lunedì 25 febbraio 2019

"Ottocento in collezione, dai Macchiaioli a Segantini" al castello visconteo di Novara (domenica 24 febbraio)

La mostra “Ottocento in collezione, dai Macchiaioli a Segantini” allestita al castello visconteo sforzesco a Novara dall’associazione Mets Percorsi d’arte e curata da Sergio Rebora ed Elisabetta Staudacher, chiude con quasi 31 mila presenze con il record di giornata di 1300 persone diligentemente composte a piccoli gruppi, noi comprese. "C’è grande soddisfazione, il pubblico ha capito il valore – dichiara Paolo Tacchini, presidente di Mets – sono stati percepiti lo sforzo e la qualità di una mostra di alto profilo"La rassegna presentava ottanta capolavori di pittura e scultura dalla metà dell'800 sino ai primi anni del Novecento tutti provenienti da prestigiose raccolte private. Si trattava di una novità importante: soprattutto a partire dal primo Ottocento, alla tradizionale committenza costituita dalla monarchia, dalla Chiesa e
dall’aristocrazia, si aggiunge una classe borghese che vede nell’arte occasione di promozione socialeTra gli anni settanta e ottanta dell'Ottocento inizia la crisi del Verismo dando spazio ad altri linguaggi pittorici connessi alla pittura alla moda, più accattivante per l’Italia postunitaria di fine secolo, e strettamente legata al mercante d’arte parigino Adolphe Goupil, figura fondamentale nella diffusione di una pittura dal gusto seducente, frizzante e mondano. Il mercante ha una galleria a Parigi dal 1829 e conosce perfettamente i gusti della ricca borghesia. 
Sull’esempio della Francia (Goupil) e dell’Inghilterra (Dowdeswell, Colnaghi, Pisani) complice anche il fatto che gli artisti italiani vivono la crisi delle certezze politiche che negli anni precedenti li avevano portati a sostenere la causa risorgimentale, nasce anche in Italia il mercato dell’arte organizzato in empori e in gallerie, come quella fondata a Milano nel 1870 dai fratelli Vittore e Alberto Grubicy. Suddivisa in otto sezioni, la rassegna al Castello di Novara si apre con un accenno all’affermazione delle poetiche del vero nel loro passaggio dai temi storico-risorgimentali alla vita quotidiana del nuovo stato sabaudo, con autori quali Gerolamo Induno, Giovanni Fattori, Luigi Nono. Negli anni Sessanta si assiste a una messa a fuoco sul paesaggio nella sua accezione naturalista (Antonio Fontanesi, Guglielmo Ciardi, Filippo Carcano) e a un confronto tra studio di ritratto pittorico e scultoreo che si prolunga nel tempo (Tranquillo Cremona, Vincenzo Gemito, Medardo Rosso). 
L’esposizione prende poi in esame l’assestarsi e il definirsi, nei due decenni successivi, di un gusto ufficiale che rispecchia quello della monarchia sabauda e che si confronta con i richiami da Oltralpe. È il trionfo della pittura e della scultura di genere declinate su temi ispirati alla vita pastorale e agreste (Francesco P. Michetti, Filippo Palizzi) e a quella borghese nei suoi risvolti intimisti (Silvestro Lega, Giacomo Favretto, Vittorio Corcos), anche con affondi decorativi o folcloristici attraverso la moda dell’orientalismo (Alberto Pasini, Domenico Morelli). Tra le eccellenze del genere si annoverano le esperienze degli artisti operanti a Parigi come Giuseppe De Nittis che, dopo aver fondato nel 1865 la Scuola di Resina - corrente italiana del realismo - si trasferisce a Parigi due anni più tardi entrando nella cerchia di Goupil. In questo modo De Nittis esegue con grande successo scorci di vita mondana parigina, impersonando una pittura elegante e alla moda. Lo stesso per Giovanni Boldini, anche lui dagli esordi veristi e poi, una volta trasferitosi a Parigi, interprete di una pennellata estetizzante e dinamica, a tratti vorticosa, nei ritratti di ammalianti di donne spesso avvolte dalle trasparenze degli eleganti vestiti. Le novità d’oltralpe apprese da Saverio Altamura, Domenico Morelli e Serafino De Tivoli, che si erano recati a Parigi nel 1855 e avevano visitato il padiglione di Courbet, verranno riportate al Caffè Michelangelo di Firenze, punto di incontro dei pittori veristi dove prenderà forma la pittura di “macchia”. Figure, ombre, oggetti vengono definiti da pure macchie di colore in contrasto tra di loro, il tutto in un’atmosfera diretta, reale, netta e resa con una tecnica veloce, sintetica, abbreviata. 
Nell’ultimo decennio del secolo si assiste, da un lato, all’affermazione di istanze ideologicamente impegnate verso i temi del lavoro, espressi con attento e consapevole tono di denuncia delle ingiustizie sociali, dall’altro, verso i primi segni di sensibilità nei confronti del simbolismo internazionale, a volte interpretati con enfasi allegorica di impronta decorativa. L’elaborazione di contenuti così differenti si accomuna spesso con la sperimentazione della pittura divisionista da parte dei maestri della cosiddetta prima generazione: Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Angelo Morbelli, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Plinio Nomellini, Emilio Longoni, Vittore Grubicy. La nostra osservazione si ferma in particolare su La curiosità di Silvestro Lega, caposaldo macchiaiolo della raccolta Jucker, il grande paesaggio Aprile di Antonio Fontanesi, custodito per lungo tempo nella collezione Rossello, lo splendido Hyde Park di Giuseppe De Nittis, realizzato a Londra nel 1876, città nella quale, l’anno precedente, l’artista dipinse Piccadilly, quadro appartenuto al raccoglitore Paolo Ingegnoli e poi a Gaetano Marzotto, Il pastello rosa di Giovanni Boldini, raffinatissimo ritratto di Emiliana Concha de Ossa risalente alla seconda metà degli anni Ottanta, il capolavoro divisionista Venduta! di Angelo MorbelliGli emigranti di Giuseppe Pellizza da Volpedo della collezione dell’imprenditore Francesco Federico Cerruti e Petalo di rosa, toccante dipinto simbolista di Giovanni Segantini.
(fonte METS percorsi d'Arte)

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