il Forte del Monte Festa non venne mai smantellato e nel novembre del 1917 riuscì a bloccare parte dell'avanzata austro-ungarica. Il 6 novembre, quando il ripiegamento verso il Piave era già iniziato, il Forte terminò le munizioni e fu quindi abbandonato. Nonostante gli inesorabili danni dovuti agli agenti atmosferici ed ai crolli, il Forte del Monte Festa rimane uno dei luoghi più suggestivi legati alla Grande Guerra. Seguiamo la rotabile stretta e asfaltata che ci conduce al vero punto di partenza, un bivio dove sono presenti anche le indicazioni per il Monte San Simeone.
Teniamo la sinistra e dopo una lunga lingua di asfalto, in corrispondenza di tre gradini di pietra, si può imboccare il sentiero Cai 838 che permetterebbe di tagliare di circa quattro chilometri la lunga carrareccia ma noi optiamo per quest'ultima con il percorso che rimane lineare fino alla vetta, con la sagoma del forte già visibile dai primi chilometri alzando il naso all'insù. La vista, fin da subito panoramica sul lago di Cavazzo, offre spettacolari giochi di colore sui monti circostanti, come il Monte Cuar e la sua malga che appaiono inconfondibili nelle belle giornate. A quota 800 metri troviamo una fontana, ancora più in alto usciamo su una ampia radura prativa con i ruderi di alcune casermette e dei magazzini ora invasi dalla vegetazione. Superati questi, la strada prosegue verso la cima dove si trova il vero e proprio forte. Si vedono immediatamente le due batterie corazzate (che potevano ospitare quattro cannoni da 149mm con la copertura metallica) e, sulla sinistra, due caverne utilizzate come montacarichi e deposito per le munizioni. Tra le due batterie sono ancora visibili i resti della teleferica che collegava il Monte Festa ad Amaro, distante circa quattro chilometri in linea d'aria. Superata una galleria si percorre un sentiero panoramico che porta in cima al forte. Da questo punto è possibile scendere nel cuore della fortezza dove, a dispetto dei crolli, sono visibili casematte ed il punto più alto del montacarichi, sempre con molta cautela. Sotto lo spettacolo sul lago di Cavazzo è incredibile. Il più esteso tra i laghi naturali friulani bagna con le sue acque il territorio di tre comuni, Cavazzo Carnico, Bordano e Trasaghis.
La discesa dal forte avviene sullo stesso percorso dell'andata. Torniamo verso Tolmezzo e sulla rotonda della zona industriale sud appare il monumento "in onore degli aviatori d'Italia e della Carnia", realizzato con un aereo F 104, collocato su di un piedistallo e rivolto verso il Monte Amariana. Cena caratteristica alla Antica Trattoria Al Borgat dove troviamo i cjarsons alle erbe, ravioli tipici della Carnia, serviti con la morchia, ovvero burro fuso e farina di mais tostata oppure il frico piatto unico a base di patate, cipolle e formaggio Montasio fuso.
Venerdì 17 giugno - Dopo aver visitato Sutrio, il cui nome appare per la prima volta in un documento del 1300 e tra i primi luoghi abitati dell'alta valle del Bût, raggiungiamo il Freilichtmuseum des Gebirgskrieges 1915-18, un museo della grande guerra a cielo aperto, che si trova subito dopo il confine con l’Austria sul passo di Monte Croce Carnico. Qui gli eserciti si mossero per occupare le cime circostanti ed ottenere dei vantaggi strategici importanti. Per tutta l’estate del 1915 italiani ed austro-ungarici combatterono furiosamente sul Pal Grande, sul Freikofel e sul Pal Piccolo, trasformando queste splendide montagne in terribili scenari di guerra. Una piccola gittata in terra austriaca sino a Kotschach-Mauthen dove nel centro del paese troneggia la Pfarrkirche Kötschach (la Cattedrale della Gailtal), chiesa tardo- gotica e il suo poderoso campanile.
Già che ci siamo compriamo il bretzel, pane che si mangia in Alsazia, Austria e Germania, e il Krustenbrot, pane di segale. Si torna sul suolo nazionale. Percorrendo il torrente Chiarzò si arriva al lago di Redona, bacino artificiale situato in val Tramontina in provincia di Pordenone. A Pecol, frazioncina di Tramonti di Sotto, sono invece visibili i ruderi dell'antico borgo di Movada. 
Nei primi anni ’50 la Società Adriatica Di Elettricità (SADE), la potentissima azienda elettrica che diventò tristemente famosa per il disastro del Vajont una decina di anni più tardi, costruì la diga di Ponte Racli e la centrale di Meduno, modernizzando la valle. L’acqua del fiume Meduna inondò velocemente l'invaso e Movada fu completamente sommersa. Quando vi sono i periodi di secca e l’acqua del lago si ritira si assiste a uno scenario affascinante: i ruderi di ciò che è stato il borgo di Movada riemergono dall'acqua. La diga alta 50,6 metri è situata nella parte meridionale del lago e fa parte dell'impianto della Val Meduna che va ad alimentare la centrale omonima. Interessante è anche il vecchio ponte Racli, una serie di antiche giunzioni in pietra che sorgono a lato del nuovo ponte che attraversa il lago di Redona, spesso sommersi dall'acqua del bacino. Ma ora è tempo di tornare.

domenica 12 giugno 2022

La straordinaria Strada delle 52 gallerie del Pasubio - sabato 11 giugno

Per raccontare la Strada delle 52 gallerie bisogna percorrerla. Si legge in un vecchio manualetto del Touring Club "Itinerario di straordinario interesse storico e ambientale, che non ha eguali per la sua arditezza: di tratta di una autentica meraviglia dell'ingegneria militare e dell'umano lavoro, su idea del capitano Leopoldo Motti e progetto del tenente Giuseppe Zappa (era ingegnere ma meccanico) della 33° compagnia muratori del 5° genio". La Strada delle 52 gallerie è una mulattiera militare costruita durante la Grande Guerra sul massiccio del Pasubio, a cavallo tra Veneto e Trentino, e si snoda fra Bocchetta Campiglia (mt 1216) e le porte del Pasubio (mt 1934) attraversando il versante meridionale del monte. La sua realizzazione fu di grande importanza strategica, in quanto permetteva la comunicazione e il passaggio dei rifornimenti dalle retrovie italiane alla zona sommitale del Pasubio, importante scacchiere per le sorti del fronte trentino, ovviando ad un'altra strada già esistente (la Strada degli Scarubbi) ma pericolosamente esposta al tiro austriaco. I lavori a colpi di esplosivo e di braccia umane iniziarono nel rigidissimo inverno del 1917 e la sua realizzazione durò meno di un anno. Si arriva a Bocchetta Campiglia dal sottostante Passo Xomo (mt 1058), percorrendo una stretta strada di montagna, in una splendida giornata di sole. L'entrata del percorso storico è contrassegnato da due muraglioni di cemento rosso, la scritta a caratteri cubitali invita ad entrare, d'obbligo la foto ricordo di chi ha voglia di avventurarsi nella Storia...arrancando. Sì perché la mulattiera (segnavia Cai 366) incide e trafora picchi e burroni del tormentatissimo sottogruppo dei Monti Forni Alti, si butta su precipizi e incuneate vallate conferendo al tutto sensazioni incredibili. E si superano gallerie. Tante. Durante la guerra erano illuminate, oggi necessitano di un frontalino che illumini il percorso scavato nel ventre della montagna, in modo da lasciare le mani libere soprattutto quando ci si arrampica su pendenze di oltre il 20%. Nel frattempo il nostro gruppo si è inevitabilmente sgranato. Ogni galleria è numerata e caratterizzata da una propria denominazione. Caratteristica è la 19ª perché, oltre a essere la più lunga (320 metri), ha un tracciato elicoidale a quattro tornanti, all'interno di un gigantesco torrione di roccia.
La successiva, la ventesima, è scavata dentro ad una conformazione rocciosa e per superare il notevole dislivello, si avvita su sé stessa come un cavatappi, un vero prodigio di ingegneria militare paradossalmente dedicata al generale Luigi Cadorna su cui grava la responsabilità della disfatta di Caporetto. Il tratto della 43ª galleria corre sotto il passo Fontana d'Oro (mt 1875), da questo punto si continua a salire sopra il tracciato scavato nella roccia, largo un paio di metri, attrezzato di tanto in tanto con un cordino d'acciaio che precipita sul vuoto della Val Canale, dove sono "vietatissime" le vertigini  ma che regala una panorama mozzafiato. Agili gracchi alpini sorvolano leggeri le nostre teste quando usciamo dalla 47ª galleria, il punto più alto della storica strada (mt 2002), dove intravediamo il Rifugio Achille Papa (mt 1928) raggiungendolo dopo le ultime due in ripida discesa e sdrucciolevoli per l'umidità. Il tempo di uno spuntino nel rifugio, già brulicante di escursionisti, e si sale sul sentiero 120 (Sentiero Europeo E5), panoramico sulle valli Sorapache e Pruche, che raggiunge in breve tempo al cimitero italiano della Brigata Liguria. Nel 1926 venne posta l'eloquente scritta "Di qui non si passa", una frase che era diventata il motto della brigata dopo la battaglia di Monte Zovetto avvenuta nel 1916. Oggi, al posto del vecchio monumento piramidale prima esistente, trova spazio al centro del cimitero il maestoso Arco Romano eretto nel 1935. Ci troviamo nella cosiddetta "Zona Sacra" e numerose sono le testimonianze della Grande Guerra. Più in alto la Chiesetta di Santa Maria del Pasubio voluta da Monsignor Francesco Galloni, cappellano degli alpini del Battaglione "Monte Suello" con la collaborazione dei reduci del Battaglione "Monte Berico".
Negli anni '60 il Comune di Vallarsa (TN) ha donato al Comune di Schio il terreno per l'edificazione di una chiesetta in memoria dei Caduti della Grande Guerra e a pochi passi dalla stessa vi è la tomba del generale Vittorio Emanuele Rossi, Comandante del Battaglione "Monte Berico", che ha voluto essere sepolto nella zona sacra del Pasubio. Mantenendoci in salita sul tracciato 142, saliamo alla Selletta dei Due Denti (mt 2166). Qui si svolse quella che fu definita la guerra di mine. Sovrastata da giganteschi massi spostati dalle esplosioni, la selletta è interessante anche per l'enorme cratere prodotto dalla prima mina italiana del 2 ottobre 1917. Trincee e camminamenti, feritoie e grotte, crateri di bombarde e mortai appaiono ai nostri occhi. Frontalmente spicca il Dente Italiano (mt 2221), sconvolto dalla guerra di mine e, in particolare, dall'esplosione del 13 marzo 1918 che portò al crollo della parte settentrionale della cresta, fin dai primi giorni punto di forza del Regio Esercito sul Pasubio, e dietro il Dente austriaco (mt 2203), uno squadrato roccione, occupato il 20 maggio 1916 dalle truppe imperiali che si stabilirono sulla sua sommità nel pieno della Strafexpedition.
e che rimase in possesso dei reparti austroungarici fino alla fine del conflitto. Si scende seccamente per recuperare la lunga Strada degli Scarubbi, accompagnate per un tratto dalla presenza di agili marmotte. La carrabile procede per un chilometro in modo quasi pianeggiante, sopra alle guglie degli Scarubbi, poi si affrontano ben dodici tornanti in netta pendenza, evitando le scorciatoie spacca ginocchia, col paesaggio circostante che passa dalle rocce del Pasubio a rigogliosi boschi fino a raggiungere la sella di Bocchetta Campiglia.

PARTENZA: Bocchetta Campiglia (mt 1216)
SEGNAVIA: 366-E5
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 805
ALTITUDINE: mt 2002
LUNGHEZZA: km 21

lunedì 6 giugno 2022

Un grazie di cuore alle marmotte presenti ieri sera all'apericena svoltasi alla trattoria Damaro di Vicenza. Replicheremo sabato 9 luglio a Montichiari (BS)

venerdì 3 giugno 2022

Le trincee del Monte Stino (lago di Idro - BS) - giovedì 2 giugno

Raggiungiamo il Rifugio Monte Stino (mt 1416) dal sottostante Lag
o di Idro prima di cavalcare  le vecchie trincee ormai divorate dal tempo e dalla vegetazione, e attraversare boschi silenziosi seguendo i resti di antiche mulattiere di guerra. Concluso il giro delle linee trincerate andiamo a scollinare decisamente in modo da seguire una traccia prativa che segue parallela il sentiero 478B sino a raggiungere Cima delle Frate (mt 1447) dove si apre uno splendido respiro panoramico sulla Valle di Piombino, una stretta e selvaggia vallata che si insinua profondamente tra le contorte pendici de Monte Stino, a sud, e quelle altrettanto tortuose del Cingolo Rosso a nord, e del Bezplel a nordest. Un antico sentiero ne percorre il fondo oggi ancor più solitario e selvaggio che in passato. Alzando gli occhi un capriolo scompare velocemente nella boscaglia. Superato il vallo erboso raggiungiamo le fortificazioni di Bocca Cocca (mt 1328) che successivamente dipana sul sentiero 478 di chiara origine militare, supera cenge erbose e tratti scavati nella roccia, tra balze e costoni che precipitano in basso, poi si va ad imboccare il sentiero 456 ed in risalita si raggiunge lo sperone del Monte Stino (mt 1466), dove sventola permanentemente il tricolore, e il bellissimo pulpito panoramico sul lago di Idro. Nonostante una leggera foschia il paesaggio è di prim’ordine con le Prealpi Bresciane, i monti della Valle del Caffaro e la monumentale Rocca d'Anfo. In vetta è stata posta una targa con l'indicazione "Monte Stino" ma in realtà è solo uno sperone sottostante la cima vera e propria, in fondo un modesto rialzo ricoperto di vegetazione circondato da un vasto pianoro, perché si trova una quarantina di metri più in basso. 
Il complesso fortificato, corredato da diverse bacheche illustrative, merita davvero una visita. Interessanti le trincee e le postazioni dei cannoni recuperate. Nelle due gallerie sotto l'anticima è stato allestito un piccolo museo permanente di reperti di guerra del '15-'18, anche se il grosso del materiale è stato trasferito in una apposita sede a Capovalle. Lasciamo il complesso fortificato procedendo lungo il crinale in discesa. Si passa accanto ad un casolare cintato e si prosegue diritto lungo la stradina sterrata che in pochi minuti di cammino ci riporta al Rifugio Monte Stino dove a  trionfare è la polenta con i suoi tradizionali "contorni": brasato, funghi porcini,
 capriolo, salamine e formaggio alla piastra. Ma anche affettati e formaggi locali freschi e stagionati accompagnati da ottimi rossi per concludere in bellezza.


PARTENZA: Rifugio Monte Stino (mt 1416)
SEGNAVIA: 456-478-478B
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 325
ALTITUDINE: mt 1466
LUNGHEZZA: km 6