lunedì 26 ottobre 2015

Scandalosa Tamara...(domenica 25 ottobre)

Bella, elegante, trasgressiva, indipendente, forte e fragile al tempo stesso. Tamara de Lempicka, icona dell'emancipazione femminile e protagonista indiscussa dell'Art Déco, continua ancor oggi ad affascinare e sedurre con la sua vita avventurosa, le sue opere smaglianti e ricche di glamour, il suo protagonismo nella vita mondana. Verona le rende omaggio con una importante mostra monografica a Palazzo Forti: 200 le opere presenti tra dipinti, disegni, fotografie, acquarelli, abiti e video d'epoca testimonianze della poliedrica personalità di questa autrice. L'esposizione, suddivisa in sette sezioni, accompagna il nostro sguardo curioso lungo l'evoluzione artistica della pittrice polacca. La ricerca della forma leviga corpi di algida bellezza, forti sono i richiami cromatici alle avanguardie storiche e i suoi rossetti che tanto amava, accesissimi ed esasperati, riecheggiano persino nelle raffigurazioni "sacre" rendendo intrigante l'arte della Lempicka. La prima sezione è dedicata a "I mondi di Tamara" ed esplora le case in cui visse l'artista. Ci sono la casa-atelier di rue Méchain a Parigi, dove Tamara andò a vivere nel 1930, la grande villa coloniale del regista King Vidor a Beverly Hills dove giunse con il barone Raoul Kuffner de Dioszegh, suo secondo marito, nel 1939 e la casa di New York in cui abitò durante gli anni Quaranta. A seguire la sezione "Madame la Baroness, Modern medievalist" che prende spunto da un articolo pubblicato negli Stati Uniti nei primi anni Quaranta in cui si esaltava il virtuosismo tecnico espresso dall'artista in particolare nel genere delle nature morte.
Vi sono esposte "La conchiglia" e una serie di opere dedicate alle mani, soggetto caro pure ad alcuni fotografi come Kertész, Kollar, Dora Maar. Si passa quindi ai dipinti che ritraggono la figlia Kizette tra cui spicca, per la ricca gamma di bianchi delle vesti dal forte effetto plastico, "La comunicanda". La tela, premiata nel 1929, anticipa la serie di opere forse più inattese della mostra, ossia quelle a soggetto devozionale, le "Sacre visioni", dove sono esposte la "Vergine blu" e la "Madre Superiora" il quadro preferito della Lempicka. Di tutt'altro tenore le opere della sezione "Scandalosa Tamara" dedicate al tema della coppia e alle "Visioni amorose", capolavori quali "Prospettiva (Le due amiche)", l'unico "Nudo maschile" da lei dipinto o "La bella Rafaela" rivelano la potenza espressiva, sensuale dell'artista nella sua originale rielaborazione del cubismo di impronta naturalistica appreso dal suo maestro Andrè Lhote e l'uso sapiente della luce di derivazione fotografica. "Dandy déco" invece approfondisce il rapporto della pittrice con la moda realizzando così una mostra nella mostra, ovvero un'inedita sfilata di abiti, calzature e accessori degli anni Venti e Trenta scelti rispecchiando i gusti della Lempicka. 
La sezione della moda presenta anche le foto di Tamara indossatrice, immortalata dai più grandi fotografi di moda come Madame d’Ora e Joffé a Maywald. I prestiti provengono da diverse fondazioni: il Museo della Moda di Ciliverghe (Brescia), ha concesso un abito bianco dei primi anni Trenta che rispecchia il complesso disegno dell’abito indossato nel dipinto "Ritratto di Madame Perrot" e l’abito da sera che la cantante lirica Lina Cavalieri indossò nella serata di gala dell’aprile 1920 quando dette il suo definitivo addio alle scene. Sono poi esposte alcune ricerche d’avanguardia di quei decenni. La Fondazione Biagiotti Cigna ha prestato l’abito futurista disegnato da Giacomo Balla intorno al 1930 protagonista del Divisionismo italiano che sicuramente la Lempicka conosceva, vista la frequentazione con molte personalità del gruppo tra cui Francesco Monarchi, uno degli autori nel 1933 del Manifesto futurista del cappello italiano, che con Prampolini la intervistò a Parigi nel 1929. L’abito di Balla è esposto accanto ad alcune eccentriche e geniali creazioni di Salvatore Ferragamo: le sue calzature sono piccole e preziose sculture, veri oggetti d’arte destinati a essere indossati da molte donne famose dell’epoca, percorso completato da una “vetrina del lusso” che raccoglie un tripudio di borsette e cappellini, tra cui due esemplari della sua modista preferita, Rose Descat. 
Il medesimo orientamento eclettico della Lempicka lo si riscontra nei suoi gusti e nelle sue frequentazioni musicali. Amava la lirica. Ritrasse Bianca Bellincioni Stagno, soprano che aveva debuttato nel 1913 a Graz come Cio Cio San in Madama Butterfly. Il disegno, risalente al 1925, è in mostra nella prima sezione. La Lempicka la conobbe a Milano quando allestì la sua prima personale in quella Bottega di Poesia che fu anche casa editrice musicale, gestita da Walter Toscanini e dal conte Emanuele Castelbarco. L’artista rimase sempre legata alla San Pietroburgo di inizio Novecento che l’aveva vista spettatrice di balletti al Mariinsky ma frequentò anche i più popolari cabaret parigini creati dagli esuli della rivoluzione in cui si esibivano danzatrici in costumi russi: una tela del 1924, "Ballerina russa" che apre il percorso espositivo, testimonia questo tenace legame con la "sua" Russia. 
Apprezzava i locali jazz in cui si esibiva Josephine Baker, amava le facili musiche del charleston, del tango e del fox-trot che rallegrarono "la decade dell'illusione", passò molte serate a La Vie Parisienne, un locale per sole donne gestito da una delle sue amanti, in cui la cantante Suzy Solidor, indimenticata Lily Marlene francese, intonava canzoni bretoni. Tamara de Lempicka, espressione d'indipendenza, eleganza e modernità, grande ammiratrice di Greta Garbo, si muove con la disinvoltura di un'attrice in due brevi film del 1930 e del 1932 in visione a fine mostra. La pellicola del 1930 la coglie in compagnia della sua storica amante, Ira Perrot, in giro per Parigi mentre il breve film del 1932 esplora lo studio della Lempicka e la sorprende nella vita di tutti i giorni, fatta di lavoro e cura della propria immagine. Un viaggio, dunque articolato, approfondito, affascinante e irripetibile nel mondo di Tamara de Lempicka simbolo di trasgressione e indipendenza da cui si esce rapite dalla forza espressiva di questa inimitabile artista.


domenica 18 ottobre 2015

EVEREST


giovedì 15 ottobre 2015

Grandi Donne: ARLENE BLUM e la conquista dell'Annapurna - 15 ottobre 1978

Nell'agosto 1978, tredici donne lasciano San Francisco per raggiungere il Nepal ed entrare di diritto nella storia dell'alpinismo come i primi americani e soprattutto le prime donne a scalare le piste insidiose dell' Annapurna I (8091 metri), la decima vetta più alta del mondo. Capo della spedizione è Arlene Blum che racconta nel suo libro, Annapurna: A Woman's Place la loro storia drammatica: i problemi logistici, le tempeste e le arrampicate pericolose sui ghiacciai, i conflitti e le riconciliazioni all'interno del team, il terrore delle valanghe che minacciavano di travolgere campi e scalatori...Il 15 ottobre, due donne e due sherpa finalmente raggiungono la cima, ma i loro festeggiamenti vengono interrotti due giorni più tardi dalla tragica scomparsa delle componenti della seconda squadra che tentavano a loro volta la vetta. Un racconto di alpinismo mai prima di allora narrato dal punto di vista di una donna a dimostrazione che le donne possedevamo la capacità, la forza e il coraggio per tentare le sommità himalayane sradicando la percezione sessista sulle reali capacità delle donne nello sport e nella vita. Annapurna: A Woman's Place, pubblicato nel 1980 è diventata una storia di sfida e impegno raccontata con passione e inflessibile onestà. Ecco il racconto di quella spedizione.

Il nome della grande montagna, Annapurna, tradotto dal sanscrito significa "la dea della fertilità." Era l'obiettivo giusto per la prima grande spedizione americana femminile in Himalaya, almeno noi pensavamo così. Ma questa vetta è incredibilmente difficile da conquistare. Delle tredici spedizioni che hanno tentato di salire sull'Annapurna sino ai nostro tentativo del 1978, solo quattro hanno avuto successo. Nel mese di agosto 1978, un gruppo di nove americane e una britannica decide di tentare di raggiungerne la vetta. L'idea della nostra spedizione nasce 6 anni prima, nell'agosto 1972 su una montagna chiamata Noshaq situata lungo il corridoio del Wakhan in Afghanistan. Wanda Rutkiewicz, (prima europea e terza donna al mondo sull'Everest il 16 ottobre 1978), Alison Chadwick-Onyszkiewicz e io eravamo sul Noshaq. In quei anni moltissimi scalatori erano saliti sugli 8000 ma queste altitudini non erano state ancora raggiunte da nessuna donna. Così noi tre abbiamo deciso di organizzare una spedizione solo femminile su un Ottomila. Speravamo di raggiungere l'Annapurna I nel 1975 ma non siamo riuscite ad ottenere il permesso governativo. Nel frattempo, nel 1974, tre alpiniste della spedizione giapponese hanno raggiunto il Manaslu, prima salita femminile su un ottomila.
E nel 1975, una spedizione polacca mista guidata da Wanda Rutkiewicz con Alison Chadwick- Onyszkiewicz raggiungeva il Gasherbrum III, a quel tempo la vetta più alta inviolata nel mondo. Nella medesima spedizione, Anna Okopinska e Halina Krueger- Syrakomska salirono il Gasherbrum II, la prima femminile su un picco di 8000 metri non accompagnate da uomini. Nello stesso anno, la scalatrice giapponese Junko Tabei e lo sherpa Phanthog raggiungono la vetta dell'Everest. Nel 1976, ho preso parte alla American Expedition Everest dove siamo stati in grado di ridurre al minimo i rischi valanga sulla cascata di ghiaccio Khumbu salendo prima dell'alba, tattica da impiegare anche sull'Annapurna. Dopo l'Everest, ho contattato il Ministero del Turismo nepalese ottenendo con mia gioia il permesso di scalare l'Annapurna I nella stagione post-monsonica 1978. I successivi due anni sono stati impiegati nella selezione della squadra, l'acquisto di attrezzature e cibo, e tutti gli accordi che accompagnano una grande spedizione.
Ecco il nostro team di scalatrici: Vera Watson, Irene Miller, Joan Firey, Piro Kramar, Alison Chadwick-Onyszkiewicz, Vera Komárková, Liz Klobusicky, Margi Rusmore, e Annie Whitehouse tutte con una vasta esperienza alpinistica e la partecipazione a numerose spedizioni. Inoltre abbiamo inglobato nella squadra Christie Thews, il nostro manager del campo base, Dyanna Taylor e Marie Ashton, le nostre cineaste. Siamo stati assistite da un ottimo sirdar, Lopsang Tsering, e cinque portatori d'alta quota: Chewang Renzing, Mingma Tsering, Lakpa Norbu, Ang Pemba e Wangyal. Il nostro principale sponsor sull'Annapurna era davvero insolito: abbiamo venduto magliette con lo slogan "A woman's place is on top Annapura" per un'azienda di biancheria intima. Il 16 agosto la nostra carovana di circa 230 persone tra scalatori, facchini e sherpa lascia Pokhara seguendo l'antica via commerciale tra il Mustang e il Tibet. Raggiunto il fiume Kali Gandaki puntiamo verso nord seguendo il percorso della prima ascensione del leggendario Maurice Herzog nel 1950. Raggiungiamo i 1200 metri attraversando fitte foreste lungo un sentiero di fango scivoloso ma ben presto le piste forestali e i ripidi pendii erbosi vanno via via diradandosi sino al Passo francese, a 4400 metri.
Una lunga traversata sopra l'immenso canyon del Mristi Khola, seguita da una discesa di centinaia di metri verso il fiume e immediatamente dopo una nuova ardua salita sino ad arrivare alla postazione del campo base il 27 agostoIl campo è stato organizzato su una morena pianeggiante vicino al ghiacciaio a nord dell'Annapurna a 4420 metri sulla sinistra della lingua del ghiacciaio. Il 28 agosto dopo aver superato una serie di balzi rocciosi nella parte alta del ghiacciaio Liz Klobusicky e Alison Chadwick  organizzano campo 1 a circa 5000 metri di quota. Le piazzole vengono livellate da ghiaccio e roccia e gli sherpa le mettono in sicurezza pregando gli dei della montagna e cospargendo il perimetro del campo con il riso che il Lama aveva consacrato. Il 3 settembre Vera Watson, Annie Whitehouse e Piro Kramar raggiungono campo 2 a 5640 metri, campo predisposto dalla cordata olandese l'anno precedenteIl giorno dopo Irene Miller, Vera Komárková ed io fissiamo l'ultimo tratto percorso che porta a campo 2. Il sito aveva un diametro di nove metri e posto sotto una parete di ghiaccio che sembrava potesse offrire una certa protezione contro le valanghe. Eravamo estremamente consapevoli del pericolo valanghe a campo 2 perché in questa zona numerosi alpinisti ne erano rimasti coinvolti. Al campo abbiamo trovato resti della precedente spedizione olandese: scale metalliche per superare i crepacci, pali delle tende, sacchetti di plastica, e meglio di tutti, un pacchetto di cioccolato. Lopsang, il nostro sirdar, ancora una volta aveva cosparso di riso tutta l'area ammonendoci che il riso sacro non sarebbe stato sufficiente a garantire la sicurezza del campo.
Tuttavia dato che il calendario tibetano afferma che l'inizio di settembre è di cattivo auspicio per l'esposizione delle bandiere votive, abbiamo dovuto aspettare fino alla metà del mese prima che queste fossero portate al campo base. La tempistica della cerimonia comunque collimava bene con il diario che avevo previsto per la scalataIl monsone di solito termina a metà settembre così abbiamo avuto due settimane per stabilire campo 2 e trasportare l'attrezzatura. Dopo avremmo iniziato ad arrampicare la parte più difficile della montagna dove a quote tra i 5600 e i 6400 metri c'è maggior pericolo di valanghe. Tre le opzioni per la salita: (1) Il percorso della spedizione francese del 1950, che prevedeva una salita tecnicamente difficile ma più breve comunque in linea diretta con le valanghe. (2) Il percorso olandese che comportava un primo incrocio sotto la via francese incline alle valanghe, una ripida salita lungo una stretta di ghiaccio e roccia, camminando poi sulla sua cresta. (3) Più a sinistra c'era il percorso degli spagnoli che qualche anno prima avevano affrontato il versante est per raggiungere la vetta dell'Annapurna, seguendone la prima parte per poi attraversarlo tutto fino alla sommità. 
Abbiamo deciso di ripetere il percorso olandese che si presentava come il più sicuro. La notte prima della cerimonia dell'alzabandiera, abbiamo fatto festa di compleanno a due alpiniste del team, Margi che compiva 21 anni e Joan 50 anni, la componente più giovane e più anziana della squadra.Prima del solenne alzabandiera, gli sherpa si alzarono all'alba e costruirono un altare di mezzo metro in pietra rettangolare tra il nostro campo e il torrente. Rami di betulla furono bruciati e molte bandiere colorate sollevate. Abbiamo fatto offerte agli dèi della montagna e discorsi sulla scalata alla vetta. Proprio in quel momento spunta il sole rivelando la vetta dell'Annapurna al di sopra di noi. Un buon auspicio, noi speravamo. Il I7 settembre iniziamo ad arrampicare sul lato della nervatura olandese. Vera Komárková, Piro Kramar e Chewang Renzing si trovano a metà strada quando il tempo cambia di colpo e viene giù una grande tempesta. Cadono quasi trenta centimetri di neve all'ora su campo 2 e forte è il rischio valanghe su entrambi i lati del campo. Bisognava scavare ogni minuto, non c'era altra scelta altrimenti il peso della neve fresca avrebbe collassato le tende e di conseguenza l'abbandono del campo. Inoltre questa nuova neve aumentava il pericolo di valanghe quando avremmo ripetuto il tentativo sul percorso olandese. Per fortuna la tempesta si è placata e abbiamo aspettato alcuni giorni per il consolidamento della neve fresca. Annie, Vera Komárková, Mingma e Ang Pemba scalano il resto della nervatura olandese raggiungendo la cresta il 21 settembre. Il giorno dopo Vera Komárková, sempre energica, e Vera Watson tornano a stabilizzare un provvisorio campo 3A sulla cresta della nervatura. Da questo campo si salirà verso campo 3. 
Il 22 settembre Liz, Alison, Margi, Ang Pemba e Mingma avanzano sulla strettissima cresta. Nel frattempo si susseguivano piccole slavine ma è la troupe del film, al quale avevamo promesso che non si sarebbero trovate in postazioni pericolose, a subire la valanga. Il 26 settembre, la più grande valanga che abbia mai visto si staccava dal ghiacciaio a 7000 metri sopra campo 1. Il blocco nevoso era vasto circa tre chilometri come si è potuto vedere con orrore da campo 2. Abbiamo intravisto la troupe del film, Joan, Christie e due facchini sotto il ghiacciaio, sei piccole macchie sul percorso della gigantesca massa di neve. In pochi secondi la valanga ha spazzato tutto il ghiacciaio seppellendo le macchie e ammantando campo 1. Per diversi terribili momenti il nulla poi quando la valanga finalmente si è fermata abbiamo visto rialzarsi le piccole macchie e muoversi in modo irregolare, come formiche la cui casa è stata calpestata. Abbiamo contato sei puntini e tirato un sospiro di sollievo. La valanga ha livellato campo 1 continuando la sua corsa fino al campo base. Avevamo messo i nostri campi in luoghi considerati al sicuro dalle valanghe, ma quest'anno è diverso. Nessun luogo era davvero sicuroIl pericolo valanghe era così grave che si era seriamente considerata l'ipotesi di rinunciare e tornare a casa. Ma lo slancio della scalata aveva alla fine sopraffatto i nostri dubbi quindi si andava avanti. Nel frattempo, Liz Klobusicky, Alison Chadwick-Onyszkiewicz, Mingma e Ang Pemba raggiungono la cresta della nervatura e piazzano campo 3 a circa 6400 metri. La parte tecnicamente più difficile dell'Annapurna era stata superata. Poi Annie Whitehouse, Vera Komárková. Chewang e Mingma si trovano ad affrontare due lunghi duri giorni di arrampicata per stabilire campo 4 a settemila metri.
Il campo è una piccola piattaforma all'ombra di un enorme seracco. Era un luogo freddo e umido, ma aveva una vista spettacolare. Fissato campo 4, la domanda del giorno era: "Chi farà parte della summit team?". Avevo pensato fin dall'inizio che la selezione naturale avrebbe fatto la scelta della squadra d'assalto. In molte spedizioni, dopo mesi di duro lavoro ad alta quota, alcuni alpinisti sono fisiologicamente o psicologicamente troppo provati per tentare l'attacco alla cima ma la maggior parte della squadra stava diventando ancora più forte e più determinata di giorno in giorno. Liz Klobusicky aveva dovuto andare a casa presto per mantenere il suo lavoro di insegnante in Germania, la forza di Joan Firey era stata indebolita da una precedente malattia ed io avevo perso il mio personale desiderio di raggiungere la vetta sotto il peso della responsabilità della logistica e dei movimenti della squadra a fronte dell'evidente pericolo valanghe. Il resto della squadra, sette delle dieci scalatrici, erano ancora ansiose di cimentarsi con l'assalto alla vetta. Il piano originale considerava Piro Kramar, Irene Miller e Vera Komárková a formare la prima squadra e Alison, Vera Watson, Annie Whitehouse e Margi Rusmore la seconda. Margi sarebbe salita a piazzare campo 5 con due degli sherpa e i tre si sarebbero riposati durante il primo tentativo di vetta per poi prendere parte al secondo. 
Dal 12 ottobre abbiamo osservato stormi di oche che migravano dal Tibet all'India. Le abbiamo viste volare ad una altitudine di 8300 metri sopra la vetta. Erano i primi animali che vedevamo dopo settimane. Non siamo riusciti a capire il motivo per cui abbiano scelto di volare sulle montagne più alte del mondo. Perché non hanno preso la strada più facile attraverso i valichi bassi e le vallate dove potevano trovare cibo e acqua? Sentire giorno dopo giorno le loro grida mentre volavano sopra la vetta dell'Annapurna ci ha intensamente emozionate. In un certo senso eravamo come loro. In questo posto ai confini del mondo senza audio se non il vento e le nostre voci; senza luogo se non l'azzurro del cielo, le cime bianche e i colori sgargianti delle nostre tende; senza sensazioni se non il freddo della neve e del ghiaccio e il calore del sole, i nostri sacchi a pelo e le stufe. La domanda importante era perchè siamo qui? Pronte le risposte: per visitare l'Asia, per scalare una montagna, per testare la nostra forza e conoscere noi stesse. Tutto questo era vero, ma non era abbastanza. Perché una donna rischia la vita per stare sulla cima di una montagna? Un gruppo di oche fa il giro della vetta ancora una volta prima di riprendere il loro volo verso sud. Sfrecciano tra le alte cime per il panorama? Per la gloria? Ho sorriso e pensato "Scommetto che stanno andando per il gusto di farlo"Il 13 ottobre, la prima squadra sostenuta da Lakpa si sposta fino al campo 4. Nello stesso tempo Chewang, Mingma e Margi cercano di stabilire campo 5. Poi Margi deve scendere a campo 3 per il congelamento di un piede, mentre Mingma e Chewang finiscono il lavoro. Il giorno dopo la prima squadra d'assalto, con tre sherpa di supporto, sale a campo 5, a circa 7300 metri. Chewang e Mingma chiedono di unirsi alla prima squadra d'assalto garantendo in questo modo la sicurezza e la probabilità di successo del team. Il 15 ottobre i cinque alpinisti iniziano a prepararsi. Proprio mentre stanno per andarsene, Piro Kramar nota che c'è un piccolo foro nel suo guanto di linea e la punta di un dito si è congelata. Si toglie il guanto e tutto il dito era bianco e non si muoveva. Poiché Piro è un chirurgo e l'uso delle dita sono come "strumenti di lavoro" ritorna nella tenda rifiutandosi di andare in vetta, Gli altri quattro alpinisti cominciano a salire poco prima delle sette. Il tempo appare buono per l'assalto alla vetta: cielo sereno e assenza di vento. Il terreno ripido e ghiacciato. A 7700 metri, dopo circa tre ore e mezzo di arrampicata, Vera Komárková esclama "sento bollire il mio cervello" e lei e Irene iniziano a utilizzare l'ossigeno. Poco sotto la cima della piramide la neve è molto profonda e il loro ritmo viene rallentato, ma presto dirada e camminare diventa più facile.
Sotto la cima gli strati di roccia non sono un problema. Raggiungono una cresta sommitale ventosa. Chewang inizia a correre lungo il crinale cercando di determinare il punto più alto dove procedere e alla fine arrivano lì, il picco di Annapurna I, finalmente! Alle 15.30 del 15 ottobre 1978, i quattro alpinisti sono a 8091 metri in cima alla decima montagna più alta del mondo! Sulla vetta lasciano molte bandiere, quella nepalese, l'americana e una con la scritta 'A Woman's Place is on top". La vista dall'alto è straordinaria. Montagne bianche al di sopra di un mare di colline marrone e rosse fuse all'orizzonte con il blu intenso del cielo. Come Irene, Chewang e Mingma si mettono in posa per la macchina fotografica di Vera Komárková, cominciano a gridare nella radio, e un grande grido di gioia risuona da un campo all'altro e giù per la montagna. Gli scalatori tornano indietro diretti a campo 5, due razzi rossi vengono sparati verso il cielo sopra campo 2 così da segnalare il successo a Margi e Annie a campo 3.
Il 16 ottobre gli sherpa scendono direttamente a campo 2, mentre Piro, Irene e Vera rimangono a campo 4 a sostegno della seconda squadra d'assalto: Alison Chadwick-Onyszkiewicz e Vera Watson. Avevamo sperato che uno o più degli sherpa sarebbero rimasti in cima alla montagna a sostegno del secondo tentativo alla vetta, ma i tre sherpa erano scesi al campo base con sintomi d'altitudine e gli altri tre a campo 2 erano molto stanchi del lavoro in quota. La notte del 16, Alison, Vera Watson, Vera Komárková, Irene e Piro trascorrono la notte a campo 4 discutendo l'imminente ascesa della seconda squadra. Nonostante la mancanza degli sherpa, Vera e Alison sono determinate a fare il proprio tentativo. In molte spedizioni himalayane, dopo che una squadra raggiunge con successo la vetta, la tensione si placa. Ma Alison e Vera volevano almeno salire a campo 5, stavano infatti considerando di fare un tentativo sul picco centrale inviolato dell'Annapurna.
La mattina successiva guardavamo con i binocoli gli spostamenti di Vera e Alison sul ripido ghiaccio verso campo 5. Facevano maggiori progressi rispetto alla prima squadra, gravata com'era di carichi molto più pesanti. Tende, sacchi a pelo e un po 'di cibo erano a disposizione di Vera e Alison a campo 5. Le guardavamo farsi strada fino al pendio finchè la montagna non è stato coperta dal buio della notte. In base all'ultima chiamata radio della giornata, la troupe cinematografica stimava che Vera e Alison fossero a venti minuti da campo 5 e si muovevano bene. Tuttavia quella notte non chiamarono, e il giorno dopo non si hanno notizie di loro nonostante i continui tentativi alla radio e i controlli del versante con i nostri binocoli. Non abbiamo alcun segno di loro. Pensavamo che la loro radio fosse rotta, ma ci stavamo preoccupandoAbbiamo discusso con gli sherpa al campo 2 chiedendogli di risalire la montagna al mattino per vedere se Vera e Alison avessero bisogno di aiuto ma gli sherpa erano troppo stanchi per scalare e ci rassicurarono su di loro. Il giorno dopo, non ci sono ancora segni di movimento e nessuna parola alla radio, allora gli sherpa coraggiosamente decidono di tornare su a campo 5 per vedere se Vera e Alison fossero in difficoltà. Poche ore dopo la radio trasmette le voci agitate degli sherpa. Proprio dal tono, ancor prima che della traduzione, sapevamo che le notizie fossero delle peggiori. Gli sherpa avevano trovato il corpo di Alison. Lei era ancora legata alla corda e la corda cadeva in un crepaccio dove c'era Vera...
Siamo stati sopraffatte dal dolore. Sapevo dove guardare ora, ho preso il binocolo e controllato i pendii alla sinistra di campo 4. Ho potuto solo vedere una macchia rossa, la giacca di Alison. A quanto pare Vera e Alison non avevano mai raggiunto campo 5 il 17 ottobre. Devono essere cadute sul ghiaccio ripido sotto il campo o buttate giù da una frana. Caddero per quasi trecento metri fino a quando non si fermarono a sinistra del campo 4. Gli sherpa riferirono che Vera e Alison dovevano essere morte durante la caduta. Ho chiesto a Piro e Vera Komarkova di salire con me il giorno dopo per esaminare i corpi. Si sono preparate presto ma il dito di Piro ha ricominciato a congelare, e siamo state costrette a tornare indietro. Con estrema tristezza, abbiamo imballato i nostri carichi e siamo scese al campo base.
I
 nomi di Vera e di Alison sono stati incisi sulla roccia dove sono già scritti quelli degli altri sette alpinisti che sono morti sull'Annapurna. Ora i loro nomi rimarranno per sempre di fronte alla vetta che speravano di raggiungere. Sarebbe un mondo diverso se Alison e Vera fossero ancora con noi. Eravamo piene di gioia dopo una scalata di successo... Abbiamo preso le mani e cantato la nostra vecchia canzone e poi gli sherpa hanno intonato "om mani padme hum, om man!"



Arlene Blum
Annapurna: A Woman's Place
Edizione: Counterpoint
Lingua: Inglese
Pagine: 272
www.arleneblum.com

lunedì 12 ottobre 2015

Polenta, spiedo...e le Schiappers! (sabato 10 ottobre)

Il sabato sera è fresco e piacevole, colora di fuoco il cielo d'ottobre stralcio di un autunno travestito d'abiti solari. Dentro, frenetici i preparativi: tavoloni ricoperti di giallo riempiono il grande spazio dell'antico cascinale, l'atmosfera allegra e colorata mentre la cucina è un vibrante alveare. Sul fuoco barbotta la polenta. E' festa grande stasera, sul calendario spuntati con matita rossa tanti compleanni da festeggiare, anche se in fondo è solo il pretesto dello stare insieme. Le marmotte coordinano l'impianto organizzativo in modo impeccabile. A piccole frotte arrivano le invitate, risate e commenti abbozzati davanti all'aperitivo, poi gradualmente le sedute si riempono, qualche bicchiere di buon rosso e la favella si anima in attesa del simposio con il re della cucina d'autunno, lo spiedo, senza comunque dequalificare alcuni stilemi vegetariani rispettati nella varietà di verdure, speziate salsine, noci e formaggio.
La cena, esclusivamente ad invito, scandisce ritmi giocosi poi una voce dal fondo prepara il proscenio ed ecco apparire le Schiappers! Strizzate in abitucci assolutamente surreali e zampettando su funambolici trampoli, le "mitiche" si presentano sotto parrucconi ad effetto, giocando con ironica indolenza tra un trucco volutamente pesante, messo insieme in fretta e furia tra un'esibizione e l'altra, e una comicità liberatoria da avanspettacolo. Le Schiappers si divertono e divertono trasformando la normalità del proprio aspetto in una femminilità prorompente, un gioco al trasformismo che coinvolge anche la platea, spettatrice e primadonna al tempo stesso. Si fanno le ore piccole, anzi piccolissime. Si ripongono trucchi e parrucche. E' ora di andare...

venerdì 2 ottobre 2015

Grandi Donne: CLAUDE KOGAN, un sogno chiamato Cho Oyu

Negli anni '50 anche le alpiniste furono prese dalla frenetica corsa alla conquista degli Ottomila himalayani. Fra queste Claude Kogan, la "donna più alta del mondo" dopo il primo tentativo - fallito -sul Cho Oyu, cima che rimase per lei una vera ossessione. Nata a Parigi nel 1919 a soli vent'anni entra nel club Ski Moutagne di Nizza distinguendosi, più di molti uomini, per la sua volontà e tenacia in cordata. Con Georges Kogan, che sposa nel '45, affronta le Alpi, poi a partire dal 1950 la coppia va alla conquista della Cordillera Blanca in Perù, in cordata con Nicole Leiniger, raggiungendo la vetta del Guitaraju (6100 metri).
Dopo la morte improvvisa di Georges, nel dicembre 1951, Claude si muove attraverso le Ande, il Caucaso, la Groenlandia fino all'Himalaya con il primo tentativo al Cho Oyu (8153 metri), al confine tibeto-nepalese, con Raymond Lambert (1954). Sconfitti dal vento rinunciano a proseguire con la cima a soli 450 metri di distanza. Claude sa già che tornerà. Il suo sogno è quello di dirigere una spedizione esclusivamente femminile, con le migliori alpiniste dell'epoca, alla conquista di un Ottomila, ovviamente la montagna che lei conosce meglio: il Cho Oyu. Nel 1957 durante la riunione del Ladies Club Alpino annuncia il suo progetto. Tre alpiniste inglesi, Dorothea Gravina, Margaret Darwall e Eileen Healey, aderiscono immediatamente, poi la francese Jeanne Franco, la belga Claudine van der Straten- Ponthoz, compagna di tante cordate, e la forte svizzera Loulou Boulaz, con Colette Lebret, medico della squadra e Micheline Rambaud, la regista. Quando arrivano in Nepal, Tenzing Norgay lo sherpa che ha conquistato con Edmund Hillary l'Everest nel 1953, integra nella spedizione due sue figlie Pem Pem e Nima e sua nipote Douma. In totale dodici donne di cinque nazionalità differenti per affermare una volta di più la coesione e il valore di un gruppo di alpiniste nel momento in cui, e non solo in Francia, le cordate femminili venivamo aspramente denigrate. L'annuncio del progetto ha l'effetto di una bomba! Nonostante la grande reputazione conquistata da Claude nell'ambiente alpino, non la rende immune da scetticismi e sorrisi ironici fino ad augurarle "di inginocchiarsi per ottenere il sostegno della Federazione". Grazie all'aiuto di Jean Franco, marito di Jeanne (responsabile della spedizione Jannu 59) ottiene la messa a disposizione a Katmandou di alcuni materiali, comprese le piccole tende d'assalto ma è Claude Kogan con la sua squadra ad organizzare il tutto.
Per due anni si impegna in una corsa frenetica per ottenere gli equipaggiamenti, i viveri, la liquidità, tutte le autorizzazioni e i visti, per non parlare della mobilitazione di undici sherpa e dei portatori per i tre mesi che serviranno a coprire i 300 km di distanza dalla meta e i 7000 metri da scalare. Oltre al supporto del produttore Ramillon-Moncler a Grenoble e del Ladies Club Alpino, Claude ottiene anche l'esclusiva con la stampa, Paris-Match per la Francia, il Daily Telegraph per l'Inghilterra e l'agenzia Cosmopress per la Svizzera, Ma essendo una spedizione privata la maggior parte del costo è a carico delle partecipanti, 450.000 franchi dell'epoca a testa. Viene creata una società i cui nove membri principali della spedizione sono co-associati. Tutto è previsto per la condivisione dei profitti o degli eventuali passivi! "Il lavoro di preparazione era già un'avventura eroica, lo sapevo, e sapevo che mi stava lasciando esausta". La pressione psicologica risulta particolarmente pesante, Claude non può fallire. Partono da Parigi il 12 agosto 1959 e raggiungono la pista di Nangpa La, dopo qualche giorno di formalità diplomatiche a Katmandou, il 21 agosto. Ventiquattro giorni di marcia in pieno periodo dei monsoni confrontano il gruppo sulle prime difficoltà comunque mitigate dalla simpatia della popolazione e dalla bellezza del paesaggio. Il 16 settembre installano il campo base a 5600 metri e organizzano la seconda fase della spedizione. Le salite e le discese permettono alle scalatrici di acclimatarsi con l'altitudine.
Il 21 settembre la spedizione viene privata di uno dei suoi elementi di attacco nella persona di Loulou Boulaz vittima di un'edema polmonare, ma anche di Margaret che soffre di flebite e del medico. "Questi eventi spiacevoli, scrive Claude, ci costringeranno a salire in quota più velocemente del previsto". Il giorno dopo, nonostante la nebbia, con Claudine van der Straten supera dei seracchi. Eileen e Dorothea lavorano per rafforzare il campo II, punto di partenza per i due campi superiori mentre Claudine e Jeanne risalgono al campo III. E' il 26 settembre, Claude approfitta di una giornata di riposo al campo base prima della grande partenza. "Domani il campo II, e con Eileen Healey ancora più in alto sino a campo IV. Il tempo è molto bello, il grande vento non è ancora sorto, ma nell'attesa faccio scavare una grotta in ogni campo a partire da campo II, è l'unico modo per essere sicura e raddoppio la prudenza ora che rimaniamo senza medico". Il 28 settembre, Claudine parte con Claude verso campo III. La salita è difficile, la neve spessa ma non raggiungono l'obiettivo. Riprovano il giorno dopo riuscendoci questa volta. Gli sherpa allora scendono a prendere la tenda Jannu: troppo faticoso scavare una grotta contrariamente ai propositi dell'alpinista francese. E' il primo ottobre. Claude Kogan e Claudine van der Straten approfittano di una giornata limpida di mattina per lanciare un assalto alla vetta. Ma la tregua è di breve durata. Dopo mezzogiorno, la neve cade pesantemente "terribile, incredibile". Claude fa ridiscendere tre sherpa con quello che sarà il suo ultimo messaggio. A campo IV sperano in un miglioramento del tempo...ma la neve si accumula e le valanghe rombano. Il 2 ottobre gli sherpa Wangdi e Tchewang tentano di tornare a campo IV per aiutare le due alpiniste a ridiscendere. Travolti da una valanga, solo Wangdi riesce a raggiungere il resto della squadra. La decisione è presa: è necessario evacuare e tornare al campo base.
Per quattro giorni, l'attesa è interminabile e la speranza di vedere riapparire le tre figure diminuisce, lasciando il posto al dolore, alla sofferenza, all'amarezza, una ferita che, cinquant'anni dopo, è ancora difficile da cicatrizzare. L' 11 ottobre, Jeanne e Dorothea raggiungono le tracce del campo: "Il campo IV non esiste più". Così, l'avventura finisce ... Claude, Claudine e lo sherpa Ang Norbu, rimasto con loro, scompaiono sui pendii sommitali del Cho Oyu. Non verranno mai ritrovati. Henri de Ségogne, nella prefazione del libro "Encordées" di Micheline Morin, aveva sentenziato: "La vittoria è l'unica condizione accettabile di queste avventure femminili". Nonostante le precauzioni prese da Claude e dalle altre alpiniste nella diffusione delle informazioni, la stampa riusce a raccogliere notizie e fotografie ancor prima del loro ritorno a Katmandou. Molteplici gli scenari finalizzati ad individuare le cause, le responsabilità e anche l'eventuale imprudenze di queste spedizione: una data sbagliata, un eccesso di fiducia, troppa precipitazione rafforzata dall'euforia dell'altitudine... Solo i grandi rocciatori, come Jean Franco e Lionel Terray, che avevano conosciuto Claude Kogan, valorizzarono le competenze alpine di questa donna eroica. Erano in forma, prudenti come si può essere in un ambiente estremo. Nessuno va ad analizzare le condizioni materiali e morali di questa spedizione di donne, nessuno a discutere le difficoltà e le discriminazioni di cui furono oggetto. Le parole si alternano tra i tributi degli amici alpinisti che ne apprezzavano il coraggio, la forza, l'eccellenza, il destino e i neofiti che cercarono di romanzare la storia di una donna attratta dalla montagna per amore del defunto marito. Ma Claude Kogan era fondamentalmente una donna libera malgrado le resistenze che incontrò, libera semplicemente dalle convenzioni di una società che relegava le donne in ruoli marginali.



(brani tratti da "Première de cordée" di Charlie Buffet)