martedì 14 maggio 2019

La Val d'Orcia, parabola di vigneti e silenti filari di cipressi (10-12 maggio)

San Gimignano
La Val d'Orcia è una terra di rara bellezza dove storia, natura e tradizione si intrecciano: orgogliosi borghi medievali, abbazie e castelli immersi in un paesaggio unico. Un territorio mosso e frastagliato come il mare ma le sue onde sono colline verdi, campi di colza il cui giallo ocra è rotto dai filari dei cipressi, parabole di vigne che affiorano dai sentieri. E' una terra silenziosa e tranquilla come i suoi abitanti che da secoli conservano gelosamente tesori gastronomici e pregiate testimonianze artistiche. Venerdì 10 maggio. I chilometri scappano veloci lungo l'appennino dove l'occhio spazia veloce su orizzonti infiniti, poi incroci la segnaletica direzione San Gimignano e il nostro programma si arricchisce di un nuovo itinerario. Andiamo a scoprire la "città delle torri". Infatti San Gimignano ne contava ben 72 in epoca medievale ma oggi ne restano in piedi quattordici, con altre scapitozzate intravedibili nel tessuto urbano. La più antica è la torre Rognosa, eretta all'inizio del XII secolo, mentre la più alta è la torre del Podestà, detta anche Torre Grossa (54 metri). Un regolamento del 1255 vietava ai privati di erigere torri più alte della torre Rognosa ma le due famiglie più importanti della cittadina senese, i ghibellini Ardinghelli e i guelfi Salvucci, fecero costruire due torri di equale grandezza per dimostrare la propria potenza. La semplicità della facciata romanica del XII secolo della Collegiata di Santa Maria Assunta non anticipa le meraviglie dell'interno. Divisa in tre navate, il duomo conserva alcuni capolavori.
Il famoso Brunello
Sulla parte posteriore della controfacciata c'è il Martirio di San Sebastiano di Benozzo Gozzoli mentre nella parte centrale lo straordinario Giudizio Universale di Taddeo di Bartolo. Se il duomo è il simbolo religioso della città, il Palazzo del Popolo è il suo corrispettivo civico e si trova sulla sinistra della piazza, tra la torre Grossa e la Loggia del Comune. Insieme, a pochi metri l'uno dall'altra, formano lo straordinario insieme architettonico di Piazza del Duomo. Lasciato il duomo raggiungiamo Piazza della Cisterna, straordinariamente scenografica e punto di passaggio obbligato della città, per poi risalire una stradina che porta alla Rocca di Montestaffoli. Non resta molto dell'antica rocca ma vale davvero la pena arrampicarsi in questo spazio verde per ammirare una vista magnifica su San Gimignano e la Val d'Elsa. La Rocca è diventata il Centro comunale di documentazione e degustazione del vino Vernaccia che riunisce tutti i produttori di questo splendido bianco DOCG. La Vernaccia, vino bianco asciutto e armonico era particolarmente apprezzato da Dante, Boccaccio, Ludovico il Moro e Lorenzo il Magnifico...e ovviamente anche da noi! Sorseggiarlo davanti ad uno dei paesaggi più suggestivi della Toscana è un'esperienza unica. Il tempo corre e dobbiamo raggiungere Castel del Piano, la porzione grossetana della Val d'Orcia, dove abbiamo posto la nostra base in località Borgo Tepolini sulle propaggini collinari occidentali del Monte Amiata, e da lì proseguire per Santa Fiora, bandiera arancione TCI, al cospetto della più genuina cucina toscana. I pici, tipica pasta fresca simile agli spaghetti ma più larghi, rappresentano appieno il piatto povero della realtà contadina. Gli gnudi, ravioli particolari senza alcuna pasta ad avvolgerli. Vengono preparati con spinaci o tradizionalmente con bietole, borragine e ortica insieme a ricotta e uova, fino a creare delle polpettine da servire con un filo d'olio e infine le pappardelle al cinghiale, piatto tipico della Maremma grossetana, il tutto innaffiato dai rossi locali.
Castello di Poggio alle Mura
Sabato 11 maggio. Il tour inizia di buon mattino deviando verso il Castello di Poggio alle Mura. Il borgo conobbe particolare fortuna durante il Medioevo data la sua posizione che gli permetteva di controllare facilmente il vasto territorio senese compreso tra Montalcino, il monte Amiata e la Maremma, nel punto di confluenza dell'Orcia e l'Ombrone. Il castello, già presente in epoca altomedievale, è strettamente legato alle vicende dei  Conti Placidi, famiglia di nobili senesi con importanti incarichi di governo nella città, che ne entra in possesso nel corso del Quattrocento e con alterne vicende lo governerà sino a metà Novecento. Nel 1983 viene acquistato dalla famiglia Mariani ed entra così a far parte dell'azienda Banfi che riporta il fortilizio all'antico splendore inglobandolo nell'attività vitivinicola. All'interno è ospitato il museo della bottiglia e una straordinaria enoteca dove sorseggiare i celebri rossi di questa importante tenuta. Il tratto stradale è breve sino Sant'Angelo in Colle. La pieve romanica di San Michele Arcangelo, documentata dal 1212, presenta una semplice facciata in pietra con tetto a capanna, portale costruito in travertino e lunghe finestre romaniche. In questa oasi di pace e silenzio ci tiene compagnia un ottimo Orcia bianco "misto" al trebbiano. Ecco Montalcino, famosissima grazie al Brunello, uno dei migliori vini italiani e tra i più apprezzati al mondo.
Montalcino
Il borgo era già rinomato per i suoi vini nel XV secolo, tuttavia la preziosa formula del fantastico rosso fu inventata nel 1888 da Ferruccio Biondi Santi che per primo ebbe l'idea di eliminare i vitigni della tradizionale ricetta del Chianti, come il Canaiolo e il Colorino, usando invece solo la varietà Sangiovese. Prima che il Brunello sia pronto da bere deve essere fatto invecchiare per un minimo di cinque anni, due dei quali in botti di quercia, mentre il rosso di Montalcino è pronto dopo un solo anno di invecchiamento. Tra i più rinomati produttori di questo rosso favoloso menzioniamo Biondi-Santi, Schidione e Banfi. Ma Montalcino non è solo vino, è anche arte e cultura. Il centro storico è dominato dalla possente fortezza costruita nel 1361 a struttura pentagonale. Il panorama che si gode dai bastioni della rocca è davvero spettacolare, va dal Monte Amiata, attraverso le Crete fino a Siena e attraversa tutta la Val d'Orcia fino alle colline della Maremma. Torniamo indietro di qualche chilometro. Dalla sommità di un suggestivo viale di ulivi appare l'imponente complesso dell' Abbazia di Sant'Antimo. La chiesa attuale è databile all'inizio del XII secolo ma le sue origini si perdono nel tempo. La leggenda ne fa risalire la fondazione a Carlo Magno con l'edificazione di una cappella, detta appunto Cappella Carolingia, corrispondente all'attuale sagrestia. Certamente l'Abbazia esisteva nell'anno 814 quando Ludovico il Pio, successore di Carlo Magno, emana un diploma che l'arricchisce di beni e privilegi. Il grande cantiere prende avvio nel dodicesimo secolo, sotto la guida dell'abate Guidone, come testimoniato dalla Charta Lapidaria, un'iscrizione collocata nei gradini dell'altare maggiore che ricorda la donazione elargita dalla famiglia degli Ardengheschi nel 1118.
Abbazia di Sant'Antimo
Questo anno segna l'inizio del periodo di maggior splendore di Sant'Antimo che diviene uno dei più ricchi e importanti monasteri della regione. Ma già nel XV secolo, dopo alterne vicende storiche, l'abbazia si trova in uno stato di abbandono. Solo dal 1870 inizia una lunga campagna di restauri guidata dall'architetto Giuseppe Partini che riporta la chiesa all'aspetto attuale. Risaliamo la collina in direzione di Castiglione d'Orcia. Situato al centro della vallata si trova arroccato su una collina della pendice settentrionale del monte Amiata. Nel cuore del borgo si trova Piazza Vecchietta dedicata al pittore senese Lorenzo di Pietro (1412-1480) detto appunto il Vecchietta. La piazza, si caratterizza per la particolare forma triangolare e l'irregolare pendenza del piano stradale disegnato da un acciottolato di pietre e mattoni rossi. Al centro un pozzo in travertino risalente al 1618 mentre su uno dei lati si affaccia l'antico Palazzo Comunale all'interno del quale è conservato un affresco di scuola senese Madonna con Bambino e due santi. La Rocca Aldobrandesca sorge nel punto più alto della città, a 574 metri, le cui mura, in ampi tratti ancora visibili nonostante vi siano addossate numerose abitazioni, un tempo si raccordavano.
Castiglione d'Orcia
La vicinanza, praticamente a qualche centinaio di metri in linea d'aria, dell'altrettanto possente Rocca di Tintinnano sullo sperone roccioso di Rocca d'Orcia, limitò fortemente il controllo che la Rocca Aldobrandesca poteva esercitare sulla Val d'Orcia e sulla via Francigena che l'attraversava, in quanto la "gemella" sorgeva in posizione strategicamente migliore allo scopo. La zona fu nel medioevo aspramente contesa fra le famiglie degli Aldobrandeschi e Salimbeni e i monaci del Monte Amiata. I resti della fortificazione sono scarsi, sia per lo stato di abbandono in cui è stata lasciata dalla fine della Guerra di Siena del XVI secolo, sia per i gravi danni subiti durante i bombardamenti dell'ultima guerra. Da alcuni anni l'intero complesso della rocca è oggetto di importanti lavori di consolidamento. L'area è stata liberata dalla vegetazione, quindi oggi sono ben leggibili sia la cortina muraria esterna sia l'area del palazzo ma a causa di un crollo l'accesso alla rocca è ora interdetto. Di rimando basta uno sguardo per comprendere i motivi che portarono alla costruzione della Rocca di Tintinnano, dominante sul grande scoglio di roccia calcarea. Nei secoli successivi, non avendo più importanza militare con lo sviluppo delle armi da fuoco, Tintinnano fu abbandonata. La rocca è famosa anche per aver ospitato nel 1377 Santa Caterina da Siena che, secondo la leggenda, imparò a leggere e scrivere grazie ad un miracolo. Rincorriamo le tracce storiche di questa magnifica vallata. Un largo sterrato boschivo conduce al Castello di Ripa d'Orcia, di proprietà della famiglia Piccolomini dal 1484 ed ora trasformato in una rinomata tenuta agricola. Ripresa la Cassia andiamo in cerca dei famosi Cipressi, figura iconografica di questa regione. Alle nostre richieste informative alcuni viaggiatori sulla via Francigena ci rispondono con stupore "Ma che hanno di speciale questi cipressi?". Abbiamo preferito lasciar perdere...
San Quirico d'Orcia
Ritorniamo verso San Quirico d'Orcia, dalle origini antichissime, probabilmente etrusche. Una piacevole passeggiata ci fa scoprire la bellissima Collegiata dei Santi Quirico e Giulietta e gli Horti Leonini, ampio giardino all'italiana realizzato alla fine del Cinquecento da Diomede Leoni. La conformazione del terreno ha influenzato la distribuzione del giardino che si divide in due zone. La zona inferiore è recintata da muri e lecci ed è composta da aiuole triangolari bordate da una doppia siepe di bosso. Al centro la statua di Cosimo III dé Medici, scolpita da Bartolomeo Mazzuoli nel 1688, proveniente da palazzo Chigi Zondadari. Il viale di confine con l'abitato, che fiancheggia la parte bassa del bosco, porta invece ad un altro ingresso cinquecentesco e al Giardino delle Rose. Si sta facendo buio e l'Osteria Santa Caterina in località Poggio Rosa ci attende con le sue prelibatezze toscane. Domenica 12 maggio. Dopo un bel temporale notturno il mattino regala un sole sorprendente, e valigie sono subito dimenticate. Il Castello del Potentino si trova nell'omonima località situata nella parte settentrionale di Seggiano. Il maniero costruito attorno all'anno Mille, era antico possedimento dei vescovi di Chiusi, la cui diocesi si estendeva, all'epoca, a tutta l'area del Monte Amiata. Il complesso che presenta ancora oggi l'originario aspetto medievale, appartiene agli eredi dello scrittore britannico Graham Greene che lo hanno trasformato in una importante azienda agricola.
Bagno Vignoni
A una manciata di chilometri si trovano le terme di Bagno Vignoni, elogiate da Santa Caterina da Siena. Al centro del borgo si presenta la Piazza delle Sorgenti, una vasca rettangolare di origine cinquecentesca, che contiene una sorgente di acqua termale calda e fumante che esce dalla falda sotterranea di origine vulcanica mentre il loggiato prominente alla vasca porta il nome della Santa. Le acque erano utilizzate già in epoca romana: re e papi si sono fermati qui! Ai piedi del borgo si trova il Parco dei Mulini, importante area storica che custodisce una bellissima vasca naturale le cui acque sono straordinariamente azzurre in netto contrasto con le rocce calcaree circostanti. Dai campi di grano e silenti uliveti spunta il Castello di Spedaletto trasformato in agriturismo là dove un tempo c'erano granai, stalle e abitazioni. Il complesso venne costruito nel corso del XII secolo e apparteneva allo Spedale di Santa Maria della Scala di Siena. Si prosegue risalendo la vallata sino all'altezza di Monticchiello. Visto da lontano è solo una torre che si innalza tozza e robusta al sommo di un colle. Non è certamente il borgo più famoso della Val d'Orcia ma merita una visita raccolto com'è intorno alla rocca di cui rimangono oggi il cassero senese e il muro di cinta. Il borgo tra viuzze intricate, salite impervie e case in pietra, ha la sua centralità nella Chiesa dei Santi Leonardo e Cristoforo del dodicesimo secolo, al cui interno è custodito la Madonna col Bambino di Pietro Lorenzetti databile al 1315.
Pienza
E ultima meta del nostro viaggio ecco Pienza che è, come tutta la vallata, terra di papi. Pienza è un piccolo gioiello incastonato nelle dolci colline orciane, con la sua splendida piazza, i suoi palazzi intrisi di storia e gli scorci carichi di toscanità. Il nome di papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini, è legato alla nuova struttura urbanistica di Corsignano, suo luogo di nascita, rifondato col nome di Pienza, i cui lavori furono affidati all'architetto Bernardo Rossellino.  La costruzione basata sul modella della città ideale, durò circa quattro anni con la consacrazione della Cattedrale nel 1462. Al centro l'incantevole Palazzo Piccolomini scelto da Zeffirelli per alcune scene del suo famoso "Romeo e Giulietta". Ma uno dei punti forti di questo borgo senese è il pecorino quindi è d'obbligo una sosta alla Trattoria Latte di Luna dove esaltare le papille gustative con questo  formaggio dai sapori decisi innaffiato da generoso Sangiovese. Arrivederci Val d'Orcia.

lunedì 6 maggio 2019

Quando va in scena Tiepolo: Villa Valmarana ai Nani (VI) - domenica 5 maggio

Villa Valmarana ai Nani
Adagiata sui Colli Berici, Villa Valmarana ai Nani è situata alle porte di Vicenza ed è celebre per lo straordinario ciclo di affreschi di
Giambattista Tiepolo (che dipinse la villa nel periodo del suo massimo splendore artistico) e del figlio
Giandomenico. Il nomignolo ai Nani, con cui è conosciuta è legato alle diciassette sculture in pietra allineate sul muro di cinta, rappresentanti appunto dei nani. Una leggenda vuole che la figlia del signore della villa fosse affetta da nanismo e che i custodi e i servitori dell'edificio fossero scelti esclusivamente tra i nani, perché alla ragazza non si voleva far conoscere il proprio difetto fisico. Quando nella villa penetrò un principe, alla sua vista la ragazza si disperò: presa coscienza del proprio stato, la giovane si tolse la vita gettandosi dalla torre, motivo per cui i nani rimasero pietrificati dal dolore. Nonostante la pioggia Villa Valmarana si presenta con un contesto architettonico di notevole eleganza. 
Salone centrale: il  sacrificio di Ifigenia
Originariamente il primo edificio, quello residenziale, voluto da Giovanni Maria Bertolo, importante giurista, fu completato nel 1670. Alla struttura principale furono affiancate una barchessa, una foresteria, una stalla e vari altri edifici tipici delle ville venete. Nel 1720 la proprietà venne acquistata dai Valmarana, nobile famiglia vicentina, le cui antichissime fonti risalgono al 1174 dove un membro della famiglia è citato come arcidiacono della Cattedrale di Vicenza. Nel 1736 Giustino Valmarana incarica Francesco Muttoni del restauro della villa apportando modifiche che osserviamo oggi come i frontoni triangolari sui due lati della palazzina principale, le scalinate e le torrette laterali della palazzina, i sette archi con le sette teste dei vizi capitali e la costruzione delle scuderie sviluppate su due piani. Nell'aprile del 1944 alcune bombe incendiarie colpirono la villa e distrussero buona parte del soffitto della sala dell’Eneide. Quasi tutti gli affreschi furono asportati, in parte utilizzando la tecnica dello strappo ed in parte staccati demolendo il muro retrostante e conservando tutto lo spessore dell'intonaco sul quale erano stati dipinti. A guerra terminata essi furono riapplicati alle pareti.
Stanza dell'Iliade
Scriveva Goethe nel suo "Viaggio in Italia" (24 settembre 1786). "Oggi ho visitato la villa Valmarana decorata dal Tiepolo, che lasciò libero corso a tutte le sue virtù e alle sue manchevolezze. Lo stile elevato non gli arrise come quello naturale, e di quest'ultimo ci sono qui cose preziose, ma come decorazione il complesso è felice e geniale"La palazzina principale e la foresteria furono affrescate da Giambattista Tiepolo e dal figlio Giandomenico nel 1757, per volere di Giustino Valmarana. In particolare la palazzina principale ripercorre temi mitologici e classici, con scene dall'Iliade, dall’Eneide, dalla mitologia, dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso e dall’Orlando furioso di Ariosto. Tiepolo, oltre al pennello, ha fra le mani i libri che hanno segnato il pensiero occidentale, la storia che lega l'antico al moderno in un gioco di specchi e di imitazioni. La villa diviene così un "palazzo della memoria", schema dell'universo imperniato sui quattro angoli-pilastro (Nord, Sud, Est, Ovest) in cui i personaggi-chiave dell'epica, attraverso le gesta degli eroi celebrati per il coraggio adamantino e le virtù straordinarie, si raccolgono dialogando su un teatro virtuale. Seguiamo la nostra guida attraverso il bel giardino in antitesi ad un cielo bigio e malinconico, per entrare nello splendido salone centrale della Palazzina opera di Giambattista Tiepolo. Nell'atrio viene rappresentato il sacrificio di Ifigenia, sicuramente la più celebre fra le opere presenti nella storica dimora e a sinistra la flotta greca in Aulide.
Stanza dell'Eneide
Sul soffitto Diana e Eolo, sopra le porte invece le allegorie dei quattro fiumi che rappresentano i quattro continenti conosciuti nel Settecento: l'Africa riconoscibile per la sfinge, i due gemelli simbolo del Tigre e dell'Eufrate (Asia), il Mississipi rimanda all'America e il Danubio all'Europa, perché storicamente l'acqua è apportatrice di civiltà e tutte le culture più antiche sono nate vicino a un corso fluviale
. La prima sala è dedicata all’Iliade in cui è rappresentata la solitaria mestizia di Achille che rinuncia a Briseide. Achille è ritratto nella classica postura dell'uomo malinconico: il braccio sorregge la testa mentre le armi abbandonate sono un altro elemento dell'iconografia dell'eroe triste. Da notare, ed è un capolavoro, che nella scena ritratta la gamba di Achille è fuori dal quadro. La stanza omerica dà accesso a quella ariostesca quella di ispirazione bucolica e teneramente amorevole di Angelica e Medoro. Nella sala c'è Angelica che incide il nome di Medoro sulla corteccia: è lo snodo narrativo che scatenerà la follia di Orlando. La sala successiva, ispirata all'Eneide del poeta latino Virgilio, si rifà alla rinuncia amorosa per l'adempimento di un destino inevitabile. Tiepolo raffigura Mercurio mentre esorta Enea a rinunciare a Didone ritraendolo con il suo caduceo: la mano regge la fronte, l'elmo abbandonato a terra. Nella sala della Gerusalemme liberata la figura di Rinaldo assume una componente "teatrale" e melodrammatica, attraverso la forte torsione del busto.
la Sala delle Architetture
L'albero al centro della scena è quasi una cesura tra il futuro che attende Rinaldo e il passato che lo ha legato, pur con l'inganno, alla maga Armida. Nello specchio Rinaldo osserva vergognoso la propria immagine soggiogata ad Armida. 
Entriamo nella Foresteria che presenta uno stile più moderno con richiami all'Illuminismo e scene di vita quotidiana. In questa parte della villa compare in maniera decisa la mano di Tiepolo figlio, che nega il gusto del sublime paterno. Nella sala delle cineserie spiccano il Mercante di stoffe e la Passeggiata del Mandarino, specchio del gusto dell'epoca per un esotismo di maniera. Si passa alla stanza delle scene campestri. Su una parete è ritratta una vecchietta che va al mercato a vendere le sue uova, durante il tragitto è stanca, si ferma e si riposa, il tutto reso con grande naturalismo pittoricoNella stanza "gotica" passeggiate, personaggi e ambiente sono accolti in una cornice neogotica. Passiamo alla sala dell'Olimpo, tutta del padre Giambattista, nella rappresentazione degli dei tra Zeus con lo scettro del potere e gli altri dei ognuno con il simbolo che lo definisce: Marte e Venere con la mela, Apollo e Diana con la mezza luna sopra la testa, Saturno con la falce e la clessidra, Mercurio con il copricapo alato ed infine la stanza del mondo nuovo dove la mano di Tiepolo padre è in stato di grazia nella rappresentazione del servitore negro su una scalinata. 
Il Ninfeo
Usciamo dalla palazzina che si affaccia sull'incantevole 
Valletta del silenzio mentre la pioggia connota un aurea fiabesca alla lunga passeggiata che termina a nord con un ninfeo, entro la cui nicchia vi è una statua di grandi dimensioni che raffigura un tritone che cavalca un delfino. Ci spostiamo verso il teatrino delimitato su tre lati da un basso muretto e sul versante della valle, da una parete affrescata da Giandomenico Tiepolo e inquadrata dalle decorazioni di Girolamo Mengozzi Colonna con funzione di quinta scenica. Nel mezzo, un pozzo, da cui anticamente veniva attinta l'acqua. La struttura era adibita all'intrattenimento, con esibizioni teatrali e declamazioni di componimenti poetici. E non potrebbe essere altrimenti quando va in scena Tiepolo...

venerdì 3 maggio 2019

I Castelli di Malpaga e di Cavernago (Bergamo) - mercoledì 1° maggio

Castello di Malpaga
Poco lontano dalle rive del Serio, immerso in una distesa infinita di campi coltivati si erge maestoso il Castello di Malpaga, una delle più importanti fortificazioni lombarde del Trecento per iniziativa ghibellina. Dopo una scorribanda guidata da Tognotto Rota nel 1444 "acerrimo difensore delle Venete bandiere...auisato con numerose truppe d'armati improuisamente dalla città vicino portossi à Malpaga...piegò la Vittoria à suo favore, fatto lo stesso Conte prigione e con tutto il bottino in Bergamo trionfalmente condotto", il castello fu abbandonato andando in rovina. Con la nomina di Bartolomeo Colleoni a Capitano Generale di tutte le milizie della Repubblica di Venezia, il Senato della Serenissima il 24 giugno 1455 concede al grande condottiero la facoltà di scegliere come dimora un castello posto sul confine a difesa della Repubblica. Il 29 aprile 1456 il grande condottiero preferisce invece acquistare il Castello di Malpaga dal comune di Bergamo per 100 ducati d'oro adoperandosi a renderlo difendibile con una serie di interventi strutturali quali l'innalzamento delle mura, la costruzione di alloggi per le truppe, scuderie, porte fortificate e di un secondo fossato trasformando il complesso in una inespugnabile fortezza e nel contempo in una magnifica residenza tanto che il bellissimo palagio, come scriveva Marin Sanudo, cronista storico veneziano dell'epoca, diventa meta di personaggi di alto rango e di grande cultura. 
Nel 1458 il Colleoni vi si stabilisce, come in una vera reggia, con la moglie Tisbe Martinengo e come tutte le corti rinascimentali assumono sempre più il ruolo di centri di produzione culturale e il mecenatismo è parte integrante dell’esercizio del potere del principe e, nello stesso tempo, uno dei principali fattori che ne certificasse la sensibilità al bello e all'arte. Il maniero è a pianta quadrata, protetto da due cerchia di mura e da due fossati. All’interno del primo fossato, attualmente non più visibile, c’erano le scuderie e gli alloggi dei soldati. Il secondo fossato invece circonda tuttora il castello. Lungo tutto il perimetro del castello si notano le tracce della merlatura della fortificazione originaria. I dipinti murali del castello costituiscono non solo una viva e bellissima testimonianza artistica ma rappresentano un importante affresco storico e destano lo stupore del visitatore come nel Salone dei Banchetti dove viene celebrata la visita del re Cristiano I di Danimarca avvenuta nel 1474 mentre sta andando in pellegrinaggio a Roma per il Giubileo, accompagnato dal Duca di Sassonia e da duecento cavalieri. L'evento viene raffigurato da Marcello Fogolino tra il 1520 e il 1530 e illustrano il corteo regale, l'ospitalità del Colleoni, i banchetti, i tornei e le scene di cacciaAl Romanino è stato attribuito l'affresco della parete del cortile, prospiciente l'ingresso, commissionato tra il 1520 e il 1530 dai nipoti dello stesso Colleoni e rappresentante la famosa battaglia della Riccardina combattuta nel 1467, dove per la prima volta furona usate massicciamente le armi da fuoco e perché non ci furono né vinti né vincitori: papa Paolo II, rappresentato sulla parete orientale, sancì la fine del conflitto perché i Turchi si stavano avvicinando alle coste europee e pertanto bisognava fermarli
L'affresco si trova all'aperto ed è abbastanza deteriorato dall'esposizione all'intemperie ma è ancora ampiamente leggibile, un affresco importante perché rappresenta la scena bellica, i combattenti, le armature, i cavalli e i movimenti quasi animati nel loro realismo figurativo. Al piano superiore si entra nella Stanza del Capitano  dove il Colleoni  morì e dove si conserva un prezioso quadro della Madonna con il Bambino, oltre agli affreschi strappati dai muri che in precedenza adornavano la Sala di rappresentanza, e le fanciulle ritratte, un tempo identificate con le figlie del Colleoni, sono in realtà raffigurazioni allegoriche delle Virtù. Queste sono state dipinte nel 1545 circa dal pittore bresciano Lattanzio Gambara. Il complesso testimonia il rango raggiunto da un importante stratega che aveva cominciato la propria carriera militare come scudiero di Filippo Arcelli a Piacenza. Bartolomeo Colleoni ebbe solo discendenze femminili: Ursina, Isotta, Caterina, Medea, Dorotina, Riccadonna, Cassandra, Polissena. Dopo la morte del Colleoni, avvenuta il 2 novembre 1475, il castello di Malpaga passò ai suoi nipoti Estore, Giulio e Alessandro Martinengo Colleoni, figli di Gerardo Martinengo e di Ursina Colleoni. 
Castello di Cavernago
Pochi chilometri e raggiungiamo il secondo castello di Cavernago o Castello Martinengo-Colleoni, costruito tra il 1597 e il 1610 su un precedente caseggiato di proprietà dei Canonici della cattedrale di Bergamo. Le prime notizie dell’antico fabbricato risalgono al 1234 quando tale Salvo di Bellobon vendette l’intera proprietà al prete Redulfo di Ghisalba che l’acquistò per conto del Capitolo di Bergamo. I Canonici  nel 1341 si disfarono della tenuta che passò a un uomo ricco del quale si conosce solo il nome, Guglielmo figlio di Pietro Assonica. Fu uno dei suoi successori che un secolo dopo vendette l’intera proprietà a Bartolomeo Colleoni con un atto notarile datato 15 luglio 1473. Si deve a Francesco Martinengo Colleoni il castello come lo ammiriamo oggi. Nominato da Emanuele Filiberto, duca di Savoia, suo gentiluomo di camera e consigliere di guerra con il grado di colonnello nel 1568, sarà comandante generale per l'impresa di Revello nella guerra contro i francesi per il possesso del marchesato di Saluzzo e capitano di cavalleria contro i turchi di Solimano a Malta sotto la bandiera della Serenissima. E fu a Venezia che trovò il disegno fatto dal Sansovino (Jacopo Tatti) del grande cortile con doppio loggiato che caratterizza l’interno del Castello. La presenza dei Martinengo Colleoni doveva protrarsi per oltre duecento anni fino a quando, sullo spirare del diciannovesimo secolo, il ramo della famiglia si estinse. Ora appartiene da oltre sessant’anni ai Principi Gonzaga di Vescovato. Il castello di Cavernago non ha la tipica struttura di fortezza militare quanto di un'importante residenza famiare. Il castello è a pianta quadrata circondato da un profondo fossato dove ora non c'è più acqua. Un ponte levatoio assicurava il passaggio alla corte interna attraverso un'arcata in muratura su cui troneggia la grande aquila circondata dal collare dell'Annunziata, stemma del casato Martinengo.

Ai lati del castello ci sono quattro piccole torri poco sporgenti dalla struttura castellana. Queste torri, sempre per il carattere poco militare della fortezza, non presentano sulla parte alta la tipica merlatura ma delle logge circondate da archi sostenuti da sottili colonne. Le colonne sostengono archi a tutto sesto ricchi di affreschi che decorano tutti i porticati e in particolare in quello rivolto a sud si apre un salone dove è riprodotta una gigantesca figura di Bartolomeo Colleoni. Nell'ampio cortile un pozzo, ora chiuso da una grossa grata. Di particolare interesse la scala elicoidale del XVIII secolo sul lato sinistro dell’ingresso e varie sale seicentesche affrescate.I due castelli e l'intero borgo sono i protagonisti assoluti del progetto di riqualificazione territoriale che non può che fare bene al nostro splendido patrimonio artistico.

lunedì 15 aprile 2019

Il Castello di Gropparello (domenica 14 aprile)

Un tempo da lupi avvolge il paesaggio circostante mentre si sale la china e tra i rami addomesticati dalla pioggia s'inizia ad intravedere il castello di Gropparello fiero e indomito sopra la roccia. Il castello, infatti, sorge in cima ad uno sperone roccioso di rocce ofiolitiche, sopra uno strapiombo che domina il torrente Vezzeno, formando un orrido di circa 85 metri di altezza, che lo ha reso praticamente inespugnabile nei secoli. Edificato sui resti di un castrum romano del II secolo a.C. era posto a difesa dell' antica via per Velleia, centro di notevole importanza commerciale. Nell’808, Giuliano II, vescovo di Piacenza, ricevette da Carlo Magno la giurisdizione temporale delle corti e del distretto di Gusano e Cagnano (Gropparello), cioè la giurisdizione sugli abitanti con tutti gli introiti di natura pubblica (dazi, gabelle) ivi riscossi. Al centro di una controversia tra il Capitolo della Cattedrale e la Mensa Vescovile, nell'840 fu assegnato a quest'ultima da Seufredo II, allora vescovo di Piacenza
Nel 1255 venne assediato e distrutto dalle truppe ghibelline guidate da Azzo Guidoboi al servizio di Oberto II Pallavicino ma subito riedificato tanto che il Pallavicino lo riassediò nel 1260 senza successo. Il vescovo Filippo Fulgosio attorno al 1300 lasciò il castello ai propri eredi, i quali, quando nel 1335 Piacenza ed il suo territorio passarono ad Alberto Scoto e l'egemonia guelfa terminò, dovettero abbandonare la città e ritirarsi a Gropparello. I Fulgosio tennero il castello fino al 1464 per poi essere ceduto da Francesco Sforza, duca di Milano, a Galeazzo Campofregoso. Nel 1599 Ranuccio I Farnese, signore di Parma e Piacenza, rientrato in possesso del feudo, investe con il titolo ereditario di conte di Gropparello  Marcantonio Anguissola, uomo di fiducia e governatore della val di Taro, che ne terrà il dominio per circa due secoli, fino al 1869 quando viene acquistato dal conte Ludovico Marazzani Visconti il quale lo fece restaurare nelle forme che attualmente si possono ammirare. La nostra guida decanta con passione le vicende storiche del castello introducendoci nel cortile centrale, uno dei luoghi più suggestivi dell’intera struttura, con la sua forma irregolare adattata alle esigenze costruttive del profilo roccioso a picco sul torrente Vezzeno, quindi ben lontana dalla tradizionale pianta quadrata. Pur se composto di parti risalenti a epoche diverse ha l'aspetto compatto della roccaforte con doppia cinta muraria merlata, cortile, torri, torrione d'ingresso con doppio ponte levatoio (uno pedonale e uno carrabile), mastio e camminamenti di ronda scavati nella roccia. 
La parte più antica del castello è la torre, a base quadrata, risalente all'undicesimo secolo costruita proprio sulla sommità della rupe dove lo sguardo può spaziare sul magnifico panorama circostante, mentre alla base della torre era scavata una cisterna per la raccolta dell'acqua, indispensabile per resistere a lunghi assedi. Gli ambienti interni conservano arredi e decorazioni risalenti al cinquecento e non mancano monumentali camini, stucchi e soffitti in stile rococò del ‘700. Molto interessante la sala della musica che contiene alcuni strumenti di grande interesse dal punto di vista dell'organologia ovvero lo studio  dell'evoluzione degli strumenti musicali. Nell'area circostante il castello è stato aperto il primo parco emotivo italiano con animatori vestiti da guerrieri medievali: noi abbiamo incontrato sotto la pioggia il Cavaliere Nero...E come tutti i castelli che si rispettino anche qui s'aggira un fantasma, quello dell’infelice Rosania Fulgosio
Siamo alla fine del 1200 e mentre Pietrone da Cagnano è lontano, il castello viene attaccato da milizie condotte dal giovana Lancillotto Anguissola, antico amore di Rosania. Il castello cade dopo una strenua difesa e il vincitore minaccia severe rappresaglie. La giovane castellana si getta ai suoi piedi intercedendo per la vita dei vinti. I due si riconoscono e l'antico amore si ridesta. Ritorna Pietrone che, informato da una sua fedele fantesca di nome Verzuvia del tradimento della moglie, progetta la terribile punizione: fa scavare un antro nella viva roccia sotto le fondamente del castello poi, una notte addormenta con del vino la giovane moglie e ve la rinchiude murando l'entrata. Da allora la povera Rosania vaga per il maniero e il suo spirito si manifesta in certe notti con lamenti e gemiti sentiti anche da chi ha abitato il castello.