lunedì 28 marzo 2022

Il fascino selvaggio della Valsanguigno (BG) - domenica 27 marzo


La Val Sanguigno, l'oasi verde a più alta biodiversità del Parco delle Orobie Bergamasche, da oriente ad occidente, consente un’incursione poetica nella montagna, come se, partendo dal basso, si potesse immaginare un viaggio dal tramonto all'alba, che raggiungiamo partendo dai 965 metri della centrale idroelettrica di Aviasco al Passo di Valsanguigno ovest (mt 2320).Grazie a particolari condizioni ecologiche, ma anche per via della quasi nulla presenza dell'uomo, in essa si è sviluppato un particolare habitat in cui hanno trovato spazio numerose specie vegetali ed animali di interesse scientifico tra cui l'aquila, il capriolo, il camoscio, l'ermellino e soprattutto il sempreverde Lycopodiella inundata. Grazie a questa pianta perenne si è evitato di costruire un'inutile diga a 1.400 metri di quota, in un'area geografica che di dighe e tralicci ne ha abbastanza. Rarissimo in Italia, questo piccolo sempreverde ha "salvato" una vallata di rara bellezza così chiamata per la diffusa presenza del verrucano lombardo. Al fine di tutelare questa delicata condizione naturalistica, rendendola contemporaneamente fruibile agli appassionati, la valle è stata inserita nel progetto "Bi.O.S. – Biodiversità Orobica in Valle Seriana",
Risalendo la val Seriana, superato Ponte Seghe si trova sulla sinistra la deviazione per Valgoglio, bel paese a 929 metri di quota e superatolo si prosegue in salita, si oltrepassa la deviazione a destra per Bertolotti, luogo di partenza per i laghi di ValGoglio e rimanendo sulla strada principale raggiungiamo il parcheggio antistante il Bar della Diga e con zaini e bastoncini si raggiunge la bella centrale Enel in località Aviasco.
Oltrepassata la centrale, si supera un ponticello tralasciando la via a destra, troppo ripida anche se più breve e si attacca subito risalendo ripidi nel bosco, per sentiero, traversando verso sinistra, fino ad uscire in un piccolo pianoro alla baita Sersen. Il sentiero che per il primo tratto è incluso nell'itinerario conosciuto come Sentiero dell'Alto Serio (232), procede sotto un bel bosco ombroso, distese di bucaneve, fra le prime fioriture dell'anno, appena la neve libera il terreno ripropone il loro incanto, il cammino è rapido e piacevole ed il torrente sembra seguire i nostri passi. Si prosegue ancora in salita, fino a giungere alla bella mulattiera che sale in Val Sanguigno ma più avanti il percorso diventa più accidentato per la presenza di numerosi alberi sradicati dal suolo, alcuni caduti sul sentiero e le tracce delle opere di manutenzione del bosco, le prime tracce di neve, i bucaneve, fra le prime fioriture dell'anno, appena la neve libera il terreno ripropone il loro incanto. il paesaggio orobico che si apre alla nostra visione e salendo raggiungiamo le Cascatelle a 1250 metri, dove il torrente Sanguigno aprendosi varchi nel ghiaccio scende a valle impetuoso e si potrà godere dello spettacolare balzo delle cascate. Essendo rivolto a Nord, questo primo tratto della valle è sempre umido ed ombroso e si è trasformato in una lastra di ghiaccio, spesso e infido senza i ramponcini. Per fortuna il tracciato da affrontare non è molto lungo ma ha richiesto la massima attenzione anche la presenza dei cani che erano con noi.
Poi finalmente la pendenza cala, il ghiaccio dirama velocemente, si interseca la deviazione per il Rifugio Gianpace (mt 1350), dalla parte opposta del torrente. Sul ritorno, evitando il tratto ghiacciato dell'andata, rimaniamo alti sul sentiero 232A, nella discesa a valle incrociamo l'unico motocrossista che interrompe maldestramente il meraviglioso silenzio del bosco e si ritorna al punto di partenza con quattro chiacchiere con i simpatici gestori del Bar della Diga.


PARTENZA: Centrale idroelettrica di Aviasco
 (mt 965)
SEGNAVIA: 232 - 232A
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO:  mt 450
ALTITUDINE: mt 1425
LUNGHEZZA: km 7

domenica 27 marzo 2022

Un grazie immenso a tutte le marmotte che hanno partecipato alla cena nei locali del Bar Ristorante Alerì, zona Fontanelle di Montichiari ieri sera. Ottimo spiedo, ottimo servizio,
ottima compagnia!! Complimenti allo staff del locale monteclarense!!

lunedì 21 marzo 2022

Sul “tetto” dei Colli Euganei - domenica 20 marzo

Il monte Venda con i suoi 603 metri è la cima più alta dei Colli Euganei tra Galzignano Terme, Cinto Euganeo e TeoloIl Venda è caratteristico per la grande gobba oblunga chiaramente individuabile da quasi tutta la pianura veneta e soprattutto noto per la grande antenna televisiva e le installazioni, ora in disuso, della base NATO attiva tra il 1955 e il 1998, che rendono la cima impraticabile. Fortunatamente i ruderi del Monastero degli Olivetani si trovano ai margini dell'area interdetta. Base di partenza del sentiero n° 9 è Casa Marina, centro informazioni del Parco, e percorriamo la stradina Sottovenda che procede larga e panoramica sui monti Marco, Fasolo, Gemola, Rusta e Lozzo mentre a valle il sottostante abitato di Faedo. A destra ecco scorgere in alto gli antichi resti del Monastero degli Olivetani e incrociare immediatamente dopo sulla destra il sentiero "G.G. Lorenzoni", una salita che ci riserviamo al ritorno. Superato il bivio, che porta ad un'area di sosta presso la grande pietraia del versante sud del Venda, si prosegue fino ad arrivare ad un altro slargo. Il bosco è costituito da roverella e frassini, mentre dove si fa più fitto, da castagni. All'altezza di un cancello si esce dal bosco. Di fronte appare il contiguo Monte Vendevolo. Muovendosi tra una casa ed un uliveto, dopo poco si arriva ad un ampio spiazzo dove troneggiano, maestosi, alcuni splendidi esemplari di maronari centenari. Con molta tranquillità si va a raggiungere la Sorgente delle Volpi, invero in secca visto il periodo arido di piogge. Poco oltre una secca discesa a gradoni termina sul proseguimento del sentiero in direzione di Laghizzolo, e in successione si esce sulla radura di una ex cava contornata da castagni, frassini e carpini, dove è collocata un'area di sosta attrezzata.
Dopo una breve pausa, si percorre a ritroso il percorso sino ad incrociare nuovamente il "Lorenzoni", il sentiero più diretto e più ripido che mira al soprastante monastero che s'individua dalla torre campanaria. Poco dopo le prime rampe e l’antica Fontana Olivato, si opta per il sentiero che arranca diritto conducendo sul versante orientale del passo del Roccolo. Luogo di pace e meditazione, nude pietre in simbiosi con la natura circostante di quella che fu una grande chiesa monastica, ad una sola navata, di cui rimangono solamente le cortine murarie senza il tetto, ma è davvero fantastico il colpo d'occhio sull'abside che presenta una ampia breccia panoramica. Dall'alto domina le alture degli Euganei e in giornate particolarmente terse si può osservare la pianura fino alla laguna veneta e all'appennino bolognese. Con gli interventi di restauro di qualche anno fa i ruderi sono stati ben ripuliti, grazie anche alla cura di un gruppo di volontari locali, è stata sistemata la torre campanaria e recuperata la Cripta della chiesa.
 Le origini del monastero risalgono al 1197, primo insediamento eremitico fondato dal monaco Adamo di Torreglia. Nel 1207 alcuni monaci benedettini, della basilica di Santa Giustina di Padova, eleggono il luogo a ritiro spirituale in cerca di pace e solitudine. All'inizio del Duecento esistevano due chiese: la più antica dedicata a San Michele (scomparsa alla metà del secolo) e quella fondata da due monaci benedettini dedicata a San Giovanni Battista. Dal 1229 divenne un articolato monastero, con i lavori patrocinati e finanziati anche dai Maltraversi, nobile famiglia di Castelnuovo di Teolo, e successivamente dai Carraresi e diretti dal priore di Santa Giustina. Con la crisi dell'ordine nel 1380 il Vescovo di Padova decise di accorpare la comunità del Venda con i monaci Olivetani, nota congregazione benedettina aristocratica alla quale non è ininfluente la protezione dei Carraresi, signori di Padova. E' questo un nuovo periodo di splendore. La vita monastica scorre serena fino al 1771 quando la Serenissima ne decreta la soppressione facendo trasferire i monaci, mettendo all'asta tutti i possedimenti che passano in proprietà alla famiglia Erizzo. Gli edifici divennero luogo di riparo per i pastori e caddero rapidamente in rovinaTra le visite illustri si ricorda quella del poeta inglese Percy B. Shelley nell'autunno del 1818 durante il classico 'Tour' in Italia.
Egli rimase affascinato da questa straordinaria balconata naturale e scrisse versi dedicati agli euganei descritti come "isole fiorite che donano conforto nel mare della vasta angoscia dell'animo umano"
PARTENZA: Casa Marina (mt 276)
SEGNAVIA: sentiero n° 9 - G.G.Lorenzoni n° 4
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 300
ALTITUDINE: mt 575
LUNGHEZZA: km 7,5

lunedì 14 marzo 2022

Montisola e la salita al Santuario della Ceriola - domenica 13 marzo


Il barcone da Sulzano attraversa il breve tratto che separa la terraferma dalla verdeggiante Montisola, annoverata tra i Borghi più belli d'Italia. Avvicinandosi al molo ancora assopito si ha l’impressione di fare un viaggio nel tempo tra ulivi, l’acqua blu del lago, le barche attraccate, le reti tirate, testimonianza di un passato vissuto di pesca e non a caso, infatti fino agli anni Settanta è stato uno dei maggiori produttori al mondo di reti da pesca. Ma Montisola e il lago d'Iseo è anche The Floating Piers, l'incredibile installazione preparata dall'artista Christo nel 2016, che ha messi questi luoghi al centro dell'attenzione del mondo facendo camminare sulle acque lacustri migliaia di visitatori. Attracchiamo a Peschiera Maraglio, la zona più visitata dell'isola, tra barche ormeggiate, alberi in fiore e strette viette fino alla Chiesa di San Michele, da visitare per i suoi bellissimi affreschi. Dal pontile n°1 si segue la strada principale imboccando successivamente il sentiero a sinistra che sale inizialmente a gradoni attraverso rigogliose macchie boschive. Proseguendo lo sguardo viene catturato dalla splendida vista sulla sottostante Isola di San Paolo e la Rocca Martinengo. Da qui il sentiero diventa meno ripido e tra ombreggiati castagni raggiunge località Cure. A questo punto le possibilità per salire al Santuario sono due di diversa lunghezza, noi scegliamo la variante breve che, attraversato l’abitato di Cure raggiunge la piccola santella dedicata alla Madonna e, svoltando a destra, risale la mulattiera acciottolata nel bosco sino a incontrare un bell'arco che indica l'inizio della via Crucis sino all'entrata del Santuario della Madonna della Ceriola. La visuale del panorama sul lago e le montagne circostanti come il Guglielmo è eccezionale. Le origini di questo luogo sacro risalgono circa alla metà del V secolo quando San Vigilio, Vescovo di Brescia, portò la fede nella zona del Sebino sopprimendo il culto pagano. La statua lignea della Vergine in trono con in braccio il Bambino, venerata nel santuario risale al XII secolo ed è nota con il nome di Madonna della Ceriola probabilmente perché l'essenza legnosa utilizzata è il cerro. Dopo una sosta tra gli uliveti percorriamo la strada asfaltata fino a Menzino, e poi seguendo il "Sentiero didattico della Rocca" raggiungiamo il bel maniero. Rocca Martinengo si erge sopra il golfo di Sensole, tra Peschiera e Siviano su uno sperone roccioso rivolto sulla sponda bergamasca, di fronte a Tavernola, scelto dalla nobile famiglia iseana degli Oldofredi nel Quattrocento in modo da visualizzare quella zona di lago. Il castello non sorgeva nel punto più alto dell'isola, già occupato dal Santuario della Ceriola, e non si preoccupava di controllare la sponda bresciana in quanto anche questa era sotto la giurisdizione degli Oldofredi e da essa non potevano venire offese.
Dopo il 1427, con la rocca passata nelle mani dei Martinengo e il territorio bergamasco sotto il controllo della Serenissima, la funzione difensiva della struttura venne meno e fu quindi trasformata in residenza nobiliare. Così fanno supporre le cornici e le montature nelle finestre e l'ampio portale, scolpiti in pietra di Sarnico, ma in un'isola lontana dal mondo, senza terreni adiacenti e lontana anche dai loro diretti interessi già nel Seicento la Rocca risultava in decadenza denunciata come "rocchetta mezzo in rovina". Su base quadrata attorno ad un’imponente torre a pianta circolare e base scarpata, con il lato verso monte adibito a residenza opera del secolo XV. La torre cilindrica, a base troncoconica, era impiantata sulla roccia al piano dell’odierno circuito al primo livello, coperto dal cortile in un secondo tempo. Verso sud sopravvive una balaustra, forse un tempo muro consistente, che guarda verso l'isoletta di San Paolo. Questa balaustra circonda una corte pavimentata in cotto. Vi si entra da una gradinata. Qui un rivellino è unito ad un piccolo ponte in legno al portale d'ingresso. Il portale, dai grossi contorni bugnati inquadrati di lesene, vede capeggiare sulla trabeazione la scritta “ex alto”. Questo piano conserva anche tracce di un portico ed ospita locali abitabili coperti a volta. Il mastio funge da scala per i collegamenti coi piani superiori e sottostanti. Scendendo al piano terra si nota la testimonianza della presenza delle antiche scuderie, a loro volta collegate da una scala con la corte principale del castello. Oggi qui vi è la cucina con sala da pranzo. Al secondo piano le camere e, da qui alla sommità del mastio vi sono coperture a terrazzo. Oggi Rocca Martinengo è proprietà privata e visitabile solo all'esterno...ma grazie alla disponibilità del custode abbiamo potuta visitarla. In ripida discesa si raggiunge Sensole che collegato con Peschiera Maraglio da una "deliziosa e romantica strada che si snoda fra gli olivi e le palme" (Guerrini, 1932) di fronte all'isoletta di San Paolo e con la Rocca svettante sul colle di Sensole, costituisce un elemento peculiare del paesaggio di tutto il bacino inferiore del lago d'Iseo.
Lungo la strada ristorantini la cui caratteristica consiste nello stendere a seccare al sole i persici, gli agoni (impropriamente, chiamati sardine) e le alborelle sugli archi di legno pronti per i piatti più importanti del Sebino.
PARTENZA: Peschiera Maraglio mt 186
SEGNAVIA: sentiero n° 1
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 400
ALTITUDINE:  Santuario della Ceriola mt 600
LUNGHEZZA: km 12

martedì 8 marzo 2022

Dagli schianti di Vaia, il Drago più grande d'Europa - domenica 6 marzo

Folgaria, Lavarone e Luserna, conosciuti come "Alpe Cimbra", si trovano su un vasto pianoro nel Trentino sud-orientale comprendente cime il Monte Cornetto, Monte Cimone, Cima Campo e Cima Vézzena. Un altopiano soleggiato, da scoprire in ogni stagione, un territorio dall'antica origine, testimoniata dai forti legami con il passato. L'elemento di maggior forza che storicamente accomuna questi terrazzi alpestri è la cultura tedesco-cimbra. Di questa cultura, che ha le sue radici nel XI secolo, Luserna/Lusérn è un'isola linguistica tutelata da un'apposita legge provinciale assieme alle altre minoranze linguistiche presenti nella regione, i mòcheni e i ladini. Per molto tempo si è creduto che i Cimbri fossero discendenti di guerrieri in fuga rifugiatisi sui monti, in realtà sono gli eredi di quei boscaioli, carbonai e contadini che a partire dall'Undicesimo secolo presero a scendere dalla Baviera per collocarsi in tempi diversi sulle alture dei Sette Comuni Vicentini (Asiago) e dei monti dei Tredici Comuni della Lessinia Veronese occupando progressivamente anche territori confinanti come gli Altipiani di Folgaria, Lavarone e Luserna, la Val di Terragnolo, la Vallarsa e la valle di Ronchi. Ed è in questo contesto che nasce il Drago di Vaia, l'opera realizzata da Marco Martalar, scultore del legno e uomo di boschi, con legname recuperato dai boschi martoriati dalla tempesta Vaia - 29 ottobre 2018 -  un evento meteorologico estremo proveniente dall’Atlantico che ha provocato la distruzione di decine di migliaia di ettari di foreste alpine. Un avvenimento terribile che ha segnato lo scultore nel profondo tanto da raccontarne la furia, e da quella furia è nato il drago, il più grande d'Europa, alto sei metri e lungo sette, realizzato sull'Alpe del Tablat con 2000 pezzi di radici e scarti della tempesta (e 3000 viti) ma anche quelli dell'Avez del Prinzep, l'abete bianco più alto d'Europa, abbattutosi un anno prima a causa di una terribile perturbazione. 
Arriviamo in una fredda ma soleggiata giornata nel parcheggio a due passi dal municipio di Lavarone, in località Gionghi. Un breve tratto d'asfalto fino a raggiungere l'albergo Fior di roccia dove si trova la segnaletica del Sentiero del Drago. Si supera la targa di Fritz Jung e in leggera salita entriamo nel bosco, con qualche tratto ghiacciato, continuando fino ad un incrocio di sentieri: a destra si prosegue per il drago mentre a sinistra si va alla baita Tana Incantata dove andremo al ritorno. Ecco un altro bivio dove sono presenti due piccole case che si lasciano a sinistra, e in brevissimo tempo si raggiunge il pianoro dove si materializza il maestoso Drago di Vaia. Il colpo d’occhio è davvero notevole. La grande spianata su cui si trova il drago si apre su tutto il paesaggio circostante come in un grande abbraccio. Il legno utilizzato per la realizzazione dell’opera non è stato trattato e proprio per questo motivo il drago col passare delle stagioni arriverà a decomporsi, humus per nuovi boschi. Inizia ad arrivare tanta gente, il richiamo del drago è incredibile per cui lo salutiamo ritornando al bivio e puntando decisamente in direzione della Tana Incantata lungo un sentiero innevato che sale dolcemente tra meravigliosi abeti, ora si scorgono le seggiovie in movimento ed infine la baita, già in fibrillazione visto il mezzogiorno. Polenta, spezzatino di capriolo, formaggio fuso e rosso Teroldego sono il degno contorno!
Al ritorno, ad un bivio non segnalato, si va a sinistra agganciandoci al sentiero dell'andata e di buon passo, grazie anche ai ramponcini utilissimi sul fondo ghiacciato, si rientra in centro paese.
PARTENZA: Lavarone fraz. Gionghi mt 1170
SEGNAVIA: Sentiero del Drago
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 210
ALTITUDINE: mt 1378
LUNGHEZZA: km 6,3