lunedì 26 ottobre 2020

Da Breonio al monte Pastelletto - domenica 25 ottobre

Definito come la porta della Lessinia, Breonio - frazione del comune di Fumane (VR) - è un piccolo borgo dove la correlazione tra uomo e natura
 è quanto mai viva a dispetto del tempo che passa e della velocità che sembra travolgere ogni equilibrio. Una zona che si presta ottimamente a punto di partenza di belle escursioni tra le antiche contrade dell'alta Valpolicella e sulle dorsali della Lessinia occidentaleDall'ampio piazzale della chiesa parrocchiale deviamo per ammirare l'antica splendida chiesa di San Marziale del dodicesimo secolo ora chiusa per rischio di crollo causato da cedimenti strutturali anche a causa del terremoto del 1882  poi si attraversa
 la parte vecchia del paese costituita da case con i caratteristici tetti a lastroni di pietra della Lessinia o pietra Prun dal nome della principale località di estrazione, Malga de Sora e poco più avanti la bellissima Fontana del Coaleto prima di raggiungere il punto dove si dirama il sentiero Cai 240 - contrassegnato come anello Azzurro, uno degli anelli sentieristici organizzati dalla locale pro loco che si alza al vicino monte Crocetta (mt 952) tra campi di sfalcio e fitta vegetazione. Sulla cima ci si ferma ad ammirare le imponenti pareti del dirimpettaio monte Baldo e di fronte a noi il Santuario della Madonna della Corona con la grande chiesa incastonata nell'enorme nicchia rocciosa, in lontananza la parte meridionale del lago di Garda e dalla parte opposta il profilo aguzzo del Corno d'Aquilio.
Pochi passi e una grande croce si ammira a memoria dell'anno santo 1933. Si scende in direzione sud costeggiando tutto il boscoso versante dei contrafforti rocciosi del monte Pastelletto (mt 1030), la cui sommità è sormontata da antenne e ripetitori, non prima di calarsi nel bosco al sottostante Coal de la Maia, una suggestiva cava naturale raggiungibile seguendo una piccola traccia a destra dell'incrocio. In zona sono presenti numerosi resti di trincee della Prima Guerra Mondiale e molti ripari in grotta avvolti nella fitta vegetazione arborea. L'itinerario ora prosegue lungo il comodo sentiero che solca tutto il dorsale occidentale della montagna fino a raggiungere la testata del Vaio Boralunga e poi scendere fino alla contrada Paroletto. Oltrepassato uno stradello erboso si entra nel fitto di un bosco di carpino raggiungendo località le Rive, sentiero Cai 238, ci si ferma ad ammirare l'eleganza di alcuni cavalli al pascolo e poi attraversare la strada
provinciale raggiungendo in breve la base di partenza. E chiusura al wine bar Sapori della Valpolicella di Fumane

PARTENZA: Breonio (mt 860)
SEGNAVIA: Cai 238-240
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 170
ALTITUDINE: mt 1030
LUNGHEZZA: km 6

giovedì 22 ottobre 2020

I castelli da Vigoleno a Sarzanello - 18-20 ottobre

Castello di Vigoleno
Un territorio ricco di
 testimonianze storiche ma anche di tradizioni culturali ed enogastronomiche all’insegna delle convivialità e della buona tavola, il tutto racchiuso in un contesto naturalistico di rara bellezza, dal fondovalle sino alle cime più alte dell’Appenino. Lo spazio del viaggio si muove  tra paesaggi immersi nella nebbia, le province si ingarbugliano, il grande fiume Po gonfio delle recenti piogge poi quasi improvviso il panorama muta, il sole torna ad abbracciare i dolci pendii collinari dove appare bellissimo il castello di Vigoleno. Domenica 18 ottobre Un imponente complesso fortificato tra Piacenza e Parma, nel comune di Vernasca (PC) sorge sul crinale tra la valle dell'Ongina e quella dello Stirone a guardia delle colline circostanti, esempio di borgo fortificato medievale p
ervenutoci intatto. La sua fondazione risale al decimo secolo ma la prima data documentata è il 1141 quando era avamposto del Comune di Piacenza. Il borgo è completamente circondato dalla cinta muraria e interamente percorribile sull'antico cammino di ronda. Ha un unico accesso attraverso un rivellino che proteggeva il portale d'ingresso. Il cuore del borgo è la piazza, con la bella fontana centrale, su cui si affacciano il mastio, la parte residenziale del castello, l'oratorio e la cisterna. Proseguendo si raggiunge un piccolo gruppo di case strette intorno alla pieve di San Giorgio, uno dei punti di riferimento del romanico piacentino, menzionata in due pergamene, datate rispettivamente 1223 e 1284, caratterizzata dall’impianto basilicale a tre navate con altrettante absidi semicircolari e torre campanaria quadrangolare, sulla cui campata centrale domina l'affresco di San Giorgio che uccide il drago attribuito ad un ignoto maestro locale del XV secolo. Da Vigoleno ci si sposta verso la val di Ceno in direzione del Castello di Bardi, maestosa fortificazione che sovrasta dall'alto dello scoglio di diaspro rosso il punto in cui il torrente Noveglia confluisce proprio nel Ceno.
Castello di Bardi
Anche se oggi Bardi appare defilata dalle grandi rotte commerciali, nel medioevo si trattava di un'importante tappa sul percorso della via degli Abati e non lontano transitavano i pellegrini della via Francigena. L'esistenza di una fortezza risale al regno di Berengario del Friuli. Nell'898 viene venduta al vescovo di Piacenza Everardo che ne fa un sicuro rifugio dalle scorribande predatorie degli Ungari. 
Fino al XII secolo il castello fu governato da una consorteria di nobili locali - conosciuti come conti di Bardi - fino a quando nel 1257 viene acquistato, con il vicino castello di Compiano, dal ghibellino Ubertino Landi di Piacenza. Ai piedi delle possenti mura si svolsero molte battaglie contro i guelfi, sconfitti tra l'altro nel 1313. Sul finire del sedicesimo secolo, per volere di Federico Landi, il castello diventò una residenza principesca dotata di pinacoteca, archivio di famiglia, biblioteca ed esposizione di armi conferendogli l'aspetto attuale. Nel 1691 con l'intermediazione dall'ambasciatore conte Fabio Perletti, il feudo passa ai Farnese, e successivamente, dal 1732 ai Borbone di Spagna. Nel corso dell'Ottocento il castello, persa ogni funzione difensiva, subisce una progressiva decadenza interrotta col suo recupero nei novecenteschi anni Sessanta. La rocca è un complesso cresciuto nel tempo intorno alla mole del mastio, completamente circondato dalle mura scarpate e dotate di cammino di ronda interamente percorribile, la cui forma irregolare segue la conformazione dello sperone roccioso. L'interno comprende vari edifici, posti su diversi livelli: la residenza, gli alloggi delle milizie, la cappella, la sala della tortura, collegati tra di loro da tortuose e strette scale che, come espediente difensivo, girano tutte verso destra. Proseguiamo il viaggio attraverso boschi rosseggianti poi dal fondovalle dell'Alta Val Taro, al confine con la Lunigiana e le Cinque Terre, lo sguardo si alza verso un colle: ecco il borgo antico di Compiano e appena più in alto il castello, luminoso nella notte ma che non riusciremo a visitare. 
Pontremoli
Lunedì 19 ottobre - La nebbia mattutina avvolge campagne e boschi intorno al b&b Cossalta, poi dirada entrando in terra toscana. Raggiungiamo Pontremoli il cui centro storico è raccolto nella sottile striscia di terra in cui il torrente Verde confluisce nel fiume Magra. Di qui passa l’itinerario originario della via Francigena descritto da Sigerico, vescovo di Canterbury, e percorso a partire dall’undicesimo secolo dai pellegrini diretti a Roma e in Terra Santa. Rappresentata dai suoi innumerevoli ponti tra cui il Ponte della Cresa, probabilmente il più famoso di Pontremoli, che scavalca il torrente Verde mettendo in comunicazione i quartieri nuovi con il centro storico. Si tratta di un ponte in pietra costruito nel corso del Trecento che, a dispetto delle frequenti piene del torrente, si è preservato pressoché intatto fino ai giorni nostri. E l'ottocentesco Ponte dei Quattro Santi alle cui estremità sono situate le statue che raffigurano quattro santi, san Francesco d’Assisi, santa Zita, san Francesco Fogolla e san Gemignano. Apprezziamo il silenzio mentre percorriamo il centro storico caratterizzato dalla seicentesca concattedrale di Santa Maria Assunta. La grande cupola, alta oltre 40 metri, è ben visibile praticamente da ogni punto di Pontremoli e, come anche il castello e la torre di Cacciaguerra detta anche il CampanoneQuesta torre si trova oggi proprio fra piazza del Duomo e piazza della Repubblica ed in passato era parte integrante di un’imponente costruzione militare, una delle tre torri della cosiddetta fortezza di Cacciaguerra, una sorta di cortina che tagliava in due Pontremoli, da fiume a fiume. La realizzazione di questo sbarramento, voluto da Castruccio Castracani nel 1322, si era reso necessario per placare le violente lotte fra guelfi e ghibellini, che nel XIV secolo coinvolgevano anche Pontremoli. Il Campanone, unica testimonianza superstite di questa fortezza, fu poi rialzato nel Cinquecento e dotato di una cella campanaria vera e propria.
Castello del Piagnaro
Una stradella si inerpica verso il Castello del Piagnaro in
 posizione strategica dove la via di Monte Bardone risaliva verso il Passo della Cisa. Dalle sue mura il panorama è spettacolare. Il suo nome singolare deriva dalle piagne, lastre in pietra arenaria dal caratteristico colore grigio, che ricoprono il tetto del castello, e il primo documento che riporta il suo nome Planele risale al 1262. La parte più antica del castello è il mastio datato intorno al 1435 e ricostruito da Niccolò Piccinino mentre il resto del complesso architettonico è il risultato di rifacimenti dei secoli successivi. Questo corpo contiene l'attuale ingresso al castello e, sul retro, un vasto cortile con un antico pozzo dal cortile e da qui tramite una gradinata, si sale sulla terrazza dominante la vallata e l'abitato di Pontremoli. Nel corso dei secoli il castello viene abbandonato e il suo recupero ebbe inizio quando si decise di adibirne una parte per la realizzazione del Museo delle Statue Stele lunigianesi, nato nel 1975 per volontà del suo fondatore Augusto Cesare Ambrosi, poi nel 2015 completamente rinnovato e riaperto al pubblico con un allestimento firmato dall'architetto Guido Canali. Riunisce 42 delle complessive 82 statue-stele finora conosciute e si avvale di strumenti multimediali per la comunicazione. Parte delle stele più antiche sono esposte nello scenario intatto della manica medievale ove le tessiture murarie antiche in pietra fanno da cornice naturale a queste antiche sculture preistoriche, suggestivo ammirare al piano superiore le sette stele di Groppoli, visibili in un ambiente appositamente oscurato per ricrearne l'antica sacralità. Lasciamo Pontremoli e una manciata di chilometri più a sud ci incuriosisce Virgoletta (anticamente Verrucola Corbellari), frazione di Villafranca in Lunigiana, in provincia di Massa-Carrara. Situata sul Colle Vignale tra i torrenti Bagnone e Vigesola, è un minuscolo centro di 333 anime.
le Statue Stele lunigianesi
Il piccolo colle è conformato ad onda con due cime: su quella in direzione del comune di Bagnone è situato il 
Castello Malaspina, su quella in direzione del comune di Villafranca la chiesa parrocchiale dei Santi Gervasio e Portasio. Nel mezzo una sella accoglie l'antico portale d'accesso detto degli scaleri. L'abitato cinge queste due emergenze con un susseguirsi di case fortificate e alti terrazzi detti volti cinti. Intorno all'XI secolo dovrebbe essere sorto il borgo di Verrucola Corbellariorum. I Corbellari, subfeudatari degli Obertenghi, esercitarono il loro potere sul borgo in un periodo antecedente all'avvento dei Malaspina. Nel dopoguerra Virgoletta, come tutta la Lunigiana, vide il fenomeno migratorio dei cosiddetti barsan (bresciani) ovvero i venditori ambulanti di vestiti che dalla Toscana portavano le merci in Lombardia e di conseguenza il centro si spopolò. Dopo il Giubileo del 2000 molti pellegrini hanno ripreso a percorrere gli antichi tracciati per Roma lungo la via Francigena (o Romea) che in una delle sue varianti attraversa anche Virgoletta. Mentre si procede sulla statale 62 si presenta ai nostri occhi un tragico spettacolo, il ponte di Albiano Magra collassato nell'aprile 2020 i cui drammatici resti nel fiume rimangono a testimonianza dell'incuria umana. Eccoci ora in Liguria. La segnaletica ci porta alla fortezza di Sarzanellofortificazione militare nei pressi di Sarzana, in provincia di La Spezia, che domina dall'alto la Val di Magra. L'esistenza di una struttura a scopo militare è menzionata per la prima volta in un diploma dell'Imperatore Ottone I, in cui viene concesso al Vescovo di Luni il possesso di sei castra, tra i quali quello de Sarzano. 
Fortezza di Sarzanello
Nel periodo che va dal 1314 ed il 1328 fu plenipotenziario della zona il vicario imperiale Castruccio Castracani, figura nella quale Niccolò Machiavelli avrebbe identificato "Il Principe". Con la vittoria nella guerra di Serezzana dei medicei sulla Repubblica genovese e dopo aver fortificato la città, erigendovi la Cittadella, emerge la necessità di ristrutturare radicalmente la vecchia rocca e di adeguarla alle nuove esigenze belliche. Francesco di Giovanni detto il Francione e Luca del Caprina vengono incaricati di porre mano al progetto della nuova struttura. Quando nel 1494 Piero dei Medici consegnò Sarzana e Sarzanello a Carlo VIII, la fortezza era ancora incompleta. L'opera fu ripresa successivamente dal genovese Banco di San Giorgio e curata da Pietro Biancardo e Matteo Civitali che la terminarono nel 1502, seguendo fedelmente il progetto fiorentino. Completata la costruzione della fortezza, con i tre torrioni ai vertici, si iniziò la realizzazione del rivellino che probabilmente inglobò l'antica torre del castrum. Fu solo allora che la fortezza raggiunse la sua compiutezza formale, in uno straordinario equilibrio di volumi. Nel 1814, con il passaggio al Regno di Sardegna, venne deciso il ripristino della struttura che possiamo ammirare oggi in tutta la sua maestosità. Il mare è a due passi e quindi raggiungiamo la vivacissima Versilia... Martedì 20 ottobre - Risaliamo dalla Toscana verso i passi emiliani con un cielo cupo incapace però di smorzare il multicolor autunnale. Un'indicazione all'entrata di un fitto bosco porta al Castello di Montereggio. Frazione del comune di Farini (PC) si trova in alta val Nure, a 691 metri di altezza. A partire dal IV/V secolo sorse in località Castello di Montereggio ad opera dei monaci dell'abbazia di San Colombano di Bobbio dietro concessione ricevuta da parte del re longobardo Agilulfo, la pieve romanica dedicata ai santi Gervaso e Protaso, ora Chiesa di Sant'Anna, che era in origine affiancata ad un castello poi andato distrutto da cui deriva il toponimo del luogo.
Castello di Montereggio
Per molti chilometri la strada corre tra due ali boschive interrotta talvolta da brevi scorci appenninici, un falco d'improvviso plana davanti a noi, poi si raggiunge i
l passo di Santa Barbara (metri 1136)un valico dell'Appennino ligure situato nel comune di Coli (PC), che mette in comunicazione la val Trebbia con la val Perino. La grande statua di Santa Barbara, dotata da spada e ali per cui viene indicata anche come l'Angelone, è posta al centro della rotonda da cui si dipartono quattro strade. Noi prendiamo in direzione di Bobbio, città sede dell'Unione montana Valli Trebbia e Luretta. Famosa meta turistica ha mantenuto intatte le caratteristiche del borgo medievale. Simbolo della cittadina è il Ponte Vecchio detto anche Ponte Gobbo (o Ponte del Diavolo), un ponte in pietra romanico che attraversa il fiume Trebbia con 11 arcate irregolari, di origine ignota anche se negli archivi storici bobiensi si trova un documento datato 6 aprile 1196 che ne testimonia la manutenzione. Nella parte alta del paese domina il castello Malaspina-Dal Verme, la cui possente costruzione quadrangolare la si deve a Corradino Malaspina nei primi anni del Trecento e inserito, come tutti gli altri castelli visitati, nel circuito dell'Associazione dei Castelli del Ducato di Parma, Piacenza e Pontremoli. Ma di questo e di altri antichi manieri ne parleremo più avanti.

lunedì 19 ottobre 2020

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lunedì 12 ottobre 2020

Sotto il diluvio il castello di Contignaco (Parma) - domenica 11 ottobre

Il Castello di Contignaco è una antica fortezza che risale all'XI secolo. Si erge su una collina di 317 metri posta sulla sinistra del torrente Ghiara, lungo la strada che da Pellegrino Parmense scende verso Salsomaggiore Terme. Dall'altro lato del torrente si trova la chiesa di San Giovanni Battista, antica pieve romanica del medesimo secolo. La costruzione, esempio di architettura militare medioevale, si sviluppa su una pianta regolare intorno a un cortile interno quadrato. Accanto all'attuale portone d'ingresso si alza il mastio, alto circa trenta metri, innalzato intorno al 1030. Nonostante la pioggia battente il paesaggio intorno al castello è suggestivo, circondato da splendidi esemplari di querce, cedri, cipressi e allori. Notevole la quercia ultra centenaria con un tronco di oltre due metri di diametro, posta all'ingresso del cortile del castello e classificato tra gli alberi monumentali della Regione Emilia-Romagna. Costruito da Adalberto Pallavicino con funzione di controllo e difesa delle saline situate a Salsomaggiore e a Salsominore, il castello fu determinante per le fortune dei Pallavicino che gestirono per secoli l'estrazione e il commercio del sale - nel medioevo era così prezioso che veniva utilizzato come moneta di scambio, da qui la parola "salario" - da cui ricavarono gran parte delle loro ricchezze. Conteso a lungo fra i vari discendenti del Pallavicino, nel 1315, dopo una cruenta battaglia il castello venne conquistato dagli Aldighieri di Parma.
Da questo momento nel tronco di questa famiglia si innesta così un nuovo ramo, detto degli Aldighieri di Contignaco. 
Gli Aldighieri proseguiranno nei loro lucrosi commerci di sale mettendosi sotto l'ala protettrice degli Sforza ai quali assicurano "fedeltà, amicizia e servitù" fino al 1537, quando Gian Matteo Aldighieri, sposato con Caterina Rossi di San Secondo, muore senza lasciare figli maschi. 
Si estingue così il ramo degli Aldighieri di Contignaco e la Camera Ducale di Milano passa ogni diritto sul feudo a un ramo della famiglia Pallavicino che assumerà il nome di Sforza-Pallavicino. Successivamente il castello diventa proprietà dei Terzi di Sissa che si estinsero a loro volta nel 1758, poi della Camera Ducale Farnese. Nel 1762 Filippo di Borbone lo vende ai marchesi Ponticelli di Sasso, nella persona dell'archiatra di corte Silvestro Antonio Ponticelli. In pessime condizioni di conservazione nel 1834 viene offerto, suo malgrado, al capitano Alberto Leva per poi venire acquistato, alla fine del diciannovesimo secolo, da Luigi Boschi che ne fa dono non alla sua discendenza maschile ma all'unica figlia Maria, cosa inusuale per l'epocaLa curiosità di questo castello è legato al sommo poeta Dante Alighieri. Infatti gli Aldighieri di Parma, signori del castello per più di due secoli (1315-1537) appartenevano alla stessa famiglia da cui discende Dante Alighieri. Si narra che proprio Dante, durante gli anni del suo esilio, abbia soggiornato presso il maniero, fatto di cui non esiste alcuna documentazione storica. Il legame di Dante con queste zone è corroborato dalla presenza nella Biblioteca Nazionale di Napoli, di un codice miniato della Commedia a firma di Giovanni de' Gambis, un chierico fidentino che nel 1411 vergò una delle sette migliori versioni della Commedia fra le seicento esistenti.
Attualmente il castello domina i campi e i vigneti dell'azienda vitivinicola della famiglia Romanini,
 discendenti di Maria Boschi e proprietari del Castello di Contignaco. Tra i loro vini sono da segnalare il Rosso del Sasso, rosso robusto dal sapore intenso, il carico ma anche leggermente amabile Rosso del Rio dei Predoni e il Bianco del Conte, spumante brut ottenuto col metodo classico. I Romanini sono impegnati anche nella produzione di latte. L'allevamento è composto esclusivamente da capi di razza Bruna Italiana e segue il rigido disciplinare del Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano che mira a mantenere costantemente alte la qualità e la genuinità del prodotto. Prima di riprendere la via del ritorno una visita alle "Antiche Bontà da Renato", a due passi dal casello di Fidenza, i migliori salumi e formaggi della zona accompagnati dai frizzanti rossi emiliani

(fonte: www.castellodicontignaco.it)

lunedì 5 ottobre 2020

Villa Pisani: la regina delle ville venete - domenica 4 ottobre

Lungo la Riviera del Brenta, importantissima via acquea che collega la città di Padova con la laguna, protagonista suo malgrado di non poche le battaglie in passato per il suo controllo, sorgono splendide ville e Villa Pisani, della famiglia dei Pisani di Santo Stefano, a Stra (Venezia) ne è uno dei più celebri esempi. Sin dal Cinquecento le famiglie più nobili di Venezia presero possesso delle rive del Brenta per le loro ville. Inizialmente erano legate all'attività agricola ma nei primi decenni del Settecento vengono ridisegnate dove il fasto del barocco si coniuga all'armonia della classicitàUna volta contenuto il problema delle piene del fiume, le sponde del fiume si trasformarono in uno dei paesaggi storici veneti più importanti caratterizzati da splendide ville con giardini, barchesse e frutteti. Villa Pisani viene costruita a partire dal 1721 su progetto di Gerolamo Frigimelica e, successivamente da Francesco Maria Preti. Al suo interno è visibile lo splendido affresco del Salone delle Feste, l'Apoteosi della famiglia Pisani di Giambattista Tiepolo, realizzato nel 1761, un grande e infinito cielo azzurro con grosse nuvole e personaggi arricchiscono il maestoso salone. Al centro della raffigurazione troviamo la Madonna con la Fede, la Carità, la Speranza e la Sapienza intenta a leggere un libro. Vicino alla Madonna è rappresentata la famiglia Pisani in abiti settecenteschiI Pisani, dopo essersi impadroniti dei terreni adiacenti alla villa già esistente sul progetto del Frigimelica realizzano i primi padiglioni del giardino. Quest'ultimo muore nel 1732 e, dopo la sua scomparsa, Alvise Pisani incarica dei lavori il giovane e nobile architetto Francesco Maria Preti: la progettazione degli spazi e della facciata del palazzo evidenziano il nuovo rigore architettonico neopalladiano e intorno al 1756 i lavori vengono completati. Con la Rivoluzione francese il Settecento si chiude con la perdita di importanza economica e politica di Venezia determinando l'impoverimento delle casse dei Pisani anche a causa di debiti di gioco. Nel luglio 1807 Villa Pisani viene acquistata da Napoleone I Bonaparte, inserita tra i beni della Corona francese e ceduta a Eugenio Beauharnais, figliastro di Napoleone, e alla sua consorte la principessa Augusta di Baviera che ne disposero il rinnovamento.
Salone delle Feste
Villa Pisani verrà sistemata per rispondere ai gusti degli attuali proprietari e anche se le trasformazioni non saranno eccezionali tutta la serie di decori delle stanze si adatteranno al nuovo gusto imperiale
. Dopo la disfatta napoleonica la villa diventa proprietà degli Asburgo e assegnata al Governatorato Generale Civile e Militare del Lombardo-Veneto che la utilizza come sede di rappresentanza ospitando la più importante aristocrazia europea, quale Carlo IV di Spagna, Maria Luigia d'Austria, Maria Anna Carolina di Savoia, lo zar Alessandro I e Ferdinando II di Borbone, re di NapoliNel 1866, durante la terza guerra d'indipendenza, Villa Pisani ospita lo stato maggiore dell'esercito italiano ed è in quell'occasione probabilmente che si tiene l'incontro di Vittorio Emanuele II con la moglie morganatica Rosa Vercellana, di cui resta memoria nelle attuali "Sale Savoia". Dopo l'annessione del Veneto al Regno d'Italia nel 1868, villa Pisani diventa  proprietà dello Stato e nel 1884 un museo. Nel frattempo viene messa più inutilmente all'asta e la perdita d'interesse per la magione determinerà in poco tempo la diminuzione dei fondi per la manutenzione mettendo a rischio l'integrità dei padiglioni del giardino oltre che ai raccolti botanici e alle limonaie. Nei primi del Novecento riceve la visita del poeta Gabriele D'Annunzio e di Eleonora Duse, mentre nel 1909 una parte del piano terra viene concesso all'Istituto per le ricerche idrotecniche della vicina Università di Padova, responsabile insieme al Magistrato delle acque, della creazione della vasca nel parterre centrale. Successivamente, nel 1934 la villa ospita il primo incontro ufficiale tra Mussolini e Hitler, poi nell'immediato dopoguerra il declino appare inesorabile e il complesso vive una lungo periodo di abbandono e disinteresse fino alla chiusura di quasi tutte le sale e alla cancellazione di molti ambienti del giardino. Solo negli anni Ottanta iniziano i lavori di restauro che ridanno dignità ed evidenza a molti ambiti del parco e della villa. All'epoca della sua costruzione Villa Pisani contava 114 stanze (ora sono 168). 
Le stanze sono denominate in base all'utilizzo o all'ospite di riguardo che vi soggiornò: la più importante è sicuramente la "stanza di Napoleone", con letto a baldacchino in stile impero.
E poi c'è lo splendido parco. Non appena si varca la soglia il colpo d'occhio è eccezionale: due lunghi viali di ippocastani, 
abbelliti con statue provenienti da altre ville venete, contengono il vasto parterre centrale e la lunga armoniosa
 piscina allungando in prospettiva la distanza reale tra la villa e le belle scuderie, e pur trattandosi di una costruzione settecentesca il pronao ci ricorda Andrea Palladio. Il bellissimo labirinto di siepi di bosso purtroppo è chiuso mentre a completamento della costruzioni si trovano la limonaia, la serra e la ghiacciaia ovvero una collinetta artificiale, cava internamente, che conteneva acqua che d'inverno ghiacciava, sormontata da un piccolo padiglione, luogo di sosta durante le lunghe passeggiate. Villa Pisani è parte di un numero straordinario di gioielli incantevoli e al tempo stesso fragili che richiedono continue attenzioni e interventi. Se non fossimo in grado di tutelare questo eccezionale patrimonio che sta sotto i nostri occhi rischieremmo di vederlo sbriciolarsi in un attimo. E con questi pensieri raggiungiamo il ristorante "Brace e Fantasia", praticamente a meno di un chilometro dalla villa, locale allegro e informale dove in un menu ricchissimo e a chilometro zero, la specialità rimane la cosiddetta "grigliata Fantasia" un mix di carne composta da tagliata di manzo, controfiletto di manzo, straecca di cavallo e picanha, servita con un contorno di polenta fritta e verdura di stagione al forno.  (cit. fonti varie)