Quella sera Alison Hargreaves aveva raggiunto la vetta del K2 ed era entrata nei libri dei record come la prima donna a scalare le due vette più alte del pianeta, senza ossigeno supplementare. Ma, come i giornali e le stazioni radio riportarono un paio di giorni più tardi la Hargreaves, considerata da molti come il miglior alpinista donna nella storia, e altri sei scalatori non scesero mai più dalla montagna. Una tempesta, strana anche per le altezze himalayane, si abbattè quella notte sul K2 come un uragano e con temperature sotto lo zero. E il giorno che era cominciato con tante promesse si era trasformato in uno dei disastri più dibattuti dell' alpinismo. Per la trentatreeenne Alison, spesso criticata per aver lasciato i suoi bambini a casa mentre lei rischiava la sua vita sulle grandi montagne, il K2 era solo una tappa di un ambizioso e ben pubblicizzato progetto: essere la prima donna a scalare le tre vette più alte del mondo, l'Everest, il K2 e il Kanchenjunga e senza ossigeno supplementare. La tappa Everest, nel mese di maggio, era andata sorprendentemente bene. L'alpinista scozzese raggiunse la vetta con il sole splendente. Rob Slater, capo spedizione della sua squadra e scalatore delle "grandi pareti" negli Stati Uniti, non era mai stato sopra i 5800 metri, ma quello che gli mancava in esperienza lo compensava con una grinta e un approccio quasi esaltante verso le grandi montagne. Aveva lasciato il suo lavoro di broker finanziario per allenarsi per il K2, e prima di partire per il Pakistan una rivista di arrampicata citava il suo commento: "Vertice o morire, in entrambi i casi ho vinto".
Anche se lui e la Hargreaves non si erano mai incontrati prima di arrivare al campo base, si piacquero subito. E così la mattina del 13 agosto, dopo essersi divisi dal resto della squadra che aveva deciso di tornare indietro, Alison e Slater si uniscono a quattro alpinisti del team Nuova Zelanda-Canada, Bruce Grant, Jeff Lakes, Kim Logan e Peter Hillary, figlio di Sir Edmund, il primo sulla vetta dell' Everest nel 1953. La cordata lascia Campo Quattro per la vetta passando dallo Sperone Abruzzi. A metà mattina gli scalatori oltrepassando per The Bottleneck si uniscono a cinque alpinisti spagnoli, Javier Escartín, Javier Olivar, Lorenzo Ortiz, Lorenzo Ortas e José Garces, che avevano iniziato da un campo superiore. Questo "collo di bottiglia" viene considerato come un punto di non ritorno perchè obbliga ad una traversata molto esposta su rocce e ghiaccio. Secondo Peter Hillary a questo punto il tempo, perfetto nei quattro giorni precedenti, ha cominciato a peggiorare. "Grandi nubi altostrati si muovevano e un forte vento sollevava la neve", Hillary ricordò in seguito. "Li ho visti superare il traverso. Poi sono scomparsi tra le nuvole". Mentre il resto degli alpinisti continuò tra la neve, Hillary e Logan tornarono indietro convinti che una forte tempesta si stava preparando. Infatti, da una certa distanza si vedeva il K2 avvolto da fitte nuvole e nel contempo un vento polare stava raccogliendo forza da nord. Jeff Lakes preferisce tornare indietro. Intanto si avvicina il crepuscolo. Alison, in arrampicata con Javier Olivar, spingeva in alto con Slater poco distante, e alle 18.45, più di dodici ore dopo la partenza, Hargreaves e Olivar comunicarono a Campo Quattro che avevano raggiunto la vetta. Stranamente, non stava nevicando sulla vetta. "Il tempo era buono, davvero eccezionale", dice Ortas, che prende la chiamata. "Avrebbero potuto scendere facilmente alla luce della luna piena". Questo purtroppo non fu il caso.
Secondo Ortas, un vento micidiale che soffiava a 140 km/h, si era scatenato nel giro di un'ora. Le tende degli spagnoli furono distrutte e Ortas e Garces trascorsero il resto della notte rannicchiati in un unico sacco a pelo. Molto peggio più in alto dove la Hargreaves, Olivar, Slater, Grant, Ortíz, e Escartín che avevano raggiunto la vetta, stavano ritornando verso il basso. Secondo quanto riferito dalla rivista Outside, qualcuno col binocolo dal campo base vide degli alpinisti letteralmente portati via dal vento. Non ci sono furono chiamate radio, e non furono recuperati i corpi. Dei sei alpinisti saliti in vetta con lei, Javier Olivar, Rob Slater, Javier Escartin, Lorenzo Ortiz, e Bruce Grant solo Jeff Lakes riesce a sfuggire alla furia del vento. In una straziante discesa di 30 ore dal centro della tempesta, riesce a raggiungere Campo Due dove venne trascinato dentro una tenda da un compagno di squadra della Nuova Zelanda, solo per morire di sfinimento durante la notte. Come per ogni spedizione che finisce in un disastro, montarono le polemiche. La tempesta aveva davvero colto di sorpresa gli scalatori? O non avevano considerato i segni rivelatori dell' avvicinarsi del cattivo tempo accecati come erano dalla inebriante prospettiva di arrivare in cima? La risposta, ovviamente, non la si saprà mai ma secondo Josè Garces, il sole stava tramontando, il tempo era giusto e Alison stava salendo molto forte. Le sue uniche parole mentre lo sorpassava furono "Sto andando su".

Nel 1993 Alison, con al seguito tutta la famiglia, completa le sei classiche nord sempre in solitaria: Eiger, Cervino, Aiguilles du Dru, Pizzo Badile, Grandes Jorasses e Cima Grande di Lavaredo. Da questa avventura nasce "A Hard Day's Summer" di cui è autrice che però non ottiene molto successo ma la prodezza alpinistica riesce comunque ad attirare un minimo di attenzione. Il fascino dell'Everest ritorna dirompente, sia per ragioni personali che finanziarie. Nel 1994 tenta per la prima volta la montagna più alta del mondo ma per un principio di congelamento alle dita preferisce rinunciare a 500 metri dalla vetta. Pochi mesi dopo, nella primavera 1995, ci riprova e il 13 maggio raggiunge la vetta senza ossigeno e aiuti complementari. E' un successo senza precedenti. Alison Hargreaves viene accolta in Inghilterra come un'eroina nazionale. A questo punto prende in considerazione il progetto di conquistare le altre due montagne più alte, il K2 e il Kangchenjunga, tentando a poche settimane del ritorno a casa il K2 e lasciando la terza cima alla primavera successiva. Il K2 è un avversario temibile, molto più dell'Everest. E' conosciuto coma la Savage Mountain per l'estrema difficoltà di risalita che è costata la vita a molti esperti scalatori e che tutt'ora non è mai stato affrontato nella stagione invernale. Alison aspetta per settimane al campo base prima di trovare un soleggiato 13 agosto. Nel giro di un'ora dall'annuncio della vetta raggiunta, sulla parte alta della montagna si alzano raffiche di vento impressionanti. Dei sei alpinisti saliti in vetta con lei solo Jeff Lakes riesce a sfuggire alla furia del vento per poi morire al campo due. La tragedia finisce su tutti i giornali e le accuse contro la Hargreaves alimentano venti polemici forse ben peggiori di quelli che incontrò sulla fatale discesa...
Ed Douglas e David Rose autori del bel libro "Le ragioni del cuore" scrivono di lei. "Fu prigioniera del sogno, Alison? Tutti siamo prigionieri di qualcosa, e un sogno forse non è la peggior cosa. Certo pagò un prezzo alto. Se le difficoltà sono altissime, per una «donna in carriera alpinistica», lo sono molto di più per una madre. Dietro gli stereotipi e la condanna morale, c'era una donna normale con uno straordinario talento e un'altrettanto straordinaria determinazione, piena di speranze, paure, sentimenti, virtù e colpe; una donna che realizzò grandi cose, ma che commise anche errori terribili"
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