lunedì 15 ottobre 2018

La Diga del Gleno in Val di Scalve (BG) - domenica 14 ottobre

Un caldo sole ottobrino alimenta la nostra voglia di montagna quindi di buon'ora si parte verso la Val di Scalve, una vallata ancora incontaminata dal turismo di massa tra estese foreste che abbracciano le strette forre del torrente Dezzo sino allo stupendo gruppo della Presolana. Arriviamo a Pianezza, frazione di Vilminore di Scalve. Il sentiero Cai 411 parte in prossimità della chiesa di San Lorenzo dal curioso orologio alla romana, ovvero il sistema orario a sei ore secondo il quale il giorno va dall'Ave Maria della sera (mezz'ora dopo il tramonto) a quello successivo e si articola in sei ore ripetute quattro volte. Questo sistema venne creato dalla Chiesa nel XIII secolo e rimase in uso in Italia sino all'arrivo di Napoleone che introdusse il sistema a dodici ore. Ma ritorniamo alla nostra escursione. Ora saliamo su un irto sentiero a scalini, si attraversano dei prati e, superate alcune baite, entriamo in un bel bosco, poche centinaia di metri ed ecco la mulattiera, alla nostra sinistra, che si alza seccamente sino a quota 1500 metri. Riprendiamo fiato, il percorso ora è diventato pianeggiante e contorna i fianchi della montagna, si passa sotto una spettacolare arcata di roccia a strapiombo sulla vallata, superiamo un tornantino e d'improvviso appaiono in lontananza le arcate ferite della diga ma è solamente giungendo in prossimità della diga che ci si accorge delle due ultime arcate. In mezzo uno squarcio enorme. 
Le arcate ormai scomparse hanno lasciato in bella vista il famigerato "tampone a gravità" mentre il Gleno, affluente secondario del torrente Povo forma contro i resti della diga un bel laghetto alpino. Merita di essere raccontata la storia della diga del Gleno. Già durante la seconda metà del '800 l'Italia aveva sete di energia e l'arco alpino, con le sue innumerevoli vallate, era sito ideale per lo sviluppo idroelettrico. Fu così che nel 1907 venne richiesta una concessione per lo sfruttamento del torrente Povo da parte di un certo ingegner Tosana di Brescia. La concessione venne poi ceduta all'ingegner Giuseppe Gmur di Bergamo e da questi alla ditta milanese "Fratelli Viganò". Nel 1917 il Ministero dei Lavori Pubblici autorizzò la realizzazione di un invaso di 3.900.000 metri cubi in località Pian del Gleno. Pochi mesi dopo la ditta Viganò notificò l'inizio dei lavori. Piccolo particolare: il progetto esecutivo non era stato ancora approvato dall'autorità competente, ovvero il Genio Civile, che dà il via libera solo nel 1921 al progetto dello Gmur, nel frattempo morto e sostituito con il giovane ingegnere Giovan Battista Santangelo di Palermo che rielabora il progetto iniziale con i lavori già avviati da qualche anno. Nell'agosto 1921 l'ingegner Lombardi del Genio Civile esegue un sopralluogo al cantiere. E' da immaginare la sua faccia quando constatò che la tipologia costruttiva della diga a gravità (lo sbarramento che si oppone alla spinta del lago grazie al suo peso) era stata cambiata in corso d'opera in una diga ad archi multipli (struttura in grado di trasferire alle rocce di fondazione le spinte del lago).
Rilevò infatti che stavano per essere costruite le basi delle arcate e che quelle nella parte centrale della diga non erano appoggiate sulla roccia ma sul tampone a gravità, insomma come in una sorta di castello di carte. Ne seguì l'immediata diffida al proseguire la costruzione e venne ingiunto alla ditta Viganò di presentare un nuovo progetto. Comunque i lavori andarono avanti alla faccia dei vari sopralluoghi del Lombardi e nell'estate 1923 la diga fu completata. Nell'ottobre dello stesso anno il lago venne riempito a seguito delle violenti precipitazioni. Vi furono problemi negli scaricatori superficiali ma soprattutto si innescarono massicce perdite d'acqua alla base delle arcate sovrastanti il tampone a gravità. Il cattivo tempo perdurò anche nella seconda metà di novembre. Il 1° dicembre 1923 alle ore 6.30 Francesco Morzenti, guardiano della diga avvertì un "moto sussultorio violento" e alle 7.15 avvenne il crollo delle dieci arcate centrali della Diga. Una massa d'acqua di volume compreso tra 5-6 milioni di metri cubi iniziò la sua folle corsa verso la valle.  Bueggio, frazione di Vilminore, fu quasi immediatamente travolta. L'acqua percorse lo stretto alveo montano del torrente Povo sino alla confluenza con il torrente Dezzo. L'omonima località scomparì, così come la centrale elettrica, l'antico ponte, la strada e la fonderia per la produzione di ghisa la quale determinò un terrificante spettacolo di acqua, fiamme e vapore.
All'altezza di Angolo l'ondata, colma di detriti, creò delle ostruzioni temporanee con effetti spaventosiL'orrenda massa d'acqua precipitò sull'odierna Boario Terme poi più a valle andò attenuando la sua forza distruttiva ma causò ancora vittime e gravissimi danni sino a raggiungere il Lago d'Iseo. Qui lo spettacolo non fu meno terribile: una cinquantina di salme galleggiavano nell'acqua torbida. 
Le vittime ufficiali del Disastro del Gleno furono circa 360 anche se il calcolo stimato porta a 500 unità. Il 4 luglio 1927 il Tribunale di Bergamo condannò Virgilio Viganò e l'ingegner Santangelo a tre anni e quattro mesi di reclusione più 7.500 lire di multa. Poi dopo la commozione e la solidarietà del momento la valle fu lasciata alla sua tragedia. Il disastro della diga del Gleno rappresenta un esempio macroscopico degli effetti di un'approssimativa progettazione e mal costruzione di una diga. Tralasciando il fattore geologico dell'area, ben undici arcate furono appoggiate direttamente sul tampone a gravità inizialmente costruito creando una pericolosissima discontinuità strutturaleDurante la fase istruttoria del processo vennero sentiti molti testimoni. Il quadro che ne risultò fu agghiacciante. I materiali utilizzati erano di qualità pessima, mentre le armature erano quantitativamente insufficienti, i procedimenti di calcolo errati. Non solo: le maestranze che lavorarono sotto la supervisione del Viganò vennero pagate a cottimo e quindi meno tempo vi impiegavano tanto era di guadagnato. Con queste premesse il disastro fu inevitabile...Questo quasi cento anni fa. Osserviamo l'imponenza della struttura soltanto supponendo la devastante fragilità strutturale. Sotto di noi il piccolo specchio d'acqua brilla al sole, un drone sorvola le sue acque e nonostante la presenza di tanti escursionisti si rimane dolcemente avvolte dal silenzio di questa bellissima vallata che sale direttamente alla vetta del Monte Gleno, uno scrigno di meraviglie naturali.



PARTENZA: Pianezza (mt 1267)
SEGNAVIA: Cai 411
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 300
ALTITUDINE: mt 1534
LUNGHEZZA: km 8

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