martedì 18 febbraio 2020

Ubaldo Oppi a Vicenza (domenica 16 febbraio)

L’amicizia femminile, il sogno, il doppio riflesso nello specchio, il rapporto tra il pittore e la modella, donne fiere al punto da divenire feline, la nostalgia di paradisi perduti, ma anche la crudezza della realtà, sono i temi centrali della mostra. Dipinti meravigliosi, abiti bellissimi, gioielli, sogni di esotismo, desideri di viaggi e amori pervadono lo spazio espositivo, in dialogo bellissimo con l’architettura della basilica palladiana. Lo scrittore Massimo Bontempelli raccontava con affascinata meraviglia i primi piani delle donne distratte nei caffè. Siamo negli anni Venti e, nell’Europa uscita da poco dalla Prima guerra mondiale, le donne cominciano a conquistare un proprio ruolo: sempre più autonome, seduttive e moderne. I capelli si accorciano come la lunghezza delle gonne, mentre la loro influenza nella società e nella cultura si fa sempre più intensa. Coco Chanel cambia la moda, Amelia Earhart attraversa in volo l’Atlantico, i balli di Josephine Baker incantano Parigi, Virginia Woolf scrive i suoi capolavori. Sogni di avventure, amori e successi imperniano le esistenze degli artisti e di queste signore offrono ritratti magnetici all’insegna di una ‘classicità moderna’, protagonisti quali Felice Casorati, Mario Sironi, Antonio Donghi, Cagnaccio di San Pietro, Achille Funi, Piero Marussig, Mario Cavaglieri, Guido Cadorin, Massimo Campiglie e, naturalmente, Ubaldo Oppi.
Ubaldo Oppi (Bologna 1889 – Vicenza 1942) è un protagonista assoluto di quegli anni, uno degli artisti più famosi tra l’Europa e gli Stati Uniti che ebbe poi modo di confrontarsi direttamente con le suggestioni della Secessione Viennese guidata da Gustav Klimt e
successivamente trascorrere un lungo periodo a Parigi partecipando allo straordinario laboratorio d’avanguardia che offriva la Ville Lumière di inizio secolo. A Parigi conosce un Modigliani allo sbando, ha un amore con la modella Fernande Olivier che lascia Picasso per fuggire con lui, viene rapito dai colori intensi e dalle pennellate fauves di Kees van Dongen e dai segni sinuosi di Matisse. Dopo la Grande guerra Oppi torna in Italia, accettando prima la protezione della prima critica d'arte donna, la potente Margherita Sarfatti, e poi di Ugo Ojetti ma con l’inizio degli Anni Trenta si ritrova smarrito “come conseguenza delle sue vicende biografiche personali e dell’estraneità rispetto alle commissioni del regime fascista”, scrive la curatrice della mostra, forse pagando troppo caro lo scotto di essere stato scelto come esponente del “Novecento italiano” dalla Sarfatti.
Raffigurazioni che pervadono le ricerche di molti protagonisti dell’arte italiana e trovano riscontro in particolare a Venezia, influenze fioriscono nelle mostre di giovani artisti che si tengono a Ca’ Pesaro dove espongono tra gli altri Vittorio Zecchin, Felice Casorati e Mario Cavaglieri, profondamente influenzati dall’impatto di Klimt, che ha anche una sala personale alla Biennale di Venezia del 1910. Altri, come Arturo Martini, Gino Rossi o Guido Cadorin, seguono la strada indicata dal post-impressionismo o dal cubismo. Da quelle meravigliose scoperte prende avvio un mondo nuovo che emana ispirazioni ardite e inebrianti follie, un’idea spregiudicata che innerva la Belle Époque e scorre, rinnovata e intensa, nel primo dopoguerra. Non a caso la mostra si apre con la leggendaria 'Giuditta’ di Klimt. L’esposizione curata da Stefania Portinari, docente di storia dell’arte contemporanea all’Università Ca’ Foscari di Venezia, presenta un percorso espositivo originale composto da solidi pannelli che, grazie a tecnologie sofisticate, possono essere facilmente ricollocati, e una struttura sospesa che li unisce senza intaccare l’antico ambiente, dando nel contempo l’impressione di uno spazio raccolto e ordinato che guida i visitatori nel cuore delle tematiche affrontateL'esposizione vicentina ripercorre la carriera di Oppi che, in un’avvolgente penombra, si distribuiscono nelle sezioni dedicate ai diversi punti di vista con cui gli artisti hanno ritratto le donne: da muse ad amazzoni, dalla donna allo specchio alle amiche, dalle dive – non si possono non citare gli splendidi abiti di Chanel quivi esposti – alle dee, fino alle donne reali, a un’Eva monumentale e trionfante e infine al simbolico "L’Adriatico", con tre donne alla deriva su una barca, “un viaggio misterioso che anche nel più cupo dei momenti, quando i flutti potrebbero far paura, porta miraggi, sogni e desideri di future felicità. 
La pittura di Ubaldo Oppi va pensata come un'unica ininterrotta meditazione esistenziale, una tensione verso la classicità elegiaca, una classicità poetica di tono malinconico, di mestizia nostalgica, forse l'unica possibile espressione di “classicità moderna”. I suoi dipinti ci rivelano lo sguardo attraverso cui scorrono in mostra una costellazione di ritratti dei maggiori artisti che sono stati suoi amici e avversari in esposizioni strabilianti, dal Salon d’Automne di Parigi al Premio Carnegie di Pittsburgh, dalla Biennale di Venezia alla mostra di Modern Italian Art di New York. L'Oppi della piena stagione novecentista tra il 1924 e il 1932 predilige ambienti spogli ma con grandi drappeggi, come sipari teatrali, in cui la figura umana, specie quella femminile, si ammorbidisce e diventa carnosa e sensuale secondo un marcato classicismo delle forme. Anche i suoi nudi, violenti nell'ostentazione fisica, sono immersi in un'atmosfera incantata che ne mitiga la sensualità. Oppi, come tutto il movimento novecentista, e in generale il neoclassicismo europeo, pone nuovamente l'uomo al centro dell'universo. Il linguaggio pittorico è nitido e il disegno è ispirato dalla lezione dei maestri antichi (al Louvre ha studiato e ammirato il Quattrocento Italiano) e anche da statue e fotografie. La sua arte rappresenta uno tra i momenti più alti del Novecento e testimonia una sua tangenza con la Neue Sachlichkeit tedesca, un omaggio alla bellezza che non ha mai fine.

(fonte www.arte.it)

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