mercoledì 16 settembre 2015

Grandi Donne: LOUISE BOYD, The Artic Queen


La stampa la chiamava "The Ice Queen". Ha allestito e condotto sette spedizioni polari, pubblicato tre libri di fotografie, contribuito scientificamente alla conoscenza dell'area artica e, prima donna al "Nord, nord, nord. Abbiamo lasciato la terra dietro di noi e l'oceano si trasforma in massiccio di solido bianco. Il mio cuore balzò. Sapevo che ci stavamo avvicinando al mio obiettivo. Poi, in un momento di felicità che non dimenticherò mai, i nostri strumenti dicevano che eravamo lì. Il mio sogno si era avverato: Artico".
Bisogna andare a grattare la superficie del tempo per scoprire Louise Boyd, californiana di famiglia benestante, nata il 16 settembre 1887. La giovane Louise vive una vita ricca e spensierata ma un destino crudele l'aspetta al varco e nel volgere di pochi mesi i suoi due fratelli muoiono improvvisamente lasciando devastati i genitori che ripongono su di lei tutte le attenzioni. Con loro si reca in Europa e durante uno di questi itinerari suo padre le compra una macchina fotografica: per lei è una rivelazione. Tra il '19 e il '20 anche i suoi genitori scompaiono e Louise si trova a gestire un patrimonio di tre milioni di dollari. Affina in questo arco di anni l'interesse per il mondo fotografico applicandolo alla conoscenza di popoli e terre lontane. Durante un viaggio a Spitzbergen. lungo le coste norvegesi. per la prima volta osserva la calotta polare e ne rimane affascinata. Nel 1922 contatta Isaiah Bowman, direttore dell'American Geographical Society (AGS), per affinare le conoscenze fotografiche e geografiche proponendosi come allieva, la stessa società che pubblicherà in seguito due suoi libri La Regione Fiordo della Groenlandia Orientale (1935) e La campagna polacca (1937). Nel 1925 viene presentata ai Reali d'Inghilterra, un onore raro per una donna celibe e americana ma è l'anno successivo che raggiunge grande notorietà internazionale: noleggia il rompighiaccio Hobby e con alcuni amici illustri, che appaiono nei suoi filmati, si dirige verso l'Artico a caccia di orsi polari ma soprattutto per fotografare la banchisa polare.
mondo, sorvolato il Polo Nord.
Secondo un articolo del New York Times, durante il viaggio la Boyd aveva utilizzato oltre seimila metri di pellicola cinematografica e scattato più di 700 fotografie, fissando non solo i trofei di caccia ma immagini scientificamente interessanti sulle diverse stratificazioni dei ghiacciai artici. Sicuramente un viaggio da costoso brivido ma l'input era scattato. Nel 1928 torna nuovamente in Norvegia con il suo Hobby ma questa volta si mette alla ricerca di Umberto Nobile e dell'equipaggio del dirigibile Italia che si era schiantato sui ghiacci polari, tragedia che aveva mobilitato diverse spedizioni di soccorso internazionali a cui partecipò anche il famoso esploratore Roald Amundsen, scomparso a sua volta nelle gelide acque del mare di Barents. Louise non riuscì nel suo intento ma per il suo coraggio le fu conferita la croce di Cavaliere di St. Olav dal re Haakon di Norvegia, prima donna statunitense a ricevere l'ordine.
Il viaggio mette la Boyd a contatto con un gran numero di esploratori e scienziati artici sentendosi ora pronta ad una seria organizzazione scientifica in una regione difficile ed inospitale. Nel 1931 prepara uno dei quattro viaggi a bordo del Veslekari con cui mapperà e illustrerà la terra di Francesco Giuseppe, i ghiacciai, la vita degli animali e della flora. Scopre anche un percorso tra i fiordi della Groenlandia orientale denominato successivamente dall'esploratore danese Lauge Koch, "Louise Boyd Land". "La nostra nave è lunga circa 127 piedi e larga forse 25 piedi e ci sono 25 o 30 persone a bordo. Siamo in ricognizione. La signora Roche, la mia segretaria e io siamo le uniche donne a bordo. Lungo la costa nord-orientale della Groenlandia vi è una striscia di terra visibile in estate praticamente esente da neve. Dobbiamo navigare attraverso questa striscia di ghiaccio larga da 100 a 150 miglia, ci vorranno una o due settimane. Orsi polari, foche, buoi muschiati e volpi non ce ne sono. L'insediamento più vicino è Scoresby Sund e davanti a noi si estendono grandi iceberg. Freddo? Sì certo, ma non c'è grandezza soprannaturale di tutto questo e mi piace".
Nell'agosto1934, tramite la AGS viaggia per tre mesi via terra attraverso la campagna polacca documentando usi e costumi locali, viaggio integrato da oltre 500 fotografie poi pubblicate dalla stessa società geografica.
Quando la Groenlandia diventa una zona sensibile all'inizio della seconda guerra mondiale, il governo degli Stati Uniti inizia a cercare un esperto trovandolo in Louise Boyd. Nell'estate del '40 il Dipartimento di Stato la contatta chiedendole di non pubblicare il libro sulle sue ultime spedizioni, La costa del nord-est della Groenlandia (edito solo nel 1948) temendo potesse fornire preziose informazioni alla Germania nazista che aveva invaso la Danimarca e i paesi scandinavi. In autunno si reca a Washington e su espressa richiesta del National Bureau of Standards, organizza una spedizione a bordo del Effie M. Morrissey comandato dal capitano Robert Bartlett. La spedizione parte a giugno 1941 risalendo la costa occidentale della Groenlandia e poi giù per la costa di Baffin e Labrador con lo scopo di raccogliere dati sulla trasmissione a onde radio nelle regioni artiche. Per tutta la durata della guerra Louise rimane alle dipendenze del Bureau: i grandi viaggi artici diventano ormai solo un ricordo.
Nel 1955 alla bella età di 68 anni noleggia un DC-4 e con questo realizza il sogno di sempre, quello di raggiungere il Polo Nord. La sua sete di viaggi la porterà nella primavera del '58 ad un lungo tour in Oriente ma nel frattempo il suo capitale economico si è drasticamente ridotto tanto da costringerla a vendere Maple Law, la sua bellissima dimora, sino alla sua scomparsa avvenuta il 14 settembre 1972. Per espressa volontà le sue ceneri vennero disperse nei pressi di Point Barrow, in Alaska. Di lei rimane un immenso patrimonio documentaristico e la consapevolezza che il cammino femminile, anche se lento, continua senza sosta.

martedì 15 settembre 2015

Marmotte al Festivaletteratura di Mantova (9-13 settembre)

"Questa è una bellissima citta' e degna c'un si muova mille miglia per vederla..." (Torquato Tasso). Ogni volta che si torna a Mantova in occasione di questa importante kermesse letteraria ci si lascia conquistare dal coinvolgimento giocoso delle sue vie e piazze in una girandola multiculturale di autori, giornalisti, premi Nobel e lettori nella loro essenza più leggera. I numeri dell'edizione 2015 parlano chiaro: grande partecipazione, livello al top e tutti gli appuntamenti culturali col pienone. Del resto già in sede di prevendita c'era quasi il sold out degli eventi in programma. Incuriosiscono, ed è stato argomento di numerosi eventi, i confronti di storia contemporanea tra tecnologia nelle multiple invadenti espressioni e l'odore della carta, il libro tanto per intenderci, nel suo ritagliarsi spazi importanti.
Alberto Angela con "L'ultima notte del mondo" ha presentato  gli ultimi terribili giorni di Pompei, tra spettacolo e seriosita' archeologica, con il cortile di Palazzo Ducale stipato all'inverosimile! Nell'anno dell'Expo non si poteva non parlare di cibo e quanto ad esso correlato. Interessante e spiritosa la presentazione di Massimo Carlotto con il suo attualissimo volumetto "Sofisticato" sull'adulterazione degli alimenti. Nelle tende di piazza Sordello si sono avvicendati scrittori e grandi della carta stampata come Mario Calabresi direttore della Stampa di Torino, presente anche nello spazio Eni - partner di Festivaletteratura - con Neri Marcorè a far da spiritosissimo moderatore, ma anche grandi fotoreporter come Letizia Battaglia testimone visiva di una Sicilia martoriata dalla mafia. La "nostra" montagna si ritaglia spazi importanti. Leggi Mauro Corona, il solito personaggio fuori dalle righe o le narrazioni rocciose dei due alpinisti trentini Alessandro Beber e Marco Furlani, in una bellissima dichiarazione d'amore alle Dolomiti. E poi il design come segno moderno sgorgato dalla matita di Giancarlo Iliprandi e le tematiche delle donne attraverso gli accenti del giornalismo al femminile...e tanto altro ancora. Festivaletteratura chiude con il sorriso, lo stesso nostro sorriso, e con un arrivederci alla prossima edizione.


lunedì 7 settembre 2015

Sentiero delle cascate, lago di Idro (domenica 6 settembre)

Lontane dalle grandi vette, oggi andiamo alla scoperta delle prealpi valsabbine che si affacciano sul lago di Idro, piccolo bacino di origine glaciale dalle acque intensamente verdi. Questo lago soffre la mancanza del grande afflusso turistico ed è un peccato perchè gli scorci panoramici lasciano d'incanto. Dopo aver percorso la statale del Caffaro, che collega la provincia bresciana con il Trentino, scendiamo a Crone d'Idro (mt 375) sostando sul tranquillo lungolago. La sgambata di oggi, decisamente alla portata di tutti, rappresenta un semplice assaggio per future escursioni in loco, così da prendere confidenza col territorio. Ci arrampichiamo lungo le stradine che salgono ripidissime verso la provinciale e da lì andiamo ad imboccare il Sentiero delle Cascate (segnavia 451) passando però dal bosco. Il tracciato si alza di quota immediatamente, il terreno appare piuttosto friabile a causa delle piogge del giorno precedente ma fra le frange della boscaglia lo sguardo si lascia suggestionare dal silente lago di Idro.
Al termine della salita raggiungiamo un bivio: da un lato si scende a concludere l'anello delle cascate dall'altro la segnaletica direziona in alto verso la cima del Monte Croce di Perlè a 1031 metri. La tentazione di salire è fortissima ma rimanendo fedeli al programma, pur se a malincuore, procediamo scendendo lungo un impervio percorso di gradoni e incrociamo il salto di una...invisibile cascata. Acqua proprio non ce n'è, risultato di un'estate incredibilmente calda, ma il rimbalzo roccioso fa volare la nostra fantasia e...pure qualche commento spiritoso! Una serie di ponticelli, preparati in modo impeccabile dal Gruppo Sentieri Attrezzati Idro 95, permette il superamento della forra scavata dal torrente Neco, poi ecco un ripido pendio messo in sicurezza con delle robuste funi metalliche che va a terminare davanti ad una lunga scala ben saldata al costone di roccia. Rapidi gradini e siamo sul sottostante terrazzino, pochi metri di percorso ed ecco una seconda ripida scaletta che va a collegarsi al passaggio sulla stretta del torrente sino a raggiungere in assoluta tranquillità un'ampia area sassosa. Qui sostiamo per uno spuntino a conclusione del nostro giro. Il pomeriggio vuole sorprenderci ancora quindi lasciati gli zaini seguiamo la morbida linea costiera dell'Eridio, lungo il bel pontile di legno dal sapore antico. Il piccolo specchio d'acqua accarezza la rena e abbaglia di sole mentre l'azzurro sconfina meravigliosamente in lontananza...




  PARTENZA: Crone d'Idro
  SEGNAVIA: 451
  DIFFICOLTA': E
  DISLIVELLO: mt 200
  LUNGHEZZA: km 2,5

martedì 1 settembre 2015

Le dolci cime della Lessinia... (domenica 30 agosto)

Salendo a nord della città scaligera entriamo nel cuore della Lessinia, territorio caratterizzato da un vasto altopiano che alterna dolci rilievi ad ampie praterie dedicate al pascolo e al fienaggio. E infatti quando, lasciata Verona alle spalle prendiamo la strada provinciale 6 che taglia la Valpantena, il paesaggio cambia radicalmente e morbide montagne si affacciano lungo i brevi tornanti che portano in alto, al Passo del Branchetto a 1590 metri. La domenica è decisamente calda anche a queste altezze, solo una lieve brezza mitiga la calura solare del primo mattino. Il cielo è di un azzurro sorprendente quindi zaini sulle spalle e via, abbandoniamo l'asfalto svoltando sulla stradina sterrata che trenta metri più avanti sale sulla nostra sinistra aprendosi poi in una larga forestale ciottolosa.
I primi slanci panoramici si offrono generosi ai nostri sguardi mentre ci alziamo di quota con buon passo: davanti a noi è un susseguirsi di montagnole dove circolano in assoluta libertà piccoli gruppi di bovini, incuranti della nostra presenza. Subito dopo una curva ecco apparire il Monte Tomba riconoscibile dalla grande antenna e dalle strutture del rifugio Primaneve. Lo sguardo a 360 gradi cattura la bellezza di questa parte della Lessinia, abbracciata dalle cime della poco conosciuta Valle di Ronchi e in lontananza dal gruppo maestoso del Carega. Morbide alture appaiono figurativamente come un susseguirsi melodioso di seni femminili, solo le grandi pozze d'acqua di abbeveraggio per le mandrie interrompono questa incantevole successione prativa. Prese da queste considerazioni giungiamo al bivio che porta dritto a Cima Sparavieri, mentre la svolta a sinistra scende al rifugio Podestaria. Qui il gruppo si divide.
Noi preferiamo salire in direzione della vetta e dopo una decina di minuti raggiungiamo il sentiero nei pressi della Pozza Morta (mt 1715) ma ahimè, una cancellata chiusa ci sbarra la strada. Il cartello dichiara senza mezzi termini "pericolo tori vaganti". Proviamo ad aggirarla lungo la strada dei Cordoni ma niente da fare. Pazienza. Ritorniamo indietro sotto lo sguardo bucolico di mucche di razza frisona placidamente stravaccate sul prato. Scollinando seccamente ci portiamo sullo sterrato in direzione della malga dove raggiungiamo il resto del gruppo per il pranzo. 
Il rifugio Podestaria, antica residenza estiva del Podestà, oggi è brulicante di persone: molti i centauri, troppi gli automobilisti veri disturbatori di questa immensa oasi di pace e quasi a sottolineare il contrasto del momento ma in totale simbiosi con il paesaggio, ecco l'arrivo di due caballeri. Intorno tranquilli bovini scendono lungo la dorsale verso la sottostante pozza acquifera. La percezione della bellezza di questo verde territorio veronese segue i nostri passi su tutto il percorso di ritorno salvo accorgersi, ma solamente al parcheggio, di essere state ben abbrustolite dal sole!


PARTENZA: Passo del Branchetto
SEGNAVIA: E7
DIFFICOLTA' : E
DISLIVELLO: mt 250
ALTITUDINE: mt 1795 (Cima Sparavieri)
LUNGHEZZA: km 11