mercoledì 15 maggio 2013

Eremo di San Valentino (12 maggio)

L'aria insolitamente frizzante della domenica stuzzica la voglia di camminata e quindi zaino in spalla! Appuntamento a Sasso per "attaccare" il pendio che porta  all'eremo di San Valentino, un vero gioiello prealpino che si affaccia sul lago di Garda. Sasso, silente frazioncina in quota di Gargnano, è una manciata di case dove l'unico brusio sembra appartenere al piccolo bar del borgo stavolta preso d'assalto dall'allegra comitiva. Da qui diparte il sentiero 31 che s'incunea dolcemente fra la vegetazione e ben presto stralci di toni lacustri appaiono fra chiome verdeggianti e profumi delicati. La breve mulattiera lascia il passo ad un pendio più impegnativo che strappa verso l'alto, e d'improvviso ti trovi a picco sul meraviglioso blu del Benaco. Il bosco scende dolcemente sino a introdursi in una valletta sottostante affrontata saltellando (si fa per dire) su gradoni ripidissimi, poi il sentiero declina verso sinistra e qui incontriamo una porticina a cui si accede per l'ultimo tratto verso l'eremo. La chiesetta di San Valentino, incastonata nella roccia del monte Comer, fu edificata dagli abitanti di Gargnano come voto di ringraziamento per essere sfuggiti  alla peste del 1630. 
L'interno è un pò spoglio, di pregevole fattura la pala dell'altare ma è girandosi che lo sguardo incontra l'immensa macchia blu gardesana in tutta la sua bellezza! Un motoscafo flutta veloce fra spume bianche in mezzo al lago dominato sull'altra riva dal Monte Baldo.
Quattro gradini e il grande tavolaccio di legno a fianco dell'eremo è nostro! E' lo stillicidio di panini!! Lungo la via del ritorno il sentiero incrocia la deviazione verso il monte Comer. Non è tardi quindi si decide di proseguire. Ma il sole non ci sta e grigi nuovoloni si avventano su di noi. Il tracciato non è proibitivo, si sale lungo brevi costoni e il cuculo risponde ai nostri richiami. L'incognita meteo è sempre più in agguato. Meglio optare per il rifugio degli alpini situato sull'altopiano di Briano. Il bosco diventa via via più cupo e la comitiva lentamente si dirama, in lontananza tuoni e fulmini che non fanno presagire nulla di buono. E' sul finire del bosco che arriva la pioggia. Seguendo la sede stradale ci riportiamo verso Sasso. Il tempo di giungere in paese e il sole torna a fare capolino sbeffeggiandoci allegramente. Chiusura di serata in un ottimo ristorantino a Gargnano, a due passi dalle acque del lago.




PARTENZA: Sasso (mt. 555)
SEGNAVIA: 31
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt. 200
ALTITUDINE: Eremo di San Valentino
(mt. 772)
CARTA KOMPASS 102

mercoledì 8 maggio 2013

La salita all'Eremo di San Giorgio in Val Trompia (BS) - domenica 5 maggio

L'idea di partenza in fondo era semplice semplice: visionare il percorso, valutarne l'ascensione e l'adattabilità a tutte le gambe del gruppo delle marmotte. Il sole è lì a solleticare la nostra curiosità, siamo già sulle strade bresciane quindi a serpentina si sale verso la Val Trompia, destinazione Caino. Parcheggiata l'auto in frazione Villa Mattina, procediamo lungo il breve tragitto che porta al santuario della Madonna delle Fontane (mt. 535) trovandolo purtroppo chiuso. Fiancheggiando alcune sorgive incrociamo le segnaletiche dei sentieri che dipartano dal piccolo spiazzo. Non siamo propriamente attrezzate ma gli scarponcini fremono. Il sentiero 381 via diretta per l'eremo, è una stretta mulattiera che s'incunea nella selva. Si prosegue a zig zag, l'ascesa è incessante ma la gambe fresche. Non ci accorgiamo del tempo che passa, la boscaglia t'inghiotte e solo per brevi attimi, fra le fronde, intravedi un picco maestoso di rocce: l'eremo è lassù! Lasciando a destra il versante del monte arranchiamo sul tracciato mentre la vegetazione diviene più folta, la macchia boschiva sussulta dolcemente al nostro passaggio ed intorno il silenzio è quasi sacrale. Il dislivello diventa più difficoltoso, ti aspetti che si sgomiti su una piana invece no si continua a salire, poi impegnando un pendio ripidissimo sfociamo finalmente sulla dorsale che porta al sacro ritiro. Nel frattempo il sole è scomparso e sinistri nuvoloni si stanno minacciosamente avvicinando. Dal ballatoio dell'eremo, a quota 1125 metri, si gode un panorama suggestivo, il profilo delle prealpi bresciane si manifesta in tutta la sua bellezza. Foto ricordo e si scappa di corsa, il cielo fa sentire la sua voce. Ora sì che bisogna volare! A ritroso riconquistiamo il bosco, divenuto più cupo ma non meno affascinante, la minaccia è sopra le nostre teste e non concede sconti. Il cielo scarica giù un autentico diluvio!! La mulattiera ora è pericolosa, la pietraia è resa ancora più viscida dalla pioggia battente, un vero "allenamento" per le nostre caviglie e qualche scivolone non manca all'appello. Sembra incredibile ma il sentiero finalmente finisce. Siamo bagnate fradice, e con ogni probabilità a rischio raffreddore, ma l'escursione meritava questa insolita avventura.



PARTENZA: Madonna delle Fontane (mt. 535)
ARRIVO: Eremo di S. Giorgio (mt. 1125)
SEGNAVIA: 381
DIFFICOLTA': E
DISLIVELLO: mt. 590
Carta Kompass Valtrompia 0106




venerdì 3 maggio 2013

Primo maggio al ponte di Veja


Nuvoloni  pieni d'acqua all'orizzonte e i timori di un Primo Maggio pluvio. Con queste allettanti premesse riempiamo ugualmente gli zaini, l'itinerario pensato è tecnicamente semplice e la comitiva è come al solito allegra, auguriamoci solo che la nostra determinazione riesca a far volgere al bello le uggiose previsioni meteorologiche. La meta è ad un tiro di schioppo dalla città di Giulietta e Romeo in corrispondenza della Valpantena ma è immersa nel verde, reso ancor più brillante dalle recenti piogge. Il ponte di Veja, a due passi da Sant'Anna d'Alfaedo, è un meraviglioso arco naturale di origine carsica, ampio più di quaranta metri, risultato dell'evoluzione erosiva di una caverna in cui scorre sottostante la sorgente della Grotta dell'Acqua. L'attenzione si calamita su questa meraviglia naturale musicata dal borbottio sommesso del torrente, tuttavia fanchiglia e pietre umide rendono la discesa verso l'antro pura esercitazione di equilibrio. 
Lo scarponcino scappa veloce, le mani mulinano nell'aria, qualcuna s'impone i bastoncini da trekking e si scende giù dove la natura ci regala un'architrave di roccia! Le note dei piovaschi precedenti rendono scivolosa la risalita del costone opposto, infiliamo un sentiero e ben presto ci ritroviamo in una fitta radura. L'aria boschiva è impregnante d'umidità, i tronchi arborei riportano muschi verdissimi, le fronde si abbassano e l'immaginazione cavalca veloce. Siamo nel cuore di chissà quale foresta misteriosa popolata da elfi e folletti, fate e creature fantastiche ma la realtà è ben diversa, il sentiero sfocia desolatamente su un manto stradale e non ci resta che tornare sui nostri passi sconsolate. Conquistiamo la prima distesa verde. Il sole è alto nel cielo e piacevolmente caldo: s'impongono le vettovaglie! Spostandoci su un altro sentiero, riprendiamo la sgambata ma anche qui finisce ben presto la boscaglia. In lontananza s'intravede la presenza di un caseificio storico, quello dei Benedetti, tre generazioni di casari che hanno coniugato la tradizione dell'antica malga con l'ospitalità della Lessinia. E' un tripudio di profumi e odori, i generosi assaggi di marmellate, formaggi e insaccati esaltano il nostro palato. E di ritorno, sosta obbligata alla trattoria Ponte di Veja a conclusione di un primo maggio divertente e festaiolo.

martedì 30 aprile 2013

I dieci capitelli di Soave (25 aprile)


Le marmotte si sono date appuntamento giovedì 25 aprile nella terra del Soave, il vino bianco italiano per eccellenza, fiduciose in qualche benevolo raggio solare dopo le grandi secchiate d'acqua dispensateci da Giove Pluvio. E la meta è nel cuore dei vigneti veronesi, sterminati filari che si perdono tra le morbidi coste collinari del territorio della Lessinia. Il sentiero dei Dieci Capitelli, ovvero le edicole votive poste lungo il cammino a testimonianza del credo appassionato di un mondo agreste ancorato alla terra dura ma da cui germoglia la speranza, è un itinerario circolare lungo quasi 10 chilometri e si snoda tra Soave e Monteforte d'Alpone. Zaino in spalla allora, e con la voglia di conciliare risate, chiacchiere e molto molto sudore, mantenendo a destra il castello scaligero, l'allegra comitiva imbocca la salitella incontrando dopo un solo chilometro il primo capitello dedicato a San Vincenzo Ferreri (il n°5). Ma è il paesaggio a bloccare il nostro cammino. Lo scenario si perde tra vitigni che tratteggiano la regione e sfuma nella foschia delineando percettibilmente la linea lontana degli Appennini. Le parole contrassegnano i nostri passi ed è un musicare quasi irrispettoso al placido silenzio della collina, poi al successivo dislivello il gruppo lentamente si snocciola e le ragazze iniziano a misurarsi con i fiati e le prime sorsate d'acqua replicando in qualche modo ad una calura che inizia a proporsi quasi feroce. Via via lasciamo dietro di noi i successivi tempietti (bello il nono quello di fine '800 il Regina Pacis) e il chiaro sentiero degrada verso Monteforte dove mute case ci accompagnano nel cuore del paese in cui troneggia l'ottocentesca Chiesa di Santa Maria Maggiore. Sarà la fame o chissà quale altra strana alchimia ma le marmotte riacquistano velocità prendendo allegramente d'assalto il tranquillo giardino adiacente alla casa di riposo dove le nostre ganasce fanno rima con gusti e profumi trasportati in spalla sino a quel momento, un vero trionfo di verdure, salumi e formaggi!
Dopo la canonica sosta caffè, ripartendo da piazza Venturi, ci addentriamo nella stradina che collega la Val Ponsara con la Valle dell'Acqua. Limitando le curve dei colli veneti il gruppo schiamazza variamente, poi il falsiopiano s'impenna e ora la salita si fa dura. Su su sempre più su, andando in debito d'ossigeno e offrendo le spalle ad una palla di fuoco incredibilmente rovente, sino a raggiungere il Capitel del Foscarin ai piedi di un costone brullo, il più elevato della zona (mt. 201) mitigato solo dalle fronde vivaci dei numerosi ulivi. Le gambe segnano i ritmi, qualcuna ti guarda supplicante, altre testa bassa avanzano imperiose, arriva velatamente qualche "non c'è la faccio più". Lo strappo c'è e si sente ma al suo culmine finalmente scema leggero, lasciamo il quarto capitello Regina Coeli e imboccando l'ultimo tratto del percorso cogliamo in lontananza il profilo dominante del castello di Soave e sul litorale una linea di ciliegi che fiancheggiano la mulattiera. Il gruppo ritrova forza, una foto di gruppo quasi obbligata ma ahimè non composta nell'agitazione delle partecipanti. La monumentale opera fortificata che segna il cielo azzurro merita un piccolo sforzo! Entrando dal ponte levatoio protetto da una torre possente detta di San Giorgio respiriamo l'aria della Storia. Il castello, uno dei migliori esempi di struttura castellana del Medioevo, è stato per secoli teatro di aspri scontri e battaglie ed ora è di proprietà della famiglia Camuzzoni che lo ha riportato, dopo un periodo di abbandono, all'antico splendore. Dal bellissimo mastio si gode il più bel panorama dei Monti Lessini. I click sfuggono al controllo, le gambe magari scricchiolano paurosamente ma in tutte le marmotte la fatica ha lasciato il posto al sorriso. E dopo un'indovinatissima puntatina in un'enoteca dove "il vino è la poesia della terra" a detta della penna arguta di Mario Soldati, tutte alla trattoria "Alla Rocca" famosa per i suoi bigoli casalinghi e la squisita cordialità!