lunedì 29 gennaio 2024

"I macchiaioli" nella splendida cornice di Palazzo Martinengo a Brescia - domenica 28 gennaio

In una fredda domenica d'inverno una nebbiolina tenue avvolge il cuore storico di Brescia nascondendolo in parte alla vista, quasi a voler proteggere lo scrigno di meraviglie che in questo luogo si celano. L'aroma del caffè si attorciglia nell'aria e solletica le narici mentre lo sguardo si perde su Piazza della Vittoria non ancora interessata dalla vivace presenza dei suoi abitanti. In una aura quasi irreale raggiungiamo il cinquecentesco Palazzo Martinengo dove è stata allestita la mostra I macchiaioli curata da Francesca Dini e Davide Dotti e organizzata dall'Associazione Amici di Palazzo Martinengo, che presenta oltre cento capolavori di Fattori, Lega, Signorini, Cabianca, Borrani, Abbati e tanti altri artisti, provenienti in gran parte da collezioni private e da importanti istituzioni museali italiane. Articolata in dieci sezioni la retrospettiva bresciana racconta l’entusiasmante avventura di questi pittori progressisti che dopo il 1860 animarono il panorama artistico italiano contribuendo in modo decisivo al rinnovamento dell'estetica pittorica tradizionale, e raccoglie le opere "chiave" di questo percorso attraverso i luoghi familiari cari al movimento pittorico, come il Caffè Michelangiolo di Firenze, a Castiglioncello ospiti del critico e mecenate Diego Martelli, la scuola di Piagentina nella residenza di campagna della famiglia Batelli appena fuori dalle mura fiorentine e la Maremma.
E la "loro" Toscana non è la terra dei Leonardo, Michelangelo o Brunelleschi, è invece un mondo fatto di angoli nascosti e quotidiani, intrisi di fatica, una natura talvolta aspra ma autentica che ai nostri occhi ha il dono raro dell’intimità. 
Alla ricerca di un nuovo modo di dipingere, possibilmente all’aperto, a contatto con la realtà e fuori dai rigidi formalismi delle accademie, i Macchiaioli lo trovano nella macchia che, prima di un modo di usare il colore è un nuovo sguardo sul mondo, un rapporto inedito e immediato tra le forme e la luce. Le pennellate macchiaiole sono veloci, dense e istantanee, incapsulano la geografia del paesaggio con immediatezza e veridicità, instaurando tra i dipinti in mostra un nesso armonico. Il termine "Macchiaioli" fu utilizzato da un recensore della Gazzetta del Popolo per la prima volta nel 1862 in occasione di un'esposizione fiorentina e l’accezione, ovviamente dispregiativa, giocava su un particolare doppio senso: darsi alla macchia significava agire furtivamente ma ai pittori il termine piacque tanto da adottarlo come identificativo del loro gruppo. Alcuni dei capolavori esposti in mostra come le Cucitrici di camicie rosse di Borrani, la Raccolta del fieno in Maremma di Fattori, I fidanzati di Lega e Pascoli a Castiglioncello di Signorini rimangono indelebilmente impressi nella memoria, affascinando per la qualità pittorica e lirica. 
Straordinarie opere come
Il mercato di san Godenzo di Giovanni Fattori, insieme alla Gabbrigiana in piedi di Silvestro Lega, e Una via del mercato vecchio a Firenze di Telemaco Signorini ci conducono al finale approdo novecentesco di questi grandi maestri. "Per la prima volta - si legge nei commenti - la mostra storicizza l’evoluzione della poetica macchiaiola in senso naturalista messa in atto dai macchiaioli di seconda generazione, Angelo Tommasi, Egisto Ferroni, Niccolò Cannicci ed Eugenio Cecconi, attraverso il serrato dialogo con la critica del tempo". La grande tela La scaccia delle anitre di Angelo Tommasi, Ritorno dalla fonte di Egisto Ferroni, Acquaiola di Francesco Gioli sono opere emblematiche di questo nuovo indirizzo che ebbe il placet degli anziani macchiaioli e il sostegno del critico e uomo di stato Ferdinando Martini. 
Concluso il bellissimo percorso espositivo, Brescia si presenta ora luminosa ed elegante mentre andiamo a raggiungere l'antica osteria L'oste sobrio in via Beccaria - oltrepassando l'arcata alla base della splendida Torre dell'Orologio il vicoletto si collega a Piazza della Loggia - simbolo della più autentica brescianità in cucina.

(fonte: Arte.it)

martedì 16 gennaio 2024

"Da Monet a Matisse. French Moderns, 1850-1950" a Palazzo Zabarella - domenica 14 gennaio

Protagonista del panorama artistico e culturale italiano, Palazzo Zabarella si conferma primattore in un dialogo internazionale con gli enti di maggiore caratura in primis quello con lo storico Brooklyn Museum di New York, il secondo museo d'arte di New York e uno tra i più grandi degli Stati Uniti. Un corpus di opere spettacolare quello che anima Da MONET a MATISSE. French Moderns, 1850-1950 (sino al 12 maggio 2024), che offre al visitatore la possibilità di ammirare capolavori che racchiudono lo spirito di sperimentazione e di svolta che scaldava l'animo degli artisti in questi anni di rivoluzione artistica. Ma non solo. Celebra anche la Francia come centro artistico del modernismo internazionale tra Otto e Novecento. Nelle belle sale del palazzo patavino sono esposti dipinti, disegni e sculture realizzati dai principali artisti dell'epoca del calibro di Pierre Bonnard, Paul Cézanne, Marc Chagall, Gustave Courbet, Henri Matisse, Claude Monet, Berthe Morisot, tra le poche artiste a farsi strada in un ambiente principalmente maschile, Pierre-Auguste Renoir, Auguste Rodin. Le loro opere rappresentano i movimenti d'avanguardia che hanno definito l'arte moderna tracciando un passaggio formale e concettuale dalla rappresentazione del pittorico all'evocazione dell'idea, da un focus sul naturalismo all'ascesa dell'astrazione. Il percorso visivo della mostra si articola in quattro sezioni con i pittori accademici, come Gérôme e Bouguereau, il cui meticoloso realismo e i cui soggetti tradizionali erano conformi ai canoni artistici del diciannovesimo secolo. Accoglie poi la generazione di pittori come Millet e Boudin, che usavano pennellate più sciolte per rappresentare soggetti meno convenzionali, come le spiagge della Normandia e i contadini e le loro greggi nei dintorni di Parigi, e presenta i lavori di Sisley e Pissarro che descrivono le prove, gli errori e le innovazioni del primo modernismo. Da non perdere gli impressionisti, guidati da Monet, Renoir, Cézanne e Degas, che hanno rivoluzionato le convenzioni sia del soggetto che dello stile, immortalando su tela scene quotidiane con colori vivaci e pennellate espressive. La generazione successiva spinse ulteriormente i confini dell'arte permettendo al colore, alla forma e alla pennellata di avere la precedenza sul soggetto. Con opere di Matisse, Bonnard, Chagall e molti altri che si trasferirono a Parigi all'inizio del Ventesimo secolo, l'esposizione diventa così un viaggio emozionante attraverso le quattro sezioni tematiche.
Natura morta 
Il termine stesso 'nature morte', definizione che l'Accademia di Francia assegnava ai dipinti di oggetti inanimati, fa intuire quanto fosse considerato umile questo genere di opere. A partire dal 1850 però, la natura morta ritrova popolarità grazie agli artisti che mirano a stimolare tutti i sensi dello spettatore ritraendo tessuti preziosi, frutta matura, scorci domestici illuminati dal sole. Avvalendosi del potere evocativo della natura morta miravano a indurre sensazioni che trascendono l'esperienza fisica per giungere al regno psicologico e spirituale. Ecco quindi Fiori di Matisse, splendida opera fauvista, Composizione in rosso e blu di Léger, animata da accostamenti inaspettati e forme oniriche biomorfe, e Natura morta con tazza blu di Renoir, definita dalle pennellate luminose tipiche del maestro.
Paesaggio 
L’Accademia di Francia fin dalla sua fondazione nel diciassettesimo secolo, aveva considerato il paesaggio una delle forme d'espressione artistica meno importanti, una definizione destinata a cambiare quando gli artisti iniziano a sfidare convenzioni e classificazioni accademiche ritenute obsolete iniziando ad uscire dai loro studi e a dipingere 'en plein air' ritraendo la natura nella sua magia di colori e sfumature. Dalle pennellate degli impressionisti alle visioni audaci degli espressionisti e surrealisti, il paesaggio divenne il genere preferito dagli artisti per esprimere la loro modernità. Basti pensare a La salita di Pissarro, in cui si può osservare una prospettiva cubista in erba, oppure Ville-d’Avray di Corot, dove la luce, dinamica e reale, è oggettiva come la pietra ma morbida come le nuvole. E ancora Marea crescente a Pourville di Monet, che, illuminata da sfumature iridate, riecheggia delle forti condizioni della natura.
Il nudo 
Nell'Ottocento il nudo era strettamente connesso agli ideali della scultura greca classica e ai suoi soggetti storici e mitologici tanto che i critici conservatori ritenevano le figure contemporanee non degne di essere immortalate. Al contrario, i campioni della modernità, come il critico e poeta Charles Baudelaire, sostenevano un nuovo concetto di bellezza attraverso la rappresentazione della vita quotidiana. Della stessa opinione gli artisti che si avvicinavano sempre più alla nudità con assoluto realismo arrivando a far sì che il nudo riflettesse anche le mutevoli prospettive dell'astrazione. A ribadirlo la scultura L’età del bronzo di Rodin, il capolavoro di Degas Donna nuda che si asciuga e i Subacquei policromi di Léger, dalle avvincenti suggestioni cubiste.
Ritratti e figure
Il periodo compreso dal 1870 al 1914, conosciuto come Belle Époque rappresenta un'epoca di pace e prosperità, di ottimismo e di grandi conquiste in tutti gli ambiti del sapere. Pennellate lunghe, verticali o sinuose delineano figure decisamente eteree, che indossano tessuti luccicanti e preziosi gioielli, ma anche personalità originali ed eccentriche. In mostra François Millet, con Pastore che si prende cura del suo gregge evidenzia la dura realtà della vita contadina, Berthe Morisot, nota per i suoi ritratti di scene domestiche con donne e bambini, con Ritratto di Madame Boursier e di sua figlia, si concentra sui vincoli sociali, Chagall con Il musicista trascrive i ricordi dei suoi primi anni di vita mentre Giovanni Boldini con Ritratto di signora si sofferma su alcuni dettagli ricorrenti, come il collo, la schiena, il profilo elegante, le spalle scoperte e le scollature ardite.
Ma fuori da Palazzo Zabarella c'è una città fremente che non è solo la meravigliosa Cappella degli Scrovegni, affrescata da Giotto, e la splendida Basilica di Sant'Antonio. Passeggiando tra strade, palazzi e piazze, abbiamo scoperto che l'antica Patavium è tanto altro. Si raggiunge l'Università degli Studi di Padova, autorevole istituzione fondata nel 1222 fra le più antiche al mondo, e da qui via per Piazza delle Erbe fin da epoca medievale sede di un mercato che anima il cuore della città. Qui si trova l'imponente Palazzo della Ragione che chiude il lato settentrionale della piazza e la separa da Piazza della Frutta, posta dalla parte opposta. Le due piazze comunicano attraverso il suggestivo arco della Corda, che collega il Salone al duecentesco Palazzo del Consiglio, sul quale spicca la Torre degli Anziani.
Da qui raggiungiamo lo storico ed elegante ristorante Marechiaro, che proprio in questi giorni ha festeggiato i sessant'anni di attività, per un pranzo tra ottime scelte gastronomiche. Ripreso l'itinerario arriviamo a Piazza dei Signori, una delle piazze più belle di Padova, attorniata dalla Chiesa di San Clemente, il Palazzo del Capitanio e dal Palazzo dei Camerlenghi. Sulla piazza si affaccia la medievale Torre dell'Orologio così chiamata perché incorpora un grande orologio astronomico, con la particolarità di segnare non solo le ore e i minuti ma anche i giorni del mese, il corso del sole nei dodici segni dello zodiaco, le fasi lunari e i moti dei pianeti. Continuando a passeggiare nel centro storico incontriamo il Duomo di Padova che sorge in un luogo originariamente occupato da una chiesa paleocristiana. L’esterno sobrio nasconde un interno ricco di sorprese e opere preziose. Merita una visita anche il vicino battistero dedicato a San Giovanni Battista che ospita uno dei più importanti cicli di affreschi di Giusto de Menabuoi, dipinti tra il 1375 e il 1378 ancora in ottimo stato di conservazione. In conclusione ci troviamo alla nostra sinistra i leoni dello storico Caffè Pedrocchi, aperto giorno e notte fino al 1916 e perciò noto anche come il "Caffè senza porte", per oltre un secolo è stato un prestigioso punto d'incontro frequentato da intellettuali, studenti, accademici e uomini politici. L'8 febbraio 1848, il ferimento di uno studente universitario all'interno del locale diede il via ai moti risorgimentali italiani. Non si può uscire dal locale senza aver provato il caffè Pedrocchi. Non si zucchera e non si mescola…e per scoprirlo dovete venire a Padova!

domenica 7 gennaio 2024

Befane in trattoria - 6 gennaio 2024

VIVA LE BEFANE!!!

Gran bella serata all'Osteria Mattarana a Verona con tante marmotte presenti!!

Ottima proposta gastronomica, staff professionale e nel contempo simpatico, prezzi onestissimi!!