Le arcate ormai scomparse hanno lasciato in bella vista il famigerato "tampone a gravità" mentre il Gleno, affluente secondario del torrente Povo forma contro i resti della diga un bel laghetto alpino. Merita di essere raccontata la storia della diga del Gleno. Già durante la seconda metà del '800 l'Italia aveva sete di energia e l'arco alpino, con le sue innumerevoli vallate, era sito ideale per lo sviluppo idroelettrico. Fu così che nel 1907 venne richiesta una concessione per lo sfruttamento del torrente Povo da parte di un certo ingegner Tosana di Brescia. La concessione venne poi ceduta all'ingegner Giuseppe Gmur di Bergamo e da questi alla ditta milanese "Fratelli Viganò". Nel 1917 il Ministero dei Lavori Pubblici autorizzò la realizzazione di un invaso di 3.900.000 metri cubi in località Pian del Gleno. Pochi mesi dopo la ditta Viganò notificò l'inizio dei lavori. Piccolo particolare: il progetto esecutivo non era stato ancora approvato dall'autorità competente, ovvero il Genio Civile, che dà il via libera solo nel 1921 al progetto dello Gmur, nel frattempo morto e sostituito con il giovane ingegnere Giovan Battista Santangelo di Palermo che rielabora il progetto iniziale con i lavori già avviati da qualche anno. Nell'agosto 1921 l'ingegner Lombardi del Genio Civile esegue un sopralluogo al cantiere. E' da immaginare la sua faccia quando constatò che la tipologia costruttiva della diga a gravità (lo sbarramento che si oppone alla spinta del lago grazie al suo peso) era stata cambiata in corso d'opera in una diga ad archi multipli (struttura in grado di trasferire alle rocce di fondazione le spinte del lago).
Rilevò infatti che stavano per essere costruite le basi delle arcate e che quelle nella parte centrale della diga non erano appoggiate sulla roccia ma sul tampone a gravità, insomma come in una sorta di castello di carte. Ne seguì l'immediata diffida al proseguire la costruzione e venne ingiunto alla ditta Viganò di presentare un nuovo progetto. Comunque i lavori andarono avanti alla faccia dei vari sopralluoghi del Lombardi e nell'estate 1923 la diga fu completata. Nell'ottobre dello stesso anno il lago venne riempito a seguito delle violenti precipitazioni. Vi furono problemi negli scaricatori superficiali ma soprattutto si innescarono massicce perdite d'acqua alla base delle arcate sovrastanti il tampone a gravità. Il cattivo tempo perdurò anche nella seconda metà di novembre. Il 1° dicembre 1923 alle ore 6.30 Francesco Morzenti, guardiano della diga avvertì un "moto sussultorio violento" e alle 7.15 avvenne il crollo delle dieci arcate centrali della Diga. Una massa d'acqua di volume compreso tra 5-6 milioni di metri cubi iniziò la sua folle corsa verso la valle. Bueggio, frazione di Vilminore, fu quasi immediatamente travolta. L'acqua percorse lo stretto alveo montano del torrente Povo sino alla confluenza con il torrente Dezzo. L'omonima località scomparì, così come la centrale elettrica, l'antico ponte, la strada e la fonderia per la produzione di ghisa la quale determinò un terrificante spettacolo di acqua, fiamme e vapore.
Le vittime ufficiali del Disastro del Gleno furono circa 360 anche se il calcolo stimato porta a 500 unità. Il 4 luglio 1927 il Tribunale di Bergamo condannò Virgilio Viganò e l'ingegner Santangelo a tre anni e quattro mesi di reclusione più 7.500 lire di multa. Poi dopo la commozione e la solidarietà del momento la valle fu lasciata alla sua tragedia. Il disastro della diga del Gleno rappresenta un esempio macroscopico degli effetti di un'approssimativa progettazione e mal costruzione di una diga. Tralasciando il fattore geologico dell'area, ben undici arcate furono appoggiate direttamente sul tampone a gravità inizialmente costruito creando una pericolosissima discontinuità strutturale. Durante la fase istruttoria del processo vennero sentiti molti testimoni. Il quadro che ne risultò fu agghiacciante. I materiali utilizzati erano di qualità pessima, mentre le armature erano quantitativamente insufficienti, i procedimenti di calcolo errati. Non solo: le maestranze che lavorarono sotto la supervisione del Viganò vennero pagate a cottimo e quindi meno tempo vi impiegavano tanto era di guadagnato. Con queste premesse il disastro fu inevitabile...Questo quasi cento anni fa. Osserviamo l'imponenza della struttura soltanto supponendo la devastante fragilità strutturale. Sotto di noi il piccolo specchio d'acqua brilla al sole, un drone sorvola le sue acque e nonostante la presenza di tanti escursionisti si rimane dolcemente avvolte dal silenzio di questa bellissima vallata che sale direttamente alla vetta del Monte Gleno, uno scrigno di meraviglie naturali.
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