martedì 23 ottobre 2018

Bella escursione a Forte Vezzena - domenica 21 ottobre

Per la sua fantastica posizione venne chiamato "l'occhio degli altipiani" e dai suoi 1908 metri di altezza, a picco sulla sottostante Valsugana e i laghi di Levico e Caldonazzo, il profilo importante di forte Vezzena spicca nettamente sulla rocciosa sommità del Pizzo di Vezzena nel bellissimo blu di questa domenica di ottobre. Forte Vezzena o Werk Spitz Verle  fu edificato quando il Trentino apparteneva all'impero austro-ungarico tra il 1907 e il 1914. Aveva una importantissima funzione di osservatorio e controllo del territorio grazie alla sua posizione strategica, potendo sorvegliare il massiccio del Pasubio, la zona degli Altopiani e tutto il versante nord della Valsugana. Data la difficoltà di raggiungere la cima il forte non era dotato di armamento pesante, aveva solo postazioni per mitragliatrici e una torretta di osservazione blindata e girevole. Sicuramente un'opera ardita che si affaccia a strapiombo con un salto di 1300 metri sulla vallata
Forte Vezzena
La difficile posizione però comportava diversi problemi di approvvigionamento idrico e per questo venne dotato di cisterne da 37.000 litri, alimentate da pompe azionate elettricamente che facevano pervenire l'acqua dal sottostante forte VerleLa fortificazione, con tre piani in superficie, venne realizzata in calcestruzzo e cemento armato. La pianta è trapezoidale, il forte si trova in una gola artificiale di roccia ed era difeso da fitte linee di reticolati. Durante il primo anno di guerra furono scavati degli alloggiamenti sotterranei per la guarnigione dopo che l'artiglieria italiana aveva reso inutilizzabili il secondo ed il terzo piano. Era considerato inespugnabile e tale si dimostrò. Gli italiani cercarono infatti di conquistarlo più volte tra il 1915 e il 1916 ma tutti i tentativi fallirono. L'attuale stato di totale rovina è dovuta al recupero dei materiali ferrosi negli anni del primo dopoguerra ed oggi della fortezza rimangono solo rovine. 
All'epoca il forte era armato con 5 mitragliatrici Schwarzlose da 8 mm M7/12 poste in due casematte corazzate fisse ed una nell'osservatorio girevole posto sulla sommità dell'opera. Ospitava un corpo di sessanta Standschutzen comandati dal sottotenente Konrad Schwarz. Non era dotato di artiglieria, ma durante l'estate 1915 venne portato nei pressi del forte un cannone da 75 mm da montagna che fu usato anche in funzione di artiglieria antiaerea. Ma torniamo all'escursione. La splendida giornata ci porta nel parcheggio a passo Vezzena (mt 1402) accanto all'omonino hotel. Da qui si seguono le indicazioni per Cima Vezzena lungo il sentiero 201 "Via dei Forti" che sale su strada asfaltata tra brevi tornanti e in un breve tempo si raggiunge il forte Busa Verle o in tedesco Werk Verle ad una altitudine di 1505 metri, forte che faceva parte delle sette fortificazioni dello sbarramento Lavarone-Folgaria al confine italiano. Costruito tra il 1907 e il 1914 è un'opera in casamatta di calcestruzzo armato. 
Progettista e direttore dei lavori fu l’Ingegnere Capitano dello Stato Maggiore del Genio Edler Karl von Lehmayer. Costruito in lunghezza, si allunga in quattro gradoni per adattarsi alla morfologia del terreno. Si sviluppava sempre su due piani a parte l’ultimo gradone che era su di un piano solo, con due casematte metalliche fisse per mitragliatrici. Protetto tutto attorno da triplici ordini di reticolati. Era dotato di una cupola osservatorio che permetteva di illuminare lo spazio adiacente al forte, dipinto a macchie verdi-rossastre e recintato da triplice ordine di reticolati. Subì pesanti bombardamenti durante la Grande Guerra per mano dell'esercito italiano. Dopo la Strafexpedition del maggio 1916 rimase da punto di collegamento con il sistema degli altipiani. Qui combattè anche lo scrittore austriaco Fritz Weber autore del libro "Tappe della disfatta". A fine conflitto anch'esso fu spogliato di tutto il materiale ferroso. Il forte in uno stato di grande degrado non è visitabile all'interno per pericolo di crolli ma ne mantiene intatto il fascino strutturale. 
Forte Verle
Tralasciamo l'asfalto per attraversare i prati di Malga Busa Verle e poi proseguire sulla strada "verso i Larici", chiusa al traffico, lasciando perdere il ripidissimo sentiero Cai 205 che accorcerebbe tempi e distanze, per una camminata indubbiamente più lunga attraverso questo bosco meraviglioso dove spuntano funghi in ogni anfratto (attenzione, è vietata la raccolta). Si raggiunge la "curva del Bosco Varagno" da dove si stacca a sinistra la mulattiera che con diversi tornanti sale alla cima. La croce di vetta è sferzata da raffiche di vento ma, complice questa bellissima giornata di sole, è grandioso lo spettacolo sulle cime che fanno da sfondo ai due laghi, cima Marzola e la Vigolana, per proseguire il Pasubio, le lontane vette del Baldo, dalle Dolomiti del Brenta al gruppo del Lagorai e le tre cime del Bondone. Su Cima Vezzena sono stati fatti dei lavori per la messa in sicurezza del forte e degli strapiombi sulla Valsugana con risultati abbastanza discutibili. Riprendiamo la strada militare in discesa mentre il sole scompare di colpo, la temperatura cala rapidamente e la nebbia alle nostre spalle inghiotte il limitare del bosco, trovandoci catapultate di colpo in un'ottica invernale. Il parcheggio dell'hotel Vezzena appare deserto, meglio riprendere la strada direzione Luserna - ultima isola linguistica cimbra - dove dalla coltre nebbiosa appare come per magia Malga Millegrobbe. Ambiente deliziosamente montano, pochi avventori, buon Lagrein e ricco tagliere di affettati e formaggi. E un cameriere d'eccezione perché con grande sorpresa raggiunge il nostro tavolo il signor Massimo Osele, titolare della malga e partecipante al programma "4 Ristoranti" di Alessandro Borghese.
Foto di rito a conclusione di una eccezionale giornata. 

PARTENZA: passo Vezzena 
(mt. 1402)
SEGNAVIA: Cai 201-205
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 500
ALTITUDINE: mt 1908
LUNGHEZZA: km 12,8

lunedì 15 ottobre 2018

La Diga del Gleno in Val di Scalve (BG) - domenica 14 ottobre

Un caldo sole ottobrino alimenta la nostra voglia di montagna quindi di buon'ora si parte verso la Val di Scalve, una vallata ancora incontaminata dal turismo di massa tra estese foreste che abbracciano le strette forre del torrente Dezzo sino allo stupendo gruppo della Presolana. Arriviamo a Pianezza, frazione di Vilminore di Scalve. Il sentiero Cai 411 parte in prossimità della chiesa di San Lorenzo dal curioso orologio alla romana, ovvero il sistema orario a sei ore secondo il quale il giorno va dall'Ave Maria della sera (mezz'ora dopo il tramonto) a quello successivo e si articola in sei ore ripetute quattro volte. Questo sistema venne creato dalla Chiesa nel XIII secolo e rimase in uso in Italia sino all'arrivo di Napoleone che introdusse il sistema a dodici ore. Ma ritorniamo alla nostra escursione. Ora saliamo su un irto sentiero a scalini, si attraversano dei prati e, superate alcune baite, entriamo in un bel bosco, poche centinaia di metri ed ecco la mulattiera, alla nostra sinistra, che si alza seccamente sino a quota 1500 metri. Riprendiamo fiato, il percorso ora è diventato pianeggiante e contorna i fianchi della montagna, si passa sotto una spettacolare arcata di roccia a strapiombo sulla vallata, superiamo un tornantino e d'improvviso appaiono in lontananza le arcate ferite della diga ma è solamente giungendo in prossimità della diga che ci si accorge delle due ultime arcate. In mezzo uno squarcio enorme. 
Le arcate ormai scomparse hanno lasciato in bella vista il famigerato "tampone a gravità" mentre il Gleno, affluente secondario del torrente Povo forma contro i resti della diga un bel laghetto alpino. Merita di essere raccontata la storia della diga del Gleno. Già durante la seconda metà del '800 l'Italia aveva sete di energia e l'arco alpino, con le sue innumerevoli vallate, era sito ideale per lo sviluppo idroelettrico. Fu così che nel 1907 venne richiesta una concessione per lo sfruttamento del torrente Povo da parte di un certo ingegner Tosana di Brescia. La concessione venne poi ceduta all'ingegner Giuseppe Gmur di Bergamo e da questi alla ditta milanese "Fratelli Viganò". Nel 1917 il Ministero dei Lavori Pubblici autorizzò la realizzazione di un invaso di 3.900.000 metri cubi in località Pian del Gleno. Pochi mesi dopo la ditta Viganò notificò l'inizio dei lavori. Piccolo particolare: il progetto esecutivo non era stato ancora approvato dall'autorità competente, ovvero il Genio Civile, che dà il via libera solo nel 1921 al progetto dello Gmur, nel frattempo morto e sostituito con il giovane ingegnere Giovan Battista Santangelo di Palermo che rielabora il progetto iniziale con i lavori già avviati da qualche anno. Nell'agosto 1921 l'ingegner Lombardi del Genio Civile esegue un sopralluogo al cantiere. E' da immaginare la sua faccia quando constatò che la tipologia costruttiva della diga a gravità (lo sbarramento che si oppone alla spinta del lago grazie al suo peso) era stata cambiata in corso d'opera in una diga ad archi multipli (struttura in grado di trasferire alle rocce di fondazione le spinte del lago).
Rilevò infatti che stavano per essere costruite le basi delle arcate e che quelle nella parte centrale della diga non erano appoggiate sulla roccia ma sul tampone a gravità, insomma come in una sorta di castello di carte. Ne seguì l'immediata diffida al proseguire la costruzione e venne ingiunto alla ditta Viganò di presentare un nuovo progetto. Comunque i lavori andarono avanti alla faccia dei vari sopralluoghi del Lombardi e nell'estate 1923 la diga fu completata. Nell'ottobre dello stesso anno il lago venne riempito a seguito delle violenti precipitazioni. Vi furono problemi negli scaricatori superficiali ma soprattutto si innescarono massicce perdite d'acqua alla base delle arcate sovrastanti il tampone a gravità. Il cattivo tempo perdurò anche nella seconda metà di novembre. Il 1° dicembre 1923 alle ore 6.30 Francesco Morzenti, guardiano della diga avvertì un "moto sussultorio violento" e alle 7.15 avvenne il crollo delle dieci arcate centrali della Diga. Una massa d'acqua di volume compreso tra 5-6 milioni di metri cubi iniziò la sua folle corsa verso la valle.  Bueggio, frazione di Vilminore, fu quasi immediatamente travolta. L'acqua percorse lo stretto alveo montano del torrente Povo sino alla confluenza con il torrente Dezzo. L'omonima località scomparì, così come la centrale elettrica, l'antico ponte, la strada e la fonderia per la produzione di ghisa la quale determinò un terrificante spettacolo di acqua, fiamme e vapore.
All'altezza di Angolo l'ondata, colma di detriti, creò delle ostruzioni temporanee con effetti spaventosiL'orrenda massa d'acqua precipitò sull'odierna Boario Terme poi più a valle andò attenuando la sua forza distruttiva ma causò ancora vittime e gravissimi danni sino a raggiungere il Lago d'Iseo. Qui lo spettacolo non fu meno terribile: una cinquantina di salme galleggiavano nell'acqua torbida. 
Le vittime ufficiali del Disastro del Gleno furono circa 360 anche se il calcolo stimato porta a 500 unità. Il 4 luglio 1927 il Tribunale di Bergamo condannò Virgilio Viganò e l'ingegner Santangelo a tre anni e quattro mesi di reclusione più 7.500 lire di multa. Poi dopo la commozione e la solidarietà del momento la valle fu lasciata alla sua tragedia. Il disastro della diga del Gleno rappresenta un esempio macroscopico degli effetti di un'approssimativa progettazione e mal costruzione di una diga. Tralasciando il fattore geologico dell'area, ben undici arcate furono appoggiate direttamente sul tampone a gravità inizialmente costruito creando una pericolosissima discontinuità strutturaleDurante la fase istruttoria del processo vennero sentiti molti testimoni. Il quadro che ne risultò fu agghiacciante. I materiali utilizzati erano di qualità pessima, mentre le armature erano quantitativamente insufficienti, i procedimenti di calcolo errati. Non solo: le maestranze che lavorarono sotto la supervisione del Viganò vennero pagate a cottimo e quindi meno tempo vi impiegavano tanto era di guadagnato. Con queste premesse il disastro fu inevitabile...Questo quasi cento anni fa. Osserviamo l'imponenza della struttura soltanto supponendo la devastante fragilità strutturale. Sotto di noi il piccolo specchio d'acqua brilla al sole, un drone sorvola le sue acque e nonostante la presenza di tanti escursionisti si rimane dolcemente avvolte dal silenzio di questa bellissima vallata che sale direttamente alla vetta del Monte Gleno, uno scrigno di meraviglie naturali.



PARTENZA: Pianezza (mt 1267)
SEGNAVIA: Cai 411
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 300
ALTITUDINE: mt 1534
LUNGHEZZA: km 8

martedì 9 ottobre 2018

I forti Hlawaty e Mollinary della Val d'Adige (sabato 6 ottobre)

Forte Hlawaty
Sotto un cielo plumbeo e mantenendo a sinistra il corso dell'Adige, si oltrepassa la Chiusa di Ceraino dove accanto all'omonimo albergo giacciono aggrovigliati da rovi e spini i resti di forte Chiusa, e attraversata la statale 12 del Brennero all'altezza della chiesa di Ceraino, una pila, una felpa e poco altre cose trovano spazio nei nostri zaini quando ci alziamo sulla carrareccia militare che porta ai due forti austriaci. Usciamo abbastanza presto dal bosco e la sottostante Val d'Adige si offre ad uno spettacolo di forte suggestione: davanti a noi forte Rivoli, sopra uno sperone roccioso del monte Cordespino spunta forte San Marco e in basso spicca tra il verde il monumento di Napoleone. Tra il 1849 ed il 1852 per proteggere la strada per il Brennero e lo sbocco della Val d’Adige gli austriaci crearono la piazza di sbarramento di Rivoli-Ceraino con quattro forti: la Chiusa Veneta ed il Hlawaty a Ceraino, il Mollinary a Monte di Sant’Ambrogio ed il Wohlgemuth a Rivoli. 
Tre forti vennero collocati in destra Adige: il Mollinary, situato a 410 metri sulle pendici sud-occidentali del Monte Pastello, era raggiunto da una ardita strada militare che partendo da Ceraino si innalzava con una serie di 16 tornanti, toccando il forte Hlawaty a quota 236 metri, e proseguiva per l’abitato di Monte mentre il forte della Chiusa Veneta venne costruito in basso a 115 metri a sbarramento della strada del Brennero in riva all'Adige. Il forte di Rivoli, posto in sinistra Adige, fu invece edificato sul Monte Castello a 227 metri d’altezza. Le quattro fortificazioni erano molto vicine tra loro: circa 860 metri in linea d’aria tra il forte di Rivoli e quello di Ceraino, circa 940 metri tra il forte di Ceraino e quello di Monte e circa 500 metri tra quello di Monte e la Chiusa Veneta. Questa vicinanza permetteva l’incrocio dei tiri di artiglieria tra forte e forte con il risultato di una migliore difesa dello sbocco della vallata. Il forte Hlawaty costruito sempre tra il 1850 ed il 1851 su di un piccolo ripiano del Monte Pastello era a dominio dell’ansa dell’Adige e dei traghetti, e possiede una pianta irregolare per adattarla alle asperità rocciose del luogo. 
Fu intitolato al luogotenente feldmaresciallo Johann von Hlawaty come riconoscimento per la sua attività di architetto militare. Il forte è dotato di una recinzione esterna che racchiude a nord le cannoniere in casamatta protette da uno strato di terra battuta spesso oltre due metri, mentre a sud si trova il ridotto a forma di parallelepipedo. All’interno vi sono grandi cisterne per l’acqua piovana raccolta con un sistema ingegnoso di canalizzazioni. Pregevoli e ben studiati sono alcuni particolari architettonici, in conci di pietra di rosso ammonitico, che ne fanno un'opera dalle suggestioni artistiche mentre le varie stanze sono collegate da corridoi e scale di interessante manifattura. Merita una citazione anche la strada militare d'accesso all'opera tuttora in ottime condizioni. Questa strada è stata intagliata nella roccia viva e solidi muri di sostegno sono presenti nei tornanti e nelle numerose piazzole. L'ingresso era garantito da un ponte levatoio. Dopo il 1866 e il passaggio all'Italia il forte ha perso la sua funzionalità difensiva per essere adibito a deposito di munizioni e ora versa in uno stato di totale desolazione lasciato alla mercè della vegetazione. 
Forte Mollinary
Munite di torcia ci siamo avventurate all’interno del forte prestando molta attenzione a dove si camminava. Questo forte è stato anche utilizzato come luogo di incontro per i seguaci di alcune sette sataniche. Usciamo da forte Hlawaty riprendendo la salita sulla strada militare e in poco meno di un'ora si raggiunge forte Mollinary in gran parte crollato. Si può visitare anche l’interno con la massima accortezza alla struttura pericolante ed ai fori nei pavimenti. Forte Mollinary venne costruito tra il 1849 ed il 1852 e poteva contenere ventiquattro bocche da fuoco. Venne edificato su di un ripiano ad ovest del paese di Monte di Sant’Ambrogio e intitolato al generale austriaco Anton von Mollinary. L'edificazione del forte è stata caratterizzata da un'esecuzione particolarmente accurata, in pietra di rosso ammonitico locale, che ha messo in evidenza particolari di pregevole impronta artistica.
"Interno" del forte
La sua pianta era irregolare: mentre il lato ad est (contro monte) era protetto da un fossato intagliato nella viva roccia con un ponte levatoio che dava accesso al forte attraverso un bel portale bugnato, il lato ad ovest (verso valle) presentava il ridotto con le cannoniere in casamatta su due piani. Inoltre al centro vi era un ampio piazzale superiore che poteva accogliere alcuni pezzi di artiglieria allo scoperto ma protetti da un parapetto in pietra.
 Diversi locali erano poi destinati alla guarnigione che arrivava ad un centinaio di uomini. Dopo il 1866, con l'annessione del Veneto al Regno d'Italia, il forte passò nelle mani del Regio Esercito che lo considerò strategicamente valido tanto da ammodernarlo nel 1884 invertendo il tiro d'artiglieria da nord a sud. Dismesso a seguito di una esplosione che lo ha fortemente mutilato ora versa nel più completo abbandono.


PARTENZA: Ceraino (mt 115)
SEGNAVIA: sentiero 240
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt 300
ALTITUDINE: mt 410
LUNGHEZZA: km 9