lunedì 23 ottobre 2023

Un grazie allo staff del Diamond Cafè per l'organizzazione della serata di sabato 21 ottobre, a Walter il fantastico cuoco e il suo ottimo spiedo, ai dj Ennio e Mascia per la musica proposta e l'apprezzatissimo karaoke e soprattutto un grazie di cuore alle tante marmotte presenti!

Nel cuore della pianura padana: dal borgo storico di San Colombano al Lambro al meraviglioso castello di Chignolo Po - domenica 22 ottobre

 
Io non conosco luogo che in positura sì poco elevata si vegga intorno a sé si vasto prospetto di nobilissime terre; sol che tu giri d’attorno l’occhio, ti si offrono innanzi Pavia, Piacenza, Cremona.  A tergo abbiamo le Alpi che dividono dalla Francia e che colle sue nevose cime cinte dalla nubi par che tocchino l cielo, dinanzi gli occhi mi sta l’Appennino e immenso numero di terre e di castelli Veggo infine sotto ai miei piedi il Po che con vasto giro serpeggia fra i pingui colti della sottoposta pianura“.
Con queste parole Francesco Petrarca nel 1353 descriveva la collina di San Colombano al Lambro e il suo "borgo insigne". Ci addentriamo tra le silenti viuzze della borgata sino ad affacciarsi su una assolata Piazza del Popolo, punteggiata di tavolini del vicino Bar Centrale, non trovando insolitamente né la chiesa parrocchiale né il municipio, posti in altre zone del borgo, ma con un lato occupato per intero dal monumento ai caduti, una pregevole statua bronzea della Vittoria realizzata nel 1929 dallo scultore pavese Alfonso Marabelli e il grande affresco allegorico sulle italiche "virtù guerriere" dagli stilemi tipici di quel periodo storico. La fondazione di San Colombano al Lambro è tradizionalmente ascritta all'omonimo monaco irlandese del V-VI secolo che qui introdusse la coltivazione della vite con il permesso della Regina Teodolinda. Collocato in posizione strategica vicino a importanti vie di comunicazione e poco discosto dalla via fluviale del Lambro, il borgo fu per secoli terra contesa tra monasteri e nobili e tra i signori di Milano e di Lodi che sul medesimo colle edificarono due distinte fortificazioni rivali: il milanese castello dei Landriani e la lodigiana rocca di Mombrione.
Il primo fu distrutto nel 1154 da Federico I detto il Barbarossa che nel 1164 decise di spianare le macerie erigendovi un nuovo borgo circondato da imponenti mura e dominato da un grande castello. Il complesso subì nel tempo numerose trasformazioni e rimaneggiamenti dai Visconti fino ad arrivare ai Belgioioso che fecero del castello la loro residenza signorile. Caratterizzata dall'imponente torre d’ingresso e dal quattrocentesco torrione occidentale, la struttura castellana è oggi divisa in due parti: il ricetto, ossia la zona in cui si svolgeva la vita civile, e la rocca posta in alto sul pendio collinare attualmente di proprietà privata, oltre alla suggestiva passeggiata nel parco che si snoda lungo le mura. Il Ricetto era il luogo destinato ad ospitare le casupole in legno e paglia della popolazione e si estendeva all'interno delle mura del castello. Nel ricetto si trovavano pozzi (uno di questi è ancora visibile nel parco), stalle, cascine con torchi e piccoli forni. La gran parte di queste strutture fu demolita a metà del diciannovesimo secolo dalla famiglia Belgioioso per realizzare la corte interna e il parco fiancheggiante tutta la parte ovest della rocca. Un'altra parte è stata distrutta a fine anni '50 per fare posto alla strada che collega l'entrata al ricetto con la villa all'interno della rocca. Poco discosta dal castello troviamo la chiesa parrocchiale dall'assetto neoclassico, dedicata a San Colombano fondata sul finire del Quattrocento e ampliata a metà Ottocento. Voluta direttamente da Papa Giulio II, la chiesa conserva al suo interno numerose opere d'arte tra le quali la pala della Crocifissione di Bernardino Campi, autore anche degli affreschi commissionati dai monaci certosini tra il 1576 e il 1581. 
Da non perdere è la rinascimentale Chiesa di San Francesco, edificata intorno al 1580 sulla sponda sinistra della Rugia Nuova. Una manciata di chilometri e raggiungiamo il vicino Castello di Chignolo Po, immerso nella campagna pavese, denominato "la Versailles della Lombardia". Lo scenografico cortile barocco, le grandi sale affrescate di scuola tiepolesca, la raffinatezza degli stucchi e delle decorazioni, la torre dominante con la sua maschia mole turrita, il tutto immerso in un dolce scenario agreste, fanno di questo monumento una delle più importanti dimore storiche italiane. Nel Settecento venne ampliato e trasformato da fortezza medioevale in una vera e propria dimora patrizia realizzata per volere del Cardinale Agostino Cusani Visconti, ambasciatore del Papa presso la Repubblica Veneziana ed alla Corte di Luigi XIV a Parigi, nonché Vescovo di Pavia. Una bravissima guida ci illustra la bella struttura castellana. Il corpo principale è a pianta quadrata con cortile e porticato interno, ha muratura in mattoni a vista e si sviluppa su quattro piani totali, dei quali uno è seminterrato. Sul fronte settentrionale si apre la porta d'accesso alla corte d'onore, mentre a meridione si apre su un ampio terrazzo che declina nel grande parco. Un viale conduce al "Teatro delle Uccelliere". L'edificio, destinato alla ricreazione nel parco, era preceduto da un piccolo lago artificiale, dalle forme ancora visibili ed oggi richiederebbe un intervento di ristrutturazione massiccia in quanto versa in pessime condizioni. A circondare il parco, oltre a ciò che resta dell'antico fossato difensivo, un muro di cinta modellato in  stile tipicamente settecentesco. La parte più antica del castello è comunque la grande Torre, dalla quale si controllava un lungo tratto del Po (Cuneulus super Padum).
Si ritiene che venne fatta costruire dal Re Liutprando intorno al 740 d.C. quando Pavia era capitale longobarda. 
Attraversiamo ora l'atrio passando alla corte d'onore con portici di ordine dorico. Al piano nobile settantotto tra sale e salotti sono coperte da volte riccamente affrescate da artisti veneziani di scuola tiepolesca il tutto arricchito da stucchi barocchi. Peccato non poter immortalare simili meraviglie (le foto degli interni sono vietatissime). Si prosegue di stanza in stanza anche in quelle utilizzate dall'attuale proprietario, l'avvocato Procaccini. I mobili sono per la maggior parte originali. La visita continua con il salone delle feste sul cui soffitto si ammira l'affresco più bello del castello "L’apoteosi delle Stagioni", reinventato dall'architetto Ruggeri. Passiamo poi alla visita dello studio di Napoleone Bonaparte che soggiornò dal 1795 al 1805. In questa stanza si trova anche una porticina segreta, (nascosta tra la tappezzeria) che conduce, tramite duecento scalini, ai camminamenti di ronda. Due scale d'onore portano al piano nobile dove si trova conservato l'appartamento del cardinale Agostino Cusani Visconti che poteva, attraverso una griglia pavimentaria, assistere alle celebrazioni liturgiche che si svolgevano nella Cappella situata al piano terra, ma di notevole interesse sono anche i sotterranei con gli ambienti rustici: la cucina, ancora arredata secondo le usanze dell’epoca, la cantina con l'antico torchio per il vino, i salumi e i formaggi, oggi in ristrutturazione (l'intento dei proprietari sembra quello di creare una piccola zona per la degustazione), una piccola armeria e i cunicoli segreti che conducono all'esterno, adibiti un tempo a prigioni. Davanti al fortilizio, verso settentrione, sorge il borgo (Ricetto) interamente riedificato nel Seicento. 
Oggi è sede del Museo Lombardo del Vino.

lunedì 16 ottobre 2023

Al cospetto del Catinaccio: Rifugio Roda di Vael - domenica 15 ottobre

Andiamo al cospetto del Catinaccio di Re Laurino, in Val d'Ega. Da passo Carezza raggiungiamo il Rifugio Paolina a 2126 metri con la seggiovia omonima, tra gli impianti di risalita più noti e amati della zona e parte del comprensorio sciistico Carezza Ski aperta anche in estate sino a metà ottobre, trovandoci immerse in una fitta nebbia ma siamo in tanti oggi quassù e tutti diretti verso il rifugio Roda di Vael. Si sale sul sentiero 539, su ampi gradoni, che dalla stazione a monte della seggiovia Paolina conduce piuttosto ripidamente tra i pascoli sotto la Punta del Masarè, mentre sulla destra lo sguardo tocca il gruppo del Latemar con la grande frana alle sue pendici. La salita diventa moderata su sentiero sassoso fino a ritrovarci ai piedi del Catinaccio dove è posta a quota 2279 metri una gigantesca aquila reale bronzea, che da lontano abbiamo davvero scambiato per un grande rapace appollaiato sulla roccia a strapiombo sulla sottostante vallata. Si tratta del monumento a Theodor Christomannos pioniere del turismo dolomitico di fine Ottocento. Appassionato alpinista comprese le potenzialità di queste vallate creando la Strada delle Dolomiti che andava a collegare Bolzano con tutta l'area dolomitica. Nel frattempo la nebbia si è via via diradata lasciando spazio a distese di sole e d'azzurro mentre il grosso del dislivello è ormai fatto! Si prosegue in ambiente aperto con una bella prospettiva sul fondovalle, fino a raggiungere il rifugio Roda di Vael, ai piedi della Croz di Santa Giuliana a 2283 metri, preceduto dalla Baita Pederiva, con un panorama mozzafiato che spazia dal Lagorai, alle Pale di San Martino, al gruppo del Sella con l’inconfondibile Piz Boè, il vicinissimo e incombente Larsech e non manca la Marmolada e il gruppo del San Pellegrino.
Noi ci fermiamo alla Baita
 Marino Pederiva situata sulla Sella del Ciampaz a quota 2275 metri - appena sotto il rifugio - ai piedi del magro fascio delle Torri Meridionali del Vaiolet, dove polenta, lucanica, funghi e formaggio d'alpe trionfano sui tavolacci di duro legno. Si potrebbe fare l'anello scendendo lungo il sentiero 548 sul limitare del bosco in direzione del passo di Costalunga ma preferiamo rimanere in quota prendendo all'altezza dell'aquila di Christomannos il sentiero 549 per poi recuperare uno sterrato che raggiunge la partenza della seggiovia Paolina.

PARTENZA: Seggiovia Paolina (mt 2126)
SEGNAVIA: Cai 539 - 549
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 157
ALTITUDINE: mt 2283
LUNGHEZZA: km 4

lunedì 9 ottobre 2023

Lo spettacolo delle Cascate del Serio e poi in alto verso il Rifugio Curò - domenica 8 ottobre

Raggiungiamo Valbondione, in Val Seriana, nell'ultima domenica di apertura delle famose Cascate del Serio, cascate formate dall'omonimo fiume nelle Alpi Orobie a circa 1750 m di altitudine (testa della cascata). Alte complessivamente 315 metri, misura che le classificano fra le cascate più alte d'Italia, sono formate da tre salti principali di 166, 74 e 75 metri. Già nel 1808 Giovanni Maironi da Ponte descriveva l'unicità delle cascate bergamasche e fino al 1931 erano visibili tutto l'anno in quanto scendevano naturalmente dal soprastante Piano del Barbellino, in cui confluivano le acque provenienti da monti come il Recastello e il Monte Gleno, mentre d'estate erano alimentate dal ghiacciaio del Trobio, a quel tempo ancora imponente. Dal 1931, anno di realizzazione della diga del Barbellino, non furono più visibili perché il bacino della diga tratteneva le acque che le alimentavano per produrre energia idroelettrica. Solo dal 1969 fu possibile ammirare nuovamente le cascate grazie a un accordo tra Enel, proprietaria della diga, e l'amministrazione di Valbondione. E' possibile assistere ai salti maestosi del Serio solo cinque volte l'anno e per una trentina di minuti, dalle 11 alle 11.30, ma queste cinque date radunano sui sentieri migliaia di spettatori. Ed infatti appena si arriva a Valbondione ci si rende conto del brulicare variopinto di escursionisti, curiosi e di intere famiglie che si arrampicano lungo i sentieri che, in circa due ore conducono allo strapiombo dei Grandi Macigni in località Maslana. 
Il 
trekking prosegue sino al Rifugio Curò considerando che, seppur non ci siano particolari difficoltà tecniche, la distanza da percorrere è abbastanza importante, poco più di 14 chilometri con un dislivello di mille metri che richiede una buona condizione fisica. Oltrepassata la piazzetta di Valbondione ci si arrampica lungo via Beltrame e dopo il primo tornante imbocchiamo alla nostra sinistra via Curò che poche centinaia di metri più avanti diventa una carrabile all'interno del bosco con pendenza regolare. Seguendo il fianco della valle prendiamo quota e, dopo aver attraversato alcuni valloni, raggiungiamo la stazione inferiore della teleferica che trasporta i viveri al rifugio. A questo punto inizia a suonare la sirena. Sono le 11. La diga viene aperta, tutti gli spettatori si bloccano mentre le acque del Serio precipitano tumultuose nel varco scavato tra le rocce. Ci spostiamo sul sentiero uscendo dal bosco continuando a salire. Ci fermiamo ancora una volta ad osservare il bellissimo arcobaleno prodotto dalla rifrazione della luce solare alla base del secondo salto. Riprendiamo a salire verso il rifugio Curò. Dopo aver piegato bruscamente verso sud e percorso diversi tornanti, incrociamo il sentiero Cai 305 percorrendo un tratto “aereo” scavato nella roccia del monte Verme e dopo aver ammirato la profondità della vallata sottostante, il tracciato pone una scelta, a destra si continua sullo stesso sentiero, meno secco e più lungo, a sinistra si inerpica il sentiero Cai 305A, la variante molto più ripida e faticosa, che dovrebbe farci guadagnare tempo e strada (gambe permettendo) prima di ricongiungerci con il sentiero più “dolce” all’arrivo in vetta della funicolare. Optiamo per la ripida salita.
Il sentiero è ricavato tra la roccia e nonostante sia abbastanza largo troviamo delle catene lungo la parete per renderlo ancor più sicuro visto che alla nostra sinistra abbiamo un bello strapiombo. Finalmente riagganciamo il sentiero 305, quasi in piano ma col fiato corto e poco dopo
 eccoci arrivate in vetta al Rifugio Curò a 1915 metri di quota, il secondo rifugio a essere inaugurato dal CAI di Bergamo nel 1886, dopo quello di Cà Brunona. Il nome omaggia l’Ing. Antonio Curò, allora presidente del CAI di Bergamo, dove apprezziamo le torte della casa. Dal rifugio si può andare verso la diga che crea il lago artificiale del Barbellino, situato ad un’altezza di 1862 metri, il più grande lago artificiale delle Orobie sempre più vuoto a causa delle ridotte piogge a causa dei cambiamenti climatici, ma circondato da montagne imponenti tra cui la più nota, il Pizzo Coca alto 3050 metri, e andare a scoprire la spada nella roccia. No, nulla a che vedere con Re Artù. A posizionarla nel 2016 è stato Matteo Rodari che ha coinvolto nel progetto il padre Modesto. ”Nessuna volontà di richiamare la leggenda dei cavalieri della Tavola Rotonda, ma semplicemente un’idea venuta dall'iniziativa “Sentieri creativi” promossa dal CAI - racconta Modesto Rodari - 
L'ho costruita nella mia fucina, utilizzando materiali di recupero e vari metalli. La lama è stata ricavata dalla penna di un piccone, il manico con il ferro di un'incudine e la pallina decorativa di una vecchia ringhiera e la guardia richiama in tutto e per tutto quelle delle armi quattrocentesche". Si potrebbe prolungare l’escursione, aggiungendo quasi un’ora di cammino, verso l’incantevole lago naturale di Barbellino a 1862 metri con il
corrispettivo rifugio che sorge alle pendici del Pizzo Strinato (mt 2836) e del Pizzo
 Torena (mt 2911), dove ha origine il fiume Serio, ma preferiamo desistere percorrendo a ritroso il sentiero dell’andata.

PARTENZA: Valbiondone (mt 900)
SEGNAVIA: Cai 305
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 1015
ALTITUDINE: mt 1915
LUNGHEZZA: km 15